Tra l’uomo che ha fede e l’uomo che non la ha ci dovrebbe essere una differenza fondamentale: che il primo professa una serie di certezze, di Verità indubitabili, non negoziabili, mentre il secondo contrappone a queste certezze il dubbio, talora lo smarrimento. Fede, infatti, significa certezza nell’esistenza di Dio, cioè di un significato, di una Verità, di un Bene assoluto. Questa certezza è presente in chi crede in una religione rivelata, nell’esistenza di un Dio che è sceso incontro all’uomo, in prima persona. Il cattolico è dunque un uomo di solide certezze. Non un uomo “in ricerca della Verità”, come spesso si dice, ma un uomo che la ha già incontrata e che ricerca, invece, con grande fatica, di amarla e di penetrarla sempre di più, certo di non poter mai giungere sino al fondo.
Eppure, nel pensiero cattolico contemporaneo, non sembra che sia così. Il “cattolico adulto”, per usare una definizione di comodo, è figlio del modernismo, così ben analizzato da Pio X nella Pascendi Dominici Gregis: egli vuole essenzialmente sposare la sua fede in Cristo con le filosofie contemporanee, che dissolvono la Verità nell’individualismo, nel libero esame, nello scetticismo. Per questo, che si parli di Dio, di etica, o di tutto ciò che è importante, si fa sempre difensore del dubbio, come metodo e come obiettivo. Vi sono parole che da sole bastano a farlo inviperire: Verità, principi non negoziabili, errore…insomma tutto ciò che allude ad una chiara definizione, ad una evidente e certa distinzione tra ciò che è vero e ciò che non lo è.
In mille occasioni, il cattolico modernista risponde al suo oppositore con frasi ironiche di questo genere: “Beati quelli pieni di certezze come te, io non ne ho”. Dove si deve leggere, tra le righe, un misto dicompatimento e di finta umiltà: chi professa il dubbio metodico si crede anzitutto più intelligente, e in secondo luogo più umile, rispetto ad un interlocutore che ha certezze solo perché un po’ grullo, sempliciotto e saccente. Cristo? Io non ho certezze, professa il cattolico adulto, e intanto trasforma il mandato di evangelizzare tutte le genti, in un indifferentismo che chiama ecumenismo. L’aborto? Io non ho certezze, ribadisce, tendendo la mano al radicale e votando la legge 194; L’eutanasia? Nel dubbio finisce sempre per invitare Beppino Englaro a parlare nella sua parrocchia…
Invece, a mio parere, la Fede e il dubbio non possono stare insieme, almeno non in questo modo. La Fede è la certezza che ciò che Cristo ha rivelato sia vero, buono, giusto, per ogni uomo. Non per fiducia in una propria personale posizione o filosofia; ma per fiducia in Colui che è creatore dell’universo. La Fede è dunque intransigente, come l’amore. Chi ama, ama davvero, integralmente, o quantomeno desidera farlo. Chi crede nel Salvatore non può disegnarsene uno da seguire a tempi alterni e secondo le voglie: non sarebbe un Salvatore, ma, al massimo, un filosofo, o un saggio. Ciò non significa che chi crede rinunci alla sua intelligenza, al suo giudizio, ad una analisi personale. Significa, al contrario, che la Fede è anche una libera scelta, della ragione e della volontà, ma una scelta, diciamo così, una volta per tutte: non è un scegliere di volta in volta, liberi da vincoli, da principi, ma un aver imboccato una strada, quella indicata da Cristo, perché se ne è riconosciuta la validità, la verità, la bellezza. In essa si vuole stare, pur cadendo mille volte.
La fede, insomma, è obbedienza alla Verità rivelata, non a se stessi. Un cattolico che ha fede dunque,scaccia i dubbi: Dio esiste e di conseguenza, nella vita morale, il bene e il male non sono relativi al suo volere o al suo discernimento…E’ questa grulleria o saccenza? Al contrario, questa visione della fede contiene in sé, oltre che una grande saggezza (l’uomo non si è mai salvato da solo), una grande umiltà: l’uomo di fede non dubita del suo Salvatore, ma di sé, certamente, e molto! Confrontarsi con i dogmi e le Verità rivelate significa infatti mettersi sempre in discussione; significa tendere verso un dover essere e sentire la propria inadeguatezza. L’ uomo di fede, così, mentre con la mente e col cuore professa il Credo, nella pratica sperimenta la sua miseria, e mette in dubbio il suo stesso operato, costantemente.
Al contrario, il cattolico che vanta la sua apertura mentale, che si lancia negli elogi sperticati del dubbio fine a se stesso, non solo nega la propria fede, ma lungi dal professare una vera umiltà, finisce per porsi, di fronte alle singole scelte, con lo stesso atteggiamento dell’uomo che non crede, cioè al di là del bene e del male. Si lascia infatti aperta ogni strada e ogni scelta, nella teoria, per poterla percorrere, poi, nella pratica. Elogia il dubbio, ma in verità erge se stesso a criterio di ogni decisione, negando una Verità che lo sovrasti e a cui adeguarsi. Nella Fede cattolica vi è dunque grande spazio, certamente, per il dubbio: riguardo a se stessi, lo ripeto, ed anche, come è umano, riguardo a Dio. Ma non c’è spazio per il dubbio metodico, rivendicato come parte integrante, anzi costituente, della Fede stessa.
fonte: Il Foglio 8 giugno 2012
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