Martedì 19 aprile 2005, dopo aver pronunciato la parola «accetto», diventando così il 264° successore di Pietro, Ratzinger spiegò ai cardinali che l’avevano eletto le ragioni della scelta del nome: disse che sceglieva Benedetto per ciò che la figura del grande patrono d’Europa aveva significato, ma anche perché l’ultimo Papa a prendere questo nome, Benedetto XV – al secolo Giacomo Della Chiesa – si era adoperato per la pace e non aveva avuto un pontificato lungo. Un importante porporato curiale, alla fine del conclave, pronosticò che il nuovo Pontefice non sarebbe durato più di due anni. Questa settimana entra invece nell’ottavo anno un pontificato che già da tempo non può più dirsi di transizione, con ancora molti lavori in corso.
Ratzinger soffre di artrosi, ha qualche problema all’anca destra, ha deciso di riesumare la pedana mobile usata negli ultimo anni dal suo predecessore per spostarsi. Ma tutto sommato sembra avere problemi minori di quelli che affliggono la maggior parte dei suoi coetanei. E nonostante qualche collaboratore gli consigli di rallentare con i viaggi, è appena tornato da una faticosa trasferta in Messico e Cuba, in giugno sarà a Milano per tre giorni e dopo l’estate si recherà in Libano. L’anno prossimo è prevista la sua presenza in Brasile per la Giornata mondiale della Gioventù, e non è stato ancora del tutto escluso un viaggio in Asia. Anche la produzione libraria non si ferma: a completare la trilogia dedicata a Gesù si attende, forse già per il prossimo dicembre, un terzo volume dedicato all’infanzia del Nazareno.
Certo, il pontificato di Benedetto XVI è stato costellato da problemi e da crisi. La più grave tra quelle che sembrano in via di superamento è legata allo scandalo della pedofilia, fenomeno che il Papa ha combattuto con fermezza.
Mentre tra quelle ancora aperte vi è il dissenso dilagante tra i sacerdoti che aderiscono agli appelli «alla disobbedienza» in Austria, Germania, Belgio e Irlanda. I prossimi giorni saranno decisivi per la possibile soluzione di un’altra crisi, quella con i lefebvriani: l’accordo che chiude la ferita aperta dal 1988 sarebbe il certamente il regalo di compleanno più gradito per un Papa che predica la riconciliazione ma finisce per essere criticato sia da sinistra che da destra. Da chi non gli perdona di aver teso la mano ai tradizionalisti e di aver detto che il Concilio Vaticano II non ha cambiato la fede cattolica, come da certi «ratzingeriani» che vorrebbero vederlo usare il «pugno di ferro» contro il dissenso.
(Andrea Tornielli)
fonte: http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/14333/
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