mercoledì 21 dicembre 2011

Nulla è impossibile a Dio - Omelia Di S.E.R. card. Angelo Scola - VI Domenica d ‘Avvento

      ARCIDIOCESI DI MILANO

      CURIA ARCIVESCOVILE

UFFICIO PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI

      
Duomo di Milano

   18 Dicembre 2011
     Solennità dell’Incarnazione o
della Divina Maternità della Beata Vergine Maria
 
Omelia Di S.E.R. card. Angelo Scola

     Arcivescovo di Milano

      “Nulla è impossibile a Dio"

      VI Domenica d ‘Avvento


1. Oggi la Chiesa ambrosiana, facendoci meditare sulla divina maternità della Beata Vergine Maria, rende più intensa la nostra attesa del Santo Natale ormai imminente. Il brano del Vangelo di Luca narra l’evento spartiacque della storia: l’annuncio dell’incarnazione del Figlio di Dio è infatti il varco che il Padre celeste ha aperto alla libertà umana verso il suo Disegno (Mistero). Lo conferma il n. 484 del Catechismo della Chiesa Cattolica,  «l’Annunciazione a Maria inaugura la “pienezza del tempo” (Gal 4,4), cioè il compimento delle promesse e delle preparazioni. Maria è chiamata a concepire colui nel quale abiterà “corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9)». Tutto il mondo divino e tutto il mondo creato, vale a dire tutto l’essere, è ricapitolato (sintetizzato) in Cristo risorto.
La venuta del Signore è prefigurata dalla Prima Lettura. Il brano del Libro del profeta Isaia annuncia, con ritmo marziale e gioioso, l’ingresso trionfale del salvatore in Gerusalemme: «Passate, passate per le porte, sgombrate la via al popolo, spianate, spianate la strada, liberatela dalle pietre, innalzate un vessillo per i popoli. Ecco ciò che il Signore fa sentire all'estremità della terra: “Dite alla figlia di Sion: Ecco, arriva il tuo salvatore”» (Prima Lettura, Is 62,10-11).

2. Nell’imminenza del Santo Natale la liturgia esulta e ci esorta alla letizia: «Rallegrati popolo santo, viene il tuo salvatore», canta il Salmo responsoriale. Ad esso fa eco anche il primo saluto dell’Angelo a Maria: «Rallégrati» (Vangelo, Lc 1,28). E san Paolo insiste: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. Il Signore è vicino» (Epistola, Fil 4,4-5). Non si tratta, però, di una gioia precaria come i nostri stati d’animo. Né costruita con le nostre mani, come ci ha ricordato domenica scorsa il Papa all’Angelus. Ma di «un dono, [“uno scambio di doni” (Alla Comunione) che] nasce dall’incontro con la persona viva di Gesù, dal fargli spazio in noi» (Benedetto XVI, Angelus, 11 dicembre 2011). La gioia indistruttibile del sapersi definitivamente amati: «Tu sarai chiamata Ricercata, Città non abbandonata» (Prima Lettura, Is 62,12), e custoditi: «e la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù» (Epistola, Fil 4,7), perché «nulla è impossibile a Dio» (Vangelo, Lc 1,37). Una gioia che non ha bisogno di censurare il dolore e la drammaticità dell’umana esistenza (cf. Prima Lettura, Is 63,1-2), Come ci richiama la scena in rosso violento (vino/sangue) descritta da Isaia neli ultimi versetti del passaggio ascoltato: "Chi è Costui che viene da Edom, da Bozra con le vesti tinte di rosso? Perchè è rossa la tua veste?" (Prima Lettura, Is 63,1-2) 


