lunedì 30 aprile 2012

"Venga assicurata anche la comunione eucaristica, per quanto possibile, ai disabili mentali" – papa Benedetto XVI


« Actuosa participatio » degli infermi

58. Considerando la condizione di coloro che per motivi di salute o di età non possono recarsi nei luoghi di culto, vorrei richiamare l'attenzione di tutta la comunità ecclesiale sulla necessità pastorale di assicurare l'assistenza spirituale ai malati, a quelli che restano nelle proprie case o che si trovano in ospedale. Più volte nel Sinodo dei Vescovi si è fatto cenno alla loro condizione. Occorre fare in modo che questi nostri fratelli possano accostarsi con frequenza alla Comunione sacramentale. Rinforzando in tal modo il rapporto con Cristo crocifisso e risorto, potranno sentire la propria esistenza pienamente inserita nella vita e nella missione della Chiesa mediante l'offerta della propria sofferenza in unione col sacrificio di nostro Signore. Un'attenzione particolare deve essere riservata ai disabili; là dove la loro condizione lo permette, la comunità cristiana deve favorire la loro partecipazione alla celebrazione nel luogo di culto. In proposito, si faccia in modo che siano rimossi negli edifici sacri eventuali ostacoli architettonici che impediscono ai disabili l'accesso. Infine, venga assicurata anche la comunione eucaristica, per quanto possibile, ai disabili mentali, battezzati e cresimati: essi ricevono l'Eucaristia nella fede anche della famiglia o della comunità che li accompagna.(dall'Esortazione Sacramentum Caritatis di Papa Benedetto XVI)

domenica 29 aprile 2012

La preghiera ai parenti defunti è un aiuto contro il diavolo - Padre Cipriano


Il cappuccino esorcista non ne fa mistero: durante gli esorcismi da lui praticati, le invocazioni ai santi, ma anche alla sua defunta madre, disturbano visibilmente il diavolo. E quindi, per difendersi dal maligno, esorta tutti ad invocare, accanto ai santi, anche l’aiuto dei propri cari defunti in virtù del dogma della Comunione dei Santi. Infatti, per verità di fede, le nostre preghiere alleviano le pene delle anime purganti, ma al contempo le preghiere dei defunti – soprattutto se sono già in paradiso – sono efficaci presso Dio per ottenerci grazie e protezione. Poiché sulla terra il legame naturale più forte è quello con i propri genitori ed in particolare con la propria madre, anche in Cielo i genitori defunti mantengono il vincolo naturale con i propri cari e li assistono efficacemente. Ecco allora che accanto all’invocazione dei santi è utile e opportuno rivolgere preghiere ai nostri cari defunti, perché ci aiutino a sconfiggere l’antico e perfido avversario e ci preservino dai suoi piani malvagi.

Preghiera

" Vergine benedetta, alla quale sono tanto care le anime del Purgatorio,Ti prego di offrire al tuo Divin Unigenito le preghiere che per esse noi tutti Gli indirizziamo:affinche' per Tua intercessione ricevano un pronto e generoso suffragio"

Anna Catterina Emmerich dice:
Oh è triste, che si aiutino tanto poco le povere anime; ogni azione offerta per loro, elemosine o atti d'amore, giova loro immediatamente, esse sono allora così contente, così beate come una persona esausta alla quale venga offerto un bicchiere d'acqua.

"Signore, sono vicino a me i miei morti: non li vedo più con i miei occhi, perchè hanno abbandonato il loro vestito di carne. In te, Signore, sento che mi chiamano, che mi invitano, che mi consigliano, perchè mi sono più presenti di prima. Li incontro quando incontro te, li amo quando amo te. O miei morti, eterni viventi che vivete in me, aiutatemi a ben imparare in questa breve vita a vivere eternamente" (12).

sabato 28 aprile 2012

L'amicizia – Paulo Coelho


Un uomo, il suo cavallo ed il suo cane camminavano lungo una strada.
Mentre passavano vicino ad un albero gigantesco, un fulmine li colpì, uccidendoli all'istante.
Ma il viandante non si accorse di aver lasciato questo mondo e continuò a camminare, accompagnato dai suoi animali. A volte, i morti impiegano qualche tempo per rendersi conto della loro nuova condizione...
Il cammino era molto lungo; dovevano salire una collina, il sole picchiava forte ed erano sudati e assetati. A una curva della strada, videro un portone magnifico, di marmo, che conduceva a una piazza pavimentata con blocchi d'oro, al centro della quale s'innalzava una fontana da cui sgorgava dell'acqua cristallina.
Il viandante si rivolse all'uomo che sorvegliava l'entrata.
"Buongiorno"
"Buongiorno" rispose il guardiano.
"Che luogo è mai questo, tanto bello?"
"E' il cielo"
"Che bello essere arrivati in cielo, abbiamo tanta sete!"
"Puoi entrare e bere a volontà".
Il guardiano indicò la fontana.
"Anche il mio cavallo ed il mio cane hanno sete"
"Mi dispiace molto", disse il guardiano, "ma qui non è permesso l'entrata agli animali".
L'uomo fu molto deluso: la sua sete era grande, ma non avrebbe mai bevuto da solo.
Ringraziò il guardiano e proseguì.
Dopo avere camminato a lungo su per la collina, il viandante e gli animali giunsero in un luogo il cui ingresso era costituito da una vecchia porta, che si apriva su un sentiero di terra battuta, fiancheggiato da alberi.
All'ombra di uno di essi era sdraiato un uomo che portava un cappello; probabilmente era addormentato.
"Buongiorno" disse il viandante.
L'uomo fece un cenno con il capo.
"Io, il mio cavallo ed il mio cane abbiamo molta sete".
"C'è una fonte fra quei massi", disse l'uomo, indicando il luogo, e aggiunse: "Potete bere a volontà". L'uomo, il cavallo ed il cane si avvicinarono alla fonte e si dissetarono.
Il viandante andò a ringraziare.
"Tornate quando volete", rispose l'uomo.
"A proposito, come si chiama questo posto?"
"Cielo"
"Cielo? Ma il guardiano del portone di marmo ha detto che il cielo era quello là!"
"Quello non è il cielo, è l'inferno".
Il viandante rimase perplesso.
"Dovreste proibire loro di utilizzare il vostro nome! Di certo, questa falsa informazione causa grandi confusioni!"
"Assolutamente no. In realtà, ci fanno un grande favore. Perché là si fermano tutti quelli che non esitano ad abbandonare i loro migliori amici...."

(Paulo Coelho)

 Fonte:  "Il diavolo e la Signorina Prym"  di Paulo Coelho

venerdì 27 aprile 2012

La carità senza preghiera ed evangelizzazione scade in semplice attivismo - Papa Benedetto XVI

Nell'udienza generale del 25 aprile, Benedetto XVI ha proseguito la sua «scuola della preghiera» continuando la catechesi sulla Chiesa nascente e sulle «situazioni impreviste, nuove questioni ed emergenze a cui ha cercato di dare risposta alla luce della fede, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo».
Nella catechesi odierna il Pontefice ha mostrato come la vera carità cristiana debba sempre essere strettamente unita alla preghiera e alla contemplazione, per evitare il rischio di ridursi a un semplice attivismo più o meno umanitario. L'episodio che il Papa ha preso in esame è narrato nel capitolo sesto degli Atti degli Apostoli: «il numero dei discepoli [...] andava aumentando, ma quelli di lingua greca iniziavano a lamentarsi contro quelli di lingua ebraica perché le loro vedove venivano trascurate nella distribuzione quotidiana». Di fronte a questa disputa, che era importante e rischiava di creare serie divisoni, gli Apostoli decidono di riunire tutti i discepoli. «In questo momento di emergenza pastorale risalta il discernimento compiuto dagli Apostoli. Essi si trovano di fronte all’esigenza primaria di annunciare la Parola di Dio secondo il mandato del Signore, ma - anche se è questa l'esigenza primaria della Chiesa - considerano con altrettanta serietà il dovere della carità e della giustizia, cioè il dovere di assistere le vedove, i poveri, di provvedere con amore alle situazioni di bisogno».
In questo momento «due realtà che devono vivere nella Chiesa - l'annuncio della Parola, il primato di Dio, e la carità concreta, la giustizia -, stanno creando difficoltà e si deve trovare una soluzione, perché ambedue possano avere il loro posto, la loro relazione necessaria». Gli Apostoli, alla fine, trovano questa soluzione: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la Parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola» (At 6,2-4).

