domenica 25 dicembre 2011

Buon Natale 2011

 
In questo mondo sempre più tecnologico e dove sembra sempre più semplice comunicare, quello che forse manca oggi è proprio la reale comunicazione umana.
Ed è proprio questo il motivo per cui la gente è sempre più sola. In questo contesto, dove è difficile dare un reale consiglio sul futuro per chi si affaccia alla vita, mi viene in mente di proporre una frase di un medico missionario, che credo possa aiutare tutti noi a ritrovare la via:

“Non so quale sarà il vostro destino, ma la sola cosa certa che so
è che gli unici fra di voi che saranno realmente felici, sono
coloro che hanno cercato e trovato come adoperarsi per gli altri”.

~Albert Schweitzer ~ 

Tanti Auguri di Buon Natale
Stefania by Buonenotizienews



In this technologic world, here the communication seems to becoming easier and easier, it is probably the real human communication the one thing that we miss the most. This is the reason why people feel more and more lonely. In this contest where it’s really hard to give a good advise to who just entered this world  about the future   what it comes to my mind is a phrase from a missionary doctor, which I think could help all of us to find the way again:

“I don’t know what your destiny will be, but the one thing I do know:
the only ones among you who will be really happy are those who
will have  sought and found how to serve”
~Albert Schweitzer ~

Merry Christmas
Stefania by Buonenotizienews

sabato 24 dicembre 2011

A voi inquieti di Dio.... - don Tonino Bello

E ora, visto che mi sono messo ad assicurare preghiere un po' per tutti,
vorrei rivolgermi anche a voi che,
pur non essendovi mai allontanati da Dio,
non riuscite ugualmente a trovargli posto nella vostra vita.

Per sé parrebbe un controsenso.
Perché Dio è la fontana della Pace,
e chi si lascia da lui possedere non può soffrire i morsi dell'inquietudine.
Però sta di fatto che, o per difetto di affido alla sua volontà,
o per eccesso di calcolo sulle proprie forze,
o per uno squilibrio di rapporti tra debolezza e speranza,
o chi sa per quale misterioso disegno,
è tutt’altro che rara la coesistenza di Dio con l’insoddisfazione cronica dello spirito.

Mi rivolgo perciò a voi, icone sacre dell’irrequietezza,
per dirvi che un piccolo segreto di pace ce l’avrei anch’io da confidarvelo.

A voi, per i quali il fardello più pesante che dovete trascinare siete voi stessi.
A voi, che non sapete accettarvi e vi crogiolate nelle fantasie di un vivere diverso.
A voi, che fareste pazzie per tornare indietro nel tempo e dare un’altra piega all’esistenza.
A voi, che ripercorrete il passato per riesaminare mille volte gli snodi fatali delle scelte che oggi rifiutate.
A voi, che avete il corpo qui, ma l’anima ce l’avete altrove.
A voi, che avete imparato tutte le astuzie del «bluff» perché sapete che anche gli altri si sono accorti della vostra perenne scontentezza, ma non volete farla pesare su nessuno e la mascherate con un sorriso quando, invece, dentro vi sentite morire.
A voi, che trovate sempre da brontolare su tutto,
e non ve ne va mai a genio una,
e non c’è bicchiere d’acqua limpida che non abbia il suo fondiglio di detriti.
A tutti voi voglio ripetere: non abbiate paura.

La sorgente di quella pace, che state inseguendo da una vita,
mormora freschissima dietro la siepe delle rimembranze presso cui vi siete seduti.
Non importa che, a berne, non siate voi.
Per adesso, almeno.
Ma se solo siete capaci di indicare agli altri la fontana,
avrete dato alla vostra vita il contrassegno della riuscita più piena.

Perché la vostra inquietudine interiore si trasfigurerà in «prezzo da pagare» per garantire la pace degli altri.
O, se volete, non sarà più sete di «cose altre», ma bisogno di quel «totalmente Altro» che, solo,
può estinguere ogni ansia di felicità.
Vi auguro che stasera, prima di andare a dormire,
abbiate la forza di ripetere con gioia le parole di Agostino, vostro caposcuola:
«O Signore, tu ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te».

Buona notte.

(don Tonino Bello) 



mercoledì 21 dicembre 2011

Nulla è impossibile a Dio - Omelia Di S.E.R. card. Angelo Scola - VI Domenica d ‘Avvento

      ARCIDIOCESI DI MILANO

      CURIA ARCIVESCOVILE

UFFICIO PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI

      
Duomo di Milano

   18 Dicembre 2011
     Solennità dell’Incarnazione o
della Divina Maternità della Beata Vergine Maria
 
Omelia Di S.E.R. card. Angelo Scola

     Arcivescovo di Milano

      “Nulla è impossibile a Dio"

