sabato 30 giugno 2012

Pastore sollecito che vigilas sul gregge di Cristo. Dalle "Lettere" di san, Bonifacio, vescovo e martire

 

 La Chiesa è come una grande nave che solca il mare del mondo. Sbattuta com'è dai diversi flutti di avversità, non si deve abbandonare, ma guidare.
Grandi nocchieri furono i primi padri, quali Clemente e Cornelio e moltissimi altri a Roma, Cipriano a Cartagine e Atanasio ad Alessandria. Essi al tempo degli imperatori pagani, governavano la nave di Cristo, anzi la sua carissima Sposa. Insegnarono, combatterono, faticarono e soffrirono fino a dare il loro sangue.
Al pensiero di queste cose e di altre simili, timore e spavento mi hanno invaso e quasi mi hanno sopraffatto (cfr. Sal 54, 6) le tenebre dei miei peccati. Perciò avrei voluto abbandonare del tutto il timone della Chiesa, se avessi trovato precedenti simili nei Padri o nelle Sacre Scritture. Ma non potendolo fare, l'anima mia stanca ricorre a colui che per mezzo di Salomone dice: «Confida nel Signore con tutto il cuore e non appoggiarti sulla tua intelligenza; in tutti i tuoi passi pensa a lui ed egli appianerà i tuoi sentieri» (Pro 3, 5-6). Ed altrove: «Il nome del Signore è una torre fortissima. Il giusto vi si rifugia ed è al sicuro» (Pro 18, 10).
Stiamo saldi nella giustizia e prepariamo le nostre anime alla tentazione per ottenere l'appoggio di Dio e diciamogli: «O Signore, tu sei stato per noi rifugio di generazione in generazione» (Sal 89, 1).
Confidiamo in lui che ha messo sulle nostre spalle questo peso. Ciò che noi da soli non siamo capaci di portare, portiamolo con il suo aiuto. Egli è onnipotente e dice: «Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11, 30).
Stiamo saldi nella battaglia fino al giorno del Signore, perché ci sono venuti addosso giorni di angustia e di tribolazione. Moriamo, se Dio vorrà, per le sante leggi dei nostri padri, per poter conseguire con essi l'eredità eterna.
Non siamo dei cani muti, non siamo spettatori silenziosi, non siamo mercenari che fuggono il lupo, ma pastori solleciti e vigilanti sul gregge di Cristo. Predichiamo i disegni di Dio ai grandi e ai piccoli, ai ricchi e ai poveri. Annunziamoli a tutti i ceti e a tutte le età finché il Signore ci darà forza, a tempo opportuno e importuno, a quel modo che san Gregorio scrisse nella sua «Regola Pastorale».

Martirologio Romano: Memoria di san Bonifacio (672/73 - 5 giugno 754), vescovo e martire. Monaco di nome Vinfrido, giunto a Roma dall’Inghilterra fu ordinato vescovo dal papa san Gregorio II e, preso il nome di Bonifacio, fu mandato in Germania ad annunciare la fede di Cristo a quelle genti, guadagnando moltitudini alla religione cristiana; resse la sede di Magonza e da ultimo a Dokkum tra i Friosoni, nell’odierna Olanda, trafitto con la spada dalla furia dei pagani, portò a compimento il martirio


La Tomba di Pietro non è in Vaticano dal libro di Antonio Socci - Giacomo Galeazzi

Pietro non è dove crediamo che sia. Durante la seconda guerra mondiale la mistica Maria Valtorta riportò ciò che Gesù le aveva concesso di «vedere»: Pietro non era mai stato sepolto sul colle Vaticano, luogo del martirio, ma le sue spoglie erano state deposte e custodite dai cristiani in quelle che oggi sono conosciute come le catacombe dei santi Marcellino e Pietro, sulla via Casilina. Inoltre la mistica avverte Pio XII della "leggenda nera" che si sta per abbattere su di lui: quella di aver taciuto di fronte alla Shoah. "In un dettato del dicembre 1943 Gesù esorta Pio XII a denunciare pubblicamente l'anticristo nazista e il genocidio degli ebrei, accettando per sé il conseguente martirio. Per evitare, in futuro, di essere accusato di connivenza. Quello che è puntualmente accaduto". Il monito profetico della mistica di Viareggio, Maria Valtorta (indirizzato a papa Pacelli nel dicembre 1943 quando ancora nessuno sapeva della Shoah) è rivelato dall'ultimo libro di Antonio Socci, "I giorni della tempesta" (Rizzoli), un giallo metafisico ambientato nel 2015 tra conclave, trame criminali e persecuzioni contro la Chiesa. Argomenti e personaggi sono ispirati all'attualità. La storia si svolge fra la morte di un papa e l'inizio di un Conclave. "Il tempo della sede vacante rappresenta per me una condizione di incertezza, di smarrimento generale- spiega a Vatican Insider, il giornalista e scrittore Antonio Socci-. E' un po' la metafora del nostro tempo, nel mondo e nella Chiesa. Che in quelle ore di sospensione alcuni audaci, venuti in possesso delle esplosive rivelazioni della Valtorta e armati di fede, si buttino in una corsa contro il tempo per ritrovare la vera tomba e il corpo di san Pietro, nella catacomba di Torpignattara, rappresenta la ricerca di una presenza paterna che illumina, che protegge, che indica il cammino. E che può scongiurare la catastrofe incombente. Ovviamente anzitutto per la Chiesa (Pietro è il ritrovamento dell'origine), ma anche per la storia di tutti, che siamo alla ricerca del senso della vita, e per la storia del mondo, oggi così tenebrosa e tumultuosa".
A margine di questa considerazione, Socci aggiunge: "Spero vivamente di poter contribuire, con questo libro, alla scoperta dell'Opera di Maria Valtorta, soprattutto il suo straordinario "L'Evangelo come mi è stato rivelato"". E si augura, lo scrittore cattolico, che "vengano finalmente condotte delle ricerche archeologiche nelle catacombe dei santi Pietro e Marcellino, che già in anni recenti hanno riservato clamorose sorprese. Se davvero si scoprisse lì la sepoltura del principe degli apostoli sarebbe probabilmente la più grande scoperta archeologica della storia cristiana". Le pagine più intense del libro affrontano il periodo difficilissimo della seconda guerra mondiale. Secondo quanto riferito dalla mistica Maria Valtorta comunismo e nazismo facevano parte di un'unica armata satanica, anche se apparentemente divisi: "Gesù ripete che non è un conflitto fra ideologie, Questa è lotta fra Cielo e inferno. Dietro il paravento delle razze, delle egemonie, dei diritti, dietro il movente delle necessità politiche, si celano, in realtà, Cielo e Inferno che combattono fra loro. Questa è una delle prime selezioni dell'umanità, che si avvicina alla sua ora ultima" . "In questo contesto invita i cristiani a testimoniare la verità fino al martirio. Anche il Papa". E Il 24 giugno 1943 lo colloca fra le vittime innocenti.
Intanto in Vaticano si era saputo delle visioni di Maria Valtorta sulla morte e la sepoltura di Pietro. Da dieci anni, infatti, erano in corso con grande riservatezza gli scavi archeologici sotto l'altare della Confessione della basilica di San Pietro: iniziati in concomitanza con il tentativo di allestire una sistemazione per la sepoltura di Pio XI e continuati per cercare le tracce del sepolcro dell'apostolo, se possibile anche i resti del suo corpo. In un altro dialogo con la mistica di Viareggio, Gesù le dice: "Come siete cambiati dai primi cristiani che non tenevano conto di nulla che fosse umano e guardavano soltanto il Cielo! È vero che Io ho detto di essere prudenti come i serpenti, ma non di una prudenza umana. Vi ho anche detto che per seguire Me occorre essere audaci contro tutti. Contro l'amore di sé; contro il potere, quando vi perseguita perché siete miei seguaci" e poi "perché una sola cosa è necessaria: salvare la propria anima anche perdendo la vita della carne per ottenere la Vita eterna"".
Quindi, in piena Seconda guerra mondiale, Gesù esorta a seguire l'esempio dei primi martiri. Il 29 febbraio 1944 sui testimoni della fede Gesù le dice: "Morivano, e il loro morire era breccia nella diga del paganesimo. Il loro sangue, sgorgando da migliaia di ferite, ha sgretolato la muraglia pagana e come tanti rivoli si è sparso nelle milizie di Cesare, nella reggia di Cesare, nei circhi e nelle terme. Il suolo di Roma è imbevuto di questo sangue e la città sorge, potrei dire che è cementata col sangue e la polvere dei miei martiri. Le poche centinaia di martiri che voi conoscete sono un nulla rispetto ai mille e mille ancora sepolti nelle viscere di Roma e agli altri mille e mille che bruciati sui pali nei circhi divennero cenere sparsa dal vento, o sbranati e inghiottiti da fiere e da rettili divennero escremento che fu spazzato e gettato come concime". E ancora, "il loro annichilimento totale, sin dello scheletro, è stato quello che ha fecondato più di qualunque concime il suolo selvaggio del mondo pagano e lo ha fatto divenire capace di portare il Grano celeste".
E dunque, la vittoria della Chiesa sul paganesimo non avviene con mezzi umani, ma paradossalmente attraverso il martirio. Nei mesi terribili del 1943-1944, Gesù ripete continuamente a Maria Valtorta che nazifascismo e comunismo (pur senza nominarli e forse pensando anche ad altro) siano poteri in mano a Satana, siano paganesimi peggiori dell'antico. Anche se durante la guerra sono stati prima alleati e poi avversari. Infatti il 19 giugno Gesù, tramite Maria, spiega: "La divisione è puramente apparente. L'ordine dato da Lucifero nella presente vicenda ai diversi demoni non è diverso a seconda degli Stati. È un ordine unico per tutti. Donde si comprende che il regno di Satana non è diviso e perciò dura. Questo ordine può essere enunciato così: "Seminate orrore, disperazione, errori, perché i popoli si stacchino, maledicendolo, da Dio"".
Fonte: Giacomo Galeazzi, Vatican Insider
 

venerdì 29 giugno 2012

Intenzioni di preghiera del Santo Padre Luglio 2012


INTENZIONI DI PREGHIERA DEL SANTO PADRE LUGLIO 2012

Città del Vaticano, 28 giugno 2012 (VIS). Riportiamo di seguito le intenzioni per il mese di luglio affidate dal Papa all'apostolato della preghiera:

Generale: "Perché tutti possano avere
un lavoro e svolgerlo in condizioni di stabilità e di sicurezza".
Missionaria: "Perché i volontari cristiani, presenti nei territori di missione, sappiano dare testimonianza della carità di Cristo".


