lunedì 11 giugno 2012

Sopravvissuta all’aborto, ma non è solo fiction.

 
La storia di Gianna Jessen, 35 anni: la sua commovente vicenda è diventata anche un film intitolato «October Baby»

«Mi chiamo Gianna Jessen. Sono stata abortita e non sono morta. La mia madre biologica era incinta di sette mesi quando andò da Planned Parenthood nella California del sud e le consigliarono di effettuare un aborto salino tardivo. Un aborto salino consiste nell’iniezione di una soluzione di sale nell’utero della madre. Il bambino inghiottisce la soluzione, che brucia il bambino dentro e fuori, e poi la madre partorisce un bambino morto entro 24 ore. Questo è capitato a me! Sono rimasta nella soluzione per circa 18 ore e sono stata partorita viva il 6 aprile 1977 alle 6 del mattino in una clinica per aborti della California». Oggi Gianna Jessen, scampata all’aborto, è una donna di 35 anni, e la sua commovente storia è diventata anche il film intitolato «October Baby», mentre lei continua a girare il mondo per diffondere la sua potente testimonianza.
«C’erano giovani donne nella stanza», ha raccontato nientemeno che al Congresso degli Usa, alcuni anni fa, «che avevano appena ricevuto le loro iniezioni ed aspettavano di partorire bambini morti. Quando mi videro, provarono l’orrore dell’omicidio. Un’infermiera chiamò un’ambulanza e mi fece trasferire all’ospedale. Fortunatamente per me il medico abortista non era alla clinica. Ero arrivata in anticipo, non si aspettavano la mia morte fino alle 9 del mattino, quando sarebbe probabilmente arrivato per il turno d’ufficio. Sono sicura che non sarei qui oggi se il medico abortista fosse stato alla clinica». Per tanti quello di Gianna Jessen fu solo «un “aborto mal riuscito”, il risultato di un lavoro non ben fatto». Gianna invece sostiene con forza e determinazione di essere stata salvata «dal puro potere di Gesù Cristo». «Dovrei essere cieca – ha proseguito – bruciata,dovrei essere morta! E tuttavia, io vivo!». «Rimasi all’ospedale per circa tre mesi – ha continuato - Non c’era molta speranza per me all’inizio. Pesavo solo 9 etti». Ma «un medico una volta mi disse che avevo una gran voglia di vivere e che lottavo per la mia vita. Alla fine potei lasciare l’ospedale ed essere data in adozione». Gianna però è tutt’altro che in buone condizioni di salute: «Per via di una mancanza di ossigeno durante l’aborto vivo con la paralisi cerebrale.
Quando mi fu diagnosticata, tutto quello che potevo fare era stare sdraiata». Dunque, dopo aver vinto la sfida contro la morte, Gianna deve anche lottare contro la disabilità, sempre partendo da un’incolpevole posizione di netto svantaggio: «Dissero alla mia madre adottiva che difficilmente avrei mai potuto gattonare o camminare. Non riuscivo a tirarmi su e mettermi a sedere da sola». Ma «attraverso le preghiere e l’impegno della mia madre adottiva, e poi di tanta altra gente, alla fine ho imparato a sedere, a gattonare e stare in piedi. Camminavo con un girello e un apparecchio ortopedico alle gambe poco prima di compiere 4 anni». Gianna è stata poi «adottata legalmente dalla figlia della mia madre adottiva, Diana De Paul, pochi mesi dopo che cominciai a camminare. Ho continuato la fisioterapia e, dopo 4 interventi chirurgici, ora posso camminare senza assistenza». Anche se non è facile. Però Gianna la prende con «filosofia», con ironia: «A volte cado, ma ho imparato a cadere con grazia dopo essere caduta per 19 anni». Gianna ha un immenso «grazie» da pronunciare: «Sono così grata per la mia paralisi cerebrale. Mi permette di dipendere veramente solo da Gesù per ogni cosa. Sono felice di essere viva. Sono quasi morta. Ogni giorno ringrazio Dio per la vita. Non mi considero un sottoprodotto del concepimento, un pezzo di tessuto, o un altro dei titoli dati ad un bambino nell’utero. Non penso che nessuna persona concepita sia una di quelle cose». Ha conosciuto «altri sopravvissuti all’aborto. Sono tutti grati per la vita». Per esempio «Sarah. Anche Sarah ha la paralisi cerebrale, ma la sua diagnosi non è buona. È cieca ed ha delle gravi crisi. L’abortista, oltre ad iniettare nella madre la soluzione salina, la inietta anche nelle piccole vittime. A Sarah l’ha iniettata nella testa»; «Quando parlo – ha precisato - non parlo solo per me stessa, ma per gli altri sopravvissuti, come Sarah, ed anche per quelli che non possono parlare…». Nonostante la paralisi cerebrale, Gianna è diventata un’instancabile attivista dei movimenti «pro life». Ha raccontato la sua storia, oltre che al Congresso degli Usa, anche alla Camera dei Comuni del Regno Unito e al Parlamento australiano. E poi in decine di altri luoghi, comprese varie tv. E per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dell’aborto, nel 2006 è riuscita a partecipare e a completare la maratona di Londra. Nel suo peregrinare per trasmettere la cultura della vita, ha un «asso nella manica» imbattibile: «La cosa migliore che posso far vedere per difendere la vita è la mia vita. È stata un grande dono. Uccidere non è la risposta a nessuna domanda o situazione. Tutta la vita ha valore. Tutta la vita è un dono del nostro Creatore. Dobbiamo ricevere e conservare i doni che ci sono dati. Dobbiamo onorare il diritto alla vita. Quando le libertà di un gruppo di cittadini indifesi sono violate, come per i nascituri, i neonati, i disabili e i cosiddetti “imperfetti”, capiamo che le nostre libertà come Nazione e Individui sono in grande pericolo».
Di Gianna Jessen la beata madre Teresa di Calcutta disse: «Dio è con Gianna per ricordare al mondo che ogni essere umano è prezioso per Lui». E Gianna, zoppicante, sofferente, ma sempre forte, tenace, allegra e piena di speranza, continua a ripetere con gioia a tutti coloro che incontra: «La morte non ha prevalso su di me, ed io sono così grata!».

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