      VI Domenica d ‘Avvento


1. Oggi la Chiesa ambrosiana, facendoci meditare sulla divina maternità della Beata Vergine Maria, rende più intensa la nostra attesa del Santo Natale ormai imminente. Il brano del Vangelo di Luca narra l’evento spartiacque della storia: l’annuncio dell’incarnazione del Figlio di Dio è infatti il varco che il Padre celeste ha aperto alla libertà umana verso il suo Disegno (Mistero). Lo conferma il n. 484 del Catechismo della Chiesa Cattolica,  «l’Annunciazione a Maria inaugura la “pienezza del tempo” (Gal 4,4), cioè il compimento delle promesse e delle preparazioni. Maria è chiamata a concepire colui nel quale abiterà “corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9)». Tutto il mondo divino e tutto il mondo creato, vale a dire tutto l’essere, è ricapitolato (sintetizzato) in Cristo risorto.
La venuta del Signore è prefigurata dalla Prima Lettura. Il brano del Libro del profeta Isaia annuncia, con ritmo marziale e gioioso, l’ingresso trionfale del salvatore in Gerusalemme: «Passate, passate per le porte, sgombrate la via al popolo, spianate, spianate la strada, liberatela dalle pietre, innalzate un vessillo per i popoli. Ecco ciò che il Signore fa sentire all'estremità della terra: “Dite alla figlia di Sion: Ecco, arriva il tuo salvatore”» (Prima Lettura, Is 62,10-11).

2. Nell’imminenza del Santo Natale la liturgia esulta e ci esorta alla letizia: «Rallegrati popolo santo, viene il tuo salvatore», canta il Salmo responsoriale. Ad esso fa eco anche il primo saluto dell’Angelo a Maria: «Rallégrati» (Vangelo, Lc 1,28). E san Paolo insiste: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. Il Signore è vicino» (Epistola, Fil 4,4-5). Non si tratta, però, di una gioia precaria come i nostri stati d’animo. Né costruita con le nostre mani, come ci ha ricordato domenica scorsa il Papa all’Angelus. Ma di «un dono, [“uno scambio di doni” (Alla Comunione) che] nasce dall’incontro con la persona viva di Gesù, dal fargli spazio in noi» (Benedetto XVI, Angelus, 11 dicembre 2011). La gioia indistruttibile del sapersi definitivamente amati: «Tu sarai chiamata Ricercata, Città non abbandonata» (Prima Lettura, Is 62,12), e custoditi: «e la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù» (Epistola, Fil 4,7), perché «nulla è impossibile a Dio» (Vangelo, Lc 1,37). Una gioia che non ha bisogno di censurare il dolore e la drammaticità dell’umana esistenza (cf. Prima Lettura, Is 63,1-2), Come ci richiama la scena in rosso violento (vino/sangue) descritta da Isaia neli ultimi versetti del passaggio ascoltato: "Chi è Costui che viene da Edom, da Bozra con le vesti tinte di rosso? Perchè è rossa la tua veste?" (Prima Lettura, Is 63,1-2) 


3. Dell’ineludibile dramma della libertà è tutta tramata la scena dell’Annunciazione presentataci da San Luca. Con essa dobbiamo immedesimarci, qui ed ora, evitando un ascolto scontato e perciò sterile. Ogni dettaglio è significativo e “spiazzante” la nostra misura, a partire dal luogo in cui avviene: l’Angelo fu mandato «in una città della Galilea, chiamata Nàzaret» (Vangelo, Lc 1,26), un villaggio piccolo (cf. Gv 1,46) alla periferia del mondo che conta, vicino alla bella città greco-romana di Sipporis. La protagonista è una giovane donna, Maria, «promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe» (Lc 1,27).
«Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28): piena di grazia, nel testo greco, è un participio passato passivo e andrebbe tradotto con “riempita di grazia”. Con un nuovo appellativo (“riempita di grazia”, “trasformata dalla grazia”) l’Angelo si rivolge a Maria. Il nome, nella mentalità semitica, indica la missione. Così egli le schiude davanti un compito. E Maria vuol capire: «Ella fu molto turbata si domandava che senso avesse un saluto come questo» (Lc 1,29). Tutta l’ampiezza e il fascino dell’umano conoscere sono qui messi in campo. In una società come la nostra in cui espressioni come “libertà di giudizio” o “spirito critico” sono quasi luoghi comuni purtroppo usurati che rischiano di venire seppelliti dal nominalismo, guardare alle mosse di questa giovane donna, oltre che ridarci il gusto di una boccata di aria pura, ci indica un cammino realistico per la vita quotidiana. Le tre mosse della libertà di Maria - la domanda sul senso («si chiedeva che senso avesse tale saluto» Lc 1,29), la domanda sulla fattibilità («Come avverrà questoLc 1,34) e finalmente l’adesione piena e convinta («avvenga per me secondo la tua parola» Lc 1,38) - dicono una personalità matura e responsabile, veramente dotata di spirito critico.
Maria è un paradigma, un modello più che mai efficace per noi uomini post-moderni. È questo genere di libertà che spesso ci manca, ad essere chiamato in causa nell’attuale delicato frangente di transizione epocale, nel travaglio dell’inizio del Terzo millennio entro cui affrontare la grave crisi economico-finanziaria. Il domani avrà un volto nuovo se rifletterà la speranza di oggi, il cui soggetto proprio può essere solo una libertà creativa come quella della Madonna.
La fisionomia di questo tipo umano, di questo stile di vita ormai improcrastinabile, è esplicitata nell’Epistola: «Quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è qualche virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri» (Epistola, Fil 4,8). Paolo si ispira alla filosofia stoica dell’epoca, ma il suo invito assume ben altro peso perché incita i cristiani di Filippi ad imitarlo («Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica, Fil 4,9). Li urge, ci urge, a metterci in gioco in prima persona come seguaci di Cristo e come membri della famiglia umana. Non basta parlare di valori, è necessario “fare e far fare” esperienza di valori. In questa prospettiva integrale spalancata dal cristianesimo, religione dell’incarnazione, i cristiani sono chiamati ad essere cittadini del mondo. Anzi - come scrive Péguy - essi «Sono eredi degli antichi civici, universalmente, eternamente civici».
Il Vangelo di oggi documenta quindi il fondamento della nostra speranza affidabile: alla totale iniziativa di Dio corrisponde la totale libertà della Vergine. Questo è il segreto della vita cristiana: 100% grazia e 100% libertà.
La nostra libertà ha sempre una forma “mariana”. Lo documenta un poeta inglese della seconda metà dell’800, Gerard Manley Hopkins. Convertitosi al cattolicesimo anche grazie alla testimonianza del Beato Newman e con una vita molto tormentata, scrisse una poesia che intitolò, con un’intuizione fulminante, alla Vergine paragonata all’aria che respiriamo. In essa si legge: «Aria selvaggia, aria che è al mondo madre/ che m’abbraccia da ogni dove …/colei che non solo/ rese all'infinità di Dio diminuita ad infanzia/ il benvenuto in grembo e in seno/ nascita, latte e tutto il resto/ ma diede vita ad ogni nuova grazia/ che ora giunge alla nostra stirpe».
Il popolo cristiano ha sempre avuto chiara coscienza della potente intercessione di Maria Santissima. In questa settimana che ci separa dal Natale recuperiamo la bella tradizione di scandire il tempo della nostra giornata - mattina, mezzogiorno e sera - con la preghiera dell’Angelus. Impegniamoci inoltre, entro il Tempo di Natale, a compiere di persona qualche atto di reale condivisione del bisogno altrui.
La Cappella canterà allo Spezzare del pane: “L’Angelo as-sicura il cuore della Vergine”. Questa Eucaristia as-sicuri il nostro cuore nel quotidiano impegno della nostra libertà. Amen
                                         