Non vi è nè vi fu mai popolo tanto grande da avere degli dei a loro vicini così come a noi è presente il nostro Dio - San Tommaso

Miracolo della corporale
Francesco Trevisani, Bolsena, Collegiata di Santa Cristina
Gli immensi benefici della munificenza divina accordati al popolo cristiano conferiscono ad esso una dignità inestimabile. Infatti non vi è né vi fu mai popolo tanto grande da avere degli dei a loro vicini così come a noi è presente il nostro Dio. Poiché l’Unigenito Figlio di Dio, volendo farci partecipe della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché il Verbo Incarnato facesse dei gli uomini. E oltre a ciò, quel che di nostro assunse, tutto per noi rivolse alla salvezza. Infatti offerse a Dio Padre sull’altare della croce il suo corpo come vittima per la nostra riconciliazione, sparse il suo sangue in riscatto ed in lavacro affinché, redenti da una miseranda servitù, noi fossimo risanati da tutti i peccati. E perché rimanesse in noi perenne memoria di così grande beneficio, lasciò, sotto le specie del pane e del vino, il suo corpo in cibo e il suo sangue in bevanda comandando ai fedeli di cibarsene.

O convivio prezioso e ammirabile, salutare e pieno di ogni soavità! Che cosa, infatti, vi può essere mai di più prezioso di questo convito, in cui non ci vengono offerte carni di vitelli e di capri, come nell’antica Legge, ma ci viene presentato per cibo Cristo vero Dio. Che cosa di più mirabile di questo Sacramento? Poiché in esso il pane e il vino sono sostanzialmente cambiati nel corpo e nel sangue del Signore; Cristo quindi, Dio e Uomo perfetto, è contenuto sotto le specie di un po’ di pane e di vino. Viene così mangiato dai fedeli ma non lacerato, anzi diviso, il Sacramento, Egli perdura intero, sotto ogni particella della divisione. Gli accidenti poi di questo Sacramento sussistono senza soggetto, affinché abbia luogo la fede mentre Colui che è invisibile è assunto invisibilmente, nascosto sotto veste diversa; e restino immune da inganni i sensi, i quali giudicano dagli accidenti, che sono l’oggetto proprio della loro conoscenza

Così pure non vi è altro Sacramento più salutare di questo, con il quale si purgano i peccati, si accrescono le virtù e l’anima si arricchisce dell’abbondanza di tutti i carismi spirituali. Viene offerto nella Chiesa per i vivi e per i morti, perché giovi a tutti ciò che per tutti fu istituito. Nessuno poi è capace di esprimere la soavità di questo Sacramento, col quale si assapora la dolcezza spirituale nella sua stessa sorgente, e si richiama alla memoria quell’eccellentissimo amore che Cristo ci mostrò nella sua Passione. Proprio quindi perché l’immensità di un tale amore si imprimesse più profondamente nel cuore dei fedeli, Gesù istituì questo Sacramento nell’ultima cena quando, celebrata la Pasqua con i discepoli, stava per passare da questo mondo al Padre; lo istituì come memoriale perenne della sua passione, come adempimento delle antiche figure, come il più grande dei miracoli da lui operati e come singolare conforto per i cuori contristati per la sua assenza.


S.TOMMASO D’AQUINO,
Festa del Corpus Domini, Opusculum 57

giovedì 28 giugno 2012

La Comunione ricevuta sulla lingua e in ginocchio

Dal 2008 Benedetto XVI ha ripreso l'antichissima tradizione per evitare al massimo la dispersione dei frammenti eucaristici e favorire la crescita della devozione dei fedeli verso la presenza reale di Cristo nel sacramento

La più antica prassi di distribuzione della Comunione è stata, con tutta probabilità, quella di dare la Comunione ai fedeli sul palmo della mano. La storia della liturgia evidenzia, tuttavia, anche il processo, iniziato abbastanza presto, di trasformazione di tale prassi. Sin dall'epoca dei Padri, nasce e si consolida una tendenza a restringere sempre più la distribuzione della Comunione sulla mano e a favorire quella sulla lingua. Il motivo di questa preferenza è duplice: da una parte, evitare al massimo la dispersione dei frammenti eucaristici; dall'altra, favorire la crescita della devozione dei fedeli verso la presenza reale di Cristo nel sacramento.
All'uso di ricevere la Comunione solo sulla lingua fa riferimento anche san Tommaso d'Aquino, il quale afferma che la distribuzione del Corpo del Signore appartiene al solo sacerdote ordinato. Ciò per diversi motivi, tra i quali l'Angelico cita anche il rispetto verso il sacramento, che «non viene toccato da nessuna cosa che non sia consacrata: e quindi sono consacrati il corporale, il calice e così pure le mani del sacerdote, per poter toccare questo sacramento. A nessun altro quindi è permesso toccarlo fuori di caso di necessità: se per esempio stesse per cadere per terra, o in altre contingenze simili» (Summa Theologiae, III, 82, 3).
Lungo i secoli, la Chiesa ha sempre cercato di caratterizzare il momento della Comunione con sacralità e somma dignità, sforzandosi costantemente di sviluppare nel modo migliore gesti esterni che favorissero la comprensione del grande mistero sacramentale. Nel suo premuroso amore pastorale, la Chiesa contribuisce a che i fedeli possano ricevere l'Eucaristia con le dovute disposizioni, tra le quali figura il comprendere e considerare interiormente la presenza reale di Colui che si va a ricevere (cf. Catechismo di san Pio X, nn. 628 e 636). Tra i segni di devozione propri ai comunicandi, la Chiesa d'Occidente ha stabilito anche lo stare in ginocchio. Una celebre espressione di sant'Agostino, ripresa al n. 66 della Sacramentum Caritatis di Benedetto XVI, insegna: «Nessuno mangi quella carne [il Corpo eucaristico], se prima non l'ha adorata. Peccheremmo se non l'adorassimo» (Enarrationes in Psalmos, 98,9). Stare in ginocchio indica e favorisce questa necessaria adorazione previa alla ricezione di Cristo eucaristico.
In questa prospettiva, l'allora cardinale Ratzinger aveva assicurato che «la Comunione raggiunge la sua profondità solo quando è sostenuta e compresa dall'adorazione» (Introduzione allo spirito della liturgia, Cinisello Balsamo, San Paolo 2001, p. 86). Per questo, egli riteneva che «la pratica di inginocchiarsi per la santa Comunione ha a suo favore secoli di tradizione ed è un segno di adorazione particolarmente espressivo, del tutto appropriato alla luce della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate» (cit. nella Lettera This Congregation della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, del 1° luglio 2002: EV 21, n. 666).
Giovanni Paolo II nella sua ultima enciclica, Ecclesia de Eucharistia, ha scritto al n. 61:
«Dando all'Eucaristia tutto il rilievo che essa merita, e badando con ogni premura a non attenuarne alcuna dimensione o esigenza, ci dimostriamo veramente consapevoli della grandezza di questo dono. Ci invita a questo una tradizione ininterrotta, che fin dai primi secoli ha visto la comunità cristiana vigile nella custodia di questo "tesoro". [...] Non c'è pericolo di esagerare nella cura di questo Mistero, perché "in questo Sacramento si riassume tutto il mistero della nostra salvezza"».
In continuità con l'insegnamento del suo Predecessore, a partire dalla solennità del Corpus Domini del 2008, il Santo Padre Benedetto XVI ha iniziato a distribuire ai fedeli il Corpo del Signore, direttamente sulla lingua e stando inginocchiati.

