All'udienza generale, Benedetto XVI commenta la II Lettera ai Corinti. San Paolo ricorda le difficoltà e opposizioni incontrate, ma non si vanta della sua forza e dei suoi successi, ma di quello che Dio ha fatto tramite lui. Fino a dire: "mi compiaccio delle mie debolezze, mi basta la forza di Cristo".
In un mondo in cui "rischiamo di confidare solo sull'efficienza e la potenza dei mezzi umani, in questo mondo siamo chiamati a riscoprire e testimoniare la potenza della preghiera con la quale cresciamo ogni giorno nel conformare la nostra vita a quella di Cristo, il quale 'fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio'", un Dio che non ci libera dai mali, ma ci aiuta a maturare di fronte alle sofferenze, alle difficoltà, alla persecuzione. E' l'insegnamento che Benedetto XVI ha tratto dalla II Lettera ai Corinti, della quale ha parlato alle ottomila persone presenti nell'aula Paolo VI per l'udienza generale.Il testo paolino, ha spiegato il Papa, dimostra che anche "se il nostro mondo esteriore si sta disfacendo", "se rimaniamo in Dio", "quello interiore matura ogni giorno nelle prove". San Paolo, infatti "non elenca le comunità che ha fondato, i chilometri che ha percorso; non si limita a ricordare le difficoltà e le opposizioni che ha affrontato per annunciare il Vangelo, ma indica il suo rapporto con il Signore, un rapporto così intenso da essere caratterizzato anche da momenti di estasi, di contemplazione profonda; quindi non si vanta di ciò che ha fatto, della sua forza, ma si vanta dell'azione di Dio in lui e tramite lui". E "per raccontare ciò che non si può raccontare, parla addirittura in terza persona, quando dice: So che un uomo, in Cristo, quattordici anni fa fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest'uomo fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunciare".
"La contemplazione è così profonda e intensa che l'Apostolo non ricorda neppure i contenuti della rivelazione ricevuta, ma ha ben presenti la data e le circostanze in cui il Signore lo ha afferrato in modo così totale, lo ha attirato a sé, come aveva fatto sulla strada di Damasco al momento della sua conversione"
Per non montare in superbia "porta in sé una spina, una sofferenza" dalla quale ha pregato di essere liberato. "Il Risorto gli rivolge una parola chiara e rassicurante: Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza". "Il commento di Paolo a queste parole può lasciare stupiti, ma rivela come egli abbia compreso che cosa significa essere veramente apostolo: 'Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte'".Paolo "comprende con chiarezza come affrontare e vivere ogni evento, soprattutto la sofferenza, la difficoltà, la persecuzione: nel momento in cui si sperimenta la propria debolezza, si manifesta la potenza di Dio, che non abbandona, non lascia soli, ma diventa sostegno e forza".
E anche per noi, quanto più "cresce la nostra unione con il Signore e si fa intensa la nostra preghiera, anche noi andiamo all'essenziale e comprendiamo che non è la potenza dei nostri mezzi, delle nostre virtù, delle nostre capacità che realizza il Regno di Dio, ma è Dio che opera meraviglie proprio attraverso la nostra debolezza, la nostra inadeguatezza all'incarico. Dobbiamo avere l'umiltà di non confidare in noi stessi, ma di lavorare nella vigna del Signore, affidandoci a Lui".
Un altro punto che si evidenzia dalla Lettera, è il valore della contemplazione di Dio. Essa è allo stesso tempo, "affascinante e tremendo: affascinante perché Egli ci attira a sé e rapisce il nostro cuore verso l'alto, portandolo alla sua altezza dove sperimentiamo la pace, la bellezza del suo amore; tremendo perché mette a nudo la nostra debolezza umana, la nostra inadeguatezza, la fatica di vincere il Maligno che insidia la nostra vita, quella spina conficcata anche nella nostra carne. Nella preghiera, nella contemplazione quotidiana del Signore, noi riceviamo la forza dell'amore di Dio"."Quanto più diamo spazio alla preghiera - ha concluso il Papa - tanto più vedremo che la nostra vita si trasformerà e sarà animata dalla forza concreta dell'amore di Dio. Così avvenne, ad esempio, per la beata Madre Teresa di Calcutta, che nella contemplazione di Gesù trovava la ragione ultima e la forza incredibile per riconoscerlo nei poveri e negli abbandonati, nonostante la sua fragile figura. La contemplazione di Cristo nella nostra vita non ci estranea, come già detto, dalla realtà, bensì ci rende ancora più partecipi delle vicende umane, perché il Signore, attirandoci a sé nella preghiera, ci permette di farci presenti e prossimi ad ogni fratello nel suo amore".
Città del Vaticano (AsiaNews)
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