domenica 18 dicembre 2011


Carissimi amici ed amiche,
come avrete visto o letto sul bollettino settimanale,   la Parrocchia San Pio V e Santa Maria di Calvairate in Milano, si è dotata di un nuovo e più moderno strumento di comunicazione: un sito internet  http://www.spiovmi.it/

D’ora in avanti tutte le notizie, gli avvenimenti, gli  avvisi, le foto, etc. che riguardano la parrocchia di San Pio V,  verranno pubblicate sul sito, a cura di un gruppo di volontari.
Questo blog  non chiude, perché ha rappresentato un piccolo pezzo della nostra storia parrocchiale.

Si aprirà però a nuovi orizzonti.

Aspetto i vostri suggerimenti .
Un abbraccio.

Stefania


lunedì 12 dicembre 2011

Il Precursore - Omelia di S.E.R. card. Angelo Scola - V domenica di Avvento

ARCIDIOCESI DI MILANO
CURIA ARCIVESCOVILE
 
UFFICIO PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI

                    Duomo di Milano
                     11 Dicembre 2011
    Omelia Di S.E.R. card. Angelo Scola
                 Arcivescovo di Milano
                “In mezzo a voi sta uno
                che voi non conoscete!"
               V Domenica d ‘Avvento 


1. Il precursore, secondo il trasparente significato etimologico, è colui che "correndo precede un altro per annunciarne l'arrivo". Questo è il titolo con cui la liturgia ambrosiana identifica questa V domenica di Avvento.
Il santo Vangelo ci presenta la figura di Giovanni Battista al centro di una serrata inchiesta da parte di sacerdoti e leviti (Vangelo, Gv 1,12) e da parte dei farisei (Vangelo, Gv 1,24). La figura del Precursore occupa tutto il brano odierno immediatamente successivo al Prologo, brano tratto dal primo capitolo del Vangelo di Giovanni, che dà inizio alla settimana inaugurale della rivelazione di Gesù. Nel Vangelo di oggi i
riflettori sono dunque puntati direttamente sul Precursore ma, attraverso le sue dirette ed inequivocabili risposte, finiscono su Gesù, il Messia, il già Presente: «colui - dice Giovanni - che viene dopo di me» (Vangelo, Gv 1, 27), ed era prima di me (Vangelo, Gv 1,15c).
Nelle domande rivolte al Battista è racchiusa, secondo un incalzante crescendo, tutta l'attesa messianica delle grandi correnti giudaiche (generalmente dei sadducei e dei farisei): « Tu, chi sei? (Vangelo, Gv 1, 19) Sei tu Elia? Sei tu il profeta? (Gv 1,21) Che cosa dici di te stesso? (Gv 1,22) Perché dunque battezzi? (Gv 1,25)». Ma il Precursore, in modo fermo, rifiuta ogni identificazione tra le immagini messianiche tradizionali e la sua persona e missione: «Io non sono il Cristo (Gv 1,20)», «Non sono Elia, non
sono il profeta» (cf. Gv 1,21), «a colui che viene dopo di me... io non sono degno di slegare il laccio del sandalo» (Gv 1,27).
Chi è allora il Precursore?
Giovanni Battista è una cerniera, un ponte tra la promessa dell'Antico Testamento (le meraviglie compiute da Dio con il popolo eletto) e la sua realizzazione nuova e definitiva nel Nuovo Testamento (l'avvenimento del Messia). Egli indica perciò, nella sua stessa persona, l'atteggiamento adeguato all'Avvento: l'attesa della venuta del Signore (prima Domenica dell'Avvento ambrosiano).
Dalla figura e dalla testimonianza del Battista viene a noi oggi un primo importante insegnamento.
Egli rifiuta di identificare la sua persona con le immagini tradizionali del Messia. In tal modo ci indica con chiarezza che l'attesa, per sua natura, non può essere ridotta alle immagini con cui noi la formuliamo. Infatti non si attende qualcosa se già lo si conosce compiutamente. Non sarebbe più attesa. Pensiamo alle immagini con cui i genitori si rappresentano il bimbo che aspettano o ai sogni di cui i giovani rivestono il loro futuro...
Se, in un certo senso, è inevitabile che le nostre immagini/figure tentino di dar forma a ciò che ancora aspettiamo, guai se noi ci arrestassimo ad esse. Esse sono un'apertura a ciò che sta avvenendo, ma solo ciò che accade realmente compie l'attesa. E quando l'avvenimento si attua supera ogni immagine ed inevitabilmente la perfeziona e la corregge.
In questa mancanza di apertura a ciò che sta avvenendo, cioè alla venuta del Figlio di Dio in cui consiste l'autentica attesa, spesso si incaglia la nostra esistenza quotidiana. Diventa asfittica, perde respiro, vittima delle nostre troppo incerte e labili immaginazioni sul futuro.

2. L'attesa per eccellenza rinvia ad un altro da sé: «In mezzo a voi sta uno... che viene dietro di me » (Vangelo, Gv 1,26). È lui la novità, il Verbo di Dio, l'Atteso; il Battista è solo la « voce» (Vangelo, Gv 1,23).
Qui si situa il secondo importante insegnamento dell'odierna liturgia. Se l'attesa è fare spazio al Veniente, questo fare spazio implica il riconoscersi meno che schiavi. Questo vuol dire, anche per la tradizione rabbinica, l'immagine del «non» essere «degno di slegare il laccio del sandalo» (Vangelo, Gv 1,27).
Stiamo vivendo con il cuore pieno di questa autentica attesa la memoria della venuta del Signore nella carne (Natale) e di quella ventura nella gloria alla fine dei tempi?
L'attesa cristianamente intesa è fattore di grande realismo nella nostra vita: situa nella giusta luce affetti, lavoro, riposo, i "fondamentali" dell'esperienza quotidiana.

3. Sorge a questo punto una domanda: "Su cosa possiamo e dobbiamo fondare la nostra attesa se non dobbiamo enfatizzare immagini e figure del futuro?" Abbiamo infatti bisogno di certezza per camminare lungo le vie del travaglio dell'ora presente.
Una prima risposta ci viene offerta, con tratti di potente lirismo, da un passo dal forte valore messianico, sia per la tradizione giudaica, sia per quella cristiana: il brano del profeta Isaia che abbiamo sentito proclamare nella Prima Lettura.
Il regno di Giuda è appena scampato al pericolo della dominazione assira (VIII sec. a.C.). Questo fatto riaccende la speranza nella discendenza davidica: «Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici» (Prima Lettura, Is 11,1). La visione di Isaia presenta una prospettiva ideale di pace universale: «Il lupo dimorerà insieme con l'agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto... Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente
velenoso» (Prima Lettura, Is 11,6 e 8). Solo Dio potrà realizzare un simile disegno.
L'autore della Lettera agli Ebrei propone allora di affidarci direttamente a Colui che ha già inaugurato per noi questa prospettiva, «un sacerdote differente [da quelli dell'Antico Testamento], il quale non è diventato tale secondo una legge prescritta dagli uomini, ma per la potenza di una vita indistruttibile » (Epistola, Eb 7,15-16). Egli ha adempiuto le profezie (Seconda Domenica dell'Avvento ambrosiano). Per questo Gesù garantisce «una alleanza migliore» (Eb 7,22), cioè un rapporto indefettibile tra Dio e l'uomo. Egli, infatti, «possiede un sacerdozio che non tramonta» (Eb 7,24). Da qui il terzo importante insegnamento offertoci dalla liturgia di oggi: Egli può «salvare perfettamente quelli che si avvicinano a Lui» (Epistola, Eb 7,25).