Fonte: Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Papa

mercoledì 27 giugno 2012

Il Papa: "Tra tanti dominatori che ci vogliono indirizzare, il cristiano veda in Dio l'unico signore"

E' Dio "l'unico signore della nostra vita in mezzo a tanti dominatori che la vogliono indirizzare": per questo "è necessario avere una scala di valori in cui il primato spetta a Dio". E' il "testamento spirituale" di san Paolo, contenuto nella Lettera ai filippesi, della quale Benedetto XVI ha parlato oggi alle settemila persone presenti nell'aula Paolo VI, in Vaticano.
L'Apostolo scrive dalla prigione, "probabilmente a Roma e sente vicina la morte", ma, nonostante questo, "esprime la gioia di essere discepolo di Cristo", fino a "vedere la morte come un guadagno". Paolo afferma infatti che "la gioia è una caratteristica dell'essere cristiano", "siate sempre lieti nel Signore; ve lo ripeto: siate lieti". "Da cosa, anzi da chi trae la serenità, la forza e il coraggio di andare incontro al martirio, all'effusione del sangue?". La risposta è Gesù, e per questo, la Lettera ai filippesi è un "inno cristologico, un canto in cui tutta l'attenzione è centrata sul modo di pensare, sull'atteggiamento concreto, sul vissuto di Cristo" (cfr. Filipp. 2).
"Abbiate in voi gli stessi atteggiamenti di Gesù", è l'esortazione di san Paolo. "Si tratta non solo di seguire l'esempio di Gesù, ma di coinvolgere tutta l'esistenza nel suo modo di pensare e di agire. La preghiera deve condurre ad una conoscenza e ad un'unione nell'amore sempre più profonde con il Signore, per poter pensare, agire e amare in Lui e per Lui".
Il Papa ha poi evidenziato alcuni punti: il primo è che "l'inno a Cristo parte dal suo essere 'nella forma di Dio', nella condizione di Dio. Gesù, vero Dio e vero uomo, non vive questo suo essere per imporre la sua supremazia, non per il possesso, il privilegio, anzi si spoglia, assumendo la forma di schiavo, la piena realtà umana, segnata da sofferenza, povertà, morte". "Di servo completamente dedito al servizio degli altri".
"Paolo continua delineando il quadro storico in cui si è realizzato questo abbassamento di Gesù", che "umiliò se stesso fino alla morte, in completa ubbidienza e fedeltà al volere del Padre, fino al sacrificio, fino alla morte e alla morte di croce: massimo grado di umiliazione, perché era pena destinata agli schiavi". In questo modo "l'uomo viene redento e l'esperienza di Adamo è rovesciata: creato a immagine e somiglianza di Dio, pretese di essere come Dio di mettersi al posto di Dio, e perse la dignità originaria che gli era stata data. Gesù, invece, pur essendo «nella condizione di Dio», si è abbassato, si è immerso nella condizione umana, nella totale fedeltà al Padre, per redimere l'Adamo che è in noi e ridare all'uomo la dignità che aveva perduto. I Padri sottolineano che Egli si è fatto obbediente, restituendo alla nostra natura umana, attraverso la sua umanità e obbedienza, quello che era stato perduto per la disobbedienza di Adamo".
"Nella preghiera, nel rapporto con Dio, noi apriamo la mente, il cuore, la volontà all'azione dello Spirito Santo per entrare in questa stessa dinamica di vita". La logica umana "ricerca spesso la realizzazione di se stessi nel potere, nel dominio, nei mezzi potenti. L'uomo continua a voler costruire con le proprie forze la torre di Babele per raggiungere l'altezza di Dio, per essere come Dio. L'Incarnazione e la Croce ci ricordano che la piena realizzazione sta nel conformare la propria volontà umana a quella del Padre, nello svuotarsi di sé stessi, del proprio egoismo, per riempirsi dell'amore, della carità di Dio e così diventare veramente capaci di amare gli altri".
La seconda indicazione è "la prostrazione", il "piegarsi di ogni ginocchio nella terra e nei cieli, che richiama un'espressione del profeta Isaia, dove indica l'adorazione che tutte le creature devono a Dio. La genuflessione davanti al Santissimo Sacramento o il mettersi in ginocchio nella preghiera esprimono proprio l'atteggiamento di adorazione di fronte a Dio, anche con il corpo. Da qui l'importanza di compiere questo gesto non per abitudine e in fretta, ma con profonda consapevolezza. Quando ci inginocchiamo davanti al Signore noi confessiamo la nostra fede in Lui, riconosciamo che è Lui l'unico Signore della nostra vita".
Fonte: AsiaNews.it

Gargoyles, i mostri delle Cattedrali gotiche

Lungo la “galleria delle Chimere” a Notre Dame di Parigi sono riconoscibili dei gocciolatoi o doccioni in forma di demoni e di animali mostruosi, chiamati Gargoyles, un nome che deriva da “garganta”, la gola da cui escono le acque piovane a terra (dal latino gargulio).

I Gargoyles sono i mostri che dovrebbero esorcizzare, e quindi proteggere le cattedrali gotiche. Ma non sono solo raffigurazioni grottesche atte a stimolare l’immaginazione: il loro compito consiste nel mandare un messaggio, un avvertimento. E questo messaggio è espresso in un linguaggio fantasioso e diretto; la cattedrale infatti può essere assediata e minacciata da quelle stesse persone che dovrebbero proteggerla e custodirla.

Gli spiriti maligni dunque si impadroniscono simbolicamente dell’esterno della cattedrale, poiché al suo interno non possono entrare e risiedono là come in attesa.

Questa interpretazione nacque in seguito alla persecuzione e distruzione dell’ordine dei Templari. Alcune confraternite come i Compagni del Dovere di Libertà o i Figli di Salomone, perseguitate a loro volta, vollero che l’azione svolta dai templari non andasse impunita e giurarono che mai avrebbero prestato la loro opera alla corona di Francia. Qualcuno addirittura sostiene che con sistemi indiretti, facilitarono lo scoppio della Rivoluzione Francese.

I membri di questi ordini conoscevano la struttura delle cattedrali: secondo alcuni, raggiunsero la sommità e le cornici delle chiese e “caricarono” in senso magico i Gargoyles, aggiungendone di nuovi e collegando i potenti di allora (l’alto Clero e la Corona) a queste raffigurazioni mostruose.
Così l’originale funzione dei Gargoyles si ribaltò: invece di allontanare il maligno, essi avvertivano che il male era già operante all’interno della cattedrale.

Gargouille on PhotoPeach

martedì 26 giugno 2012

La gente stretta attorno al Papa: "la tua visita è il segno che Dio non ci abbandona"

Grande il calore riservato al Papa nelle ore della sosta tra i terremotati. L'inviato Massimiliano Menichetti racconta di questa intensa e commovente visita in Emilia: Un cielo plumbeo, squarciato dal sole e accarezzato dal vento, ha accompagnato l’arrivo del Santo Padre a San Marino di Carpi. Per le vie di Rovereto di Novi: “Il Signore è la nostra speranza” recita lo striscione all’ingresso del paese, fissato davanti alle case devastate dal terremoto, che ha ucciso, seminato paura e fermato l’economia. Ma è proprio la vicinanza della Chiesa che orienta lo sguardo a Cristo, che il Papa ha portato alle tante persone che lo hanno atteso qui, luogo diventato fantasma nel mezzo della pianura verdeggiante, pennellata dall’oro del grano. Tanti i vescovi, i parroci, le famiglie, i bambini, i volontari che hanno cantato e applaudito all’arrivo di Benedetto XVI e poi il silenzio dell’ascolto. Il Papa ha pregato davanti alla chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, dove ha perso la vita – schiacciato dalle macerie, mentre tentava di salvare la statua della Madonna – il parroco, don Ivan Martini. In quel momento si è avuta l’impressione che tutto si fermasse e molti gli occhi bagnati dalle lacrime nel ricordo di don Ivan e delle tante vittime che questo sisma ha inghiottito e per la paura che ancora serra la gola. Poi, il centro di Rovereto, dove si intrecciano Via della Chiesa Sud e Via Garibaldi e dove è stato sistemato il gazebo che ha ospitato il Papa, è diventato il centro del mondo, della speranza, della certezza, luogo dal quale attingere per superare la prova. Qui, dopo i saluti, i ringraziamenti del cardinale Carlo Caffarra, presidente della Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna, e del presidente della Regione, Vasco Errani, le parole del Papa, che ha confermato nella fede, avvicinato il suo cuore a tutti i terremotati, orientato a Cristo, pietra che non si sfalda e non abbandona. “Nessuna crepa nei vostri cuori”, ha detto il Papa. Così, alcune delle persone da noi avvicinate hanno commentato le parole di Benedetto XVI:R. – E’ stato un discorso molto, molto toccante. Ci sprona ad andare avanti, ci dà la forza di andare avanti. R. – E poi è venuto in un Paese come il nostro… D. – Non vi aspettavate la visita del Papa?R. – No, ma ci dà coraggio, non ci sentiamo abbandonati. R. – Sinceramente non pensavo mi emozionasse. Ero contrario sulla sua visita, ma penso che sia stata di conforto per molte persone. Ho cambiato idea anche io ora e sono molto contento di quello che è successo.R. – Ci ha colpito un po’ tutto, perché noi siamo persone che siamo tornate adesso dal Malawi: siamo stati via con don Ivan. Mi ha preso il cuore sentir parlare di lui, più di tutto a colpirmi è stato il ringraziamento per quanto ha fatto don Ivan. D. – Le posso chiedere cosa l’ha colpita di più del discorso del Papa?R. – La citazione del Salmo che dice “Noi non temiamo se trema la terra”. L’ho sentita molto più vera: l’ho pregata tante volte quella parola lì, ma nel momento in cui vivi un tremore così istintivo hai bisogno di qualcuno che ti confermi che sei prezioso agli occhi di Dio, che non sei qui per caso, che c’è qualcosa che tiene oltre le prove. Per cui ho trovato più verità in questo momento e anche tanta attenzione da parte della gente, anche da parte di chi non crede. E’ stato un momento molto bello. E’ saltato fuori il cuore degli emiliani e questo il Papa lo ha sottolineato e ci ha incoraggiati in questo: a essere quello che siamo. Questo Papa per me rappresenta davvero tanto…R. – Tra le parole di quel Salmo spiccano proprio le immagini della terra che trema, dei monti che crollano… Allora dici: mamma mia, non ci avevo mai pensato. Queste parole non mi colpivano, ora invece tanto di più. E oltre a questa espressione, mi colpiva anche il fatto di respingere le tentazioni che la paura porta con sé. D. – Lei ha portato qui tutti i suoi bambini piccoli, perché?R. – Perché volevo che sentissero il calore del Papa e che non avessero dubbi sulla presenza di Dio, cosa che in questo momento – a volte – può capire. Invece, volevo far sentire l’amore del Signore su di noi. D. – Il Papa ha parlato di cuori che "non sono lesionati", al contrario delle case. Ha parlato del non cadere nella tentazione. Che cosa l’ha colpita di più?R. – Il riferimento che il Papa ha fatto alla tentazione dello sconforto, che è esattamente il contrario della virtù cristiana della speranza. Personalmente, credo che l’intervento del Papa – almeno per quanto mi riguarda – ha rafforzato la mia fede a livello individuale e a livello collettivo la nostra speranza in un futuro migliore, anche nelle nostre vicende quotidiane. D. – Anche lei ha portato qui la famiglia, perché questa scelta?R. – Perché i bambini sono stati molto colpiti, in senso negativo ovviamente, dal terremoto. Ho voluto portarli qui intanto per incontrare la presenza del Santo Padre e per testimoniare, tramite questa presenza, il fatto che Dio comunque non ci abbandona mai, che l’amore di Dio ci segue comunque anche nei momenti più difficili della nostra vita individuale e collettiva.La comunità provata, sofferente, ma viva, segno di una Chiesa che non cede ha dunque accolto il Papa che, a sua volta, si è stretto in preghiera con l’intera popolazione e ha ascoltato oltre 120 persone rispetto ai 50 previsti in rappresentanza di ogni zona terremotata, tra cui famiglie, vescovi, autorità, esponenti della Protezione Civile. Ha ricambiato l’amore ricevuto, tracciando percorsi di ricostruzione del cuore, dello spirito e Rovereto ha mostrato il volto della comunità, Chiesa viva, rinnovata nella fede. Istantanee visibili negli occhi di centinaia di persone.
RADIO VATICANA

