martedì 29 novembre 2011

Le opere che io sto facendo testimoniano di me - Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola - III Domenica d'Avvento

ARCIDIOCESI DI MILANO
CURIA ARCIVESCOVILE

UFFICIO PER LE  COMUNICAZIONISOCIALI

                    Duomo di Milano

                    27 Novembre 2011
Omelia Di S.E.R. card. Angelo Scola,
                Arcivescovo di Milano
            “Le opere che io sto facendo
                testimoniano di me"
            III Domenica d ‘Avvento
1.    «Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore; guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti» (Prima Lettura, Is 51, 1). Il popolo è invitato ad ascoltare e a guardare. Che cosa? Il titolo di questa Terza Domenica dell'Avvento ambrosiano ce lo dice: le profezie adempiute. I due verbi, ascoltare e guardare, si ripetono più volte nel brano del profeta Isaia. Indicano la posizione di colui che attende da un altro ciò di cui ha bisogno e ciò che desidera. Quali sono i segni delle profezie adempiute? Il libro del profeta Isaia parla di giustizia e salvezza («La mia giustizia è vicina, si manifesterà la mia salvezza» (Prima Lettura, Is 51,5). Ma la Parola di Dio dell'odierna liturgia ci dice a chiare lettere che i segni del compimento definitivo delle profezie si trovano ascoltando e guardando Gesù. Il Vangelo di Giovanni, prima del brano odierno, ci presenta la guarigione di un infermo alla piscina di Betzatà (cfr Gv 5,1-18). Ed il passaggio evangelico di oggi afferma: «Le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato » (Vangelo, Gv 5,36). Gesù motiva tutta la sua opera di giustizia e di salvezza in forza del suo rapporto privilegiato con il Padre che lo ha mandato.
 
2.    Le opere che Gesù compie rendono testimonianza della vicinanza del Mistero, della venuta del Signore (titolo della Prima Domenica dell'Avvento ambrosiano). Decisiva è nel Vangelo di oggi l'insistenza sulla testimonianza. Tanto più che nel Vangelo di Giovanni i termini testimoniare/testimonianza ricorrono ben 47 volte.
 