Su Gesù Cristo stesso, passo, morto e risorto per la nostra salvezza possiamo con speranza certa poggiare la nostra attesa di compimento.
La presenza e l'azione di Cristo ci raggiungono per mezzo della liturgia della Sua Chiesa (cfr CCC, 1076). Noi lo attendiamo nella Chiesa perché è già venuto a garanzia del fatto che verrà definitivamente: «La tua famiglia già gusta la gioia della tua presenza» (Orazione dopo la Comunione). «La nostra redenzione è vicina», ci farà dire il Prefazio.
Per questo la partecipazione frequente e consapevole ai sacramenti e agli altri gesti liturgici è la scuola primaria di preghiera.
Il Vangelo di oggi però ci lancia un ammonimento: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete» (Vangelo, Gv 1,26). Questo non conoscere rivolto ai farisei può essere letto come una messa in guardia di fronte alla tentazione di non voler conoscere, di non voler implicarsi con Lui (cf. ad es. Gv 8,19: «Voi non conoscete né me né il Padre, se conosceste me conoscereste il Padre»). Torna qui ancora una volta il dramma della libertà, su cui ci siamo già soffermati altre volte.

4. L'autentica attesa del Signore che viene spalanca la libertà al mondo intero: «In quel giorno avverrà che la radice di Iesse sarà un vessillo per i popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia » (Prima Lettura, Is 11,10). Infatti, come abbiamo visto la Seconda Domenica dell'Avvento ambrosiano, tutti gli uomini e tutti i popoli sono chiamati a diventare "figli del Regno".
La strada perché questa vocazione universale alla salvezza si realizzi ci viene richiamata da Benedetto XVI: «Dio viene conosciuto attraverso uomini e donne che lo conoscono: la strada verso di Lui passa, in modo concreto, attraverso chi l'ha incontrato. Qui il vostro ruolo di fedeli laici è particolarmente importante. [...] Siete chiamati a offrire una testimonianza trasparente della rilevanza della questione di Dio in ogni campo del pensare e dell 'agire. Nella famiglia, nel lavoro, come nella politica e nell 'economia, l'uomo contemporaneo ha bisogno di vedere con i propri occhi e di toccare con mano come con Dio o senza Dio tutto cambia» (Discorso alla Plenaria del Pontificio Consiglio Pro laicis, 25.11.2011).

5. Nel Natale ormai imminente chiediamo che lo Spirito Santo intensifichi in noi l'attesa perché il mondo venga riempito della conoscenza del Signore «come le acque ricoprono il mare» (Prima Lettura, Is 11,9). Amen

mercoledì 7 dicembre 2011

L'ingresso del Messia - Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola - IV Domenica d'Avvento

ARCIDIOCESI DI MILANO
CURIA ARCIVESCOVILE

   UFFICIO PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI

              Duomo di Milano
 
               4 Dicembre 2011 
Omelia Di S.E.R. card. Angelo Scola
          Arcivescovo di Milano
       “Benedetto colui che viene!"
        IV Domenica d ‘Avvento
1.        Man mano che ci addentriamo nel tempo santo dell'Avvento, la Chiesa, come una madre premurosa, educa il nostro desiderio, la nostra attesa ed il nostro cammino svelandoci progressivamente il volto di Colui che aspettiamo.
Chi è, infatti, Colui che è venuto e che verrà? Chi è Gesù che si presenta a noi come il fine - significato e direzione - della storia, che ci rende partecipi della Sua vita attraverso il Battesimo e la Confermazione, che si offre a noi come vero cibo e vera bevanda in ogni Eucaristia?
A questa domanda non possiamo rispondere da noi. Per conoscere Gesù non c'è altra strada se non quella che la liturgia ci ha indicato domenica scorsa: la strada della testimonianza. Possiamo riconoscere Gesù perché Egli si fa conoscere da noi.
Il Vangelo di oggi descrive l'ingresso di Gesù a Gerusalemme. L'ingresso del Messia è il titolo di questa Quarta Domenica dell'Avvento ambrosiano. La liturgia, rifacendosi ad un'antica tradizione, vuole - ancora una volta - farci riflettere sul ritorno glorioso di Gesù alla fine dei tempi.
Il racconto dell'evangelista è intessuto di molti elementi dai quali si evince che Gesù presenta, deliberatamente, Se stesso come Messia. Egli si propone, infatti, come Colui che compie le profezie dell'Antico Testamento - lo abbiamo visto domenica scorsa. Citiamo solo qualche dato. Gesù parte dal Monte degli Ulivi, il luogo da dove, secondo il profeta Zaccaria, sarebbe giunto il Messia per entrare nella sua città (cf. Za 14,4-5; Vangelo, Mc 11,1). Il gesto, dettagliatamente descritto, di andare a prendere il puledro ed il suo significato (Vangelo, Mc 11,1-7), richiamano, secondo gli studiosi, direttamente o indirettamente temi dell'Antico Testamento. L'ingresso in città era stato predetto in modo ritenuto assai autorevole sempre dal profeta Zaccaria: « Ecco viene a te il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio di asina » (Za 9,9). La folla che segue Gesù lo acclama con esclamazioni "regali": «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore [citazione del Salmo 118,25-26]! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!» (Vangelo, Mc 11,10). Gesù prende infine discretamente possesso della città davidica e lo fa proprio entrando nel tempio, luogo per eccellenza del rapporto con Dio: «Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio» (Vangelo, Mc 11,11).