La Croce di San Benedetto : Spiegazione delle iniziali

C.S.P.B.
Crux Sancti Patris Benedicti
La Croce del Santo Padre Benedetto
C.S.S.M.L.
Crux Sacra Sit Mihi Lux
La Croce Santa sia la mia luce N.D.S.M.D.
Non Drago Sit Mihi Dux
Non sia il demonio il mio condottiero
V.R.S.
Vade Retro, Satana!
Allontanati, Satana!
N.S.M.V.
Numquam Suade Mihi Vana
Non mi attirare alle vanità
S.M.Q.L.
Sunt Mala Quae Libas
Son mali le tue bevande
I.V.B.
Ipse Venena Bibas
Bevi tu stesso i tuoi veleni.


Preghiera: Croce del Santo Padre Benedetto. Croce santa sii la mia luce e non sia mai il demonio mio capo. Va' indietro, Satana; non mi persuaderai mai di cose vane; sono cattive le bevande che mi offri, bevi tu stesso il tuo veleno. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

lunedì 25 giugno 2012

Se Dio è Amore e Misericordia come si spiega il dolore?

Se Dio è Amore e Misericordia, come si spiega il dolore che attanaglia l’umanità? Questa è la difficoltà più frequente che si sente fare anche dal credente, dal cristiano che frequenta la Chiesa e i Sacramenti, perché si dimentica che il mondo com’è adesso non è quello voluto da Dio, ma quello rovinato dal peccato.
Dio, dopo aver creato il mondo con tutte le meraviglie che ci circondano: il sole, la luna, le stelle, i mari, i monti, le piante, i fiori, i frutti di ogni genere; dopo aver creato l’indefinita varietà di pesci, di uccelli, di animali; dopo aver preparato la culla del genere umano con tutte le delizie del paradiso terrestre, volle creare l’uomo a sua immagine e somiglianza per renderlo partecipe un giorno della sua stessa felicità eterna.
Creando l’uomo avrebbe potuto lasciarlo nel semplice stato naturale e, dopo una vita naturalmente onesta, dargli una felicità naturale, infinitamente inferiore a quella soprannaturale del Paradiso. Dio, invece, elevò l’uomo allo stato soprannaturale facendolo suo figlio adottivo. Siccome il figlio deve avere la stessa natura del padre, Dio lo fece partecipe della sua natura divina mediante la grazia santificante, per cui Gesù ci fa pregare: «Padre nostro, che sei nei cieli... » (Matt. 6,9), e San Giovanni (I Gv. 3,1-2) ci dice: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!... Carissimi noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a Lui perché lo vedremo così come Egli è».
Oltre il dono soprannaturale della grazia santificante, che ci fa partecipi della vita divina, Dio aveva dato all’uomo altri doni, fra i quali quelli preternaturali dell’impassibilità e dell’immortalità, per cui l’uomo non doveva mai soffrire e mai morire. Tali doni erano però legati alla riuscita della prova alla quale Dio sottopose l’uomo.
Che cosa poteva mancare all’uomo in quella dimora incantevole? Nulla: godeva un paradiso in terra in attesa di entrare un giorno nella gloria e nel possesso di Dio per tutta l’eternità.
Un solo comando gli aveva dato Dio: non mangiare i frutti dell’albero che si trovava nel mezzo del giardino del paradiso terrestre. Conosciamo la storia della sua dolorosa caduta:
Adamo, spinto da Eva già sedotta da Satana, si ribellò a Dio mangiando il frutto dell’albero vietato. Commise il primo peccato grave di superbia e di ribellione, chiamato «peccato originale», perché Adamo è il capostipite dell’umanità.
L’uomo, staccandosi da Dio con una scelta libera ed errata, ha innescato tutto un processo di realtà negative, delle quali la peggiore è la morte. Infatti la parola di Dio (Sap. 2:23) dice «Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della sua natura. La morte è entrata nel mondo per invidia del Diavolo» che convinse Adamo a ribellarsi all’ordine di Dio.
Come conseguenza del peccato non dobbiamo intendere solo la morte, ma anche la sofferenza di ogni tipo che ne è il sottoprodotto.
Il Padre, sin dal primo istante dopo il peccato, incalza col suo amore questi figli ribelli che si nascondono e cerca di provocare il loro pentimento, rivolgendosi prima ad Adamo: «Dove sei?», e poi ad Eva:
«Che cosa hai fatto?» (Gen. 3,8-12).
Sarebbe bastato che almeno uno di loro gli avesse detto: «Ho sbagliato! E colpa mia! » per permettere al Padre di reintegrarli nel primitivo stato di grazia, cioè della vita divina che li aveva resi figli di Dio e re del creato.
Dal momento che Adamo ed Eva non aff errarono il suo richiamo d’amore, il Padre prova con le maniere forti, presentando il drammatico quadro delle conseguenze del loro peccato, nella speranza che (se non per amore almeno per timore) riconoscano il loro errore, il loro peccato. Il Padre è sempre pronto al perdono, per convincercene basta citare un parallelo biblico con quello che Dio, mediante il profeta Natan, dice a Davide, dopo i suoi grandi peccati (2 Sam. 12,9-13): «Tu hai colpito di spada Uria 1’Hittita, hai preso in moglie sua moglie e lo hai ucciso con la spada degli Ammoniti. Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché ti mi hai disprezzato... Ecco io sto per suscitare contro di te la sventura dalla tua stessa casa.
Allora Davide disse a Natan: Ho peccato contro il Signore! Natan rispose a David: Il Signore ha perdonato il tuo peccato; tu non morirai». Dio per mezzo del profeta Natan che parla a suo nome, usa con Davide lo stesso tono e lo stesso stile che usò con Adamo.
Davide riconosce il suo peccato ed è salvo; tutte le sciagure prospettate su di lui e sulla sua famiglia vengono sciolte dal Padre che «perdona il peccato» e libera dalle sue conseguenze. Adamo invece non riconosce la sua colpa e il Padre non può intervenire con la sua misericordia. La famiglia umana, perché discendente da Adamo ed Eva, dovrà subire tutte le conseguenze del peccato: la sofferenza, la morte e tutte le angherie del Demonio, il padrone di cui il capostipite, Adamo, si è reso schiavo. Perciò il dolore e la morte sono le conseguenze del peccato originale aggravate dei peccati personali di ogni uomo.
Questo ci spiega perché la sofferenza e la morte ci ripugnano, proprio perché Dio ci ha creati per la felicità e l’immortalità. Gesù Cristo, la seconda Persona della SS.ma Trinità, s’incarnò nel seno purissimo dell’Immacolata e sempre Vergine Maria, e s’immolò sulla croce per rifare l’uomo decaduto di nuovo figlio di Dio ed erede del Paradiso. Per realizzare questo Gesù scelse la via della sofferenza, insegnandoci così che la sofferenza è condizione necessaria per salvarsi.


