venerdì 28 marzo 2014

L'ESAME DI COSCIENZA

Periodicamente, ma almeno nella Quaresima, è opportuno soffermarsi a meditare sulla propria vita per valutare e considerare i nostri comportamenti che così spesso hanno causato dispiacere e dolore al nostro prossimo ed anche a noi stessi.
Quante volte le nostre azioni o le nostre omissioni hanno scatenato reazioni che hanno provocato dissidi, incomprensioni, dissapori, conflitti, malintesi....
Spesso non ne siamo coscienti ma questo non ci fa meno colpevoli....anzi!
Significa che agiamo con l'abitudine di ferire gli altri nascondendoci dietro un inaccettabile "sono fatto così e non posso farci nulla!"
L'esame della propria coscienza serve a scendere nella profondità del proprio "essere".
Non solo è sempre utile per poter tentare di cambiare sé stessi, che è cosa ragionevole, prima di tentare di cambiare il mondo.....
...ma è necessaria prima di accostarci al Sacramento della Riconciliazione (Confessione) per poter sapere cosa "dire" al confessore!
Senza la preventiva "Riconciliazione" non è consentito ricevere il Corpo di Nostro Signore.
Se lo si fa....se ne si assume anche la responsabilità di fronte a Dio.
COME FARE L’ ESAME DI COSCIENZA
L’esame di coscienza non è solo un momento di riflessione per valutare un periodo della propria vita più o meno lungo 
Deve essere una vera forma di preghiera che avviene davanti a Dio.
In questa preghiera si offre a Dio la propria memoria, con tutte le sue facoltà, perché Lui la usi per noi. 
L’esame non è finalizzato a cogliere soltanto i difetti e i peccati come momento di autocorrezione.
E’, soprattutto, un momento di lode.
Non è un esame morale, ma un esame spirituale in cui si colgono i doni ed i benefici ricevuti da Dio….lo si loda e ringrazia per essi…
Dalla consapevolezza dei doni ricevuti si passa a ciò che noi abbiamo fatto per Dio.
Ad esempio: cosa ne abbiamo fatto del dono della vita, della salute, della famiglia, degli amici, dell’intelligenza, delle occupazioni…..
A partire dalla “sproporzione” tra ciò che Dio ha fatto per noi e la nostra attività iniziamo a vedere i nostri errori ma soprattutto le nostre omissioni.
I peccati più grandi sono proprio quelli derivanti dalle omissioni e dalle mancanze di gratitudine verso Dio e verso il prossimo.
IL PECCATO
Il peccato non è la trasgressione di una norma....né giuridica, né morale.
"Peccato" è la "distanza" che ci separa da Dio; è la "distanza" che mettiamo tra noi e Dio: più Dio è distante dalla nostra vita, fino ad essere assente per nostra volontà perché lo estromettiamo dalla nostra esistenza, più siamo in peccato.
La conseguenza della nostra distanza da Dio ci fa commettere quelle azioni che comunemente vengono chiamate "peccato", come uccidere, rubare, non onorare, commettere adulterio....che sono in realtà, la conseguenza del nostro essere lontani da Dio.
In definitiva, se allontano Dio dalla mia quotidianità le mie azioni ne risentiranno nella misura della distanza che varia a seconda di quanto a Lui faccio riferimento.
Se presumo di essere padrone della mia vita, anche fino ad escludere Dio, Egli mi lascia fare ma ne devo accettare tutte le conseguenze derivanti dalla fragilità della mia natura umana e che mi faranno commettere azioni riprovevoli sopratutto sul piano morale e sociale.
Le mie fragilità sono l'orgoglio, la presunzione, la vanagloria, l'egoismo.
Se mi abbandono a Lui, la mia fragilità sarà da Lui sostenuta nella misura nella quale Lo lascio agire nella mia vita.
"Riconciliarsi" significa, quindi, ripristinare la distanza fino ad azzerarla come ha fatto il "figlio prodigo" che, allontanatosi, ritorna a casa abbracciato dal Padre Misericordioso.
L'impegno sarà quello di mantenere, fin tanto ci è possibile, la "distanza a chilometri zero"! Questo ci preserverà dal commettere errori.
Ricordiamoci, infine, che non si uccide con la sola spada o con la pistola....ma anche e sopratutto con le parole; e non si ruba solo sottraendo denaro ed oggetti che non ci appartengono ma anche e sopratutto ingannando, rubando sogni e tempo, non dando fiducia...
PER FARE UN BUON ESAME DI COSCIENZA OCCORRE PREPARARSI
Non attendere l’ultimo minuto per confessarsi prima della S.Messa senza aver fatto un buon esame di coscienza ! 
Prepararsi cercando un luogo appartato e silenzioso (meglio se davanti al Tabernacolo).
Iniziare con una preghiera di invocazione allo Spirito Santo.
Farsi assistere dall’Angelo Custode.
Leggere un brano di spiritualità (anche breve ma letto con il cuore!).
Mettersi in meditazione rileggendo la propria vita con gli occhi di Dio.
Rendere grazie a Dio.
ChiederGli la grazia di conoscere i peccati commessi per nostra colpa, senza cercare attenuanti negli errori degli altri.
Prendere coscienza prima dei pensieri, poi delle parole, delle opere ed infine delle omissioni…
Sentire contrizione “perfetta”…cioè “dolore” per aver offeso Dio.
Chiedere già il perdono al Signore fidando nella Sua Misericordia che è più grande delle nostre colpe.
Proporsi, con il Suo santo aiuto, di non commettere più e di dare “soddisfazione”, cioè cercare di far di tutto per riparare i danni commessi con le nostre azioni, parole ed omissioni.

Concludere con il “Padre nostro”….

……e poi andare a confessarsi…!!!!!