2.        L'ingresso di Gesù a Gerusalemme è anche il gesto con il quale egli inizia la Sua ultima settimana di vita, quella della Sua passione, morte e resurrezione. Incomincia così a svelarsi che il Messia, l'Atteso «con ardente speranza» (Orazione a conclusione della Liturgia della Parola), il Re nel quale «esultano i figli di Sion» (cf. Salmo responsoriale 149), è l'Agnello immolato. Quell'agnello evocato, secondo la Volgata di Gerolamo («Emitte agnum Domine dominatorem terrae de petra deserti ad montem Filiae Sion»), dai primi versetti del cap. XVI di Isaia: «Mandate l'agnello al signore della regione, da Sela del deserto al monte della figlia di Sion» (Prima Lettura, Is 16,1).

3.        Gesù è dunque il Messia che il popolo attendeva, ma non è come il popolo lo attendeva. Mentre normalmente, secondo le Scritture, i re cavalcano cavalli per dimostrare la loro dignità, Gesù - come già fecero la regina Abigail (cf. 1Sm 25,20) e lo stesso Davide (cf. 2Sm 16, 1) - sceglie di presentarsi in atteggiamento umile, cavalcando un asino: «Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra» (Vangelo, Mc 11,7).
È così pre-annunciata la modalità "scandalosa" del compimento dell'attesa messianica nella Pasqua di Gesù: il Messia è il Servo Crocifisso e Risorto.
L'attesa del Messia, come abbiamo visto nei Vangeli di queste domeniche, era vivissima. Essa era tuttavia confusa e incerta quanto al chi fosse il Messia e al come avrebbe liberato Israele. I profeti avevano individuato il cuore del problema, e cioè che solo un intervento sovrumano e definitivo (escatologico) di Dio, poteva riscattare Israele. Il problema più acutamente sentito non era tanto quello dell'occupazione romana in sé (contro cui lottavano i numerosi movimenti politici), ma la sua causa profonda. Era il male accumulato lungo tutta la sua storia ad aver causato la perdita della libertà di Israele.
A questo male, lo stesso che ognuno di noi si trova talora nel cuore e di cui registriamo quotidianamente tante tragiche manifestazioni nella società, non riesce a rispondere né la conoscenza della Legge né la sua più scrupolosa osservanza. Paolo, con un'espressione molto forte, arriva a parlare di «impotenza della Legge» (Rm 8,3). La redenzione della malizia umana esige un intervento radicale capace di trasformare e ricreare la stessa condizione umana. Si capisce perché gli israeliti aspettassero, in un certo senso, Dio stesso. Anche noi, uomini sofisticati del Terzo Millennio, se abbiamo un minimo di onestà con noi stessi dobbiamo riconoscere di attendere la salvezza dall'alto: «Solo un Dio ci può salvare» sciogliendo «i legami mortali del male» (Prefazio).

4.        Il Messia che entrando in Gerusalemme prepara la sua consegna, libera e obbediente, alla morte, assume la sfida del male. E lo fa in modo del tutto imprevedibile: lo prende su di Sé. Così il suo solenne ingresso in Gerusalemme ci indica che è Lui l'Atteso, ma soprattutto mostra che Dio, attraverso un Messia giusto, umile e pacifico, risponde al male dell'uomo con la sua misericordia. Infatti, come ci ricorda il Beato Giovanni Paolo II, la « rivelazione dell'amore viene anche definita misericordia, e tale rivelazione dell'amore e della misericordia ha nella storia dell'uomo una forma e un nome: si chiama Gesù Cristo» (Redemptor hominis 9).
Il volto dell'Atteso è la misericordia. Ogni uomo lo intuisce, a partire dalle relazioni costitutive che si vivono in famiglia, tra gli sposi e con i figli: si conosce veramente l'amore solo quando si viene perdonati. Il perdono donato a chi non lo meriterebbe è l'espressione suprema della gratuità dell'amore. I cristiani ne fanno esperienza ogni volta che si accostano al sacramento della Riconciliazione. Infatti l'uomo che smarrisce il senso del peccato si ritrova senza speranza. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci ricorda che «ritornare alla comunione con Dio dopo averla perduta a causa del peccato, è un movimento nato dalla grazia di Dio ricco di misericordia e sollecito della salvezza degli uomini. Bisogna chiedere questo dono prezioso per sé e per gli altri » (n. 1489). Domando, per questo, ai sacerdoti secolari e religiosi di rinnovare la loro disponibilità per il ministero della confessione. In ogni parrocchia, in ogni decanato, i fedeli debbono poter trovare in chiesa, almeno in certi orari ben definiti, sacerdoti in attesa dei penitenti. E presso i santuari e le chiese maggiori la presenza del confessore deve essere continua. Infatti «la confessione individuale e completa dei peccati gravi seguita dall'assoluzione rimane l'unico mezzo ordinario per la riconciliazione con Dio e con la Chiesa» (n. 1497).