fonte: www.vatican.va

La fede oil dubbio? Ecco perchè il cattolico "adulto" tradisce Gesù

 


Tra l’uomo che ha fede e l’uomo che non la ha ci dovrebbe essere una differenza fondamentale: che il primo professa una serie di certezze, di Verità indubitabili, non negoziabili, mentre il secondo contrappone a queste certezze il dubbio, talora lo smarrimento. Fede, infatti, significa certezza nell’esistenza di Dio, cioè di un significato, di una Verità, di un Bene assoluto. Questa certezza è presente in chi crede in una religione rivelata, nell’esistenza di un Dio che è sceso incontro all’uomo, in prima persona. Il cattolico è dunque un uomo di solide certezze. Non un uomo “in ricerca della Verità”, come spesso si dice, ma un uomo che la ha già incontrata e che ricerca, invece, con grande fatica, di amarla e di penetrarla sempre di più, certo di non poter mai giungere sino al fondo.
Eppure, nel pensiero cattolico contemporaneo, non sembra che sia così. Il “cattolico adulto”, per usare una definizione di comodo, è figlio del modernismo, così ben analizzato da Pio X nella Pascendi Dominici Gregis: egli vuole essenzialmente sposare la sua fede in Cristo con le filosofie contemporanee, che dissolvono la Verità nell’individualismo, nel libero esame, nello scetticismo. Per questo, che si parli di Dio, di etica, o di tutto ciò che è importante, si fa sempre difensore del dubbio, come metodo e come obiettivo. Vi sono parole che da sole bastano a farlo inviperire: Verità, principi non negoziabili, errore…insomma tutto ciò che allude ad una chiara definizione, ad una evidente e certa distinzione tra ciò che è vero e ciò che non lo è.
In mille occasioni, il cattolico modernista risponde al suo oppositore con frasi ironiche di questo genere: “Beati quelli pieni di certezze come te, io non ne ho”. Dove si deve leggere, tra le righe, un misto dicompatimento e di finta umiltà: chi professa il dubbio metodico si crede anzitutto più intelligente, e in secondo luogo più umile, rispetto ad un interlocutore che ha certezze solo perché un po’ grullo, sempliciotto e saccente. Cristo? Io non ho certezze, professa il cattolico adulto, e intanto trasforma il mandato di evangelizzare tutte le genti, in un indifferentismo che chiama ecumenismo. L’aborto? Io non ho certezze, ribadisce, tendendo la mano al radicale e votando la legge 194; L’eutanasia? Nel dubbio finisce sempre per invitare Beppino Englaro a parlare nella sua parrocchia…
Invece, a mio parere, la Fede e il dubbio non possono stare insieme, almeno non in questo modo. La Fede è la certezza che ciò che Cristo ha rivelato sia vero, buono, giusto, per ogni uomo. Non per fiducia in una propria personale posizione o filosofia; ma per fiducia in Colui che è creatore dell’universo. La Fede è dunque intransigente, come l’amore. Chi ama, ama davvero, integralmente, o quantomeno desidera farlo. Chi crede nel Salvatore non può disegnarsene uno da seguire a tempi alterni e secondo le voglie: non sarebbe un Salvatore, ma, al massimo, un filosofo, o un saggio. Ciò non significa che chi crede rinunci alla sua intelligenza, al suo giudizio, ad una analisi personale. Significa, al contrario, che la Fede è anche una libera scelta, della ragione e della volontà, ma una scelta, diciamo così, una volta per tutte: non è un scegliere di volta in volta, liberi da vincoli, da principi, ma un aver imboccato una strada, quella indicata da Cristo, perché se ne è riconosciuta la validità, la verità, la bellezza. In essa si vuole stare, pur cadendo mille volte.
La fede, insomma, è obbedienza alla Verità rivelata, non a se stessi. Un cattolico che ha fede dunque,scaccia i dubbi: Dio esiste e di conseguenza, nella vita morale, il bene e il male non sono relativi al suo volere o al suo discernimento…E’ questa grulleria o saccenza? Al contrario, questa visione della fede contiene in sé, oltre che una grande saggezza (l’uomo non si è mai salvato da solo), una grande umiltà: l’uomo di fede non dubita del suo Salvatore, ma di sé, certamente, e molto! Confrontarsi con i dogmi e le Verità rivelate significa infatti mettersi sempre in discussione; significa tendere verso un dover essere e sentire la propria inadeguatezza. L’ uomo di fede, così, mentre con la mente e col cuore professa il Credo, nella pratica sperimenta la sua miseria, e mette in dubbio il suo stesso operato, costantemente.
Al contrario, il cattolico che vanta la sua apertura mentale, che si lancia negli elogi sperticati del dubbio fine a se stesso, non solo nega la propria fede, ma lungi dal professare una vera umiltà, finisce per porsi, di fronte alle singole scelte, con lo stesso atteggiamento dell’uomo che non crede, cioè al di là del bene e del male. Si lascia infatti aperta ogni strada e ogni scelta, nella teoria, per poterla percorrere, poi, nella pratica. Elogia il dubbio, ma in verità erge se stesso a criterio di ogni decisione, negando una Verità che lo sovrasti e a cui adeguarsi. Nella Fede cattolica vi è dunque grande spazio, certamente, per il dubbio: riguardo a se stessi, lo ripeto, ed anche, come è umano, riguardo a Dio. Ma non c’è spazio per il dubbio metodico, rivendicato come parte integrante, anzi costituente, della Fede stessa.

fonte: Il Foglio 8 giugno 2012

domenica 24 giugno 2012

Papa Benedetto XVI all'Angelus: "Il Battista prepara ancora oggi le strade a Gesù"


Cari fratelli e sorelle!

Oggi, 24 giugno, celebriamo la solennità della Nascita di San Giovanni Battista. Se si eccettua la Vergine Maria, il Battista è l’unico santo di cui la liturgia festeggia la nascita, e lo fa perché essa è strettamente connessa al mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Fin dal grembo materno, infatti, Giovanni è il precursore di Gesù: il suo prodigioso concepimento è annunciato dall’Angelo a Maria come segno che «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37), sei mesi prima del grande prodigio che ci dà salvezza, l’unione di Dio con l’uomo per opera dello Spirito Santo. I quattro Vangeli danno grande risalto alla figura di Giovanni il Battista, quale profeta che conclude l’Antico Testamento e inaugura il Nuovo, indicando in Gesù di Nazaret il Messia, il Consacrato del Signore. In effetti, sarà lo stesso Gesù a parlare di Giovanni in questi termini: «Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, / davanti a te egli preparerà la via. In verità io vi dico: fra i nati di donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (Mt 11,10-11).

Il padre di Giovanni, Zaccaria – marito di Elisabetta, parente di Maria –, era sacerdote del culto dell’Antico Testamento. Egli non credette subito all’annuncio di una paternità ormai insperata, e per questo rimase muto fino al giorno della circoncisione del bambino, al quale lui e la moglie dettero il nome indicato da Dio, cioè Giovanni, che significa «il Signore fa grazia». Animato dallo Spirito Santo, Zaccaria così parlò della missione del figlio: «E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo / perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade, / per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza / nella remissione dei suoi peccati» (Lc 1,76-77). Tutto questo si manifestò trent’anni dopo, quando Giovanni si mise a battezzare nel fiume Giordano, chiamando la gente a prepararsi, con quel gesto di penitenza, all’imminente venuta del Messia, che Dio gli aveva rivelato durante la sua permanenza nel deserto della Giudea. Per questo egli venne chiamato «Battista», cioè «Battezzatore» (cfr Mt 3,1-6). Quando un giorno, da Nazaret, venne Gesù stesso a farsi battezzare, Giovanni dapprima rifiutò, ma poi acconsentì, e vide lo Spirito Santo posarsi su Gesù e udì la voce del Padre celeste che lo proclamava suo Figlio (cfr Mt 3,13-17). Ma la missione del Battista non era ancora compiuta: poco tempo dopo, gli fu chiesto di precedere Gesù anche nella morte violenta: Giovanni fu decapitato nel carcere del re Erode, e così rese piena testimonianza all’Agnello di Dio, che per primo aveva riconosciuto e indicato pubblicamente.

Cari amici, la Vergine Maria aiutò l’anziana parente Elisabetta a portare a termine la gravidanza di Giovanni. Ella aiuti tutti a seguire Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio, che il Battista annunciò con grande umiltà e ardore profetico.


Papa  Benedetto XVI

 

Quicumque vult (Simbolo di Sant'Atanasio)

 
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Chiunque voglia salvarsi,
deve anzitutto possedere la fede cattolica:

Colui che non la conserva integra ed inviolata
perirà senza dubbio in eterno.

La fede cattolica è questa:
che veneriamo un unico Dio nella Trinità e la Trinità nell'unità.

Senza confondere le persone,
e senza separare la sostanza.