 Il primo insegnamento che il Papa ne trae è che «esiste da quel momento nella Chiesa, un ministero della carità. La Chiesa non deve solo annunciare la Parola, ma anche realizzare la Parola, che è carità e verità». Secondo insegnamento: «questi uomini non solo devono godere di buona reputazione, ma devono essere uomini pieni di Spirito Santo e di sapienza, cioè non possono essere solo organizzatori che sanno "fare", ma devono "fare" nello spirito della fede con la luce di Dio, nella sapienza nel cuore, e quindi anche la loro funzione - benché soprattutto pratica - è tuttavia una funzione spirituale». Questo elemento è importantissimo per il nostro tempo, che spesso fraintende la carità degradandola a puro «fare» e quindi a puro umanitarismo. «La carità e la giustizia non sono solo azioni sociali, ma sono azioni spirituali realizzate nella luce dello Spirito Santo». Esaminiamo meglio quanto riferiscono gli Atti degli Apostoli: «vengono scelti sette uomini; gli Apostoli pregano per chiedere la forza dello Spirito Santo; e poi impongono loro le mani perché si dedichino in modo particolare a questa diaconia della carità». Il Pontefice vi scorge un parallelo evangelico con «quanto era avvenuto durante la vita pubblica di Gesù, in casa di Marta e Maria a Betania. Marta era tutta presa dal servizio dell’ospitalità da offrire a Gesù e ai suoi discepoli; Maria, invece, si dedica all’ascolto della Parola del Signore (cfr Lc 10,38-42)».
Si sbaglierebbe a vedere in questo episodio, come in quello degli Atti degli Apostoli, solo un richiamo al primato della vita spirituale, che pure è presente. In realtà, «in entrambi i casi, non vengono contrapposti i momenti della preghiera e dell’ascolto di Dio, e l’attività quotidiana, l’esercizio della carità». Potrebbe sembrare che sia così dalle parole di Gesù: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno, Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,41-42). E anche da quelle degli Apostoli: «Noi… ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola» (At 6,4). In queste espressioni c'è certamente l'affermazione della «priorità che dobbiamo dare a Dio». Ma nello stesso tempo certamente non è «condannata l'attività per il prossimo, per l'altro». Quella che è criticata da Gesù e dagli Apostoli è una carità che rifiuta di «essere penetrata interiormente anche dallo spirito della contemplazione». Come fa spesso, il Papa cita sant'Agostino (354-430), il quale spiega che «questa realtà di Maria è una visione della nostra situazione del cielo, quindi sulla terra non possiamo mai averla completamente, ma un po' di anticipazione deve essere presente in tutta la nostra attività».

In qualche modo, perché non si riduca a semplice umanitarismo, nella carità deve sempre «essere presente anche la contemplazione di Dio. Non dobbiamo perderci nell'attivismo puro, ma sempre lasciarci anche penetrare nella nostra attività dalla luce della Parola di Dio e così imparare la vera carità, il vero servizio per l'altro, che non ha bisogno di tante cose - ha bisogno certamente delle cose necessarie - ma ha bisogno soprattutto dell'affetto del nostro cuore, della luce di Dio». Il Pontefice cita pure, a proposito dell'episodio di Marta e Maria, sant'Ambrogio (339 o 340-397): «Cerchiamo di avere anche noi ciò che non ci può essere tolto, porgendo alla parola del Signore una diligente attenzione, non distratta: capita anche ai semi della parola celeste di essere portati via, se sono seminati lungo la strada. Stimoli anche te, come Maria, il desiderio di sapere: è questa la più grande, più perfetta opera». Per sant'Ambrogio è sempre necessario che «la cura del ministero non distragga dalla conoscenza della parola celeste» e dalla preghiera.
Non si tratta dunque di dare meno spazio alla carità rispetto alla preghiera, ma di vivere la carità nella preghiera. «I Santi, quindi, hanno sperimentato una profonda unità di vita tra preghiera e azione, tra l’amore totale a Dio e l’amore ai fratelli». Benedetto XVI cita, ancora, san Bernardo (1090-1153), definito «un modello di armonia tra contemplazione ed operosità», il quale, «nel libro "De consideratione", indirizzato al Papa Innocenzo II [?-1143] per offrigli alcune riflessioni circa il suo ministero, insiste proprio sull’importanza del raccoglimento interiore, della preghiera per difendersi dai pericoli di una attività eccessiva, qualunque sia la condizione in cui ci si trova e il compito che si sta svolgendo. San Bernardo afferma che le troppe occupazioni, una vita frenetica, spesso finiscono per indurire il cuore e far soffrire lo spirito». Anche questo, nota il Pontefice, «è un prezioso richiamo per noi oggi, abituati a valutare tutto con il criterio della produttività e dell’efficienza».

Non si tratta di svalutare la carità, insiste il Pontefice, ma di viverla nella luce di Dio che sola gli conferisce il suo vero significato. «Il brano degli Atti degli Apostoli ci ricorda l’importanza del lavoro - senza dubbio viene creato un vero e proprio ministero -, dell’impegno nelle attività quotidiane che vanno svolte con responsabilità e dedizione, ma anche il nostro bisogno di Dio, della sua guida, della sua luce che ci danno forza e speranza. Senza la preghiera quotidiana vissuta con fedeltà, il nostro fare si svuota, perde l’anima profonda, si riduce ad un semplice attivismo che, alla fine, lascia insoddisfatti». Il Pontefice suggerisce di tornare a una «bella invocazione della tradizione cristiana da recitarsi prima di ogni attività»: «Actiones nostras, quæsumus, Domine, aspirando præveni et adiuvando prosequere, ut cuncta nostra oratio et operatio a te semper incipiat, et per te coepta finiatur», cioè: «Ispira le nostre azioni, Signore, e accompagnale con il tuo aiuto, perché ogni nostro parlare ed agire abbia sempre da te il suo inizio e in te il suo compimento». Nel brano degli Atti degli Apostoli, una volta che i sette sono stati scelti gli Apostoli «non si limitano a ratificare la scelta di Stefano e degli altri uomini», ma «dopo aver pregato, imposero loro le mani» (At 6,6). Anche successivamente, in occasione dell’elezione di Paolo e Barnaba, il gesto si ripete: «dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li congedarono» (At 13,3). Così, si «conferma di nuovo che il servizio pratico della carità è un servizio spirituale. Ambedue le realtà devono andare insieme». Questa imposizione delle mani preceduta dalla preghiera mostra che «non si tratta semplicemente di conferire un incarico come avviene in un’organizzazione sociale».
Siamo di fronte invece a «un evento ecclesiale in cui lo Spirito Santo si appropria di sette uomini scelti dalla Chiesa, consacrandoli nella Verità che è Gesù Cristo: è Lui il protagonista silenzioso, presente nell’imposizione delle mani affinché gli eletti siano trasformati dalla sua potenza e santificati per affrontare le sfide pratiche, le sfide pastorali. E la sottolineatura della preghiera ci ricorda inoltre che solo dal rapporto intimo con Dio coltivato ogni giorno nasce la risposta alla scelta del Signore e viene affidato ogni ministero nella Chiesa». Quell'antico «problema pastorale che ha indotto gli Apostoli a scegliere e ad imporre le mani su sette uomini incaricati del servizio della carità, per dedicarsi loro stessi alla preghiera e all’annuncio della Parola, indica anche a noi il primato della preghiera e della Parola di Dio, che, tuttavia, produce poi anche l'azione pastorale». Lo indica anzitutto ai vescovi e ai sacerdoti. «Per i Pastori questa è la prima e più preziosa forma di servizio verso il gregge loro affidato. Se i polmoni della preghiera e della Parola di Dio non alimentano il respiro della nostra vita spirituale, rischiamo di soffocare in mezzo alle mille cose di ogni giorno: la preghiera è il respiro dell’anima e della vita».
E dalla meditazione sul brano degli Atti degli Apostoli emerge anche un «altro prezioso richiamo»: «nel rapporto con Dio, nell’ascolto della sua Parola, nel dialogo con Dio, anche quando ci troviamo nel silenzio di una chiesa o della nostra stanza, siamo uniti nel Signore a tanti fratelli e sorelle nella fede, come un insieme di strumenti che, pur nella loro individualità, elevano a Dio un’unica grande sinfonia di intercessione, di ringraziamento e di lode». È la stessa sinfonia che deve unire carità e contemplazione.

di Massimo Introvigne

25-04-2012

da La Bussola Quotidiana


mercoledì 25 aprile 2012

Unione col Papa, è unione con Pietro - San Josemaria Escrivà de Balaguer


Amalo, veneralo, prega, mortìficati — ogni giorno con più affetto — per il Romano Pontefice, pietra basilare della Chiesa, che prolunga tra tutti gli uomini, nel corso dei secoli e sino alla fine dei tempi, il lavoro di santificazione e di governo che Gesù ha affidato a Pietro. (Forgia, 134)

... Il supremo potere del Romano Pontefice e la sua infallibilità, quando parla ex cathedra, non sono un'invenzione umana: si basano sull'esplicita volontà fondazionale di Cristo. Non ha alcun senso perciò opporre il governo del Papa a quello dei vescovi o ridurre la validità del Magistero pontificio all'assenso dei fedeli! Non c'è nulla di più estraneo alla Chiesa dell'equilibrio dei poteri; non ci servono gli schemi umani, per quanto possano essere attraenti e funzionali. Nessuno nella Chiesa gode di per sé, in quanto uomo, della potestà assoluta; nella Chiesa non c'è altro capo che Cristo; e Cristo ha voluto affidare a un suo Vicario — il Romano Pontefice — la sua Sposa pellegrina in questa terra. (…)

Contribuiamo a rendere più evidente agli occhi di tutti questa apostolicità, manifestando con squisita fedeltà l'unione al Papa, che è unione a Pietro. L'amore al Romano Pontefice deve essere in noi vibrante e appassionato, perché in lui vediamo Cristo. Se parliamo col Signore nella preghiera, acquisteremo uno sguardo limpido, che ci farà distinguere, anche negli avvenimenti che a volte non capiamo e che ci causano lacrime e dolore, l'azione dello Spirito Santo.