5.        La misericordia attesa, invocata e ricevuta è sorgente di vero progresso per la vita personale e per quella sociale. Alla necessità del continuo rinnovamento della vita personale ci ha richiamato oggi l'Epistola di san Paolo: «Fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio - e così già vi comportate -, possiate progredire ancora di più» (Epistola, 1Ts 4,1). La venuta del Messia redentore, dono di misericordia, lungi dal renderci superficiali nei confronti del male che compiamo, provoca, attraverso il sacramento della Confessione, la contrizione - che consiste nel dolore per i nostri peccati, nel pentimento e nel proposito di non peccare di nuovo -, l'accusa e la penitenza (soddisfazione). Nello stesso tempo sprigiona un'energica disposizione a compiere il bene.
Ma la misericordia è fonte anche di rinnovamento per la vita sociale: essa impedisce di considerare il giudizio sui malfattori e la loro condanna - fattori questi necessari per l'ordinamento civile di una società - come la parola definitiva sulle loro persone. Il Messia infatti è venuto a riscattare i peccatori. A nessuno che si riconosca tale, lo sappiamo per personale esperienza, è negato il dono della conversione. Amen.

martedì 29 novembre 2011

Le opere che io sto facendo testimoniano di me - Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola - III Domenica d'Avvento

ARCIDIOCESI DI MILANO
CURIA ARCIVESCOVILE

UFFICIO PER LE  COMUNICAZIONISOCIALI

                    Duomo di Milano

                    27 Novembre 2011
Omelia Di S.E.R. card. Angelo Scola,
                Arcivescovo di Milano
            “Le opere che io sto facendo
                testimoniano di me"
            III Domenica d ‘Avvento
1.    «Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore; guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti» (Prima Lettura, Is 51, 1). Il popolo è invitato ad ascoltare e a guardare. Che cosa? Il titolo di questa Terza Domenica dell'Avvento ambrosiano ce lo dice: le profezie adempiute. I due verbi, ascoltare e guardare, si ripetono più volte nel brano del profeta Isaia. Indicano la posizione di colui che attende da un altro ciò di cui ha bisogno e ciò che desidera. Quali sono i segni delle profezie adempiute? Il libro del profeta Isaia parla di giustizia e salvezza («La mia giustizia è vicina, si manifesterà la mia salvezza» (Prima Lettura, Is 51,5). Ma la Parola di Dio dell'odierna liturgia ci dice a chiare lettere che i segni del compimento definitivo delle profezie si trovano ascoltando e guardando Gesù. Il Vangelo di Giovanni, prima del brano odierno, ci presenta la guarigione di un infermo alla piscina di Betzatà (cfr Gv 5,1-18). Ed il passaggio evangelico di oggi afferma: «Le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato » (Vangelo, Gv 5,36). Gesù motiva tutta la sua opera di giustizia e di salvezza in forza del suo rapporto privilegiato con il Padre che lo ha mandato.
 
2.    Le opere che Gesù compie rendono testimonianza della vicinanza del Mistero, della venuta del Signore (titolo della Prima Domenica dell'Avvento ambrosiano). Decisiva è nel Vangelo di oggi l'insistenza sulla testimonianza. Tanto più che nel Vangelo di Giovanni i termini testimoniare/testimonianza ricorrono ben 47 volte.
 