Vostro servo in Cristo, don Massimo


mercoledì 26 marzo 2014

La Parola che guarisce


La Sacra Scrittura afferma che la Parola di Dio guarisce, a riprova che Gesù è veramente la parola incarnata di Dio.
Padre Michele Vassallo ha riportato nel suo libro "Padre Tardif, l'amico di Dio" la testimonianza di una donna guarita dalla cecità durante la predicazione di Padre Emiliano.
La Parola di Dio è ".. viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore" (Eb. 4,12).
Di conseguenza vivere gli insegnamenti della stessa costituisce un mezzo di guarigione interiore e fisico. La Madonna da Medjugorje ha raccomandato più volte di leggere quotidianamente la Bibbia in famiglia, dopo la preghiera.
La Parola guarisce l'anima ed il corpo per i seguenti motivi:
a) meditarla e viverla costituisce un sicuro mezzo di prevenzione dai mali che possono derivare dalla sua inosservanza "Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt. 4,4) - "Onora il medico come si deve secondo il bisogno, anch'egli è stato creato dal Signore.." (Sir. 38,1 seg.) - "Se seguirete le mie leggi, se osserverete i miei comandi e li metterete in pratica, io vi darò le piogge alla loro stagione, la terra darà prodotti e gli alberi della campagna daranno frutti.." (Lv. 26,3 seg.) - "Ma se non mi ascolterete e se non metterete in pratica tutti questi comandi, se disprezzerete le mie leggi e rigetterete le mie prescrizioni, non mettendo in pratica tutti i miei comandi e infrangendo la mia alleanza, ecco che cosa farò a voi a mia volta: manderò contro di voi il terrore, la consunzione e la febbre, che vi faranno languire gli occhi e vi consumeranno la vita. Seminerete invano il vostro seme: se lo mangeranno i vostri nemici..." (Lv. 26,14 seg.).;
b) elimina ogni dubbio di comportamento in quanto ci fornisce la certezza di agire secondo gli insegnamenti di Dio "Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino" (Sal. 111,105) - "Sono più saggio di tutti i miei maestri, perché medito i tuoi insegnamenti. Ho più senno degli anziani, perché osservo i tuoi precetti. Tengo lontano i miei passi da ogni via di male, per custodire la tua parola.." (Sal. 119,99 seg.);
c) difende dalle eresie e dai falsi profeti in quanto nulla può essere in contrasto con la stessa (Sal.119)- "Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anatema!" (Gal. 1,8);
d) guarisce dai falsi sensi di colpa ispirati da satana;
e) fortifica nella fede "Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.." (Mt. 7,7);
f) insegna come supplicare, ringraziare e lodare Dio (Salmi).
Quanto sopra sintetizzato conferma, a mio modesto parere, l'importanza prioritaria della predicazione evangelica, indispensabile per prevenire e guarire tutti i mali. Il disagio giovanile, la violenza, i suicidi, l'alcolismo ecc. sono il risultato del mancato utilizzo della medicina principe che il Signore ha donato all'umanità: la Sua Parola che salva, protegge e guarisce. Senza la predicazione non avremmo infatti l'Eucaristia, la confessione, la preghiera ecc.
Ecco perché, mentre la Madonna ci ricorda di vivere la Sacra Scrittura, il diavolo strategicamente attua ogni tattica per allontanarci dalla Parola di Dio. E mentre ad esempio gli "esperti" si interrogano sul malessere giovanile, i ragazzi muoiono di droga!
"Questo mi consola nella miseria: la tua parola mi fa vivere".
Sal. 119,50
"Tu sei mio rifugio e mio scudo, spero nella tua parola".
Sal. 119,114
"Difendi la mia causa, riscattami, secondo la tua parola fammi vivere".
Sal. 119,154
"Mandò la sua parola e li fece guarire, li salvò dalla distruzione".
Sal. 107,20
"Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati."
Mt. 8,16
"In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio".
Gv. 1,1
di Arrigo Muscio


martedì 25 marzo 2014

Solennità dell'Annunciazione - Monaci Benedettini Silvestrini

Ci torna spontaneo quest'oggi il ricordo del primo peccato. Facciamo memoria della triste situazione che ha coinvolto l'umanità intera, lontana da Dio e priva di grazia. Ci giunge come un annuncio di gioia il saluto che l'Angelo porge a Maria, lo sentiamo anche nostro. Una umile fanciulla viene finalmente definita «Piena di grazia». Fa parte anche lei della nostra povera umanità peccatrice, ma il Signore, l'ha purificata, prima del suo concepimento, con il suo amore e ha voluto che fosse immacolata, senza peccato. L'ha adombrata con la forza del suo Spirito. Così quel dialogo ininterrotto, con cui il Signore ha cercato, sin dalle nostre origini, di ristabilire invano una comunione, ora finalmente trova un cuore limpido, una vergine senza macchia, la nuova Eva, docile e pronta all'ascolto. Le parole dell'Angelo risuonano nei nostri cuori come preannuncio di redenzione e segno visibile della fedeltà di Dio; specchiandoci in Maria riappare sulla nostra terra una innocenza macchiata, uno splendore perduto, una bellezza antica ora meglio esaltata. Lei, l'umile ancella del Signore, sarà resa feconda dallo Spirito Santo e, restando sempre vergine, diventerà la madre di Cristo, la madre di Dio, la madre nostra. Ciò che era stato promesso ora si realizza in pienezza: il Verbo si fa carne e viene ad abitare in mezzo a noi. È un progetto di amore, pensato e voluto da Dio, ma affidato alla risposta di una donna. Dopo le parole rassicuranti dell'Angelo, ascoltiamo il sì di Maria, che si fonde con quello dello stesso del Signore. Dopo il no del peccato, dopo i tanti no alle proposte divine di salvezza, finalmente l'umanità, per bocca di Maria, fa sentire pieno e gioioso il proprio assenso al Signore. Un sì che la legherà intimamente, con la forza dello Spirito, al Padre e al suo Figlio: Maria rifulge così nello splendore della Trinità beata. Un amore sponsale unisce Cielo e terra, è un amore fecondo, che sgorga dal cuore stesso di Dio, è un amore purissimo con cui la vergine accoglie nel suo grembo il Figlio di Dio. Con lo stesso amore la Madre adempirà, fino ai piedi della croce, la sua missione e resterà fedele alla sua piena professione di completa disponibilità: «Eccomi, sono la serva del Signore, si compia in me secondo la tua parola». L'ascolto, l'umiltà, la disponibilità senza riserve fino all'eroismo della croce, sono le virtù di Maria, per sua intercessione che siano anche nostre.

Monaci Benedettini Silvestrini


Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 1,26-38.

In quel tempo, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 
Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». 
A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto.
L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.
Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre
e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo».
Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio.
Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile:
nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.


Festa dell'Annunciazione


"Mary offered Her virginal womb for the incarnation of God's word. At the Annunciation Mary conceived the Son of God in the physical reality of His Body and Blood, thus anticipating within Herself what to some degree happens sacramentally in every believer who receives, under the signs of bread and wine, the Lord's Body and Blood."

~Blessed Pope John Paul II ~

 "Maria ha offerto il Suo grembo verginale per l’incarnazione della Parola di Dio. Maria concepì nell'Annunciazione il Figlio di Dio nella realtà fisica del Suo Corpo e del Suo Sangue, anticipando dentro di Sé in questo modo ciò che in qualche misura si realizza sacramentalmente in ogni credente che riceve, sotto la sembianze del pane e del vino, il Corpo ed il Sangue del Signore".
(Beato Papa Giovanni Paolo II).





venerdì 21 marzo 2014

Padre Amorth, “parliamo di spiritismo e magia”


Così come avevamo realizzato l’articolo Amorth contro Satana, abbiamo in questa occasione raccolto le più interessanti domande concernenti lo spiritismo, la magia ed i mali malefici rivolte negli ultimi anni a Padre Gabriele Amorth, noto esorcista della diocesi di Roma.
Le importanti questioni dottrinali e le piccole curiosità raccontate ci aiuteranno nella compresione d’un argomento ancestrale assai complesso, un campo nel quale superstizioni, paure e falsi miti s’intrecciano lasciando dietro di sé ulteriori misteri.