(San Josemaria Escrivà de Balaguer)


Fonte: Lealtà alla Chiesa; La Chiesa nostra Madre, 1993, pp.63-64).

martedì 24 aprile 2012

Rosario della Pace


Maria Santissima ci inviata a recitare il Rosario della Pace

PREGHIERA INIZIALE: Padre celeste, io credo che tu sei buono, che tu sei Padre di tutti gli uomini. Credo che hai mandato nel mondo il tuo Figlio Gesù Cristo, per distruggere il male e il peccato e ristabilire la pace fra gli uomini, poiché tutti gli uomini sono tuoi figli e fratelli di Gesù. Sapendo ciò, mi diventa ancor più dolorosa e incomprensibile ogni distruzione e ogni violazione della pace. Dona a me e a tutti coloro che pregano per la pace, di pregare con cuore puro, perché tu possa esaudire le nostre preghiere e donarci la vera pace del cuore e dell'animo: pace alle nostre famiglie, alla nostra Chiesa e al mondo intero. Padre buono, allontana da noi ogni forma di disordine e di perturbazione; donaci frutti gioiosi di pace e di riconciliazione con te e con gli uomini. Te lo chiediamo con Maria, Madre del tuo Figlio, e Regina della Pace. Amen.

Credo…


Gesù mio, perdona le nostre colpe. Preservaci dal fuoco dell’inferno. Porta in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della tua Misericordia.

Regina della pace e Madre nostra, prega per noi.

PRIMO MISTERO
Gesù offre la pace al mio cuore. "Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore...". (Gv 14,27)
Gesù, dona tranquillità al mio cuore! Apri il mio cuore alla tua pace. Sono stanco della perturbazione e dell'insicurezza. Gesù, sono deluso delle false speranze, distrutto a causa di tante amarezze. Non ho pace. Mi lascio facilmente sommergere da preoccupazioni angosciose. Facilmente sono preso dalla paura e dalla sfiducia. Troppe volte ho creduto di poter trovare la pace nelle cose del mondo; ma il mio cuore continua ad essere inquieto. Perciò, Gesù mio, ti prego, con S. Agostino, perché il mio cuore si plachi e si riposi in te. Non permettere che le onde del peccato lo assalgano. D'ora in poi sii tu la mia roccia e la mia fortezza. Ritorna e rimani con me, tu che sei l'unica fonte della mia vera pace. Grazie per la parola di consolazione, che il tuo discepolo più caro ci ha trasmesso: "Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazioni nel mondo; ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!" (Gv 16,33).
Pater, 10 Ave, Gloria, Gesù mio, Regina della pace.

SECONDO MISTERO Gesù offre la pace alla mia famiglia. "In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza. Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa". (Mt 10,11-13) O Gesù, grazie che hai pensato anche alle nostre famiglie. Grazie che hai inviato gli apostoli per diffondere la tua pace nelle famiglie. In questo istante ti prego con tutto il cuore che tu renda degna della tua pace la mia famiglia. Purificaci da ogni traccia di peccato, perché la tua pace possa crescere e fiorire in noi. La tua pace allontani dalle nostre famiglie ogni angoscia e ogni contesa. Fa che siamo completamente pervasi dalla tua pace; tu, che rechi la pace, sii sempre il primo della nostra casa. Ti prego anche per le famiglie che ci vivono accanto. Siano anch'esse ripiene della tua pace, cosicché ci sia gioia in tutti.
Pater, 10 Ave, Gloria, Gesù mio, Regina della pace.

TERZO MISTERO Gesù offre la sua pace alla Chiesa e ci chiama a diffonderla. "Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione... Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio". (2 cor 5,17-18-20)
Gesù, Ti prego con tutto il cuore, dona la pace alla tua Chiesa. Placa in essa tutto ciò che é turbato. Benedici i sacerdoti, i Vescovi, il Papa, perché vivano nella pace e svolgano il servizio di riconciliazione. Porta la pacificazione a tutti coloro che sono in disaccordo nella tua Chiesa e che a causa di mutui contrasti scandalizzano i tuoi piccoli. Riconcilia le varie comunità religiose. La tua Chiesa, senza macchia e senza ruga, sia costantemente in pace e continui a promuovere instancabilmente la pace.
Pater, 10 Ave, Gloria, Gesù mio, Regina della pace.

QUARTO MISTERO Gesù offre la pace al suo popolo.
"Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: 'Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno dl trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata' ". (Lc 19,41-44)
Gesù, tu hai pianto sulla tua città e sul tuo popolo. Hai offerto loro la pace, ma essi erano sordi e ciechi, e non ti hanno udito né visto. Grazie per l'amore che hai verso il tuo popolo. Fa che anch'io sappia guidare verso il bene il mio popolo, la mia città, il mio paese, la mia patria. Ti prego per ogni singolo membro della mia patria, per ogni mio connazionale, per tutti coloro che hanno compiti di responsabilità. Non permettere che siano ciechi, ma che sappiano individuare e conoscere ciò che debbono fare per realizzare la pace. Che la mia gente non vada più oltre in rovina, ma che tutti diventino come solide costruzioni spirituali, fondate sulla pace e sulla gioia. Gesù, dona la pace al mio popolo. Concedi la pace a tutti i popoli. Che ognuno viva nella pace, che ognuno diventi araldo della pace. Pater, 10 Ave, Gloria, Gesù mio, Regina della pace.


QUINTO MISTERO Gesù offre la pace a tutto il mondo.
"Cercate il benessere del paese in cui vi ho fatto deportare. Pregate il Signore per esso, perché dal suo benessere dipende il vostro benessere". (Ger 29,7)
Gesù, la terra è stata da tempo seminata e sta germogliando il seme pericoloso delle guerre e delle contese più svariate. So bene che la mia pace, come quella di tutti gli uomini, dipende dalla pace fra le nazioni e i popoli della terra. Ti prego perciò di sradicare con la tua divina potenza il seme nefasto della perturbazione e del peccato, che è la primaria sorgente di ogni disordine. Che tutto il mondo sia aperto alla tua pace. Tutti gli uomini, in qualsiasi perturbazione della vita, hanno bisogno di te; perciò aiutali a trovare la pace, a costruire la pace. Molti popoli hanno perso la loro identità. Molti vivono nella paura di fronte ad altri, più potenti e più ricchi. Molti poveri e perseguitati si agitano e si ribellano, ma sopra di loro si ergono i ricchi e i protervi. Non c'è più pace o ce n'è poca. Perciò manda su di noi il tuo Spirito Santo, perché su questo nostro disordine umano Egli riporti quel primitivo ordine divino. Fa che i popoli guariscano dalle ferite spirituali contratte, che diventi possibile la riconciliazione reciproca. Manda a tutti i popoli gli araldi e gli annunciatori di pace, perché ognuno sappia che è verità profonda ciò che tu un giorno hai detto per bocca di un grande profeta: "Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: "Regna il tuo Dio". (Is 52,7)
Pater, 10 Ave, Gloria, Gesù mio, Regina della pace.

PREGHIERA FINALE: O Signore, Padre celeste, donaci la tua pace. Te lo chiediamo con tutti i tuoi figli ai quali hai dato la nostalgia della pace e della distensione. Te lo chiediamo unitamente a tutti coloro che nelle sofferenze più indicibili anelano alla pace. E dopo questa vita, che nella sua maggior parte trascorre nell'inquietudine, accoglici nel regno della tua pace eterna e del tuo amore. Accogli anche coloro che sono deceduti a causa di guerre e di scontri armati. Accogli infine coloro che ricercano la pace su strade sbagliate. Te lo chiediamo per Cristo, Re della pace, e per intercessione della nostra Madre celeste, Regina della pace. Amen.

lunedì 23 aprile 2012

L’esempio del Santo Padre: “Davanti a Dio si deve stare in ginocchio “

Nell’omelia della messa “in cæna Domini” del Giovedì Santo, Benedetto XVI ha toccato un tasto sensibile della sua azione per restituire alla liturgia il suo autentico “spirito”: quello dell’inginocchiarsi.

In effetti, da quando, in ogni messa, il papa ha deciso di dare la comunione ai fedeli inginocchiati, questo suo gesto ha ...raccolto poche lodi e ha trovato rari imitatori. In quasi tutte le chiese del mondo le balaustre sono state eliminate, la comunione la si prende in piedi e non si è incoraggiati a inginocchiarsi neppure durante la consacrazione. La gran parte dei liturgisti squalificano l’inginocchiarsi come un gesto devozionale tardivo, inesistente nell’eucaristia delle origini.
Benedetto XVI sa di muoversi controcorrente. Nel libro intervista “Luce del mondo” si è detto consapevole di dare con ciò un “segno forte”: “Facendo sì che la comunione si riceva in ginocchio e la si amministri in bocca, ho voluto dare un segno di profondo rispetto e mettere un punto esclamativo circa la Presenza reale… Deve essere chiaro questo: "È qualcosa di particolare! Qui c’è Lui, è di fronte a Lui che cadiamo in ginocchio”.
Ebbene, nell’omelia del Giovedì Santo Benedetto XVI è andato alla radice del mettersi in ginocchio, che lungi dall’essere una devozione spuria, è un gesto caratterizzante la preghiera di Gesù e della Chiesa nascente.
Ecco le sue parole: “… Dobbiamo rivolgere la nostra attenzione su ciò che gli evangelisti ci riferiscono riguardo all’atteggiamento di Gesù durante la sua preghiera. Matteo e Marco ci dicono che egli ‘cadde faccia a terra’ (Mt 26, 39; cfr. Mc 14, 35), assunse quindi l’atteggiamento di totale sottomissione, quale è stato conservato nella liturgia romana del Venerdì Santo. Luca, invece, ci dice che Gesù pregava in ginocchio. Negli Atti degli Apostoli, egli parla della preghiera in ginocchio da parte dei santi: Stefano durante la sua lapidazione, Pietro nel contesto della risurrezione di un morto, Paolo sulla via verso il martirio. Così Luca ha tracciato una piccola storia della preghiera in ginocchio nella Chiesa nascente. I cristiani, con il loro inginocchiarsi, entrano nella preghiera di Gesù sul Monte degli Ulivi. Nella minaccia da parte del potere del male, essi, in quanto inginocchiati, sono dritti di fronte al mondo, ma, in quanto figli, sono in ginocchio davanti al Padre. Davanti alla gloria di Dio, noi cristiani ci inginocchiamo e riconosciamo la sua divinità, ma esprimiamo in questo gesto anche la nostra fiducia che egli vinca”.


