“Questa sera vorrei meditare con voi su due aspetti, tra loro connessi, del Mistero eucaristico: il culto dell’Eucaristia e la sua sacralità. È importante riprenderli in considerazione per preservarli da visioni non complete del Mistero stesso, come quelle che si sono riscontrate nel recente passato”
Con queste parole il Papa ha aperto la sua omelia nella messa presieduta stasera nella basilica di San Giovanni in Laterano in occasione della solennità del Corpus Domini, cui farà seguito la processione eucaristica fino alla basilica di Santa Maria Maggiore e benedizione finale dei fedeli. Circa il primo aspetto (culto dell’Eucaristia in particolare sotto forma di adorazione eucaristica), ha affermato che “una interpretazione unilaterale del Concilio Vaticano II ha penalizzato questa dimensione, restringendo in pratica l’Eucaristia al momento celebrativo”.
Benedetto XVI ha evidenziato che “questa valorizzazione dell’assemblea liturgica rimane naturalmente valida, ma essa va ricollocata nel giusto equilibrio”. E questo equilibrio consiste in una valorizzazione “dell’adorazione come atto di fede e di preghiera rivolto al Signore Gesù” che - ha ribadito - nell’Eucaristia “ha una presenza costante in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come ‘Cuore pulsante’ della città, del paese, del territorio”.
A questo punto il Papa ha affermato che “in realtà, è sbagliato contrapporre la celebrazione e l’adorazione, come se fossero in concorrenza l’una con l’altra”. Invece ha notato che “il culto del Santissimo Sacramento costituisce come ‘l’ambiente’ spirituale entro il quale la comunità può celebrare bene e in verità l’Eucaristia”. “Nel momento dell’adorazione - ha proseguito - noi siamo tutti sullo stesso piano, in ginocchio davanti al Sacramento dell’Amore. Il sacerdozio comune e quello ministeriale si trovano accomunati nel culto eucaristico”, che rappresenta una “preparazione alla celebrazione della Santa Messa” perché “prepara i cuori all’incontro”. Ha quindi svolto una particolare catechesi su “comunione e contemplazione che non si possono separare” perché richiamano la “comunicazione vera con un’altra persona” che occorre “conoscere, saper stare in silenzio vicino a lei, ascoltarla, guardarla con amore”.
Circa la sacralità dell’Eucaristia, il Papa ha poi notato che è sbagliato pensare che con la venuta di Cristo “il centro del culto ormai non stia più nei riti e nei sacrifici antichi, ma in Cristo stesso”. In realtà, ha sottolineato, Cristo “non ha abolito il sacro, che è sì pienamente spirituale, ma che tuttavia, finché siamo in cammino nel tempo, si serve ancora di segni e di riti”. Il sacro - ha concluso - ha una “funzione educativa”. Circa questa “funzione educativa” del sacro, ha affermato che una sua scomparsa “inevitabilmente impoverisce la cultura, in particolare la formazione delle nuove generazioni. Se, per esempio, in nome di una fede secolarizzata e non più bisognosa di segni sacri, venisse abolita questa processione cittadina del Corpus Domini, il profilo spirituale di Roma risulterebbe ‘appiattito’, e la nostra coscienza personale e comunitaria ne resterebbe indebolita”. “Oppure pensiamo a una mamma e a un papà - ha aggiunto - che, in nome di una fede desacralizzata, privassero i loro figli di ogni ritualità religiosa: in realtà finirebbero per lasciare campo libero ai tanti surrogati presenti nella società dei consumi, ad altri riti e altri segni, che più facilmente potrebbero diventare idoli”. “Dio, nostro Padre - ha concluso - non ha fatto così con l’umanità: ha mandato il suo Figlio nel mondo non per abolire, ma per dare il compimento anche al sacro. Al culmine di questa missione, nell’Ultima Cena, Gesù istituì il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, il Memoriale del suo Sacrificio pasquale. Così facendo Egli pose se stesso al posto dei sacrifici antichi, ma lo fece all’interno di un rito, che comandò agli Apostoli di perpetuare, quale segno supremo del vero Sacro, che è Lui stesso”.