● Padre Amorth, che cos’è lo spiritismo?
Lo spiritismo è evocare i defunti per interrogarli e ottenere delle risposte.
● È vero che il fenomeno dello spiritismo si sta diffondendo in misura sempre più preoccupante?
Sì, purtroppo è una pratica in forte espansione. Aggiungo subito che il desiderio di comunicare con i morti è sempre stato insito nella natura umana. Sappiamo infatti che pratiche e riti spiritisti avevano luogo presso tutti i popoli dell’antichità. In passato, tuttavia, l’evocazione di anime di defunti era praticata soprattutto da persone adulte.
Oggi, invece, è sempre più appannaggio dei giovani.
Secondo lei perchè sopravvive, anzi cresce nel tempo, il desiderio di parlare con i defunti?
I motivi possono essere diversi. Volontà di conoscenza di fatti del passato o del futuro, ricerca di protezione, a volte semplicemente curiosità di esperienze ultraterrene.
Credo che la causa principale, comunque, sia sempre il rifiuto di accettare la perdita di una persona cara, soprattutto in caso di morte accidentale e prematura. Il desiderio, quindi, di continuare ad avere un contatto, di ricomporre un legame spesso interrotto brutalmente.
Vorrei aggiungere che lo spiritismo ha conosciuto maggiore diffusione soprattutto nei periodi di crisi della fede. La storia, infatti, ci mostra come quando cala la fede aumenti proporzionalmente la superstizione, sotto tutte le sue forme. Oggi, evidentemente, c’è una crisi diffusa della fede. Dati alla mano 13 milioni di italiani vanno dai maghi.
La gente con una fede vacillante, se non del tutto persa, si dedica all’occultismo: cioè a sedute spiritiche, satanismo, magia.
● Ci sono dei rischi a cui vanno incontro coloro che partecipano a questi riti per evocare le anime dei defunti?
E, in caso affermativo, quali sono?
I rischi per coloro che partecipano a questi rituali, individuali o collettivi, ci sono. Uno è di natura umana. Avere l’illusione di parlare con un proprio caro ormai defunto può scioccare profondamente, soprattutto i soggetti più emotivi e sensibili. Questi tipi di traumi psichici richiedono la cura di uno psicologo.
Molte volte invece è possibile che, aprendo le porte alle sedute spiritiche, entri anche la coda del diavolo. Il rischio maggiore, infatti, a cui si può andare incontro, è l’intervento demoniaco che procura disturbi malefici, fino ad arrivare alla stessa possessione diabolica dei partecipanti al rito spiritista. La diffusione dello spiritismo, a mio avviso, dipende anche dalla diffusa disinformazione su questi gravi rischi in cui ci si può imbattere.
● Come suggerisce di comportarsi a coloro che dovessero avere apparizioni di anime trapassate, senza che abbiano fatto nulla per provocarle?
Le apparizioni di defunti possono avvenire soltanto per permissione di Dio, non per marchingegni umani.
Le provocazioni umane non ottengono niente, se non il Maligno. Dio può permettere, pertanto, a un defunto di apparire a un vivente. Sono casi molto rari, comunque accaduti e documentati sin dai tempi più antichi. Molti esempi di queste manifestazioni dell’oltretomba sono contenuti nella Bibbia e nella vita di alcuni santi.
In questi casi ci si può regolare in base al contenuto di queste apparizioni, a quello che quest’ultima ha detto o ha fatto capire. Ad esempio, se a una persona appare l’anima di un defunto tutta mesta, allora, anche se non apre la bocca, la persona comprenda che questa ha bisogno di suffragi. Altre volte persone defunte sono apparse ed espressamente hanno chiesto suffragi, la celebrazione di messe applicate a loro. Talvolta, è accaduto anche che anime di defunti apparissero ai vivi per comunicare notizie utili.
Ad esempio per allontanare da errori che si stavano per commettere. In un mio libro (Esorcisti e psichiatri, edizioni Dehoniane, Bologna 1996) ho riportato, a riguardo, tra gli altri, il pensiero di un esorcista piemontese: “Per le anime, quello che sfugge è il dato di durata del purgatorio (se per loro si può parlare di tempo!) ; la Chiesa non pone limiti ai suffragi.
San Paolo (1Corinzi 15,29) afferma: “Se così non fosse, cosa farebbero allora coloro che si fanno battezzare per i morti?“. Allora credevano così efficaci gli interventi per i defunti, fino a poter ricevere il Battesimo per loro”.
● Come si può riconoscere la natura dell’apparizione, se di un’anima purgante o del Maligno sotto mentite spoglie?
È una domanda interessante. Il Demonio, infatti che non ha corpo, può assumere un aspetto ingannevole a seconda dell’effetto che vuole provocare. Può anche assumere le sembianze di una persona a noi cara ormai defunta, così come quella di un santo o di un angelo.
Come smascherarlo? Possiamo rispondere a questa domanda con una certa sicurezza.
Santa Teresa d’Avila, dottore della Chiesa, è stata maestra in ciò. La sua regola d’oro a riguardo era: in caso di apparizioni del Maligno camuffato, la persona che riceve l’apparizione si sente dapprima contenta e beata, poi, rimane con una grande amarezza, con una grande tristezza.
Il contrario avviene di fronte alle vere apparizioni. Subito si ha un senso di paura, un’impressione di timore. Poi, al termine dell’apparizione, un grande senso di pace e di serenità. Questo è il criterio base per distinguere le vere apparizioni da quelle false.
● Cambiamo argomento. Spesso molte persone, quando tornano da paesi considerati “magici” come l’Egitto, riportano con sé qualche ricordino: es. piccoli scarabei. Lei consiglia di buttarli o tenerli?
Se uno lo tiene come porta fortuna con spirito di idolatria allora è un danno quindi buttarlo. Se è un semplice oggetto carino che tiene così, un ricordo di buon gusto senza pensare che abbia alcuna influenza allora lo può tenere, non c’è niente di male. E anche la persona che ha fatto questo regalo, se non aveva nessuna intenzione cattiva, voleva solo fare un regalo che piacesse, non c’è niente di male. Quindi lo può fare tranquillamente, che non ci sia lo spirito idolatrino del porta fortuna, del mio salvaguardia: non ti salva da nessun fico secco.
● È vero che sull’astrologia c’è l’influenza dei demoni?
Che nell’astrologia ci siano azioni malefiche è possibile come in tutte le forme di magia. In ogni caso è da condannare.
● Come fa, ad esempio, un figlio a difendersi dal padre che fa magìe e cose di questo genere?
E se una ragazza frequenta questo ragazzo, come può difendersi anche lei?
Questa è una domanda che mi viene rivolta in tantissime lettere e da tantissime persone che mi chiamano a Radio Maria: “Come fa a difendersi un figlio da un padre satanista, da una madre che fa magìa?”
Prima di tutto sia ben chiaro che Dio è immensamente più forte di satana. Prima di tutto bisogna aver chiaro questo concetto che chi sta con il Signore è più forte e chi sta con il Signore non può subire danni. Quindi l’importanza della preghiera, dei sacramenti e della certezza che se viviamo uniti a Dio, come dice San Giacomo: ”(…) il male non ci può toccare, il demonio non ci può toccare”. Siamo corazzati.