domenica 22 aprile 2012

Omelia di papa Giovanni Paolo II, pronunciata il 22 aprile 2001, Domenica della Divina Misericordia, durante la Celebrazione Eucaristica


 “Non temere! Io Sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre” (Ap 1,17-18). Queste consolanti parole ci invitano a volgere lo sguardo verso Cristo, per sperimentarne la rassicurante presenza. A ciascuno, in qualsiasi condizione si trovi, fosse pure la più complessa e drammatica, il Risorto ripete: “Non temere!” Sono morto sulla Croce, ma ora “vivo per sempre”; “Io Sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente.”
“Il Primo”, la sorgente, cioè, di ogni essere e la primizia della nuova creazione; “l’Ultimo”, il termine definitivo della storia; “il Vivente”, la fonte inesauribile della Vita che ha sconfitto la morte per sempre. Nel Messia crocifisso e risuscitato riconosciamo i lineamenti dell’Agnello immolato sul Golgota, che implora il perdono per i suoi carnefici e dischiude per i peccatori pentiti le porte del cielo; intravediamo il volto del Re immortale che ha ormai “potere sopra la morte e sopra gli inferi” (Ap 1,18).
“Celebrate il Signore perchè è buono, perchè eterna è la sua misericordia” (Sal 118,1).
Facciamo nostra l’esclamazione del Salmista, che abbiamo cantato nel Salmo responsoriale: eterna è la Misericordia del Signore! Per comprendere sino in fondo la verità di queste parole, lasciamoci condurre dalla liturgia nel cuore dell’evento di salvezza, che unisce la morte e la risurrezione di Cristo alla nostra esistenza e alla storia del mondo. Questo prodigio di Misericordia ha radicalmente mutato le sorti dell’umanità. È un prodigio in cui si dispiega in pienezza l’Amore del Padre che, per la nostra redenzione, non indietreggia neppure davanti al sacrificio del suo Figlio unigenito.
Nel Cristo umiliato e sofferente credenti e non credenti possono ammirare una solidarietà sorprendente, che lo unisce alla nostra umana condizione oltre ogni immaginabile misura.
La Croce, anche dopo la risurrezione del Figlio di Dio, “Parla e non cessa mai di parlare di Dio Padre, che è assolutamente fedele al suo eterno amore verso l’uomo... Credere in tale Amore significa credere nella Misericordia” (Dives in misericordia, 7).
Vogliamo rendere grazie al Signore per il Suo Amore, che è più forte della morte e del peccato. Esso si rivela e si attua come Misericordia nella nostra quotidiana esistenza e sollecita ogni uomo ad avere a sua volta “Misericordia” verso il Crocifisso. Non è forse proprio amare Dio e amare il prossimo e persino i “nemici”, seguendo l’esempio di Gesù, il programma di vita d’ogni battezzato e della Chiesa tutta intera?
Con questi sentimenti, celebriamo la seconda Domenica di Pasqua, che dallo scorso anno, anno del Grande Giubileo, è chiamata anche “Domenica della Divina Misericordia”. Per me è una grande gioia potermi unire a tutti voi, cari pellegrini e devoti venuti da varie nazioni per commemorare, ad un anno di distanza, la canonizzazione di Suor Faustina Kowalska, testimone e messaggera dell’Amore Misericordioso del Signore. L’elevazione agli onori degli altari di questa umile Religiosa, figlia della mia Terra, non rappresenta un dono solo per la Polonia, ma per tutta l’umanità. Il messaggio, infatti, di cui ella è stata portatrice costituisce la risposta adeguata e incisiva che Dio ha voluto offrire alle domande e alle attese degli uomini di questo nostro tempo, segnato da immani tragedie. A Suor Faustina Gersù ebbe a dire un giorno: “L’umanità non troverà pace, finchè non si rivolgerà con fiducia alla Divina Misericordia.” (Diario, p. 132).

La Divina Misericordia! Ecco il dono pasquale che la Chiesa riceve dal Cristo risorto e che offre all’umanità, all’alba del terzo millenio.
Il Vangelo, che poc’anzi è stato proclamato, ci aiuta a cogliere appieno il senso e il valore di questo dono. L’evangelista Giovanni ci fa come condividere l’emozione provata dagli Apostoli nell’incontro con Cristo dopo la Sua Risurrezione. La nostra attenzione si sofferma sul gesto del Maestro, che trasmette ai discepoli timorosi e stupefatti la missione di essere ministri della Divina Misericordia. Egli mostra le mani e il costato con impressi i segni della Passione e comunica loro: “Come il Padre ha mandato Me anch’Io mando voi” (Gv 20,21). Subito dopo “alitò su di loro e disse: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi.” (Gv 20,22-23). Gesù affida ad essi il dono di “rimettere i peccati”, dono che scaturisce dalle ferite delle sue mani, dei suoi piedi e soprattutto del suo costato trafitto. Di là un’onda di Misericordia si riversa sull’intera umanità.
Riviviamo questo momento con grande intensità spirituale. Anche a noi quest’oggi il Signore mostra le sue piaghe gloriose e il suo Cuore, fontana inesausta di luce e di verità, di amore e di perdono.
Il Cuore di Cristo! Il suo “Sacro Cuore” agli uomini ha dato tutto: la redenzione, la salvezza, la santificazione. Da questo Cuore sovrabbondante di tenerezza santa Faustina Kowalska vide sprigionarsi due fasci di luce che illuminavano il mondo. “I due raggi, secondo quanto lo stesso Gesù ebbe a confidarle, rappresentano il sangue e l’acqua.” Il sangue richiama il sacrificio del Golgota e il mistero dell’Eucaristia; l’acqua, secondo la ricca simbologia dell’evangelista Giovanni, fa pensare al battesimo e al dono dello Spirito Santo (cfr Gv 3,5; 4,14).
Attraverso il mistero di questo cuore ferito, non cessa di spandersi anche sugli uomini e sulle donne della nostra epoca il flusso ristoratore dell’Amore Misericordioso di Dio. Chi anela alla felicità autentica e duratura, solo qui ne può trovare il segreto.
“Gesù, confido in Te!”. Questa preghiera, cara a tanti devoti, ben esprime l’atteggiamento con cui vogliamo abbandonarci fiduciosi pure noi nelle tue mani, o Signore, nostro unico Salvatore.
Tu bruci dal desiderio di essere amato, e chi si sintonizza con i sentimenti del Tuo Cuore apprende ad essere costruttore della nuova città dell’Amore. Un semplice atto d’abbandono basta ad infrangere le barriere del buio e della tristezza, del dubbio e della disperazione. I raggi della Tua Divina Misericordia ridanno speranza, in modo speciale, a chi si sente schiacciato dal peso del peccato.
Maria, Madre di Misericordia, fa’ che manteniamo sempre viva questa fiducia nel tuo Figlio, nostro Redentore. Aiutaci anche tu, Santa Faustina, che oggi ricordiamo con particolare affetto. Insieme a te vogliamo ripetere, fissando il nostro debole sguardo sul Volto del Divin Salvatore: “Gesù, confido in Te!”.
Oggi e sempre. Amen.
+ Papa Giovanni Paolo II


venerdì 20 aprile 2012

Il Libro del Crocefisso – Savonarola Girolamo

O uomini, o donne, o padri, o figli, o figlie,
o preti, o chierici, o religiosi, o monaci,
o monache, o grandi, o piccoli, o cittadini,
o grandi maestri, o d’ogni sorte e grado di persone,
pigliate questo libro del Crocifisso in mano,
dove sono descritti tutti i benefici
che Dio ci ha fatti e fa ogni giorno
e questo ti gioverà più che tutti gli studi del mondo….
Andiamo tutti a cercare il Signore.
Pentiamoci dei nostri peccati,
torniamo alla Confessione e alla Comunione,
lasciamo il superfluo, torniamo alla semplicità.
Questa è la via di Cristo.


(Girolamo Savonarola)

mercoledì 18 aprile 2012

Il Crocefisso assolve un penitente

In una chiesa della Spagna, il cicerone che accompagna i turisti si ferma davanti a un grande Crocifisso, ai cui piedi si trovano una sedia e un inginocchiatoio, dove il confessore riceve i penitenti, e racconta il seguente avvenimento accaduto tempo addietro.

Un confessore disse a un penitente: “Se lei continua con gli stessi peccati, io non le darò più l’assoluzione”. Tempo dopo, il penitente, veramente pentito, ritornò con gli stessi peccati e si sentì dire dal confessore: “mi dispiace, ma questa volta non le darò l’assoluzione”:
Il Crocifisso allora parlò: “Sacerdote, io ho dato la mia vita per questo mio figlio, perciò se tu non lo assolvi, lo assolverò io”.