Una è infatti la persona del Padre, altra quella del Figlio,
ed altra quella dello Spirito Santo.

Ma Padre, Figlio e Spirito Santo sono una sola divinità,
con uguale gloria e coeterna maestà.

Quale è il Padre, tale è il Figlio,
tale lo Spirito Santo.

Increato il Padre, increato il Figlio,
increato lo Spirito Santo.

Immenso il Padre, immenso il Figlio,
immenso lo Spirito Santo.

Eterno il Padre, eterno il Figlio,
eterno lo Spirito Santo

E tuttavia non vi sono tre eterni,
ma un solo eterno.

Come pure non vi sono tre increati, né tre immensi,
ma un solo increato e un solo immenso.

Similmente è onnipotente il Padre, onnipotente il Figlio,
onnipotente lo Spirito Santo.

E tuttavia non vi sono tre onnipotenti,
ma un solo onnipotente.

Il Padre è Dio, il Figlio è Dio,
lo Spirito Santo è Dio.

E tuttavia non vi sono tre dei,
ma un solo Dio.

Signore è il Padre, Signore è il Figlio,
Signore è lo Spirito Santo.

E tuttavia non vi sono tre Signori,
ma un solo Signore.

Poiché come la verità cristiana ci obbliga a confessare che ciascuna persona è singolarmente Dio e Signore:
così la religione cattolica ci proibisce di parlare di tre Dei o Signori.

Il Padre non è stato fatto da alcuno:
né creato, né generato.

Il Figlio è dal solo Padre:
non fatto, né creato, ma generato.

Lo Spirito Santo è dal Padre e dal Figlio:
non fatto, né creato, né generato, ma da essi procedente.

Vi è dunque un solo Padre, non tre Padri: un solo Figlio, non tre Figli:
un solo Spirito Santo, non tre Spiriti Santi.

E in questa Trinità non v'è nulla che sia prima o dopo, nulla di maggiore o minore:
ma tutte e tre le persone sono l'una all'altra coeterne e coeguali.

Cosicché in tutto, come già detto prima,
va venerata l'unità nella Trinità e la Trinità nell'unità.

Chi dunque vuole salvarsi,
pensi in tal modo della Trinità.

Ma per l'eterna salvezza è necessario,
credere fedelmente anche all'Incarnazione del Signore nostro Gesù Cristo.

La retta fede vuole, infatti, che crediamo e confessiamo,
che il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, è Dio e uomo.

È Dio, perché generato dalla sostanza del Padre fin dall'eternità:
è uomo, perché nato nel tempo dalla sostanza della madre.

Perfetto Dio, perfetto uomo:
sussistente dall'anima razionale e dalla carne umana.

Uguale al Padre secondo la divinità:
inferiore al Padre secondo l'umanità.

E tuttavia, benché sia Dio e uomo,
non è duplice ma è un solo Cristo.

Uno solo, non per conversione della divinità in carne,
ma per assunzione dell'umanità in Dio.

Totalmente uno, non per confusione di sostanze,
ma per l'unità della persona.

Come infatti anima razionale e carne sono un solo uomo,
così Dio e uomo sono un solo Cristo.

Che patì per la nostra salvezza: discese agli inferi:
il terzo giorno è risuscitato dai morti.

É salito al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente:
e di nuovo verrà a giudicare i vivi e i morti.

Alla sua venuta tutti gli uomini dovranno risorgere con i loro corpi:
e dovranno rendere conto delle proprie azioni.

Coloro che avranno fatto il bene andranno alla vita eterna:
coloro, invece, che avranno fatto il male, nel fuoco eterno.

Questa è la fede cattolica,
e non potrà essere salvo se non colui che l'abbraccerà fedelmente e fermamente.

Amen.



sabato 23 giugno 2012

Dagli «Atti del martirio» dei santi Giustino e Compagni

Dopo il loro arresto, i santi furono condotti dal prefetto di Roma di nome Rustico. Comparsi davanti al tribunale, il prefetto Rustico disse a Giustino: «Anzitutto credi agli dei e presta ossequio agli imperatori».
Giustino disse: «Di nulla si può biasimare o incolpare chi obbedisce ai comandamenti del Salvatore nostro Gesù Cristo».
Il prefetto Rustico disse: «Quale dottrina professi?». Giustino rispose: «Ho tentato di imparare tutte le filosofie, poi ho aderito alla vera dottrina, a quella dei cristiani, sebbene questa non trovi simpatia presso coloro che sono irretiti dall'errore».
Il prefetto Rustico disse: «E tu, miserabile, trovi gusto in quella dottrina?». Giustino rispose: «Si, perché io la seguo con retta fede».
Il prefetto Rustico disse: «E qual è questa dottrina?». Giustino rispose: «Quella di adorare il Dio dei cristiani, che riteniamo unico creatore e artefice, fin da principio, di tutto l'universo, delle cose visibili e invisibili; e inoltre il Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, che fu preannunziato dai profeti come colui che doveva venire tra gli uomini araldo di salvezza e maestro di buone dottrine. E io, da semplice uomo, riconosco di dire ben poco di fronte alla sua infinita Deità. Riconosco che questa capacità è propria dei profeti che preannunziano costui che poco fa ho detto essere Figlio di Dio. So bene infatti che i profeti per divina ispirazione predissero la sua venuta tra gli uomini».
Rustico disse: «Sei dunque cristiano?». Giustino rispose: «Si, sono cristiano».
Il prefetto disse a Giustino: «Ascolta, tu che sei ritenuto sapiente e credi di conoscere la vera dottrina; se dopo di essere stato flagellato sarai decapitato, ritieni di salire al cielo?». Giustino rispose: «Spero di entrare in quella dimora se soffrirò questo. Io so infatti che per tutti coloro che avranno vissuto santamente, è riservato il favore divino sino alla fine del mondo intero».
Il prefetto Rustico disse: «Tu dunque ti immagini di salire al cielo, per ricevere una degna ricompensa?». Rispose Giustino: «Non me l'immagino, ma lo so esattamente e ne sono sicurissimo».
Il prefetto Rustico disse: «Orsù torniamo al discorso che ci siamo proposti e che urge di più. Riunitevi insieme e sacrificate concordemente agli dei». Giustino rispose: «Nessuno che sia sano di mente passerà dalla pietà all'empietà».
Il prefetto Rustico disse: «Se non ubbidirete ai miei ordini, sarete torturati senza misericordia».
Giustino rispose: «Abbiamo fiducia di salvarci per nostro Signore Gesù Cristo se saremo sottoposti alla pena, perché questo ci darà salvezza e fiducia davanti al tribunale più temibile e universale del nostro Signore e Salvatore».
Altrettanto dissero anche tutti gli altri martiri: «Fà quello che vuoi; noi siamo cristiani e non sacrifichiamo agli idoli».
Il prefetto Rustico pronunziò la sentenza dicendo: «Coloro che non hanno voluto sacrificare agli dei e ubbidire all'ordine dell'imperatore, dopo essere stati flagellati siano condotti via per essere decapitati a norma di legge».
I santi martiri glorificando Dio, giunti al luogo solito, furono decapitati e portarono a termine la testimonianza della loro professione di fede nel Salvatore.


La sua famiglia è di probabile origine latina e vive a Flavia Neapolis, in Samaria. Nato nel paganesimo, Giustino (inizio II secolo - 164) studia a fondo i filosofi greci, e soprattutto Platone. Poi viene attratto dai Profeti di Israele, e per questa via arriva a farsi cristiano, ricevendo il battesimo verso l'anno 130, a Efeso. Ma questo non significa una rottura con il suo passato di studioso dell'ellenismo. Negli anni 131-132 lo troviamo a Roma, annunciatore del Vangelo agli studiosi pagani. Al tempo stesso, Giustino si batte contro i pregiudizi che l'ignoranza alimenta contro i cristiani. Famoso il suo «Dialogo con Trifone». Predicatore e studioso itinerante, Giustino soggiorna in varie città dell'Impero; ma è ancora a Roma che si conclude la sua vita. Qui alcuni cristiani sono stati messi a morte come "atei" (cioè nemici dello Stato e dei suoi culti). Scrive una seconda Apologia, indirizzata al Senato romano, e si scaglia contro il filosofo Crescente. Ma questo sta con il potere, e Giustino finisce in carcere, anche lui come "ateo", per essere decapitato con altri sei compagni di fede, al tempo dell'imperatore Marco Aurelio.