Come si fa ad ottenere la conversione di queste persone? Occorre veramente tanta preghiera! E’ molto difficile che chi si è dedicato alla magìa e al satanismo si converta perché ottiene notevoli vantaggi materiali (guardate quante persone vanno dai maghi e dai cartomanti e mica vanno gratis, i maghi si fanno pagare) e allora è difficile che queste persone che traggono vantaggi si convertano.
Ci dice San Paolo che l’amore del danaro è la radice di tutti i mali. Quante famiglie unite, che si amavano, per questioni di eredità diventano lupi contro lupi, si mangiano a vicenda con grande profitto per gli avvocati. Nel Vangelo leggiamo che un giovane va da Gesù e gli dice “Comanda a mio fratello di dividere l’eredità con me”, forse il padre era morto e questo fratello voleva tenere tutto per sé. Gesù non dà una risposta diretta, dice di non amare il danaro, di non essere attaccati al danaro, di cercare le cose del Cielo. Meglio rimetterci che perdere la pace, che creare gli odi familiari.
Ricordiamo: tutto quello che abbiamo quaggiù lo lasceremo. Giobbe ci dice con tanta chiarezza “Come nudo sono uscito dal ventre di mia madre, così nudo entrerò nel ventre della terra”, come è importante rimanere uniti a Dio e mantenere la carità.
● Padre Amorth, lei crede alle sensitive?
Credo nei carismatici, cioè in persone che hanno ricevuto dallo Spirito Santo dei doni particolari.
Attenzione però; il numero 12 della Lumen Gentium dice che spetta ai vescovi verificare se uno è veramente un carismatico. Ci sono tanti carismi, basta leggere la prima lettera di S. Paolo ai Corinzi che ne enumera molti.
Tutti però devono conoscere i requisiti che contraddistinguono i carismatici. Devono essere persone di grande preghiera, ma non basta. Infatti ci sono dei maghi che vanno in Chiesa, fanno la comunione, e sono dei satanisti.
Poi devono essere persone umili. Se uno dice di avere dei carismi, è certo che non li ha, perché l’umiltà porta al nascondimento. Stanno facendo il processo di beatificazione a un frate cappuccino vissuto nel 500, Padre Matteo D’Agnone.
Pur avendo tanti carismi, soltanto dietro il comando del suo superiore interveniva, altrimenti mai. Nessuno sapeva dei carismi che aveva. Agiva solo per obbedienza. Ha guariti e liberati tanti indemoniati, era veramente un portento. Mai andava di sua volontà, perché cercava di nascondere questi suoi doni in tutta umiltà. Ecco, i veri carismatici amano il nascondimento. Diffidate di chi sbandiera i doni e ha lunghe file in attesa.
● Che differenza c’è tra un mago e un esorcista?
Qui me la cavo con una battuta. Il mago (quello vero) agisce con la forza di Satana. L’esorcista agisce con la forza del nome di Cristo: “nel mio nome caccerete i demoni“.
● È possibile che in alcuni casi si verifichino “battaglie” spirituali tra il mago nero e l’esorcista, ovvero che sul posseduto in cura vengano fatti dei contro-esorcismi dal mago?
Si, mi è capitato una volta. All’inizio non capivo come mai il poveretto tornava sempre più carico di energie negative dopo ogni esorcismo, poi tutto è diventato chiaro. Alla fine ricordiamoci che Dio è più forte di Satana e vince sempre.
● È peccato andare dai cartomanti?
È un peccato di superstizione, ma può essere più o meno grave. Ad esempio ho una zia che fa le carte e mi offre per gioco di farmi leggere le carte, in questo caso non si va oltre la venialità, ma ci si espone a rischi di legame.
● Le catene di sant’Antonio sono dannose?
A Roma è in uso distribuire delle piante da coltivare per poi regalare altre foglie ad amici e conoscenti. Qui c’è proprio un maleficio, qui c’è proprio superstizione. Le lettere di Sant’Antonio devono essere bruciate e lo zampino del demonio c’è perché c’è superstizione.
Molte volte il demonio fa di tutto per nascondersi. Può venire che ai primi esorcismi le reazioni siano molto piccole, può succedere che più si prosegue più le reazioni diventano grandi. Quando uno si accorge che gli effetti dell’esorcismo producono delle sofferenze, bisogna ringraziare l’esorcista perché la preghiera sta facendo il suo effetto. Se gli esorcismi si protraggono nel tempo non pensiate come molti purtroppo che sia colpa dell’incapacità dell’esorcista, chi libera è il Signore, ringraziate il Signore di aver incontrato un esorcista che ha preso a cuore la vostra causa e che vi guiderà verso la guarigione.
Gli esorcisti più apprezzati mentre fanno esorcismi o hanno conventi di clausura che pregano mentre si fa la preghiera di esorcismo o gruppi di preghiera che pregano, anche se non sono presenti sul luogo non ha importanza. Tuttavia che ci sia qualcuno presente durante l’esorcismo è di grande importanza.
● Se si trovano oggetti maleficiati dentro la casa cosa di deve fare?
Consiglio di dare all’oggetto una benedizione con acqua benedetta e poi distruggere, se è qualcosa di bruciabile di bruciarlo, se è qualcosa di metallico di buttarlo dove scorre l’acqua (fiumi, mari etc..).
● Come finiscono nei cuscini trecce, oggetti maleficati etc.?
Bisogna guardare le modalità. Il trovare questi oggetti nei cuscini (pezzi di ferro, grovigli di corone, animali vivi) se legato a situazioni che richiamano la presenza malefica sono una prova di un maleficio in atto. Sono frutti di maleficio, frutti di fatture, dunque si può dire con certezza che sono messi dai demoni.
Ho visto dei legami di lana in forma di animali, legati così stretti che nessuna forza umana avrebbe potuto fare delle cose simili.
Possono essere segni di maleficio, di fattura. Allora si benedice, si brucia, si prega e ci si difende usando i mezzi per liberarsi dal male.
● Gli oggetti maleficiati in oro come possono essere eliminati?
A mio parere non basta la benedizione se l’oggetto è stato veramente maleficiato come nel caso di oggetti donati da un mago, o talismani pagati a caro prezzo perché di materiali pregiati etc.. In questi casi non basta la benedizione, dunque, o l’oggetto viene bruciato o buttato dove scorre acqua (mare, fiume, fognatura).
In caso di oggetti d’oro, questi possono esser fatti fondere. Una volta fusi perdono ogni negatività.
● Concludiamo parlando di un argomento controverso per alcuni fedeli: Medjugorje fenomeno autenticamente mariano o subdolamente spiritico-satanico?
Sarò sintetico: a Medjugorje appare davvero la Vergine e il demonio ha paura di quel luogo benedetto.
Sono stato lí almeno una trentina di volte ed ho toccato con mano la grande spiritualità che vi si respira e si taglia a fette attraverso abbondanti doni del Cielo.
Sono in grado di asserire, senza il timore di essere smentito, che Papa Wojtyla (Giovanni Paolo II) non solo credeva che la Madonna apparisse a Medjugorje ma che vi si volesse addirittura recare in pellegrinaggio durante il suo viaggio apostolico nella ex Jugoslavia. Alla fine non vi si recò per non ‘scavalcare’ e offendere in modo talmente plateale il Vescovo di Mostar, da sempre tra le fila dei detrattori.
Migliaia e migliaia di persone giungono a Medjugorje da tutto il mondo e si confessano, si mettono in pace con il Signore, tornano ad una vita di preghiera, si convertono al cattolicesimo, vengono liberate dalle possessioni diaboliche.
E allora, se è vero come sta scritto nel Vangelo che l’albero si riconosce dai frutti, come si può dire che Medjugorje è opera del Maligno?