Il Crocifisso staccò dal chiodo il braccio destro e pronunciò la formula dell’assoluzione: “Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.
Esempio storico che veramente ci commuove. Quando andiamo a confessarci, certamente dobbiamo avere il pentimento dei nostri peccati, il proposito di non commetterli più, ma allo stesso tempo dobbiamo avere la certezza del perdono e della misericordia del Signore. Siamo poveri peccatori, siamo deboli, possiamo cadere nonostante la nostra buona volontà, però non dobbiamo mai e poi mai dimenticare che il Signore ci vuole bene, che ci prende così come siamo e che ci perdona sempre.
Lui vuole solamente da noi la nostra buona volontà, la nostra disponibilità, il desiderio di essere migliori e così non ci lascerà mai mancare la sua grazia, la sua misericordia, il suo perdono.
“Signore, abbi pietà di me che sono un povero peccatore”.

Così come il pubblicano del Vangelo. Il Padre accolse il figliuol prodigo con le braccia aperte, fece festa, gli diede l’abbraccio del perdono e tutta la casa ricevette con gioia e allegria il figlio che era ritornato alla casa paterna. Così il Signore fa con noi. Anche se i nostri peccati fossero grandi e grossi, non dobbiamo mai dubitare del suo amore, della sua bontà e della sua misericordia.


martedì 17 aprile 2012

L'immagine di Gesù per bocca di un non Cristiano - Lentulo Publio

Questa lettera di Publio Lentulo, (18 a.C. – 11 d.C.) governatore della Giudea (antecessore di Pilato), è un documento storico di immenso valore in cui si descrivono il volto e la persona di Gesù Cristo all’imperatore Tiberio di Roma, tradotta dal latino originale che si conserva dai signori Cesarini in Roma.
Ho inteso, o Cesare, che desideri sapere quanto ora ti narro; essendo qui un uomo, il quale vive di grandi virtù chiamato Gesù Cristo, dalla gente è detto Profeta, ed i suoi discepoli lo tengono per divino, e dicono che egli è figlio di Dio Creatore del cielo e della terra, e di tutte le cose che in essa si trovano e son fatte. In verità, o Cesare, ogni giorno si sentono cose meravigliose di questo Cristo: risuscita i morti, e sana gl’infermi con una sola parola. Uomo di giusta statura, è molto bello di aspetto, ed ha maestà nel volto, e quelli che lo mirano sono forzati ad amarlo e temerlo.
Ha i capelli di color della nocciuola ben matura, e sono distesi sino alle orecchie, e dalle orecchie sino alle spalle sono di color della terra, ma più risplendenti.
Ha nel mezzo della fronte in testa il crin spartito ad usanza de’ Nazareni. La faccia senza ruga, o macchia, accompagnata da un color modesto. Le narici e le lab­bra non possono da alcuno essere riprese con ragione: la barba è spessa ed ha simiglianza dei capelli, non molto lunga, ma spartita per mezzo.
Il suo mirare è molto spaventoso e grave; ha gli occhi come i raggi del sole, e nessuno può guardarlo fisso per lo splendore; e quando ammonisce piange; si fa amare, ed è allegro con gravità. Dicono che nessuno l’ha veduto mai ridere, ma bensì piangere. piangere.
Ha le mani e le braccia molto belle, nella conversazione contenta molti, ma si vede di rado: e quando vi si trova, è molto modesto all’aspetto, e nella presenza è il più bell’uomo che si possa immaginare; tutto simile alla madre, la quale è la più bella giovane che siasi mai vista in queste parti.
Però se la Maestà tua, o Cesare, desidera di vederlo, come negli avvisi passati mi scrivesti, fammelo sapere, che non mancherò subito di mandarlo. Di lettera fa stupire la città di Gerusalemme. Egli non ha studiato giammai cosa alcuna, e pure sa tutte le scienze; cammina scalzo, senza cosa alcuna in testa; molti ne ridono in vederlo, ma in presenza sua nel parlare con lui tremano e stupiscono.
Dicono che un tal uomo non è stato mai veduto, né inteso in queste parti. In verità, secondo quanto mi dicono gli Ebrei, non si e sentito mai di tali consigli, di così gran dottrina, come insegna questo Cristo, e molti de’ Giudei lo tengono per divino e lo credono; e molti altri me lo querelano con dire che è contro la Maestà tua, o Cesare. Si dice di non aver mai fatto dispiacere ad alcuna persona, ma si bene tutti quelli che lo conoscono, che l’hanno avvicinato dicono d’aver ricevuto benefizi e sanità.
Però alla Maestà tua, o Cesare, alla tua obbedienza sono prontissimo: quanto mi comandi sarà eseguito. Vale.
Da Gerusalemme, indizione settima, luna undecima. Della Maestà tua fedelissimo e obbedientissimo.
Publio Lentulo Governatore della Giudea

lunedì 16 aprile 2012

Buon Compleanno Papa Benedetto XVI - Andrea Tornielli

 Rivolgendosi ai fedeli radunati ieri mattina in piazza San Pietro, Benedetto XVI non ha fatto cenno al suo compleanno – oggi festeggia l’ottantacinquesimo, ed è diventato il Papa più longevo dell’ultimo secolo – ma nei saluti in lingua francese ha parlato del settimo anniversario dell’elezione, che ricorderà giovedì prossimo: «Vi chiedo di pregare per me, perché il Signore mi doni la forza di compiere la missione che mi ha affidato!». Parole che possono considerarsi l’ennesima conferma del fatto che Benedetto, pur contemplando la possibilità della rinuncia in caso di grave impedimento fisico o mentale, non ha affatto programmato le sue dimissioni.
Martedì 19 aprile 2005, dopo aver pronunciato la parola «accetto», diventando così il 264° successore di Pietro, Ratzinger spiegò ai cardinali che l’avevano eletto le ragioni della scelta del nome: disse che sceglieva Benedetto per ciò che la figura del grande patrono d’Europa aveva significato, ma anche perché l’ultimo Papa a prendere questo nome, Benedetto XV – al secolo Giacomo Della Chiesa – si era adoperato per la pace e non aveva avuto un pontificato lungo. Un importante porporato curiale, alla fine del conclave, pronosticò che il nuovo Pontefice non sarebbe durato più di due anni. Questa settimana entra invece nell’ottavo anno un pontificato che già da tempo non può più dirsi di transizione, con ancora molti lavori in corso.

Ratzinger soffre di artrosi, ha qualche problema all’anca destra, ha deciso di riesumare la pedana mobile usata negli ultimo anni dal suo predecessore per spostarsi. Ma tutto sommato sembra avere problemi minori di quelli che affliggono la maggior parte dei suoi coetanei. E nonostante qualche collaboratore gli consigli di rallentare con i viaggi, è appena tornato da una faticosa trasferta in Messico e Cuba, in giugno sarà a Milano per tre giorni e dopo l’estate si recherà in Libano. L’anno prossimo è prevista la sua presenza in Brasile per la Giornata mondiale della Gioventù, e non è stato ancora del tutto escluso un viaggio in Asia. Anche la produzione libraria non si ferma: a completare la trilogia dedicata a Gesù si attende, forse già per il prossimo dicembre, un terzo volume dedicato all’infanzia del Nazareno.
Certo, il pontificato di Benedetto XVI è stato costellato da problemi e da crisi. La più grave tra quelle che sembrano in via di superamento è legata allo scandalo della pedofilia, fenomeno che il Papa ha combattuto con fermezza.

Mentre tra quelle ancora aperte vi è il dissenso dilagante tra i sacerdoti che aderiscono agli appelli «alla disobbedienza» in Austria, Germania, Belgio e Irlanda. I prossimi giorni saranno decisivi per la possibile soluzione di un’altra crisi, quella con i lefebvriani: l’accordo che chiude la ferita aperta dal 1988 sarebbe il certamente il regalo di compleanno più gradito per un Papa che predica la riconciliazione ma finisce per essere criticato sia da sinistra che da destra. Da chi non gli perdona di aver teso la mano ai tradizionalisti e di aver detto che il Concilio Vaticano II non ha cambiato la fede cattolica, come da certi «ratzingeriani» che vorrebbero vederlo usare il «pugno di ferro» contro il dissenso.
(Andrea Tornielli)

fonte: http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/14333/

domenica 15 aprile 2012

La dignità della Chiesa non può essere consegnata al chiasso dell’opinione pubblica – Papa Benedetto XVI

E’ una riflessione sulla dignità della Chiesa il messaggio che il Papa ha inviato al vescovo di Treviri in Germania Stephan Ackermann, in occasione dell’apertura del Pellegrinaggio alla Sacra Tunica nel duomo della città. “La particolare dignità e integrità della Chiesa- scrive il Papa- non può essere esposta e consegnata al chiasso di un giudizio sommario da parte della pubblica opinione”.

Teviri ha una storia nobile ed antica, città romana di confine, sede imperiale, qualche anno fa ospitò una imponente mostra dedicata all’ imperatore che permise il cristianesimo nell’ Impero Romano e si fece battezzare in punto di morte. Il duomo che oggi domina la città con le sue torri romaniche conserva un oggetto di devozione antichissimo definito la tunica di Gesù. In effetti si tratta forse di parti di una dalmatica medioevale, ma il culto che ha suscitato nei secoli l’ha reso una vera reliquia. Se ne parla fin dal 1190 e il primo pellegrinaggio imperiale è del 1512. Ma al di la del valore storico archeologico, la Sacra Tunica è il simbolo della unità della Chiesa.
La tradizione vuole che sia la tunica di Gesù, inconsutile, sulla quale fu gettata la sorte ai piedi della croce. Il soldato romano che la vinse la portò nella antica città imperiale dove viene ancora oggi custodita.