Con queste parole il Papa ha aperto la sua omelia nella messa presieduta stasera nella basilica di San Giovanni in Laterano in occasione della solennità del Corpus Domini, cui farà seguito la processione eucaristica fino alla basilica di Santa Maria Maggiore e benedizione finale dei fedeli. Circa il primo aspetto (culto dell’Eucaristia in particolare sotto forma di adorazione eucaristica), ha affermato che “una interpretazione unilaterale del Concilio Vaticano II ha penalizzato questa dimensione, restringendo in pratica l’Eucaristia al momento celebrativo”.
Benedetto XVI ha evidenziato che “questa valorizzazione dell’assemblea liturgica rimane naturalmente valida, ma essa va ricollocata nel giusto equilibrio”. E questo equilibrio consiste in una valorizzazione “dell’adorazione come atto di fede e di preghiera rivolto al Signore Gesù” che - ha ribadito - nell’Eucaristia “ha una presenza costante in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come ‘Cuore pulsante’ della città, del paese, del territorio”.
A questo punto il Papa ha affermato che “in realtà, è sbagliato contrapporre la celebrazione e l’adorazione, come se fossero in concorrenza l’una con l’altra”. Invece ha notato che “il culto del Santissimo Sacramento costituisce come ‘l’ambiente’ spirituale entro il quale la comunità può celebrare bene e in verità l’Eucaristia”. “Nel momento dell’adorazione - ha proseguito - noi siamo tutti sullo stesso piano, in ginocchio davanti al Sacramento dell’Amore. Il sacerdozio comune e quello ministeriale si trovano accomunati nel culto eucaristico”, che rappresenta una “preparazione alla celebrazione della Santa Messa” perché “prepara i cuori all’incontro”. Ha quindi svolto una particolare catechesi su “comunione e contemplazione che non si possono separare” perché richiamano la “comunicazione vera con un’altra persona” che occorre “conoscere, saper stare in silenzio vicino a lei, ascoltarla, guardarla con amore”.
Circa la sacralità dell’Eucaristia, il Papa ha poi notato che è sbagliato pensare che con la venuta di Cristo “il centro del culto ormai non stia più nei riti e nei sacrifici antichi, ma in Cristo stesso”. In realtà, ha sottolineato, Cristo “non ha abolito il sacro, che è sì pienamente spirituale, ma che tuttavia, finché siamo in cammino nel tempo, si serve ancora di segni e di riti”. Il sacro - ha concluso - ha una “funzione educativa”. Circa questa “funzione educativa” del sacro, ha affermato che una sua scomparsa “inevitabilmente impoverisce la cultura, in particolare la formazione delle nuove generazioni. Se, per esempio, in nome di una fede secolarizzata e non più bisognosa di segni sacri, venisse abolita questa processione cittadina del Corpus Domini, il profilo spirituale di Roma risulterebbe ‘appiattito’, e la nostra coscienza personale e comunitaria ne resterebbe indebolita”. “Oppure pensiamo a una mamma e a un papà - ha aggiunto - che, in nome di una fede desacralizzata, privassero i loro figli di ogni ritualità religiosa: in realtà finirebbero per lasciare campo libero ai tanti surrogati presenti nella società dei consumi, ad altri riti e altri segni, che più facilmente potrebbero diventare idoli”. “Dio, nostro Padre - ha concluso - non ha fatto così con l’umanità: ha mandato il suo Figlio nel mondo non per abolire, ma per dare il compimento anche al sacro. Al culmine di questa missione, nell’Ultima Cena, Gesù istituì il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, il Memoriale del suo Sacrificio pasquale. Così facendo Egli pose se stesso al posto dei sacrifici antichi, ma lo fece all’interno di un rito, che comandò agli Apostoli di perpetuare, quale segno supremo del vero Sacro, che è Lui stesso”.
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