fonte: veniteame.org

giovedì 20 marzo 2014

Ricordo di Mario Palmaro di Alessandro Gnocchi

Sorge dai secoli luminosi e profondi del medioevo quel “Dies irae, dies illa” che nella Messa tradizionale per i defunti trafigge i cuori e le menti prima della lettura del Vangelo secondo Giovanni. “Io sono la risurrezione e la vita” dice nel brano evangelico il Figlio di Dio a Marta, che piange la morte del fratello Lazzaro. “Chi crede in me, anche se fosse morto, vivrà; e chiunque vive  e crede in me non morrà in eterno. Credi tu questo? Gli rispose: Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivo, che sei venuto in questo mondo”.

La dolcezza maestosa del dialogo trascritto da San Giovanni può essere compresa solo nel contrappunto del rigore visionario in cui Tommaso da Celano descrive quel “Dies irae” che “solvet seculum in favilla: teste David cum Sibilla”, quel giorno dell’ira che dissolverà il secolo in favilla, come attesta Davide e la Sibilla. Quando il Giudice verrà nel tremore del mondo e la morte e la natura stupiranno al risorgere di ogni creatura.

E’ questa la vera misericordia che la Chiesa ha incarico di portare al mondo: mostrare la dolcezza di un Dio intenerito davanti alla morte dell’amico di cui sarà giudice giusto e inflessibile nel giorno del giudizio.
La Messa tradizionale dei fedeli defunti lo rammenta a ogni passo reiterando quel “requiem eternam dona eis, Domine” che vola verso il cielo da cuori e menti consci di essere solo momentaneamente su questa sponda.

La mattina del 12 marzo 2014, al funerale di Mario Palmaro, questo legame invisibile e invincibile tra i vivi e i morti, tra questa e l’altra sponda, ha preso forma nel nitido e luminoso rigore di una Messa come si celebrava nei tempi civili. Cantata in latino, con sacerdote, diacono, suddiacono e ministranti rivolti verso Dio, secondo il rito che non si lascia violentare dai sentimenti e dai protagonismi.

Mario vi si era preparato fin dal momento in cui i tecnici della medicina, eretti dal secolo a propri sacerdoti, gli dissero di non avere scampo. Anche il secolo ha le sue liturgie, riflessi di matematiche rigorose che, a differenza di quelle celesti, non conoscono speranza. Per questo ha pensato immediatamente all’epilogo terreno, che avrebbe dovuto essere abbastanza luminoso da vincere inesorabilmente i riti mondani.
E ha fatto di ogni giorno della sua malattia il passo di un incedere liturgico verso l’esito finale. Si è incamminato verso il sacrificio come il sacerdote in sacrestia si avvia a celebrare la Messa in cui presterà il suo corpo a Cristo sulla Croce.
Prima con esitazione, e poi con una levità che poco aveva di terreno, ha dato ai gesti, ai pensieri, alle preghiere dei suoi ultimi due anni un tratto nitidamente rituale. Che non significa algido formalismo, ma adorazione della grandezza infinita di Dio e, dunque, docile sottomissione al suo volere.
Per questo il suo Calvario è stato così sereno e così edificante per tutti coloro che vi hanno assistito almeno per un tratto.

Lui si preparava a morire e chi gli voleva bene si preparava ad accompagnarlo alla morte. Senza dircelo, lo abbiamo fatto dal momento in cui mi telefonò per dire che proprio non ci sarebbe stato nulla da fare, salvo un miracolo.
Ma una cosa è prepararsi ad accompagnare il tuo più grande amico alla morte e altro è avviarsi docilmente a morire: il Signore chiede sempre al migliore il sacrificio più grande.

Impercettibilmente agli occhi del secolo e di tanti cattolici, la vita di Mario è diventata come quella di un monaco e la sua casa, per quanto affollata di telefonate, visite e affari quotidiani, si è trasformata in un piccolo cenobio. Questo padre di famiglia con moglie e quattro figli ha replicato nella sua vita quotidiana ciò che millecinquecento anni or sono si era manifestato nel genio religioso di San Benedetto. Il santo della Regola aveva disegnato un itinerario di santità che prescriveva i modi e i tempi anche del più piccolo gesto nell’orazione, nel lavoro, nel riposo, nella ricreazione conferendo loro un significato ulteriore. Nella medesima maniera, ha salvato le cose, i gesti e le parole della sua vita quotidiana dall’abbandono al secolo per farne qualche cosa di sacro, il segno che la sua casa si sarebbe regolata fino in fondo secondo il volere del Cielo.

Così ha preso a prestare alle realtà un’attenzione che non era solo di questo mondo e si palesava nella forma di un candore sempre più inattaccabile. “L’attenzione” scrive Cristina Campo “è il solo cammino verso l’inesprimibile, la sola strada al mistero. Infatti, è solidamente ancorata al reale, e soltanto per allusioni celate nel reale si manifesta il mistero. (...) Davanti alla realtà l’immaginazione indietreggia. L’attenzione la penetra invece, direttamente come simbolo”.

Questa attenzione al reale, divenuta quasi devozione, portava Mario a parlare anche del suo male e degli inevitabili esiti con un distacco incomprensibile ai più. Per trarne giovamento, bisognava coglierne la radice nella capacità di leggere in qualsiasi frangente della vita disegni che sono celesti e, dunque, vanno accettati. Più si avvicinava la fine e più era possibile scorgere nel suo sguardo qualche dardo che testimoniasse questo dono. “Tali lampi” dice ancora Cristina Campo “non sono se non quella scintilla (di origine e natura sempre più misteriose via via che per ogni cosa ci viene fornita una chiave) che l’attenzione sollecita e prepara: come il parafulmine il fulmine, come la preghiera il miracolo, come la ricerca di una rima l’ispirazione che proprio da quella rima potrà sgorgare”.

Il fulmine, il miracolo, l’ispirazione sgorgata da una rima si manifestavano nelle tante telefonate con cui ci sentivamo ogni giorno, in uno straziante “Oggi sono contento perché...”. “Ciao Mario, come va?”, “Oggi sono contento perché...”. Era contento per ogni cosa, ogni evento, ogni pensiero che avesse anche solo una briciola di importanza. Perché la chemioterapia lo aveva lasciato in pace un po’ di più, perché le piaghe ai piedi e alle mani lo facevano tribolare un po’ meno, perché la moglie Annamaria gli aveva preparato quel tal piatto che gli piaceva tanto. Venti giorni prima di morire, nella telefonata di rito della nove di mattina era contento perché aveva trovato un hospice che lo avrebbe seguito a casa per la terapia del dolore. “Così non devo più andare in ospedale e non disturbo Annamaria. Sono proprio contento”. Sono proprio contento: ed era la certificazione che, di lì a poco, a vista umana, sarebbe finita.

L’occhio profano non poteva vederlo e il cervello mondano non poteva comprenderlo, ma quegli “Oggi sono contento perché...” erano come i paramenti di cui il sacerdote si riveste per entrare nell’agone della Messa, come i panni ricamati che coprono le Sacre Specie. Velature che la depravazione illuminista penetrata anche dentro la Chiesa considera come un ostacolo all’intelligenza, e, invece, sono ciò che dà all’invisibile una forma capace di mostrare all’uomo ciò che altrimenti non potrebbe percepire.

E ogni giorno di questo Calvario si è trasformato in un passo consapevole, accettato e gradito verso il sacrificio. Sempre più lieve e celeste, come promette l’inizio della Messa che Mario amava ed era riuscito a portare a Monza, a due passi da casa: “Introibo ad altare Dei. Ad Deum qui laetificat iuventutem meam”. Mentre agli occhi degli uomini il suo corpo invecchiava e segnava le prove e le sofferenze, agli occhi di Dio la sua anima ringiovaniva e letificava. Ed era proprio questo contrasto a edificare chi gli stava attorno. Vederlo dal fondo della chiesa, faticosamente inginocchiato al solito banco, alcune volte, faceva pensare all’uomo che sta per cedere alle aggressioni della terra. Ma poi, quando tornava dalla comunione, negli occhi conservava ancora più ravvivato quel lampo di attenzione che non può cedere a certe brutalità del reale perché ha la chiave celeste per comprenderle e si lascia raggiungere solo dall’inevitabile.