Una immagine della Chiesa quindi, dice il Papa nel messaggio letto dal cardinale Ouellet inviato di Benedetto XVI in occasione dei 500 anni della prima ostensione pubblica. Una Chiesa “fondata come unica e indivisa comunità dall’amore di Cristo”. É la interpretazione che ne fece del resto Sant’Agostino commentando la passione di Gesù. “L’amore del Salvatore – scrive il Papa- ricongiunge ciò che è diviso”. “Cristo non dissolve la pluralità degli uomini, ma li unisce nell’essere gli uni per gli altri e con gli altri”. Del resto la unità della Chiesa “ vive non da sé, ma da Dio” ed è “ opera di Dio, non il prodotto degli uomini e delle loro capacità”.

La Sacra Tunica – sottolinea il Pontefice – vuole essere “un ammonimento alla Chiesa perché rimanga fedele alle sue origini, si renda consapevole che la sua unità, il suo consenso, la sua efficacia, la sua testimonianza” possono essere “donati solo da Dio”. La Sacra Tunica è il “dono indiviso del Crocifisso alla Chiesa”, che il Signore “ha santificato con il suo sangue”.
Il Papa sa bene che spesso sono fragili vasi a portare “il tesoro che il Signore ci ha affidato nella sua Chiesa, e come, a causa del nostro egoismo, delle nostre debolezze ed errori, viene ferita l’integrità del Corpo di Cristo”. E’ necessaria una “costante disposizione alla conversione e all’umiltà per essere discepoli del Signore con amore e con verità”.


sabato 14 aprile 2012

Preti pedofili,le norme per combattere gli abusi - Massimo Introvigne

La Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) ha reso pubblica il 16 maggio l’attesa «Lettera circolare per aiutare le Conferenze Episcopali nel preparare Linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici». Il documento contiene pure una breve storia della risposta della Chiesa alla cosiddetta crisi dei preti pedofili, a proposito della quale non sempre le informazioni che circolano sono precise. Si sente dire infatti spesso che la Chiesa fa troppo poco e che mancano norme precise per reprimere i casi di abusi su minori, che non sono peraltro tutti casi di «pedofilia», dal momento che per definizione medica e giuridica pedofilo è chi abusa di un minore prima della pubertà. Il parroco che scappa con la parrocchiana – o il parrocchiano – di diciassette o sedici anni è certo colpevole, ma non è un pedofilo.

Ma è vero che le norme della Chiesa sono insufficienti? Il documento non ricostruisce la storia precedente al 2001 – su cui pure ci sarebbe molto da dire – ma parte dal motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela del 2001 del beato Giovanni Paolo II (1920-2005), con il quale, come ricorda ora la Lettera, «l’abuso sessuale di un minore di 18 anni commesso da un chierico venne inserito nell'elenco dei delicta graviora riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede [CDF]. La prescrizione per questo delitto venne fissata in 10 anni a partire dal compimento del 18° anno di età della vittima». Attenzione: dieci anni non dal delitto, ma da quando la vittima compie diciotto anni. Ciò significa che un sacerdote che abusava di un bambino di cinque anni poteva essere perseguito secondo la norma del 2001 fino a quando la sua vittima avesse compiuto ventotto anni (diciotto anni più dieci), cioè fino a ventitré anni dopo il crimine, termine di prescrizione lunghissimo rispetto a quanto esiste nelle leggi penali degli Stati. L’intervento della Congregazione per la Dottrina della Fede mirava poi a rendere l’azione contro i colpevoli non più blanda, ma più rigida, superando un certo malinteso buonismo purtroppo diffuso in qualche diocesi.

Ricorda poi la Lettera che «nel 2003, l’allora Prefetto della CDF, il Card. Ratzinger, ottenne da Giovanni Paolo II la concessione di alcune facoltà speciali per offrire maggiore flessibilità nelle procedure penali per i delicta graviora, fra cui l’uso del processo penale amministrativo e la richiesta della dimissione ex officio nei casi più gravi». Questa precisazione non ha un puro valore storico, ma è importante a fronte di autentiche sciocchezze come quelle del documentario della BBC del 2006 Sex Crimes and the Vatican, lanciato in Italia nel 2007 dalla trasmissione Annozero di Michele Santoro, dove si sostiene che il cardinale Ratzinger si sarebbe adoperato per rendere la vita più facile ai preti pedofili. Come la Lettera ci ricorda, è precisamente il contrario. Come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’attuale Pontefice fu severissimo, e non cessò d’inasprire le misure repressive.

Un’opera, sottolinea ancora la Lettera, che ha continuato da Pontefice, con la «revisione del motu proprio approvata dal Santo Padre Benedetto XVI il 21 maggio 2010. Nelle nuove norme, la prescrizione è di 20 anni, che nel caso di abuso su minore, si calcolano a partire dal compimento del 18° anno di età della vittima. La CDF può eventualmente derogare alla prescrizione in casi particolari. Venne anche specificato il delitto canonico dell’acquisto, detenzione o divulgazione di materiale pedopornografico». Ci vuole sempre un po’ di attenzione per capire bene il discorso sulla prescrizione. Ora gli anni non sono più dieci ma venti, sempre calcolati non dall’abuso ma dal giorno in cui la vittima compie diciotto anni. Chi abusa di un bambino di cinque anni nel 2011 potrà dunque essere perseguito ancora nel 2044, trentatré anni (tredici perché la vittima compia diciotto anni più venti) dopo i fatti, un termine non solo lunghissimo ma del tutto inaudito in altri ordinamenti, tranne quelli dove la prescrizione semplicemente non c’è. Anche nella repressione di chi scarica materiale pornografico con minori da Internet la Chiesa è più avanti di tanti Stati.

La Lettera non contiene in realtà una disciplina nuova rispetto alla normativa introdotta nel 2010. Vuole piuttosto fornire indicazioni pratiche, tenendo conto dell’esperienza maturata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e degli interventi di Benedetto XVI, in particolare della Lettera ai cattolici dell’Irlanda del 2010 e dei discorsi in occasione di diversi viaggi apostolici. La Lettera riprende le idee delle «Linee guida» che le Conferenze Episcopali dovranno mettere a punto per affrontare il problema nelle diverse situazioni locali – alcune, per esempio in Germania e negli Stati Uniti, lo hanno già fatto – e fissa una data precisa entro la quale questi documenti nazionali dovranno essere inviati alla Congregazione per la Dottrina della Fede: il 31 maggio 2012. La Lettera è però molto attenta nel ribadire più volte che le «Linee guida» non sono un incoraggiamento alle Conferenze Episcopali perché esautorino a favore di organismi burocratici nazionali i superiori degli ordini religiosi o i singoli vescovi. Nulla di tutto questo. Al contrario, il documento ribadisce che «la responsabilità nel trattare i delitti di abuso sessuale di minori da parte dei chierici appartiene in primo luogo al Vescovo diocesano».

Le «Linee guida», afferma la Lettera seguendo il Magistero di Benedetto XVI sul punto, dovranno coprire cinque diverse aree. La prima è quella dell’«assistenza spirituale e psicologica» alle vittime. La Lettera ricorda che «nel corso dei suoi viaggi apostolici, il Santo Padre Benedetto XVI ha dato un esempio particolarmente importante con la sua disponibilità ad incontrare ed ascoltare le vittime di abuso sessuale. In occasione di questi incontri, il Santo Padre ha voluto rivolgersi alle vittime con parole di compassione e di sostegno, come quelle contenute nella sua Lettera Pastorale ai Cattolici d’Irlanda (n.6): “Avete sofferto tremendamente e io ne sono veramente dispiaciuto. So che nulla può cancellare il male che avete sopportato. È stata tradita la vostra fiducia, e la vostra dignità è stata violata”».

Il secondo punto è la protezione dei minori. «In alcune nazioni – nota il documento – sono stati iniziati in ambito ecclesiale programmi educativi di prevenzione, per assicurare “ambienti sicuri” per i minori. Tali programmi cercano di aiutare i genitori, nonché gli operatori pastorali o scolastici, a riconoscere i segni dell’abuso sessuale e ad adottare le misure adeguate. I suddetti programmi spesso hanno meritato un riconoscimento come modelli nell’impegno per eliminare i casi di abuso sessuale nei confronti di minori nelle società odierne». Vi è qui l’importante notazione che i programmi – così come la normativa canonica – funzionano. A partire dallo scorso decennio in Paesi come gli Stati Uniti il numero di nuovi casi di abuso – da non confondere con casi precedenti che arrivano nei tribunali con tutte le lentezze della giustizia o sono «riscoperti», qualche volta maliziosamente, da inchieste giornalistiche – è diminuito in modo molto significativo.

Terzo: occorre prestare la massima attenzione alla formazione dei futuri sacerdoti e religiosi, «in vista di un corretto discernimento vocazionale e di una sana formazione umana e spirituale dei candidati. In particolare si farà in modo che essi apprezzino la castità e il celibato e le responsabilità della paternità spirituale da parte del chierico e possano approfondire la conoscenza della disciplina della Chiesa sull’argomento». Il riferimento alle «istruzioni dei Dicasteri competenti della Santa Sede» in effetti rimanda implicitamente all’Istruzione della Congregazione per l'Educazione Cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri, del 4 novembre 2005, integrata con gli Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio, del 29 giugno 2008. Ci si può chiedere, al proposito, se sia sempre rispettata nei seminari l’indicazione ribadita nel documento del 2008 secondo cui nel caso di «identità sessuale incerta [o] tendenze omosessuali fortemente radicate» «il cammino formativo dovrà essere interrotto»: un’indicazione, sia chiaro, che non implica affatto che tutti i seminaristi omosessuali siano pedofili ma tiene conto di statistiche secondo cui la maggioranza dei sacerdoti pedofili abusano di bambini e non di bambine, e mira in ogni caso a ripristinare un corretto rapporto con la nozione, ora ribadita dalla Lettera, di «paternità spirituale» così come la intende la Chiesa.

