Lo Stato deve garantire il rispetto della libertà di coscienza di tutti, quindi anche dei medici, senza discriminazioni. Così Scienza e Vita commenta la campagna “Il buon medico non obietta” promossa dalla Consulta di Bioetica in difesa dell’interruzione volontaria di gravidanza.
In Italia i medici obiettori sono oltre l'80 per cento, il 20 per cento in più rispetto al 1997.
D: Ma quello della donna ad abortire è un diritto? E se sì, può delegittimare il diritto del medico all’obiezione di coscienza?
Al microfono diPaolo Ondarza risponde Luciano Eusebi, ordinario di Diritto penale alla Cattolica di Milano:
R. - A me pare che il buon medico sia quello che si pone problemi di coscienza. Il problema dell’obiezione manifesta come la questione che sta a monte sia una questione vera, obiettiva, non di semplice opinione. Del resto, nel nostro sistema l’interruzione della gravidanza non è configurata come diritto, ma come una situazione eccezionalmente non punibile, rispetto alla quale dovrebbe essere attivato un impegno di prevenzione.
D. – I sostenitori di questa campagna contestano l’aumento del numero dei medici obiettori, che oggi in Italia sono oltre l’80 per cento, con punte dell’85 per cento al Sud. Questo, secondo alcuni, è sintomo di un’accresciuta coscienza "pro life" tra i medici. Secondo altri riflette, invece, un disimpegno, una mancanza di disponibilità, che prescinderebbe da questioni di coscienza, a praticare l’aborto...
R. – Innanzitutto, occorrerebbe scorporare questi dati: capire quanti sono quelli che riguardano la categoria direttamente interessata, che è quella dei medici ginecologi. In secondo luogo, sindacare sulla coscienza è molto difficile, ma certamente una difficoltà così grande ad agire contro la vita umana riflette un problema obiettivo. L’ordinamento giuridico, nel momento in cui intenda assicurare determinate prestazioni, pur discutibili, non può che agire sul piano organizzativo, facendo leva sui sanitari disponibili. Non è possibile in nessun modo agire in termini coercitivi nei confronti dei sanitari non disponibili, come del resto ha recentemente riconosciuto anche la nota risoluzione europea in materia.
D. – Vogliamo ricordare brevemente cosa dice questa raccomandazione europea, recepita da quattro mozioni presto all’esame della Camera?
R. – La risoluzione 1763 del parlamento europeo è molto chiara nel ribadire che nessuno può essere costretto ad agire contro la vita umana, né discriminato per questa scelta. Il riferimento è molto chiaro anche rispetto allo stato embrionale della vita umana. Nella seconda parte, la risoluzione parla anche dell’accesso a ciò che la legge comunque rende disponibile. E nell’occuparsi dei criteri che possono guidare gli Stati nel rendere disponibile ciò che la legge prevede, peraltro prescinde completamente da modalità di coercizione nei confronti dei soggetti che svolgono determinati ruoli.
D. – Secondo Scienza e Vita, anziché favorire l’aborto, delegittimando il diritto all’obiezione di coscienza dei medici, bisognerebbe farsi carico maggiormente della donna e del concepito, a partire da un impegno dello Stato in favore di questi ultimi. Un impegno finalizzato a ridurre le cause della scelta abortiva...
R. – L’aiuto alla donna è una risposta alla dignità della donna, perché l’interruzione della gravidanza - questo lo condividiamo tutti – non è mai un successo e i dati sugli effetti psichici della esperienza abortiva sulla donna sono ormai estremamente accreditati. Si tratta quindi di muovere secondo due livelli: un primo livello, che è anteriore al configurarsi di una gravidanza, è quello di serie politiche finalmente di aiuto alla famiglia, di aiuto alla donna. Il secondo livello attiene al momento in cui una gravidanza è in atto, per il quale l’art. 5 della legge 194 prevede uno specifico impegno inteso a rimuovere le cause - dice la legge - che porterebbero la donna all’interruzione della gravidanza. E intorno a questo impegno, che è sia di vicinanza umana sia di aiuto di carattere materiale - dovrebbe diventare anche un aiuto di carattere economico nei casi di difficoltà - si deve ritrovare un ampio consenso.