In quei momenti, sarebbe stato percepibile anche a occhi profani che quest’uomo di quarantacinque anni si stava avviando a morire così come professava la sua fede, a morire come aveva pensato, scritto e insegnato, a morire come era vissuto. In un mondo stanco per la troppa gente che finisce per credere come vive, Mario ha voluto fino in fondo vivere come ha creduto. Questo lo ha reso sempre più giovane e lieto agli occhi di Dio e agli occhi chi ha saputo guardarlo con almeno un po’ della sua stessa fede.

Diversamente, nella sua morte si potrebbe leggere solo il capriccio di una sorte beffarda e crudele. Ma, grazie a Dio, ha ragione il cardinale Newman quando, nel sermone Sul significato dell’esistenza dice: “A mio avviso, il termine delusione è l’unico in grado di esprimere quello che proviamo di fronte alla morte dei santi di Dio. Se la nostra fede non è abbastanza viva da penetrare al di là della tomba e intuire il futuro, ci sentiamo depressi per quella che sembra essere una sconfitta della grandezza. Eppure è proprio da questo sentimento che, come per contraddizione, riusciamo ad attingere un po’ di speranza, perché se questa vita è così deludente e così incompiuta, certamente essa non è tutto”.

Questa morte e questo modo di morire sono tattile e perenne testimonianza della concretezza della vita eterna, sono sacramento della certezza che l’essenziale è invisibile agli occhi. Ma certo non possono eludere le domande sul perché proprio Mario e proprio in questo modo. Negli ultimi tempi, in vista della fine, se ne parlava, come sempre con familiare semplicità. “Mario, tutti pregano per il miracolo e anch’io spero che tu guarisca. Ma ora riesco solo a pregare perché tu possa sposare fino in fondo il volere del Signore, qualunque sia... E poi penso che, se Lui ti vorrà con Sè, lo farà per risparmiarti ciò che presto si dovrà vedere fuori e, soprattutto, dentro la Chiesa”. “Dici che sarà davvero così?”, e tremava per la sua Chiesa. “Mario, più prego e più mi convinco che, se muori, è perché il Signore ti vuole veramente bene...”.

Un dialogo magari incongruente a orecchi mondani. Eppure, non potevo avere dubbi su come sarebbe andata a finire da quando un nostro amico sacerdote mi confidò di avere offerto a Dio la sua vita in cambio di quella di Mario, ma senza esito, senza risposta. “Io sono un povero parroco di campagna, conto poco e non ho famiglia. Lui ha moglie, quattro bambini e sta facendo tanto bene alla Chiesa... Ma, evidentemente, il Signore ha altri disegni”.

Questa è la comunione dei santi, il vincolo tra chi si ciba dello stesso corpo e dello stesso sangue, che si alimenta della vita santa di chi abbraccia la croce. Prima di scrivere queste righe ho chiesto a quell’amico se potessi rivelarne l’offerta, senza violare la sua identità: “Naturalmente” mi ha scritto “anche se non è cosa che meriti tanto riguardo – lo dico senza finzioni – nei tempi cristiani era cosa normale”. In quei tempi cristiani che oggi, nell’epoca dello splendore mediatico, sono completamente evaporati al sole malato del mondo.
Forse è proprio per fecondare questi tempi, così mondani anche dentro la Chiesa, che il Signore chiede il sacrificio dei suoi figli migliori, anche se si protestano servi inutili, come ha fatto in tutta sincerità Mario in uno dei suoi ultimi scritti.

Anche Mario sapeva che sarebbe andata così, lo sapeva prima di tutti e meglio di tutti. E sentiva che il tempo andava sempre più spedito. Poi sarebbe venuto il momento supremo e solenne, ma prima avremmo dovuto salutarci con tutte le nostre famiglie. La domenica prima di quella della sua morte, ha voluto che ci fermassimo a casa sua per cena. Una serata speciale nella sua normalità. Lui seduto a tavola, al suo posto, a onorare gli ospiti oltre il possibile, senza un lamento. Solo il vezzo gentile di mettere in tavola i piatti belli perché quelli di plastica proprio non andavano. Sapevamo tutti che quella sarebbe stata l’ultima volta che ci saremmo visti con le famiglie al completo. Lo dicevano gli sguardi e le attenzioni discrete, che in nulla contrastavano con il discorrere lieto e sorridente di una domenica sera tra amici che si vogliono bene.

La settimana dopo, sarei stato in ginocchio accanto al suo letto a recitare le preghiere degli agonizzanti. “Proficiscere, anima christiana de hoc mundo in nomine Dei Patris omnipotentis, qui te creavit; in nomine Iesu Christi, Filii Dei vivi, qui pro te passus est, in nomine Spiritus Sancti, qui in te effusus est, in nomine gloriosae et sanctae Dei Genitricis Virginis Mariae...”. Parti anima cristiana da questo mondo in nome di Dio Padre onnipotente... di Gesù Cristo... dello Spirito Santo... della Vergine Maria...

Nell’agonìa dolorosa e tormentata, ogni tanto riusciva a guardare chi gli stava attorno. Per chiedere aiuto e consolazione, ma sicuramente anche per elargirne, per dire che tutto si stava per compiere così come aveva desiderato e come aveva chiesto al Signore. “Libera, Domine, animam servi tui ex omnibus periculis inferni, et de laqueis poenarum, et ex omnibus tribulationibus...” Libera Signore l’anima del tuo servo da tutti i pericoli dell’inferno, dai lacci delle pene e da tutte le tribolazioni... Come liberasti Enoc ed Elia... Come liberasti Noè... Come liberasti Abramo... Come liberasti Giobbe... Come liberasti Isacco... Come liberasti Lot... E poi Mosè, Daniele, i tre fanciulli, Susanna, Davide, Pietro e Paolo, la beatissima Tecla. Non rammentare, Signore, le colpe e le ignoranze della sua gioventù... Gli si aprano i Cieli, si allietino con lui gli Angeli...”. Sembrano interminabili, le preghiere degli agonizzanti, quando si leggono nel breviario. Eppure sono un soffio quando le si recita accanto a un uomo che sta per comparire davanti al giudizio di Cristo per fargliele stringere in mano come ultimo dono.

Poi, poco dopo le dieci di sera, Annamaria ci ha invitato a intonargli il “Salve Regina” “che a lui piace tanto”. Con la mamma di Mario e due vicine di casa lo abbiamo cantato con la certezza che il Cielo ormai fosse aperto. “... O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria”.
Non c’è stato il tempo di avviare il “Gloria Patri” ed è stato l’ultimo respiro, proprio come fu per Gilbert Keith Chesterton, dopo il canto dolcissimo levato da padre McNabb.

Tutto questo per dire come muore un cristiano.