Nel passo del Vangelo appena proclamato Gesù pone i Suoi interlocutori di fronte a una sequenza di ben quattro testimonianze a Suo favore. La testimonianza di Giovanni Battista («Giovanni... ha dato testimonianza alla verità» Gv 5,33), quella del Signore stesso («quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me» Gv 5,36), quella del Padre («E anche il Padre... ha dato testimonianza di me» Gv 5,37), quella delle Scritture («sono proprio esse [le Scritture] che danno testimonianza di me» Gv 5,39).
Testimoniare significa "at-test-are pubblicamente", cioè affermare per diretta conoscenza, come stanno le cose e, quindi, deporre pubblicamente a favore della verità. Le quattro testimonianze cui Gesù fa riferimento nel Vangelo di oggi si situano a questo livello di profondità. Ora, se consideriamo che la nostra conoscenza delle cose consiste di fatto nel riconoscerle per quel che sono, allora possiamo affermare che la testimonianza è il modo (metodo) più elementare per conoscere la realtà e, nello stesso tempo, il modo più appropriato di comunicare la verità conosciuta.
Insistendo sulla testimonianza il Vangelo di Giovanni documenta che la proposta di Gesù fa leva sulla modalità più semplice di accesso alla verità comune a tutti gli uomini.
A comprendere meglio questo importante rilievo può aiutarci un'esperienza che ognuno di noi ha fatto in famiglia. Come siamo arrivati da bambini a pronunciare il nostro nome, espressione necessaria della nostra identità? Lo abbiamo imparato dal papà e dalla mamma. Ascoltando e guardando i genitori (i verbi impiegati dal profeta nella Prima Lettura), il bambino conosce il suo nome. Il suo conoscere è in realtà un ri-conoscere la testimonianza del papà e della mamma. Ne prende poi atto pronunciando il suo nome e in tal modo comunicandolo pubblicamente. Così facendo risponde con la sua testimonianza a quella dei genitori.
      La conoscenza che avviene attraverso la testimonianza ha una importanza capitale non solo nell'infanzia ma lungo tutta la nostra vita. Anzi, a ben vedere, essa si rivela come quella forma di conoscenza e comunicazione della verità che precede ogni altra forma di conoscenza e di comunicazione, quella scientifica, quella filosofica, quella teologica, quella artistica, ecc. Ogni conoscenza o fiorisce su questo livello primario, oppure resta in qualche modo monca, astratta (cioè "separata"). Anche se mi fa accedere a saperi di decisiva importanza, senza questa radice testimoniale non riesce a mobilitarmi, perché non chiama esplicitamente in causa la mia persona come persona che è sempre in relazione.
I risultati talora strabilianti dell'odierna "tecno-scienza" - penso al campo della biologia, delle neuroscienze, dell'origine e dell'evoluzione del cosmo - se non nascono sul terreno fertile della testimonianza, se perdono di vista la persona e le sue relazioni, possono recare danno. Quando la Chiesa mette in guardia da questo rischio non mortifica ma esalta la scienza. In nessun modo blocca la ricerca. Al contrario, invitando il ricercatore ad inserirla armonicamente nel contesto di una antropologia ed etica adeguate, le permette traguardi più sicuri.
Se la testimonianza, radice della conoscenza, si sviluppa all'interno di relazioni buone, si può ben capire la decisività della famiglia per l'umana esistenza.
       I sacerdoti che visitano le famiglie, in questo tempo di preparazione al Natale, ci ricordano che ascoltare e guardare Gesù, «il testimone fedele» (Ap 1,5) è la via maestra per incontrare la verità. Questo ho voluto dire anche ai bambini scrivendo loro gli auguri di Natale.
3. Ritorniamo direttamente alla Parola di Dio oggi proclamata per compiere un altro passo di decisiva importanza. «Guardate ed ascoltate» aveva invitato il profeta Isaia. Gesù rimprovera ai Giudei «Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce [del Padre] né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato » (Vangelo, Gv 5,37­38).
 Sempre la testimonianza chiama in causa la libertà. Ognuno di noi, in piena libertà, deve decidere se accettarla o negarla.
Non accettare la testimonianza svela una chiusura della libertà che finisce per contrastare la verità. Non a caso, sempre nel brano già citato che precede il Vangelo di oggi, l'evangelista nota per la prima volta che «cercavano di ucciderlo» (cfr Gv 5,18).
Al contrario, accedere alla testimonianza resa alla verità esalta la nostra libertà.
II dono della verità ricevuto ed accolto fa di colui che l'abbraccia un testimone. Lo documenta assai bene il cammino della vita cristiana. Al Battesimo segue il sacramento della Cresima o Confermazione, mediante il quale - come recita il Catechismo - «i cristiani, ossia coloro che sono unti, partecipano maggiormente alla missione di Gesù Cristo e alla pienezza dello Spirito Santo di cui egli è ricolmo, in modo che tutta la loro vita effonda il profumo di Cristo » (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1294).
In proposito è necessario richiamare che nessun battezzato può sottrarsi al dovere di testimoniare la sua fede partecipando, in forma appropriata, al decisivo compito dell'iniziazione cristiana.
4. Il santo crisma, con cui siamo unti nel Battesimo e nella Cresima, è appunto un misto di olio e profumo. Anche san Paolo, parlando della sua missione in Macedonia, utilizza per indicare la testimonianza cristiana l'immagine insolita del profumo: «Siano rese grazie a Dio, il quale sempre ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde ovunque per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza! (Epistola, 2Cor 2,14).
L'Epistola però approfondisce l'immagine del profumo con una notazione severa che ci strappa da ogni rischio di sentimentalismo: «Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo per quelli che si salvano e per quelli che si perdono; per gli uni odore di morte per la morte e pergli altri odore di vita per la vita» (Epistola, 2Cor 2,15-16). Ciò significa che i cristiani, i figli del regno, partecipi nel Battesimo della morte e risurrezione di Cristo (a questo ci ha richiamato la liturgia della scorsa Domenica), possiedono quell' inconfondibile accento umano che parla della vicinanza del Mistero. Da loro emana un profumo particolare che apre la possibilità della conoscenza di Dio a quelli che li incontrano, ma davanti a questa proposta alcuni aderiscono, altri rifiutano. Le profezie adempiute con la venuta del Signore non eliminano il dramma della libera scelta ed inevitabilmente il discepolo di Cristo partecipa della sorte del Maestro: testimoniando il Suo profumo diventa anche "segno di contraddizione".
Tuttavia, continuando ad effondere con la loro testimonianza il profumo di Cristo, i cristiani comunicano a tutti i fratelli uomini una grande verità: ogni uomo in qualunque momento è in grado di accogliere il dono della fede. Lo Spirito, rendendo testimonianza al Figlio di Dio incarnato attraverso il profumo della vita cristiana, sempre concede a tutti, aprendo il loro cuore, la grazia discegliere di aver parte alla venuta del Signore.
A tutti la Chiesa sempre e di nuovo offre la possibilità di partecipare alle promesse di giustizia e di salvezza adempiute dall'Emmanuele, il Dio con noi.
Questo compimento ci farà tra poco invocare il Prefazio: «A Cristo Signore la Chiesa va incontro nel suo faticoso cammino, sorretta e allietata dalla speranza, fino a che, nell'ultimo giorno, compiuto il mistero del regno, entrerà con lui nel convito nuziale».   
Facciamo quindi nostro l'invito pressante dell'Inno di Lodi: «Viene l'Agnello di Dio/prezzo del nostro riscatto/con fede viva imploriamo/ misericordia e perdono». Amen.