venerdì 22 giugno 2012

L'armadio del pane

Come era sua abitudine, Dio stava passeggiando sulla Terra e, come sempre, erano pochi quelli che Lo riconoscevano.
Quel giorno passò davanti ad una casa dove un bambino stava piangendo. Si fermò e bussò alla porta. Uscì una donna con la faccia sofferente e disse: "Cosa desidera, Signore?". "Vengo ad aiutarti" rispose Dio. Aiutarmi? È molto difficile. Nessuno lo ha fatto finora.
Solo Dio potrebbe aiutarmi.
Il mio bambino piange perché ha fame. Mi resta soltanto un pezzo di pane nell'armadio quando lo avremo mangiato, sarà tutto finito per noi . Sentendo questo, Dio cominciò a sentirsi male. Il suo Volto diventò sofferente come quello della donna e alcune lacrime, come quelle del bambino, rigarono le sue guance. "Nessuno ha voluto aiutarti, donna?" - domandò Dio. "Nessuno, Signore. Tutti mi hanno voltato le spalle" rispose.
La donna restò impressionata dalla reazione di quello sconosciuto. A guardarlo, sembrava povero come lei.
Lo vide così mal messo, con una faccia così pallida, che pensò che stesse per svenire.
Allora andò all'armadio, dove conservava il suo ultimo pezzo di pane, ne tagliò un pezzo e glieLo offrì.
Davanti a quel gesto, Dio si commosse profondamente e, guardandola negli occhi, le disse: "No, no, grazie.
Tu ne hai più bisogno di me.
Conservalo e dallo a tuo figlio. Domani ti arriverà il mio aiuto. Non smettere di fare agli altri quello che oggi hai fatto a Me". Detto questo, se ne andò.
La donna non capì nulla,ma fu molto colpita da quello sguardo. Quella sera, lei e suo figlio mangiarono l'ultimo pezzo di pane che era rimasto.
Il mattino dopo, la donna ebbe una grande sorpresa: l'armadio era pieno di pane.
Ma la sorpresa fu ancora più grande quando si accorse che, per quanti pani prendesse, non finivano mai.
In quella casa non mancò mai più il pane.
Allora comprese chi era "Colui " che aveva bussato alla sua porta e, da quel giorno, non cessò più di fare agli altri quello che ha fatto con Lui:

CONDIVIDERE IL PANE CON I BISOGNOSI.

giovedì 21 giugno 2012

Quando gli italiani, erano emigranti!


Qui sotto  un passo tratto dalla relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano relativa agli immigrati italiani negli Usa.

È del 1912. Meritevole di lettura e riflessione .


«Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno e alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti.

Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. «Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti.

Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.

I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali?».


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Emigranti italiani sul ponte del piroscafo Patricia diretto a New York (dicembre 1906)

Aborto e obiezione. Luciano Eusebi: buon medico è chi si pone problemi di coscienza

 

Lo Stato deve garantire il rispetto della libertà di coscienza di tutti, quindi anche dei medici, senza discriminazioni. Così Scienza e Vita commenta la campagna “Il buon medico non obietta” promossa dalla Consulta di Bioetica in difesa dell’interruzione volontaria di gravidanza.
In Italia i medici obiettori sono oltre l'80 per cento, il 20 per cento in più rispetto al 1997.

D: Ma quello della donna ad abortire è un diritto? E se sì, può delegittimare il diritto del medico all’obiezione di coscienza?

Al microfono diPaolo Ondarza risponde Luciano Eusebi, ordinario di Diritto penale alla Cattolica di Milano:

R. - A me pare che il buon medico sia quello che si pone problemi di coscienza. Il problema dell’obiezione manifesta come la questione che sta a monte sia una questione vera, obiettiva, non di semplice opinione. Del resto, nel nostro sistema l’interruzione della gravidanza non è configurata come diritto, ma come una situazione eccezionalmente non punibile, rispetto alla quale dovrebbe essere attivato un impegno di prevenzione.
D. – I sostenitori di questa campagna contestano l’aumento del numero dei medici obiettori, che oggi in Italia sono oltre l’80 per cento, con punte dell’85 per cento al Sud. Questo, secondo alcuni, è sintomo di un’accresciuta coscienza "pro life" tra i medici. Secondo altri riflette, invece, un disimpegno, una mancanza di disponibilità, che prescinderebbe da questioni di coscienza, a praticare l’aborto...
R. – Innanzitutto, occorrerebbe scorporare questi dati: capire quanti sono quelli che riguardano la categoria direttamente interessata, che è quella dei medici ginecologi. In secondo luogo, sindacare sulla coscienza è molto difficile, ma certamente una difficoltà così grande ad agire contro la vita umana riflette un problema obiettivo. L’ordinamento giuridico, nel momento in cui intenda assicurare determinate prestazioni, pur discutibili, non può che agire sul piano organizzativo, facendo leva sui sanitari disponibili. Non è possibile in nessun modo agire in termini coercitivi nei confronti dei sanitari non disponibili, come del resto ha recentemente riconosciuto anche la nota risoluzione europea in materia.
D. – Vogliamo ricordare brevemente cosa dice questa raccomandazione europea, recepita da quattro mozioni presto all’esame della Camera?
R. – La risoluzione 1763 del parlamento europeo è molto chiara nel ribadire che nessuno può essere costretto ad agire contro la vita umana, né discriminato per questa scelta. Il riferimento è molto chiaro anche rispetto allo stato embrionale della vita umana. Nella seconda parte, la risoluzione parla anche dell’accesso a ciò che la legge comunque rende disponibile. E nell’occuparsi dei criteri che possono guidare gli Stati nel rendere disponibile ciò che la legge prevede, peraltro prescinde completamente da modalità di coercizione nei confronti dei soggetti che svolgono determinati ruoli.
D. – Secondo Scienza e Vita, anziché favorire l’aborto, delegittimando il diritto all’obiezione di coscienza dei medici, bisognerebbe farsi carico maggiormente della donna e del concepito, a partire da un impegno dello Stato in favore di questi ultimi. Un impegno finalizzato a ridurre le cause della scelta abortiva...
R. – L’aiuto alla donna è una risposta alla dignità della donna, perché l’interruzione della gravidanza - questo lo condividiamo tutti – non è mai un successo e i dati sugli effetti psichici della esperienza abortiva sulla donna sono ormai estremamente accreditati. Si tratta quindi di muovere secondo due livelli: un primo livello, che è anteriore al configurarsi di una gravidanza, è quello di serie politiche finalmente di aiuto alla famiglia, di aiuto alla donna. Il secondo livello attiene al momento in cui una gravidanza è in atto, per il quale l’art. 5 della legge 194 prevede uno specifico impegno inteso a rimuovere le cause - dice la legge - che porterebbero la donna all’interruzione della gravidanza. E intorno a questo impegno, che è sia di vicinanza umana sia di aiuto di carattere materiale - dovrebbe diventare anche un aiuto di carattere economico nei casi di difficoltà - si deve ritrovare un ampio consenso.

Radio Vaticana 

La nostra febbre è l’avarizia, la nostra febbre è la lussuria, la nostra febbre è l’ambizione, la nostra febbre è l’iracondia – Sant’ Ambrogio (Lc.4,38-44)

Considera la clemenza del Salvatore che non si mostra agitato dallo sdegno, né offeso dalla malvagità né oltraggiato dai torti ricevuti e non abbandona la Giudea, anzi dimentico delle offese e memore della sua clemenza, accarezza i cuori del popolo infedele, ora insegnando, ora liberando dai demoni, ora sanando.
Dopo la liberazione dell’uomo posseduto dallo spirito impuro san Luca racconta immediatamente la guarigione di una donna perché il Signore era venuto a guarire l’uno e l’altro sesso dovendo cominciare da quello che per primo fu creato non tralasciando la donna che aveva peccato più per la mutabilità che per la malvagità del suo animo.
E’ di sabato che il Signore comincia a compiere guarigioni per significare che la nuova creazione comincia dove l’antica si era arrestata e per rimarcare sin dal principio che il Figlio di Dio non è sottoposto alla Legge ma superiore alla Legge e che egli è venuto non a distruggere la Legge ma a perfezionarla. Infatti il mondo non è stato creato dalla Legge ma dal Verbo Eterno di Dio così come leggiamo Dio creò i cieli con la Sua Parola (Ps. 32,6). Quindi la legge non è abolita ma adempiuta perché avvenisse la rinascita spirituale dell’uomo già decaduto. Per cui dice S.Paolo: Spogliandovi dell’uomo vecchio (Col. 3,9), rivestitevi dell’uomo nuovo creato secondo Dio (Ef.4,24).

E a ragione egli comincia di sabato per mostrare che Egli è il Creatore che fa entrare le opere nella trama delle opere, continuando l’opera che un tempo da Egli stesso era stata iniziata. Così fa l’operaio che si appresta a riparare una casa, egli inizia a demolire le fatiscenze non dalle fondamenta ma dai tetti; e così egli pone mano per prima dove una volta aveva terminato poi comincia dalle cose minori per arrivare a quelle maggiori. Anche degli uomini possono liberare dal demonio? Sì, ma in nome di Dio. Comandare ai morti di risuscitare non appartiene che alla potenza di Dio.
Nel tipo di questa donna, suocera di Simone e di Andrea, può forse anche raffigurarsi questa nostra carne che soffriva delle diverse febbri dei peccati e bruciava di smisurati trasporti di innumerevoli cupidigie. La febbre degli affetti sregolati non è certo da meno di quella che riscalda. Una brucia l’anima, l’altra il corpo. La nostra febbre è l’avarizia, la nostra febbre è la lussuria, la nostra febbre è l’ambizione, la nostra febbre è l’iracondia.

