sabato 9 febbraio 2013

Un amore intatto: Il fidanzamento santo - Don Leonardo Maria Pompei

...è facile confondere il fidanzamento come un’anticamera assai prossima al Matrimonio, credendosi capaci di diritti sull’altro, o pensando di già appartenersi reciprocamente, anche fisicamente. Niente affatto: il percorso pre-matrimoniale esige una purissima castità, a salvaguardia del rispetto e dell’amore vero per l’altro.

Il fidanzamento è un tempo in cui si deve operare un discernimento, da parte dei fidanzati, su due distinte ma complementari questioni: primo, se si abbia la vocazione al Matrimonio, cioè a vivere l’amore nella forma della donazione totale ed esclusiva a una creatura, alla cui felicità si dedica e offre la propria vita, e a collaborare con Dio nel grande compito della procreazione; secondo, se la persona che si sta frequentando o verso cui si nutre stima, interesse, simpatia, è davvero la persona con cui Dio vuole che ci si formi una famiglia. 


Il fidanzamento, in questo senso, è necessariamente e intrinsecamente caratterizzato dalla precarietà, dall’incertezza e da una certa libertà, di cui i fidanzati non solo possono ma debbono sentirsi in condizione di poter usufruire. L’appartenenza reciproca non solo non è piena, ma semplicemente ancora non c’è. 

È questo il motivo per cui i grandi maestri di spirito hanno sempre consigliato di evitare fidanzamenti precoci o eccessivamente lunghi. È necessario il raggiungimento di un’età matura in cui si sia già fatto un minimo di chiarezza circa lo stato di vita da scegliere. Inoltre, prima di impegnarsi seriamente in un fidanzamento vero e proprio, bisogna operare una prima sommaria valutazione della persona che si ha dinanzi, certo non sufficiente, ma comunque non del tutto mancante.

Alla luce di tale dottrina, i moralisti cattolici (tra cui si distingue per chiarezza e lucidità di pensiero sant’Alfonso M. de’ Liguori) hanno sempre insegnato che lo “spazio” per eventuali “effusioni” tra fidanzati è ristretto all’affettività, ma è precluso quando si invadono gli ambiti della sensualità o sessualità in senso stretto. Ciò semplicemente perché, fino al Matrimonio, i fidanzati non appartengono l’uno all’altro e non hanno quindi alcun diritto sul corpo dell’altro, che anzi devono rispettare e custodire con somma castità e purezza, anche perché potrebbe accadere che qualcun altro, e non il soggetto interessato, sia quello che dovrà unirsi in Matrimonio con colui con cui si sta insieme.
Rebus sic stantibus, se possono ritenersi leciti alcuni gesti con cui i fidanzati esprimono castamente il loro affetto reciproco scambiandosi tenere e pulite effusioni, la soglia si alza inesorabile quando all’affetto subentra la passione o la libido, che nel periodo prematrimoniale deve essere contenuta, controllata e sacrificata in nome della custodia dell’amore autentico. 


Non solo, dunque, il vero e proprio rapporto more uxorio (fornicazione), ma anche i gesti a carattere sessuale atti a stimolare il piacere venereo (tutti, nessuno escluso – il lettore ovviamente capirà) costituiscono ciascuno e singolarmente un vero e proprio peccato mortale, anche quando non consegua direttamente il raggiungimento del piacere fisico. 
Che il bacio profondo fosse peccato mortale era non solo patrimonio comune delle nostre nonne e oggetto di insegnamento molto chiaro e severo da parte dei santi (celebre è il caso di san Pio da Pietrelcina che negò l’assoluzione a una sua figlia spirituale che, solo una settimana prima del matrimonio, cedette alla tentazione di dare un bacio al fidanzato!), ma costituisce una vera e propria pronuncia dogmatica da parte di papa Alessandro VII. 
Ai suoi tempi i teologi lassisti insegnavano che un bacio dato senza il pericolo di “ulteriori conseguenze” fosse peccato soltanto veniale (si badi: neppure i lassisti pensavano che non fosse peccato, ma che fosse peccato “soltanto veniale”). 
Il Papa, tuttavia, respinse tale dottrina condannando esplicitamente la seguente proposizione: «Probabile è l’opinione che dice che soltanto veniale è un bacio per piacere carnale e sensibile che viene da esso, fin quando non c’è pericolo di ulteriore consenso o di polluzione» (Denz. 2060). La sentenza di trova nel Denzinger, che, come tutti i teologi sanno, raccoglie le proposizioni vincolanti in materia di Fede e di Morale. Nessuno dunque può osare opporvisi o contestarla.
Si pensi, per comprendere la gravità dei rapporti prematrimoniali, alla vicenda eroica della grande santa pontina, la piccola Maria Goretti, che subì un’orrenda uccisione con 14 colpi di punteruolo per non cedere a una violenza carnale e che, sotto i colpi, aveva come unica preoccupazione quella di tenere abbassate le sue vesti, come ebbe a testimoniare lo stesso aggressore, Alessandro Serenelli. Si badi, a questo proposito, alla speculare vicenda, alquanto sconvolgente, dell’amica di suor Lucia Dos Santos, di cui sappiamo il nome “Amelia”, della quale la Madonna, richiesta dalla veggente, disse nella prima apparizione di Fatima (13.05.1917) che sarebbe dovuta rimanere in Purgatorio fino al giudizio universale. Si trattava di una giovane ragazza che, a differenza di santa Maria Goretti, di fronte a un tentativo di violenza carnale, per paura di essere uccisa, non si ribellò al suo aggressore. 

Perché una espiazione così lunga? La risposta, per chi conosce un po’di catechismo, è molto semplice: mancando il deliberato consenso (anche se la ragazza aveva la piena avvertenza che l’impurità è una colpa grave), il suo non poteva essere un peccato mortale (passibile di inferno), e quindi da espiare in Purgatorio, come tutti gli altri peccati veniali. 
Un’espiazione così lunga e, presumibilmente, dolorosa è dunque motivata solo dall’estrema gravità della materia di questo peccato. Riflettano i molti che sottovalutano l’impurità, che pensano sia normale avere rapporti a dodici anni (cosa purtroppo non rara), o che sorridono dinanzi ai pochi giovani coraggiosi che hanno la forza di mantenere la castità. Su questa materia non si scherza: è sempre grave e intrinsecamente cattiva. Come dicevano i teologi classici, è sempre da ricordare che “in re venerea non datur parvitas materiæ: in tema di piaceri venerei non esiste materia lieve”.

Don Leonardo Maria Pompei


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