Quarto: l’accompagnamento dei sacerdoti. Finito il seminario non sono purtroppo finiti i problemi. La Lettera ribadisce il dovere di vigilanza dei vescovi, ma – con una sottolineatura maggiore rispetto a precedenti documenti – dedica spazio anche ai sacerdoti accusati ingiustamente. Non solo ribadisce che «il chierico accusato gode della presunzione di innocenza, fino a prova contraria» e vuole che «l’indagine sulle accuse sia fatta con il dovuto rispetto al principio della privacy e della buona fama delle persone», ma chiede pure che «già in fase di indagine previa, il chierico accusato sia informato delle accuse con l’opportunità di rispondere alle medesime», che «in ogni momento delle procedure disciplinari o penali sia assicurato al chierico accusato un sostentamento giusto e degno», e che «si faccia di tutto per riabilitare la buona fama del chierico che sia stato accusato ingiustamente». La nuova sottolineatura appare opportuna a fronte, ormai, di centinaia di casi nel mondo – soprattutto nei Paesi dove la caccia al prete pedofilo,vero o presunto, è diventata per alcuni studi legali un’attività a tempo pieno e milionaria – di sacerdoti accusati ingiustamente e poi tardivamente riabilitati.

Il quinto punto, il più delicato, riguarda «la cooperazione con le autorità civili». Posto che «l’abuso sessuale di minori non è solo un delitto canonico, ma anche un crimine perseguito dall’autorità civile», la Lettera stabilisce che «sebbene i rapporti con le autorità civili differiscano nei diversi Paesi, tuttavia è importante cooperare con esse nell’ambito delle rispettive competenze. In particolare, va sempre dato seguito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale. Naturalmente, questa collaborazione non riguarda solo i casi di abusi commessi dai chierici, ma riguarda anche quei casi di abuso che coinvolgono il personale religioso o laico che opera nelle strutture ecclesiastiche».
Troppo poco? Parlando di «eventuale obbligo di avvisare le autorità civili», così che in alcuni Paesi le «Linee guida» potrebbero non prevedere o attenuare tale obbligo, la Lettera invita a «tener conto della legislazione del Paese della Conferenza». In alcuni Paesi riferendo incautamente informazioni private all’autorità civile i vescovi potrebbero addirittura violare la legge. In altri Paesi, regimi totalitari usano abitualmente il pretesto della pedofilia per colpire sacerdoti scomodi. La prudenza nell’adattarsi alle situazioni locali è dunque d’obbligo, ma non toglie che lo spirito e la lettera del documento prevedano come regime normale la collaborazione con le autorità civili. Questa collaborazione sta dando anch’essa frutti.

In Italia proprio in concomitanza con la Lettera è scoppiato il caso di Genova. Pensando male, in un Paese come il nostro che ha inventato l’espressione «giustizia a orologeria», si potrebbe dire che non è scoppiato proprio ora per caso: ovviamente quanto ai tempi dell’arresto in un’indagine che durava da mesi, non ai fatti in sé dove sul sacerdote arrestato sembrano purtroppo pesare gravi indizi che giustificano le accorate parole del cardinale Bagnasco. Guardando tuttavia al quadro generale, le misure prese dalla Chiesa si rivelano efficaci e nei Paesi un tempo più colpiti, a cominciare dagli Stati Uniti, i casi – come si è accennato – diminuiscono. Qualche sacerdote, e anche qualche vescovo che non interviene tempestivamente, continua a sbagliare. Come ha scritto Benedetto XVI nella Lettera ai cattolici dell’Irlanda è importante che i fedeli sappiano che gli errori e gli abusi derivano dalla violazione delle norme del diritto canonico, non dalle norme stesse, che sono spesso più severe di quelle delle leggi civili e che la Chiesa si sforza di migliorare e rafforzare continuamente.

(Massimo Introvigne)
16 maggio 2011

venerdì 13 aprile 2012

Una bacinella di acqua pulita - Madre Teresa di Calcutta

Lo scaricano dal carretto e a braccia lo portarono nella baracca. Guaiva come un cucciolo. Se avesse avuto più forza avrebbe urlato, perché il cancro stava divorando metà del suo corpo.

Gli ammalati, sui pagliericci intorno, cominciarono a brontolare. Qualcuno alzò la voce:

- Ma non sentite che puzza? Portatelo fuori.

Una donna esile, vestita di un sari bianco, si avvicinò con una bacinella e delle bende. Ma il tanfo terribile che emanava da quelle piaghe la fece impallidire. Se ne andò di corsa, prima di svenire. Il brontolio dei malati si fece minaccioso:
-Portate fuori quella carogna. Lasciateci morire in pace..

Reggendolo per le mani e per i piedi, tre suore lo portarono nella baracchetta posta a nord, sempre in ombra e fresca. La stanza dei cadaveri. Lo posero sul pavimento. Madre Teresa vide che le altre due non ce la facevano più e disse:
-Portatemi una bacinella di acqua pulita, poi andate dagli altri.

Adagio cominciò a lavare le piaghe orrende, accompagnata da quel guaito lungo, interrotto solo da un ansare affannoso, disperato.
A un tratto gli occhi, che fino allora avevano fissato senza vedere niente, si fermarono su di lei. Il guaito cessò. Il moribondo cercava qualche parola:

-Dove sono?... Chi sei… Come fai a sopportare questa puzza nauseante?
Non è niente – lei rispose – in confronto al male che sopporti tu.

La morte arrivò verso sera. Madre Teresa era ancora lì a reggere la testa, a dire parole di speranza. Quell’uomo (di cui nessuno sa il nome) riuscì ancora a dire:
-Tu sei diversa dalle altre. Ti ringrazio.

E lei:
-Sono io che ringrazio te, che soffri con Cristo.


Fonte: “Madre Teresa di Calcutta”, Teresio Bosco,pagg. 2 e 3, Ed. Elledici 1991

martedì 10 aprile 2012

Le beatitudini oggi - don Tonino Bello


 [1]Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli.
[2]Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
[3]"Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
[4]Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
[5]Beati i miti, perché erediteranno la terra.
[6]Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
[7]Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
[8]Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
[9]Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
[10]Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
[11]Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
[12]Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.

Matteo 5, 1-12



 Beati: provocazione all'impegno

Che cosa significhi il termine "beati" è difficile spiegarlo.
C'è chi ha voluto specularci sopra, capovolgendo addirittura il senso delle parole del Signore per utilizzarle a scopi di imbonimento sociale. Quasi Gesù avesse inteso dire: state buoni, poveri, perché la misura della vostra felicità futura sarà inversamente proporzionale alla misura della vostra felicità presente. Anzi, quante più sofferenze potete collezionare in questa vita, tanto più vi garantite il successo nell'altra.
E' questo un modo blasfemo di leggere le beatitudini, perché spinge i poveri all'inerzia, narcotizza i diseredati della terra con le lusinghe dei beni del cielo, contribuisce a mantenere in vigore un ordine sociale ingiusto e, in un certo senso, legittima la violenza di chi provoca il pianto degli oppressi dal momento che a costoro, proprio per mezzo delle lacrime, viene offerto il prezzo per potersi pagare, in contanti, il regno di Dio. C'è invece, chi ha visto nella formulazione delle beatitudini un incoraggiamento rivolto ai poveri, agli afflitti, agli umili, ai piangenti, ai perseguitati… per sostenerli con la speranza dei beni del cielo. Quasi Gesù avesse inteso dire: se a un certo punto vi sentite sfiniti per le ingiustizie che patite, tirate avanti lo stesso e consolatevi con le promesse della felicità futura. Guardate a quel che vi toccherà un giorno, e questo miraggio di beatitudine vi spronerà a camminare, così come il desiderio del riposo accelera e sostiene i passi di chi, stanchissimo, sta tornando verso casa.
Anche questo è un modo stravolto di leggere le beatitudini. Meno delittuoso del primo, ma pur sempre alienante e banale. Perché punta sull'idea della compensazione. Perché con la lusinga della meta, non spinge la gente a mutare le condizioni della strada. Perché se non proprio a rassegnarsi, induce a relativizzare la lotta, ad arrendersi senza troppa resistenza, a vedere i segni della ineluttabilità perfino dove sono evidenti le prove della cattiveria umana e a leggere i soprusi dell'uomo come causa di forza maggiore.
E c'è finalmente, il modo legittimo di leggere le beatitudini. Che consiste, essenzialmente, nel felicitarsi con i senzatetto e i senza pane, come per dire: complimenti, c'è una buona notizia! Se tutti si son dimenticati di voi, Dio ha scritto il vostro nome sulla palma della sua mano, tant'è che i primi assegnatari delle case del regno siete voi che dormite sui marciapiedi, e i primi a cui verrà distribuito il pane caldo di forno siete voi che ora avete fame.
Felicitazioni a voi che, a causa della vostra mitezza, vi vedete sistematicamente scavalcati dai più forti o dai più furbi: il Signore non solo non vi scavalca nelle sue graduatorie ma vi assicura i primi posti nella classifica generale dei meriti.
Auguri a tutti voi che state sperimentando l'amarezza del pianto e la solitudine dei giorni neri: c'è qualcuno che non rimane insensibile al gemito nascosto degli afflitti, prende le vostre difese, parteggia decisamente per voi, e addirittura si costituisce parte lesa ogni volta che siete perseguitati a causa della giustizia.
Rallegratevi voi che, in un mondo sporco di doppi sensi e sovraccarico di ambiguità camminate con cuore incontaminato, seguendo una logica che appare spesso in ribasso nella borsa valori della vita terrena ma che sarà un giorno la logica vincente.
Su con la vita voi che, sfidando le logiche della prudenza carnale, vi battete con vigore per dare alla pace un domicilio stabile anche sulla terra: non lasciatevi scoraggiare dal sorriso dei benpensanti, perché Dio stesso avalla la vostra testardaggine.
Gioia a voi che prendete batoste da tutte le parti a causa della giustizia: le vostre cicatrici splenderanno un giorno come le stimmate del Risorto!

