"Dopo il Concilio, ci sono stati molti preti che
hanno elevato deliberatamente la "desacralizzazione" a livello di un
programma, sulla pretesa che il nuovo testamento ha abolito il culto del
tempio: il velo del tempio che è stato strappato dall'alto al basso al
momento della morte di Cristo sulla croce è, secondo certuni, il segno della
fine del sacro. La morte di Gesù, fuori delle mura della città, cioè, dal mondo
pubblico, è ora la vera religione. La religione, se vuol avere il suo essere in
senso pieno, deve averlo nella non sacralità della vita quotidiana, nell'amore
che è vissuto. Ispirati da tali ragionamenti, hanno messo da parte i paramenti
sacri; hanno spogliato le chiese più che hanno potuto di quello splendore che
porta a elevare la mente al sacro; ed hanno ridotto il liturgia alla lingua e
ai gesti di una vita ordinaria, per mezzo di saluti, i segni comuni di amicizia
e cose simili.
Non c'è dubbio che, con queste teorie e pratiche, hanno del tutto misconosciuto l'autentica connessione tra il vecchio ed il nuovo testamento: s'è dimenticato che questo mondo non è il regno di Dio e che "il Santo di Dio" (Gv 6,69) continua ad esistere in contraddizione a questo mondo; che abbiamo bisogno di purificazione prima di accostarci a lui; che il profano, anche dopo la morte e la resurrezione di Gesù, non è riuscito a trasformarsi nel "santo". Il Risorto è apparso, ma a quelli il cui il cuore era ben disposto verso di Lui, al Santo; non si è manifestato a tutti. È in questo modo che un nuovo spazio è stato aperto per la religione a cui tutti noi ora dobbiamo sottometterci; questa religione che consiste nell'accostarci alla famiglia del Risorto, ai cui piedi le donne si prostravano e lo adoravano. Non intendo ora sviluppare ulteriormente questo aspetto; mi limito sinteticamente a questa conclusione: dobbiamo riacquistare la dimensione del sacro nella liturgia.
La liturgia non è una festa; non è una riunione con scopo di passare
dei momenti sereni.
Non importa assolutamente che il parroco si scervelli per
farsi venire in mente chissà quali idee o novità ricche di immaginazione.
La
liturgia è ciò che fa sì che il Dio Tre volte Santo sia presente fra noi; è il
roveto ardente; è l'alleanza di Dio con l'uomo in Gesù Cristo, che è morto e di
nuovo è tornato alla vita. La grandezza della liturgia non sta nel fatto che
essa offre un intrattenimento interessante, ma nel rendere tangibile il
Totalmente Altro, che noi [da soli] non siamo capaci di evocare.
Viene perché
vuole. In altre parole, l'essenziale nella liturgia è il mistero, che è
realizzato nel ritualità comune della Chiesa; tutto il resto lo sminuisce.
Alcuni cercano di sperimentarlo secondo una moda vivace, e si trovano
ingannati: quando il mistero è trasformato nella distrazione, quando l'attore
principale nella liturgia non è il Dio vivente ma il prete o l'animatore
liturgico (...)
Tutto questo conduce tantissima gente chiedersi se la Chiesa di oggi è
realmente la stessa di ieri, o se l'hanno cambiata con qualcos'altro senza
dirlo alla gente. La sola via nella quale il Vaticano II può essere reso
plausibile è di presentarlo così come è: una parte dell'ininterrotta,
dell'unica tradizione della Chiesa e della sua fede.
Non c'è il minimo dubbio che, nei movimenti spirituali dell'era
post-conciliare, vi è stato frequentemente un oblio, o persino una
soppressione, della questione della verità".
Card. Joseph Ratzinger, Indirizzo alla Conferenza Episcopale Cilena, 13 luglio 1988.
Card. Joseph Ratzinger, Indirizzo alla Conferenza Episcopale Cilena, 13 luglio 1988.
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