Nel passo del Vangelo appena proclamato Gesù pone i Suoi interlocutori di fronte a una sequenza di ben quattro testimonianze a Suo favore. La testimonianza di Giovanni Battista («Giovanni... ha dato testimonianza alla verità» Gv 5,33), quella del Signore stesso («quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me» Gv 5,36), quella del Padre («E anche il Padre... ha dato testimonianza di me» Gv 5,37), quella delle Scritture («sono proprio esse [le Scritture] che danno testimonianza di me» Gv 5,39).
Testimoniare significa "at-test-are pubblicamente", cioè affermare per diretta conoscenza, come stanno le cose e, quindi, deporre pubblicamente a favore della verità. Le quattro testimonianze cui Gesù fa riferimento nel Vangelo di oggi si situano a questo livello di profondità. Ora, se consideriamo che la nostra conoscenza delle cose consiste di fatto nel riconoscerle per quel che sono, allora possiamo affermare che la testimonianza è il modo (metodo) più elementare per conoscere la realtà e, nello stesso tempo, il modo più appropriato di comunicare la verità conosciuta.
Insistendo sulla testimonianza il Vangelo di Giovanni documenta che la proposta di Gesù fa leva sulla modalità più semplice di accesso alla verità comune a tutti gli uomini.
A comprendere meglio questo importante rilievo può aiutarci un'esperienza che ognuno di noi ha fatto in famiglia. Come siamo arrivati da bambini a pronunciare il nostro nome, espressione necessaria della nostra identità? Lo abbiamo imparato dal papà e dalla mamma. Ascoltando e guardando i genitori (i verbi impiegati dal profeta nella Prima Lettura), il bambino conosce il suo nome. Il suo conoscere è in realtà un ri-conoscere la testimonianza del papà e della mamma. Ne prende poi atto pronunciando il suo nome e in tal modo comunicandolo pubblicamente. Così facendo risponde con la sua testimonianza a quella dei genitori.
      La conoscenza che avviene attraverso la testimonianza ha una importanza capitale non solo nell'infanzia ma lungo tutta la nostra vita. Anzi, a ben vedere, essa si rivela come quella forma di conoscenza e comunicazione della verità che precede ogni altra forma di conoscenza e di comunicazione, quella scientifica, quella filosofica, quella teologica, quella artistica, ecc. Ogni conoscenza o fiorisce su questo livello primario, oppure resta in qualche modo monca, astratta (cioè "separata"). Anche se mi fa accedere a saperi di decisiva importanza, senza questa radice testimoniale non riesce a mobilitarmi, perché non chiama esplicitamente in causa la mia persona come persona che è sempre in relazione.
I risultati talora strabilianti dell'odierna "tecno-scienza" - penso al campo della biologia, delle neuroscienze, dell'origine e dell'evoluzione del cosmo - se non nascono sul terreno fertile della testimonianza, se perdono di vista la persona e le sue relazioni, possono recare danno. Quando la Chiesa mette in guardia da questo rischio non mortifica ma esalta la scienza. In nessun modo blocca la ricerca. Al contrario, invitando il ricercatore ad inserirla armonicamente nel contesto di una antropologia ed etica adeguate, le permette traguardi più sicuri.
Se la testimonianza, radice della conoscenza, si sviluppa all'interno di relazioni buone, si può ben capire la decisività della famiglia per l'umana esistenza.
       I sacerdoti che visitano le famiglie, in questo tempo di preparazione al Natale, ci ricordano che ascoltare e guardare Gesù, «il testimone fedele» (Ap 1,5) è la via maestra per incontrare la verità. Questo ho voluto dire anche ai bambini scrivendo loro gli auguri di Natale.
3. Ritorniamo direttamente alla Parola di Dio oggi proclamata per compiere un altro passo di decisiva importanza. «Guardate ed ascoltate» aveva invitato il profeta Isaia. Gesù rimprovera ai Giudei «Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce [del Padre] né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato » (Vangelo, Gv 5,37­38).
 Sempre la testimonianza chiama in causa la libertà. Ognuno di noi, in piena libertà, deve decidere se accettarla o negarla.
Non accettare la testimonianza svela una chiusura della libertà che finisce per contrastare la verità. Non a caso, sempre nel brano già citato che precede il Vangelo di oggi, l'evangelista nota per la prima volta che «cercavano di ucciderlo» (cfr Gv 5,18).
Al contrario, accedere alla testimonianza resa alla verità esalta la nostra libertà.
II dono della verità ricevuto ed accolto fa di colui che l'abbraccia un testimone. Lo documenta assai bene il cammino della vita cristiana. Al Battesimo segue il sacramento della Cresima o Confermazione, mediante il quale - come recita il Catechismo - «i cristiani, ossia coloro che sono unti, partecipano maggiormente alla missione di Gesù Cristo e alla pienezza dello Spirito Santo di cui egli è ricolmo, in modo che tutta la loro vita effonda il profumo di Cristo » (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1294).
In proposito è necessario richiamare che nessun battezzato può sottrarsi al dovere di testimoniare la sua fede partecipando, in forma appropriata, al decisivo compito dell'iniziazione cristiana.
4. Il santo crisma, con cui siamo unti nel Battesimo e nella Cresima, è appunto un misto di olio e profumo. Anche san Paolo, parlando della sua missione in Macedonia, utilizza per indicare la testimonianza cristiana l'immagine insolita del profumo: «Siano rese grazie a Dio, il quale sempre ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde ovunque per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza! (Epistola, 2Cor 2,14).
L'Epistola però approfondisce l'immagine del profumo con una notazione severa che ci strappa da ogni rischio di sentimentalismo: «Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo per quelli che si salvano e per quelli che si perdono; per gli uni odore di morte per la morte e pergli altri odore di vita per la vita» (Epistola, 2Cor 2,15-16). Ciò significa che i cristiani, i figli del regno, partecipi nel Battesimo della morte e risurrezione di Cristo (a questo ci ha richiamato la liturgia della scorsa Domenica), possiedono quell' inconfondibile accento umano che parla della vicinanza del Mistero. Da loro emana un profumo particolare che apre la possibilità della conoscenza di Dio a quelli che li incontrano, ma davanti a questa proposta alcuni aderiscono, altri rifiutano. Le profezie adempiute con la venuta del Signore non eliminano il dramma della libera scelta ed inevitabilmente il discepolo di Cristo partecipa della sorte del Maestro: testimoniando il Suo profumo diventa anche "segno di contraddizione".
Tuttavia, continuando ad effondere con la loro testimonianza il profumo di Cristo, i cristiani comunicano a tutti i fratelli uomini una grande verità: ogni uomo in qualunque momento è in grado di accogliere il dono della fede. Lo Spirito, rendendo testimonianza al Figlio di Dio incarnato attraverso il profumo della vita cristiana, sempre concede a tutti, aprendo il loro cuore, la grazia discegliere di aver parte alla venuta del Signore.
A tutti la Chiesa sempre e di nuovo offre la possibilità di partecipare alle promesse di giustizia e di salvezza adempiute dall'Emmanuele, il Dio con noi.
Questo compimento ci farà tra poco invocare il Prefazio: «A Cristo Signore la Chiesa va incontro nel suo faticoso cammino, sorretta e allietata dalla speranza, fino a che, nell'ultimo giorno, compiuto il mistero del regno, entrerà con lui nel convito nuziale».   
Facciamo quindi nostro l'invito pressante dell'Inno di Lodi: «Viene l'Agnello di Dio/prezzo del nostro riscatto/con fede viva imploriamo/ misericordia e perdono». Amen.
 

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