- Alessandro Gnocchi - 

Articolo pubblicato sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 19 marzo 2014


domenica 16 marzo 2014

IL MIRACOLO DI SAN FILIPPO NERI, 16 MARZO 1583

Anche Joseph Ratzinger, allora cardinale, si recò un 16 marzo a celebrare la messa a Palazzo Massimo. In quel giorno, ogni anno, il portone di corso Vittorio Emanuele si apre eccezionalmente e i fedeli, attraverso le sei colonne in travertino del portico, possono accedere fino al secondo piano per ricordare il miracolo di San Filippo Neri. 
«Avvenne il 16 marzo 1583», racconta Giovanni di Carpegna Falconieri, "quando l' attuale cappella gentilizia era la stanza del quattordicenne Paolo Massimo, uno dei venti figli del principe Fabrizio Massimo e di Lavinia de' Rustici. Dopo due mesi di febbri, il giovinetto entrò in agonia. Fu mandato a chiamare Filippo Neri, amico della famiglia, che stava dicendo messa a San Girolamo della Carità. Il frate giunse al capezzale quando il ragazzo era già spirato, allora lo abbracciò, lo asperse di acqua benedetta e pregò chiamandolo per nome. Paolo riaprì gli occhi, parlò alcuni minuti e si confessò; disse che il trapasso non gli era stato doloroso perché era contento di raggiungere in Paradiso la madre e la sorella Elena, morta pochi giorni prima. Allora il santo gli rispose: «Va' e che sii benedetto et prega Dio per me». E Paolo «subito tornò di novo a morire». 
Il padre di Giovanni è il principe poeta Francesco Maria, la madre è la principessa Isabella Massimo, figlia del musicista Leone Massimo d' Arsoli e di Maria Adelaide di Savoia. Giovanni di Carpegna Falconieri, che si dedica ad attività missionarie in Asia, è pittore, incisore e acquarellista, paesaggista e ritrattista nella tradizione della Scuola Romana di Mafai e Scipione : «Il Palazzo», spiega, «fu costruito da Baldassarre Peruzzi fra il 1532 e il 1536 sui resti dell' edificio distrutto dai lanzichenecchi nel Sacco di Roma del 1527; la facciata è curvilinea come la cavea del preesistente Odeon di Domiziano e segue la linea della via papale dal Quirinale al Vaticano». I saloni sono decorati dagli affreschi di Daniele da Volterra sulla vita di Quinto Fabio Massimo il temporeggiatore, leggendario antenato della famiglia, dal fregio dell' Eneide di Perin del Vaga e da quello sulla «Fondazione di Roma» di Giulio Romano. 
La cappella, a pianta rettangolare, ha una volta a botte e le pareti scandite da otto colonne di marmo, mentre il pavimento in maiolica risale al 1883, ai restauri per il terzo centenario del miracolo: «I tre altari», prosegue Giovanni di Carpegna Falconieri, «sono in marmi policromi e l' altare maggiore custodisce gli occhiali e la corona del Rosario di San Filippo; il dipinto ottocentesco con il "Miracolo di Paolo Massimo" è ripreso da una stampa del 1737; la "Madonna e Santi" di Antonio di Nicola, sull' altare di sinistra, apparteneva a Santa Francesca Romana».
In tardissima età, nel settembre 1595, il principe Fabrizio Massimo ebbe la gioia di testimoniare al processo di canonizzazione di Filippo Neri, morto il 26 maggio di quell' anno. Nel 1602 le spoglie furono collocate a Santa Maria in Vallicella, in un' urna, il viso coperto da una maschera d' argento. 
Filippo fu canonizzato il 12 marzo 1622 da Gregorio XV insieme a Teresa di Avila, Ignazio di Loyola, Francisco Javier e Isidro di Madrid. Il popolino romano commentò, in atavica semplicità, che erano saliti agli altari quattro spagnoli e il santo Pippo Bono.
(Pietro Lanzara)


venerdì 14 marzo 2014

Quaresima 2014 - Parrocchia San Pio V, Milano, Via Ennio


TEMIAMO IL GIUDIZIO DI DIO - Sant'Agostino

Cosa diceva dunque il Signore? Ecco, io giudico fra pecora e pecora e fra i montoni e i capri . 
Io giudico. Grande sicurezza! 
È lui che giudica: stiano tranquilli i buoni. Il loro giudice non si lascia corrompere da alcun avversario, né circuire da alcun avvocato, né ingannare da alcun [falso] teste. Ma quanto debbono essere tranquilli i buoni, altrettanto debbono temere i cattivi. 
Egli non giudica in maniera che gli si possa nascondere qualcosa. O che forse nel giudicare Dio cercherà dei testimoni per conoscere quale tu sia?. Come potrebbe ingannarsi sulla tua condizione colui che anticipatamente sapeva ciò che saresti stato? 
Egli interroga te, non un altro che lo informi su di te. Dice: Il Signore interroga il giusto e l'empio. 
Interroga te, non per sapere qualcosa da te ma per confonderti. 
Avendo dunque un giudice che nessuno può ingannare a nostro sfavore o a nostro favore, comportiamoci in modo da non dover temere il suo futuro giudizio ma piuttosto aspettiamolo e desideriamolo. 
O che forse il buon grano teme d'essere riposto nel granaio? Anzi, lo brama ardentemente e lo desidera. 
O che le pecore temono d'essere collocate alla destra? Anzi, nulla procede per loro così a rilento quanto l'attesa che ciò avvenga. Gente di questa categoria dice di cuore e con tutta sincerità: Venga il tuo regno. 
Quanto ai cattivi, viceversa, a queste parole il loro cuore trepida e la lingua inciaccia. 
Con che disposizione infatti dici: Venga il tuo regno? Ecco che sta per venire: come ti troverà? 
Comportati dunque in modo da poter pregare con tranquillità. E se per caso nella tua coscienza c'è qualche errore o peccato, hai il rimedio nella stessa orazione: Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori . Dio ha voluto che tu [gli] fossi debitore avendo a tua volta dei debitori. Col peccato ti rendi nemico di Dio, ma bada se per caso non abbia anche tu un qualche nemico. Perdonagli e ti sarà perdonato. 
Ciò che fai tu, uomo soggetto al peccato, lo farà a te colui che non può essere giudicato reo di alcun peccato. 
Se invece tu, pur essendo immerso nel peccato, non vuoi perdonare a chi pecca contro di te né consideri nel tuo simile la tua propria condizione né hai paura delle cadute in cui ti fa incorrere la tua fragilità, cosa pensi che ti farà colui che giudica con quella sicurezza che gli accorda il fatto di non poter mai peccare?