3. Dell’ineludibile dramma della libertà è tutta tramata la scena dell’Annunciazione presentataci da San Luca. Con essa dobbiamo immedesimarci, qui ed ora, evitando un ascolto scontato e perciò sterile. Ogni dettaglio è significativo e “spiazzante” la nostra misura, a partire dal luogo in cui avviene: l’Angelo fu mandato «in una città della Galilea, chiamata Nàzaret» (Vangelo, Lc 1,26), un villaggio piccolo (cf. Gv 1,46) alla periferia del mondo che conta, vicino alla bella città greco-romana di Sipporis. La protagonista è una giovane donna, Maria, «promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe» (Lc 1,27).
«Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28): piena di grazia, nel testo greco, è un participio passato passivo e andrebbe tradotto con “riempita di grazia”. Con un nuovo appellativo (“riempita di grazia”, “trasformata dalla grazia”) l’Angelo si rivolge a Maria. Il nome, nella mentalità semitica, indica la missione. Così egli le schiude davanti un compito. E Maria vuol capire: «Ella fu molto turbata si domandava che senso avesse un saluto come questo» (Lc 1,29). Tutta l’ampiezza e il fascino dell’umano conoscere sono qui messi in campo. In una società come la nostra in cui espressioni come “libertà di giudizio” o “spirito critico” sono quasi luoghi comuni purtroppo usurati che rischiano di venire seppelliti dal nominalismo, guardare alle mosse di questa giovane donna, oltre che ridarci il gusto di una boccata di aria pura, ci indica un cammino realistico per la vita quotidiana. Le tre mosse della libertà di Maria - la domanda sul senso («si chiedeva che senso avesse tale saluto» Lc 1,29), la domanda sulla fattibilità («Come avverrà questoLc 1,34) e finalmente l’adesione piena e convinta («avvenga per me secondo la tua parola» Lc 1,38) - dicono una personalità matura e responsabile, veramente dotata di spirito critico.
Maria è un paradigma, un modello più che mai efficace per noi uomini post-moderni. È questo genere di libertà che spesso ci manca, ad essere chiamato in causa nell’attuale delicato frangente di transizione epocale, nel travaglio dell’inizio del Terzo millennio entro cui affrontare la grave crisi economico-finanziaria. Il domani avrà un volto nuovo se rifletterà la speranza di oggi, il cui soggetto proprio può essere solo una libertà creativa come quella della Madonna.
La fisionomia di questo tipo umano, di questo stile di vita ormai improcrastinabile, è esplicitata nell’Epistola: «Quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è qualche virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri» (Epistola, Fil 4,8). Paolo si ispira alla filosofia stoica dell’epoca, ma il suo invito assume ben altro peso perché incita i cristiani di Filippi ad imitarlo («Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica, Fil 4,9). Li urge, ci urge, a metterci in gioco in prima persona come seguaci di Cristo e come membri della famiglia umana. Non basta parlare di valori, è necessario “fare e far fare” esperienza di valori. In questa prospettiva integrale spalancata dal cristianesimo, religione dell’incarnazione, i cristiani sono chiamati ad essere cittadini del mondo. Anzi - come scrive Péguy - essi «Sono eredi degli antichi civici, universalmente, eternamente civici».
Il Vangelo di oggi documenta quindi il fondamento della nostra speranza affidabile: alla totale iniziativa di Dio corrisponde la totale libertà della Vergine. Questo è il segreto della vita cristiana: 100% grazia e 100% libertà.
La nostra libertà ha sempre una forma “mariana”. Lo documenta un poeta inglese della seconda metà dell’800, Gerard Manley Hopkins. Convertitosi al cattolicesimo anche grazie alla testimonianza del Beato Newman e con una vita molto tormentata, scrisse una poesia che intitolò, con un’intuizione fulminante, alla Vergine paragonata all’aria che respiriamo. In essa si legge: «Aria selvaggia, aria che è al mondo madre/ che m’abbraccia da ogni dove …/colei che non solo/ rese all'infinità di Dio diminuita ad infanzia/ il benvenuto in grembo e in seno/ nascita, latte e tutto il resto/ ma diede vita ad ogni nuova grazia/ che ora giunge alla nostra stirpe».
Il popolo cristiano ha sempre avuto chiara coscienza della potente intercessione di Maria Santissima. In questa settimana che ci separa dal Natale recuperiamo la bella tradizione di scandire il tempo della nostra giornata - mattina, mezzogiorno e sera - con la preghiera dell’Angelus. Impegniamoci inoltre, entro il Tempo di Natale, a compiere di persona qualche atto di reale condivisione del bisogno altrui.
La Cappella canterà allo Spezzare del pane: “L’Angelo as-sicura il cuore della Vergine”. Questa Eucaristia as-sicuri il nostro cuore nel quotidiano impegno della nostra libertà. Amen
                                         

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