Radio Vaticana
In Italia i medici obiettori sono oltre l'80 per cento, il 20 per cento in più rispetto al 1997.
D: Ma quello della donna ad abortire è un diritto? E se sì, può delegittimare il diritto del medico all’obiezione di coscienza?
Al microfono diPaolo Ondarza risponde Luciano Eusebi, ordinario di Diritto penale alla Cattolica di Milano:
R. - A me pare che il buon medico sia quello che si pone problemi di coscienza. Il problema dell’obiezione manifesta come la questione che sta a monte sia una questione vera, obiettiva, non di semplice opinione. Del resto, nel nostro sistema l’interruzione della gravidanza non è configurata come diritto, ma come una situazione eccezionalmente non punibile, rispetto alla quale dovrebbe essere attivato un impegno di prevenzione.
D. – I sostenitori di questa campagna contestano l’aumento del numero dei medici obiettori, che oggi in Italia sono oltre l’80 per cento, con punte dell’85 per cento al Sud. Questo, secondo alcuni, è sintomo di un’accresciuta coscienza "pro life" tra i medici. Secondo altri riflette, invece, un disimpegno, una mancanza di disponibilità, che prescinderebbe da questioni di coscienza, a praticare l’aborto...
R. – Innanzitutto, occorrerebbe scorporare questi dati: capire quanti sono quelli che riguardano la categoria direttamente interessata, che è quella dei medici ginecologi. In secondo luogo, sindacare sulla coscienza è molto difficile, ma certamente una difficoltà così grande ad agire contro la vita umana riflette un problema obiettivo. L’ordinamento giuridico, nel momento in cui intenda assicurare determinate prestazioni, pur discutibili, non può che agire sul piano organizzativo, facendo leva sui sanitari disponibili. Non è possibile in nessun modo agire in termini coercitivi nei confronti dei sanitari non disponibili, come del resto ha recentemente riconosciuto anche la nota risoluzione europea in materia.
D. – Vogliamo ricordare brevemente cosa dice questa raccomandazione europea, recepita da quattro mozioni presto all’esame della Camera?
R. – La risoluzione 1763 del parlamento europeo è molto chiara nel ribadire che nessuno può essere costretto ad agire contro la vita umana, né discriminato per questa scelta. Il riferimento è molto chiaro anche rispetto allo stato embrionale della vita umana. Nella seconda parte, la risoluzione parla anche dell’accesso a ciò che la legge comunque rende disponibile. E nell’occuparsi dei criteri che possono guidare gli Stati nel rendere disponibile ciò che la legge prevede, peraltro prescinde completamente da modalità di coercizione nei confronti dei soggetti che svolgono determinati ruoli.
D. – Secondo Scienza e Vita, anziché favorire l’aborto, delegittimando il diritto all’obiezione di coscienza dei medici, bisognerebbe farsi carico maggiormente della donna e del concepito, a partire da un impegno dello Stato in favore di questi ultimi. Un impegno finalizzato a ridurre le cause della scelta abortiva...
R. – L’aiuto alla donna è una risposta alla dignità della donna, perché l’interruzione della gravidanza - questo lo condividiamo tutti – non è mai un successo e i dati sugli effetti psichici della esperienza abortiva sulla donna sono ormai estremamente accreditati. Si tratta quindi di muovere secondo due livelli: un primo livello, che è anteriore al configurarsi di una gravidanza, è quello di serie politiche finalmente di aiuto alla famiglia, di aiuto alla donna. Il secondo livello attiene al momento in cui una gravidanza è in atto, per il quale l’art. 5 della legge 194 prevede uno specifico impegno inteso a rimuovere le cause - dice la legge - che porterebbero la donna all’interruzione della gravidanza. E intorno a questo impegno, che è sia di vicinanza umana sia di aiuto di carattere materiale - dovrebbe diventare anche un aiuto di carattere economico nei casi di difficoltà - si deve ritrovare un ampio consenso.
Radio Vaticana
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