(Sant’ Ambrogio)
Liber 4 in Lucae cap.4 circa finem



La guarigione della suocera di Pietro, Duomo di Monreale

Ridicole credenze manichee

"Ignaro di tutto ciò, io deridevo i tuoi santi servi e profeti; e cosa ottenevo con la mia derisione se non la tua derisione? Poco alla volta, ma percettibilmente, mi ero lasciato indurre a credere scempiaggini come queste: che il fico, quando viene colto, si mette a piangere lacrime di latte, e così pure sua madre la pianta; se però mangia il fico, da altri naturalment...e, e non da lui, delittuosamente colto, un santone, da quel fico egli impasta nelle viscere e fra i gemiti dell'orazione erutta degli angeli, che dico, delle particelle addirittura di Dio, particelle del sommo e vero Dio, che sarebbero rimaste prigioniere nel frutto, se il dente e il ventre dell'eletto santone non le avessero liberate. Ed io, misero, ho creduto doveroso usare maggior misericordia verso i frutti della terra, che verso gli uomini, a cui sono destinati. Se un affamato non manicheo avesse chiesto di che sfamarsi, un boccone a lui offerto sembrava sufficiente per essere condannati al supplizio capitale."

(Sant'Agostino, le Confessioni)

mercoledì 20 giugno 2012

La "famiglia normale" è più felice

«La famiglia “normale” – composta da un uomo e una donna uniti in matrimonio, con due o più figli – è più felice». Lo ha detto il cardinale Ennio Antonelli, alla conferenza stampa che ha preceduto questa mattina nei padiglioni di Milanocity l’inaugurazione della Fiera internazionale della Famiglia, alla vigilia dell’inizio del congresso teologico-pastorale. «Si metterà in luce – ha detto il porporato, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia – che questo tipo di famiglia è più vantaggiosa per la società, perché, anche se mediamente più povera, è più ricca di relazioni. Produce capitale umano per il lavoro, crea e vive la festa ed è mediamente più religiosa».

Il cardinale Antonelli ha sottolineato come questa famiglia non dovrebbe essere penalizzata ma sostenuta, con adeguate tutele giuridiche, aiuti fiscali, difesa del riposo domenicale. Lo scopo del congresso teologico-pastorale, ha spiegato, «è di dare impulso e risonanza a queste famiglie, nella convinzione che in un tempo di crisi bisogna promuovere una famiglia forte, e non debole, per il bene della società».



http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/news/dettaglio-articolo/articolo/family2012-15498/


Nel suo saluto iniziale, l’arcivescovo di Milano Angelo Scola aveva innanzitutto sottolineato la valenza del’evento per la vita ordinaria della Chiesa: «Talvolta si dice che questi grandi eventi fanno spendere tante energie e poi finiscono nel nulla. Ma si tratta di un giudizio superficiale, perché il lavoro è durato anni ed è stato capillare».


«Il nucleo centrale della nostra riflessione – ha detto il cardinale – è l’importanza della famiglia per l’unità dell’io e per il suo essere in relazione». Scola si è detto impressionato per la grande risonanza mediatica, anche a livello internazionale, dell’evento milanese: «È un segno del fatto che famiglia chiamata dai sociologi “normo-composta” o “normo-costituita”, e cioè quella fondata sul rapporto fedele di un uomo e una donna sposati e aperti alla vita, sta al cuore del desiderio delle donne e degli uomini di oggi. Questa famiglia è stata portata al centro dell’attenzione».


Sia Scola che Antonelli hanno voluto testimoniare la loro vicinanza e la loro solidarietà alle vittime provocate dalla scossa di terremoto che questa mattina ha colpito la pianura padana e in particolare alcune zone dell’Emilia e del mantovano. I lavori del congresso sono stati presentati in modo più dettagliato dal vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla, che presiede il comitato scientifico. Il vescovo ha fatto notare come, rispetto ai precedenti incontri internazionali della famiglia, il tema di questa edizione – la famiglia, il lavoro e la festa – «è più laico perché più legato al rapporto tra la famiglia e la vita sociale».

Appello del Papa alla Nigeria: No alle violenze e vendette, sì a pace e libertà di Fede - Udienza di mercoledì 20 giugno 2012

Un accalorato appello perché la Nigeria rinunci a percorrere la “via della vendetta” e nel Paese ritorni la pace assieme alla libertà di “professare liberamente la propria fede”. Così Benedetto XVI ha scelto di concludere l’udienza generale di questa mattina in Aula Paolo VI. In precedenza, il Papa aveva tratto ancora spunto dalle Lettere di San Paolo – in particolare dalla prima dell’Apostolo alla comunità di Efeso – le sue riflessioni per la catechesi. In particolare, riferendosi all’importanza della preghiera, Benedetto XVI affermato che essa non debe limitarsi a una “richiesta di aiuto” Rivolta a Dio, ma soprattutto a esprimere ringraziamento per la sua bontà. La preghiera – ha affermato fra l’altro Benedetto XVI – “genera uomini e donne non animati dall’egoismo”, ma “dalla gratuità” e dalla “sete di servire”.
 

Di seguito, l'appello del Papa alla Nigeria:
 

"Seguo con profonda preoccupazione le notizie che provengono dalla Nigeria, dove continuano gli attentati terroristici diretti soprattutto contro i fedeli cristiani. Mentre elevo la preghiera per le vittime e per quanti soffrono, faccio appello ai responsabili delle violenze, affinché cessi immediatamente lo spargimento di sangue di tanti innocenti. Auspico, inoltre, la piena collaborazione di tutte le componenti sociali della Nigeria, perché non si persegua la via della vendetta, ma tutti i cittadini cooperino all’edificazione di una società pacifica e riconciliata, in cui sia pienamente tutelato il diritto di professare liberamente la propria fede".
 

Di seguito, alcuni stralci della catechesi pronunciata dal Papa:
 

“Oggi vorrei soffermarmi sul primo capitolo della Lettera agli Efesini, che inizia proprio con una preghiera, un inno di benedizione (...) L’Apostolo riflette sui motivi che spingono a questa lode, a questo ringraziamento, presentando gli elementi fondamentali del piano divino e le sue tappe. Anzitutto dobbiamo benedire Dio Padre perché Egli «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (v. 4). Dio ci ha chiamati all’esistenza, alla santità nella vita cristiana e a servirlo nella Chiesa. E questa scelta precede persino la creazione del mondo (…) Al centro della preghiera di benedizione, l’Apostolo illustra il modo in cui si realizza il piano di salvezza del Padre in Cristo, nel suo Figlio amato: «mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia» (Ef 1,7). Il sacrificio della croce di Cristo è l’evento unico e irripetibile con cui il Padre ha mostrato in modo luminoso il suo amore per noi, non soltanto a parole, ma in modo concreto, entrando nella nostra umanità, percorrendo il cammino di sofferenza della passione e subendo la morte più crudele (…)
San Paolo invita a considerare quanto è profondo l’amore di Dio che trasforma la storia, che ha trasformato la sua stessa vita da persecutore dei cristiani ad Apostolo instancabile del Vangelo. Riecheggiano ancora una volta le parole rassicuranti della Lettera ai Romani: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?... Io sono infatti persuaso che né morte, né vita, né angeli né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura, potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore (…)
Infine, la benedizione divina si chiude con l’accenno allo Spirito Santo che è stato effuso nei nostri cuori (…) La redenzione attuata una volta per sempre e in modo perfetto mediante il sangue di Cristo non è ancora conclusa (…) siamo in cammino verso la redenzione definitiva del nostro corpo, verso la piena liberazione dei figli di Dio. (…)
 

La visione che ci presenta san Paolo in questa grande preghiera di benedizione ci ha condotto a contemplare l’azione delle tre Persone della Santissima Trinità: il Padre, che ci ha scelti prima della creazione del mondo, il Figlio che ci ha redenti mediante il suo sangue e lo Spirito Santo caparra della nostra redenzione e della gloria futura. Nella preghiera noi ci apriamo alla contemplazione di questo grande mistero che è il disegno divino di amore nella storia dell’uomo, nella nostra storia personale. Anzi, nella preghiera costante, nel rapporto quotidiano con Dio, impariamo anche noi, come san Paolo, a scorgere in modo sempre più chiaro i segni di questo disegno e di questa azione: nella bellezza del Creatore che emerge dalle sue creature (cfr Ef 3,9), come canta san Francesco d’Assisi: «Laudato sie mi’ Signore, cum tutte le Tue creature» (…) Nella loro vita i Santi mostrano in modo luminoso che cosa può fare la potenza di Dio nella debolezza dell’uomo. In tutta la storia della salvezza, in cui Dio si è fatto vicino a noi e attende con pazienza i nostri tempi, comprende le nostre infedeltà, incoraggia il nostro impegno e ci guida.
 

Nella preghiera impariamo a vedere i segni di questo disegno misericordioso nel cammino della Chiesa. Così cresciamo nell’amore di Dio, aprendo la porta affinché la Santissima Trinità venga ad abitare in noi, illumini, riscaldi, guidi la nostra esistenza. «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23), dice Gesù promettendo ai discepoli il dono dello Spirito Santo, che insegnerà ogni cosa (…)
 

Cari amici, quando la preghiera alimenta la nostra vita spirituale noi diventiamo capaci di conservare quello che san Paolo chiama «il mistero della fede» in una coscienza pura (cfr 1 Tm 3,9). La preghiera (…) genera uomini e donne animati non dall’egoismo, dal desiderio di possedere, dalla sete di potere, ma dalla gratuità, dal desiderio di amare, dalla sete di servire, animati cioè da Dio; e solo così si può portare luce nel buio del mondo”.

 Radio Vaticana, 20 giugno 2012