Perché di essi sarà…

Il significato preciso della parola "beati", comunque, lasciamolo spiegare agli studiosi. Così pure lasciamo agli studiosi la fatica di spiegarci il significato dei destinatari delle beatitudini.
Se i miti, i misericordiosi, i puri di cuore, gli oppressi, gli operatori di pace… siano categorie distinte di persone o variabili dell'unica categoria dei "poveri", ci interessa fino a un certo punto.
E neppure ci interessa molto sapere se i poveri "in spirito" siano una sottospecie aristocratica di miserabili o coincidano con quei poveri banalissimi che ci troviamo ogni giorno tra i piedi.
Tre cose, comunque, ci sembra di poter dire con sicurezza.
Anzitutto, che il discorso delle beatitudini ha a che fare col discorso della felicità. Non solo perché sembra quasi che ci presenti le uniche porte attraverso le quali è possibile accedere nello stadio del regno.
Sicché chi vuole entrare nella "gioia" per realizzare l'anelito più profondo che ha sepolto nel cuore, deve necessariamente passare per una di quelle nove porte: non ci sono altri ingressi consentiti nella dimora della felicità Ma anche perché la croce, la sofferenza umana, la sconfitta… vengono presentate come partecipazione all'esperienza pasquale di Cristo che, attraverso la morte, è entrato nella gloria.
E allora; se il primo titolare delle beatitudini è lui, se è il Cristo l'archetipo sul quale si modellano tutti i suoi seguaci, è chiaro che il dolore dei discepoli, come quello del maestro, è già contagiato di gaudio, il limite racchiude in germe i sapori della pienezza, e la morte profuma di risurrezione!
La seconda cosa che ci sembra di poter affermare è che, in fondo, queste porte, pur differenti per forma, sono strutturate sul medesimo telaio architettonico, che è il telaio della povertà biblica. A coloro che fanno affidamento nel Signore, e investono sulla sua volontà tutte le "chances" della loro realizzazione umana, viene garantita la felicità da una cerniera espressiva che non lascia dubbi interpretativi: "…perché di essi sarà…"
Quel "…perché di essi sarà…" rappresenta il titolo giuridico di possesso incontestabile, che garantisce tutti i poveri nel diritto nativo di avere non solo la "legittima" ma l'intero asse patrimoniale del regno. E' un passaggio indicatore di una disposizione testamentaria così chiara che nessuno può avere il coraggio di impugnare. E', insomma, il timbro a secco che autentica in modo indiscutibile il contenuto di uno straordinario rogito notarile.
La terza cosa che possiamo dire è che, se vogliamo avere parte all'eredità del regno, o dobbiamo diventare poveri, o, almeno, i poveri dobbiamo tenerceli buoni, perché un giorno si ricordino di noi.
Insomma, o ci meritiamo l'appellativo di "beati" facendoci poveri, o ci conquistiamo sul campo quello di "benedetti", amando e servendo i poveri.
Ce lo suggerisce il capitolo venticinque di Matteo, con quel "Venite, benedetti dal Padre mio: ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo".
E' la scena del giudizio finale, pilastro simmetrico a quello delle beatitudini, che sorregge quell'arcata di impegno che ha la chiave di volta nell'opzione dei poveri.

Beati o benedetti

Veniamo a sapere, dunque, che, come titolo valido per l'usufrutto del regno, esiste un'alternativa al titolo di "povertà": quello della "solidarietà" con i poveri. Diventare, cioè, così solidali con loro da esserne il prolungamento. Fare tutt'uno con loro, così da esserne considerati quasi la protesi.
Se si vuole entrare nel regno della felicità perciò occorre vistare il passaporto o col titolo di "beati" o col titolo di "benedetti".
E' splendida l'esortazione che al termine della messa nuziale viene pronunciata sugli sposi: "Sappiate riconoscere Dio nei poveri e nei sofferenti, perché essi vi accolgano un giorno nella casa del Padre".
"Beati… perché di essi sarà …".
"Venite, benedetti, nel regno preparato per voi…"
Non potrà mai dimenticare lo stupore di Mons. Gasparini, vescovo missionario nel Sidamo, quando un giorno, indicandomi un gruppo di bambini etiopi, dagli occhi sgranati per fame, dalle gambe filiformi, devastati dalle mosche sul corpo scheletrito, mi disse quasi sottovoce: "Vedi: che questi bambini siano figli di Dio non mi sorprende più di tanto. E neppure che siano fratelli di Gesù Cristo. Ma ciò che mi sconcerta e mi esalta è che questi poveri siano eredi del paradiso! Sembra un assurdo. Ma è proprio per annunciare quest'assurdo, che sono felice di aver speso tutta la mia vita in mezzo a questa gente".
"Beati… perché di essi…"
"Venite, benedetti, nel regno preparato per voi…".

Il Signore ci conceda che, nel mazzo delle carte d'identità racchiuse da quei due pronomi personali, un giorno, col visto d'ingresso, poco importa se con la sigla "beati" o con la sigla "benedetti", egli possa trovare anche la nostra.
E ci riconosca.
Alle porte del regno.

 (don Tonino Bello)
Fonte: Alle porte del Regno

lunedì 9 aprile 2012

La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa? - Papa Benedetto XVI


“…La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa? Vogliamo credere agli autori di tale appello, quando affermano di essere mossi dalla sollecitudine per la Chiesa; di essere convinti che si debba affrontare la lentezza delle Istituzioni con mezzi drastici per aprire vie nuove – per riportare la Chiesa all’altezza dell’oggi. Ma la disobbedienza è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto di ogni vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee? (…) Ma non semplifichiamo troppo il problema. Cristo non ha forse corretto le tradizioni umane che minacciavano di soffocare la parola e la volontà di Dio? Sì, lo ha fatto, per risvegliare nuovamente l’obbedienza alla vera volontà di Dio, alla sua parola sempre valida. A Lui stava a cuore proprio la vera obbedienza, contro l’arbitrio dell’uomo. E non dimentichiamo: Egli era il Figlio, con l’autorità e la responsabilità singolari di svelare l’autentica volontà di Dio, per aprire così la strada della parola di Dio verso il mondo dei gentili. E infine: Egli ha concretizzato il suo mandato con la propria obbedienza e umiltà fino alla Croce, rendendo così credibile la sua missione. Non la mia, ma la tua volontà: questa è la parola che rivela il Figlio, la sua umiltà e insieme la sua divinità, e ci indica la strada. (…) Chi guarda alla storia dell’epoca post-conciliare, può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibili l’inesauribile vivacità della santa Chiesa, la presenza e l’azione efficace dello Spirito Santo. E se guardiamo alle persone, dalle quali sono scaturiti e scaturiscono questi fiumi freschi di vita, vediamo anche che per una nuova fecondità ci vogliono l’essere ricolmi della gioia della fede, la radicalità dell’obbedienza, la dinamica della speranza e la forza dell’amore”.

(Benedetto XVI, omelia del Giovedì Santo, 5 aprile 2012)
 “A partire da Paolo, lungo tutta la storia ci sono state continuamente tali “traduzioni” della via di Gesù in vive figure storiche. Noi sacerdoti possiamo pensare ad una grande schiera di sacerdoti santi, che ci precedono per indicarci la strada: a cominciare da Policarpo di Smirne ed Ignazio d’Antiochia attraverso i grandi Pastori quali Ambrogio, Agostino e Gregorio Magno, fino a Ignazio di Loyola, Carlo Borromeo, Giovanni Maria Vianney, fino ai preti martiri del Novecento e, infine, fino a Papa Giovanni Paolo II che, nell’azione e nella sofferenza ci è stato di esempio nella conformazione a Cristo, come “dono e mistero”. I Santi ci indicano come funziona il rinnovamento e come possiamo metterci al suo servizio. E ci lasciano anche capire che Dio non guarda ai grandi numeri e ai successi esteriori, ma riporta le sue vittorie nell’umile segno del granello di senape”.
(Benedetto XVI, omelia del Giovedì Santo, 5 aprile 2012)

Nell’omelia il Papa sottolinea la “situazione spesso drammatica della Chiesa di oggi”.
Nella “situazione drammatica” che sta attraversando la Chiesa non ci interessano i cattivi maestri. Oggi, più di sempre, seguiamo con fedeltà umile e filiale il successore di Pietro e i testimoni (veri) da lui indicati.