Sant'Agostino



giovedì 13 marzo 2014

Chiedete, bussate? - Monaci Benedettini Silvestrini

Non è umiliante per noi qualificarci nei confronti di Dio come dei poveri mendicanti. 
Non possiamo fare a meno infatti di confrontare la sua onnipotenza con la nostra estrema povertà. Guidati dalla fede, lo riconosciamo come nostro creatore e Signore, come la fonte inesauribile di ogni bene e come norma sicura per ogni nostro comportamento. 
La nostra esperienza di credenti ci convince che egli è Padre e che ci ama di un amore senza limiti, reso visibile dalla persona di Cristo. La sua presenza tra noi, la sua passione, la sua morte e la sua risurrezione, hanno reso evidente la misericordia divina per noi. 
È da questi principi che traiamo i motivi della nostra fiducia e della nostra preghiera verso il buon Dio. Siamo certi che egli ci ascolta e si prende cura di ciascuno di noi con amore di Padre. 
Gesù viene a confermarci in questa nostra fede: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto». 
Vuole inculcarci innanzitutto la perseveranza nella preghiera e non farla diventare soltanto grida isolate in momenti di emergenza e di estremo bisogno. Dobbiamo pregare sempre, senza stancarci mai, nella consapevolezza che tutta la nostra vita può e deve diventare preghiera, sia quando sediamo comodamente nei banchi di chiesa, sia quando siamo intenti a svolgere le nostre diverse mansioni. 
Alla preghiera delle labbra e del cuore fa seguito quella delle nostre braccia, ancora protese verso Lui. Possiamo e dobbiamo chiedere «qualsiasi cosa» al Signore, ma non dobbiamo mai dimenticarci che egli, sapientemente vuole darci solo «cose buone», proprio come farebbe un buon padre terreno nei confronti dei propri figli. 
Nella preghiera ci deve perciò accompagnare costantemente un umile fiducia e un legittimo sospetto che forse non siamo sempre in grado di chiedere cose buone secondo la visione di Dio e di conseguenza, può capitare, e capita che la risposta di Dio alle nostre preghiere non coincida con le nostre richieste. 
Del resto il primo motivo della nostra preghiera è sempre quello che Gesù stesso ci ha suggerito nel Padre Nostro, che si compia cioè in noi la santissima volontà di Dio. Lo stesso Gesù nel dramma della sua agonia nel Getsèmani così invoca il Padre: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». 
Quel «come vuoi tu», riferito a Dio, dovrebbe risuonare fiduciosamente al termine di ogni nostra richiesta, anche la più urgente!

Monaci Benedettini Silvestrini

lunedì 10 marzo 2014

PRETIOSA EST IN OCULIS DOMINI MORS SANCTORUM EIUS - MARIO PALMARO

"Con la malattia capisci per la prima volta che il tempo della vita quaggiù è un soffio, avverti tutta l’amarezza di non averne fatto quel capolavoro di santità che Dio aveva desiderato, provi una profonda nostalgia per il bene che avresti potuto fare e per il male che avresti potuto evitare. 
Guardi il crocifisso e capisci che quello è il cuore della fede: senza il Sacrificio il cattolicesimo non esiste. Allora ringrazi Dio di averti fatto cattolico, un cattolico “piccolo piccolo”, un peccatore, ma che ha nella Chiesa una madre premurosa.
Dunque, la malattia è un tempo di grazia, ma spesso i vizi e le miserie che ci hanno accompagnato durante la vita rimangono, o addirittura si acuiscono. È come se l’agonia fosse già iniziata, e si combattesse il destino della mia anima, perché nessuno è sicuro della propria salvezza.
D’altra parte, la malattia mi ha fatto anche scoprire una quantità impressionante di persone che mi vogliono bene e che pregano per me, di famiglie che la sera recitano il rosario con i bambini per la mia guarigione, e non ho parole per descrivere la bellezza di questa esperienza, che è un anticipo dell’amore di Dio nell’eternità. 
Il dolore più grande che provo è l’idea di dover lasciare questo mondo che mi piace così tanto, che è così bello anche se così tragico; dover lasciare tanti amici, i parenti; ma soprattutto di dover lasciare mia moglie e i miei figli che sono ancora in tenera età. 
Alle volte mi immagino la mia casa, il mio studio vuoto, e la vita che in essa continua anche se io non ci sono più. È una scena che fa male, ma estremamente realistica: mi fa capire che sono, e sono stato, un servo inutile, e che tutti i libri che ho scritto, le conferenze, gli articoli, non sono che paglia.
Ma spero nella misericordia del Signore, e nel fatto che altri raccoglieranno parte delle mie aspirazioni e delle mie battaglie, per continuare l’antico duello".

(Mario Palmaro)
5 giugno 1968 - 09 marzo 2014





sabato 8 marzo 2014

Giornata internazionale della donna - 8 marzo 2014

La «giornata internazionale della donna» o «festa della donna» è stata fissata per ricordare le conquiste economiche, politiche e sociali delle donne, ma anche le discriminazioni e le violenze che subiscono ancora in molte parti del mondo.
Si celebra ufficialmente dal 1977 su decisione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che riconobbe «gli sforzi della donna in favore della pace e la necessità della loro piena e paritaria partecipazione alla vita civile e sociale».
L’ONU ha scelto l’8 marzo perché fin dall’inizio del secolo scorso, in un clima di rivendicazione di diritti influenzato specialmente dalle proposte e dall’azione del Congresso Socialista, le donne avevano scelto questa data per celebrare le loro conquiste. Infatti l’8 marzo era il giorno in cui, più di altri, le donne erano state protagoniste di grandi eventi.
Nel 1908, in particolare, a New York decine di migliaia di operaie protestarono con una marcia per ottenere lavoro e paga più dignitosi, per il diritto di voto e l’abolizione del lavoro minorile. Lo slogan era «Bread and Roses»: pane per simboleggiare la sicurezza economica e rose a indicare una qualità di vita migliore. Ma negli Usa la prima giornata della donna fu voluta dal partito socialista per il diritto di voto la domenica del 28 febbraio 1909.
In alcuni Paesi invece europei la giornata della donna si tenne per la prima volta il 19 marzo 1911 su scelta del Segretariato internazionale delle donne socialiste. Poi a San Pietroburgo l'8 marzo 1917 le donne russe guidarono una grande manifestazione che chiedeva la fine della guerra, dando inizio alla rivoluzione che diede fino allo zarismo. In Italia la Giornata internazionale della donna fu tenuta per la prima volta nel 1922 per iniziativa del Partito comunista che volle celebrarla il 12 marzo, prima domenica successiva all'8 marzo 1917.
Questa festa però è soprattutto legata alla morte in un rogo di oltre cento donne. Il 25 marzo del 1911 ci fu un incendio alla «Triangle Shirtwaist Company» di New York (a Washington Square, nella zona industriale Est di Manhattan), che produceva le camicette alla moda di allora: ma erroneamente si è diffusa la credenza secondo cui la tragedia sarebbe avvenuta l’8 marzo. Nel rogo morirono 146 operai di cui 129 donne, quasi tutte camiciaie immigrate italiane ed ebree dell’Europa dell’Est. Erano rinchiuse a chiave nello stabilimento durante il lavoro per il timore di furti o di pause troppo lunghe: 62 di loro nel disperato tentativo di scampare alle fiamme si lanciarono dalle finestre dell’edificio, alto 10 piani. Alcune avevano 12 o 13 anni e facevano turni di 14 ore al giorno: la settimana lavorativa andava dalle 60 alle 72 ore con un salario dai 6 ai 7 dollari la settimana. Gli unici superstiti furono i proprietari della fabbrica, Max Blanck e Isaac Harris, che si misero in salvo senza preoccuparsi di liberarle. Il processo che seguì li assolse e l’assicurazione pagò loro 445 dollari per ogni operaia morta: il risarcimento alle famiglie fu di 75 dollari. In migliaia parteciparono ai funerali.
Questa tragedia è ricondotta alla Festa della donna perché portò alla riforma della legge del lavoro negli Usa assicurando più diritti alle lavoratrici.
Il fiore simbolo dell’8 marzo è la mimosa, ma l’idea di abbinare alla festa della donna un fiore è solo italiana e fu di Rita Montagnana e Teresa Mattei, due attiviste dell’Udi (Unione donne italiane) nel 1946: la mimosa fu scelta perché fiorisce nei primi giorni di marzo e non costa tanto, per cui è accessibile a molti.