Se Dio è Amore e Misericordia, come si spiega il dolore che attanaglia l’umanità? Questa è la difficoltà più frequente che si sente fare anche dal credente, dal cristiano che frequenta la Chiesa e i Sacramenti, perché si dimentica che il mondo com’è adesso non è quello voluto da Dio, ma quello rovinato dal peccato.
Dio, dopo aver creato il mondo con tutte le meraviglie che ci circondano: il sole, la luna, le stelle, i mari, i monti, le piante, i fiori, i frutti di ogni genere; dopo aver creato l’indefinita varietà di pesci, di uccelli, di animali; dopo aver preparato la culla del genere umano con tutte le delizie del paradiso terrestre, volle creare l’uomo a sua immagine e somiglianza per renderlo partecipe un giorno della sua stessa felicità eterna.
Creando l’uomo avrebbe potuto lasciarlo nel semplice stato naturale e, dopo una vita naturalmente onesta, dargli una felicità naturale, infinitamente inferiore a quella soprannaturale del Paradiso. Dio, invece, elevò l’uomo allo stato soprannaturale facendolo suo figlio adottivo. Siccome il figlio deve avere la stessa natura del padre, Dio lo fece partecipe della sua natura divina mediante la grazia santificante, per cui Gesù ci fa pregare: «Padre nostro, che sei nei cieli... » (Matt. 6,9), e San Giovanni (I Gv. 3,1-2) ci dice: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!... Carissimi noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui perché lo vedremo così come Egli è».
Oltre il dono soprannaturale della grazia santificante, che ci fa partecipi della vita divina, Dio aveva dato all’uomo altri doni, fra i quali quelli preternaturali dell’impassibilità e dell’immortalità, per cui l’uomo non doveva mai soffrire e mai morire. Tali doni erano però legati alla riuscita della prova alla quale Dio sottopose l’uomo.
Che cosa poteva mancare all’uomo in quella dimora incantevole? Nulla: godeva un paradiso in terra in attesa di entrare un giorno nella gloria e nel possesso di Dio per tutta l’eternità.
Un solo comando gli aveva dato Dio: non mangiare i frutti dell’albero che si trovava nel mezzo del giardino del paradiso terrestre. Conosciamo la storia della sua dolorosa caduta:
Adamo, spinto da Eva già sedotta da Satana, si ribellò a Dio mangiando il frutto dell’albero vietato. Commise il primo peccato grave di superbia e di ribellione, chiamato «peccato originale», perché Adamo è il capostipite dell’umanità.
L’uomo, staccandosi da Dio con una scelta libera ed errata, ha innescato tutto un processo di realtà negative, delle quali la peggiore è la morte. Infatti la parola di Dio (Sap. 2:23) dice «Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della sua natura. La morte è entrata nel mondo per invidia del Diavolo» che convinse Adamo a ribellarsi all’ordine di Dio.
Come conseguenza del peccato non dobbiamo intendere solo la morte, ma anche la sofferenza di ogni tipo che ne è il sottoprodotto.
Il Padre, sin dal primo istante dopo il peccato, incalza col suo amore questi figli ribelli che si nascondono e cerca di provocare il loro pentimento, rivolgendosi prima ad Adamo: «Dove sei?», e poi ad Eva:
«Che cosa hai fatto?» (Gen. 3,8-12).
Sarebbe bastato che almeno uno di loro gli avesse detto: «Ho sbagliato! E colpa mia! » per permettere al Padre di reintegrarli nel primitivo stato di grazia, cioè della vita divina che li aveva resi figli di Dio e re del creato.
Dal momento che Adamo ed Eva non aff errarono il suo richiamo d’amore, il Padre prova con le maniere forti, presentando il drammatico quadro delle conseguenze del loro peccato, nella speranza che (se non per amore almeno per timore) riconoscano il loro errore, il loro peccato. Il Padre è sempre pronto al perdono, per convincercene basta citare un parallelo biblico con quello che Dio, mediante il profeta Natan, dice a Davide, dopo i suoi grandi peccati (2 Sam. 12,9-13): «Tu hai colpito di spada Uria 1’Hittita, hai preso in moglie sua moglie e lo hai ucciso con la spada degli Ammoniti. Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché ti mi hai disprezzato... Ecco io sto per suscitare contro di te la sventura dalla tua stessa casa.
Allora Davide disse a Natan: Ho peccato contro il Signore! Natan rispose a David: Il Signore ha perdonato il tuo peccato; tu non morirai». Dio per mezzo del profeta Natan che parla a suo nome, usa con Davide lo stesso tono e lo stesso stile che usò con Adamo.
Davide riconosce il suo peccato ed è salvo; tutte le sciagure prospettate su di lui e sulla sua famiglia vengono sciolte dal Padre che «perdona il peccato» e libera dalle sue conseguenze. Adamo invece non riconosce la sua colpa e il Padre non può intervenire con la sua misericordia. La famiglia umana, perché discendente da Adamo ed Eva, dovrà subire tutte le conseguenze del peccato: la sofferenza, la morte e tutte le angherie del Demonio, il padrone di cui il capostipite, Adamo, si è reso schiavo. Perciò il dolore e la morte sono le conseguenze del peccato originale aggravate dei peccati personali di ogni uomo.
Questo ci spiega perché la sofferenza e la morte ci ripugnano, proprio perché Dio ci ha creati per la felicità e l’immortalità. Gesù Cristo, la seconda Persona della SS.ma Trinità, s’incarnò nel seno purissimo dell’Immacolata e sempre Vergine Maria, e s’immolò sulla croce per rifare l’uomo decaduto di nuovo figlio di Dio ed erede del Paradiso. Per realizzare questo Gesù scelse la via della sofferenza, insegnandoci così che la sofferenza è condizione necessaria per salvarsi.
fonte: www.vatican.va
lunedì 25 giugno 2012
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