Il primo grado dell’umiltà è la conoscenza di sé, che avviene allorché, per
mezzo della testimonianza della nostra coscienza, e con l’aiuto della luce che
Dio riversa sui nostri spiriti, ci rendiamo conto che non siamo altro che
povertà, miserie e abiezione.
Questa umiltà, se non va oltre, non è granché, e,
di fatto, è molto comune; infatti, sono poche le persone che vivono in tanta
cecità da non riconoscere abbastanza chiaramente la propria pochezza, per poco
che riflettano; tuttavia, non vogliono vedersi per quello che sono, tanto che
sarebbero molto contrariati se qualcuno li giudicasse per quello che realmente
sono.
Ecco perché non bisogna fermarsi a questo punto, ma passare al secondo
livello, che è il riconoscimento; c’è differenza fra conoscere una cosa e
riconoscerla.
Riconoscere significa dire e manifestare pubblicamente, quando è necessario, quello che conosciamo di noi stessi; ma si intende che va detto con un sincero sentimento del nostro nulla, dato che c’è una quantità di persone che non fa altro che umiliarsi soltanto a parole.
Riconoscere significa dire e manifestare pubblicamente, quando è necessario, quello che conosciamo di noi stessi; ma si intende che va detto con un sincero sentimento del nostro nulla, dato che c’è una quantità di persone che non fa altro che umiliarsi soltanto a parole.
Parlate alla donna più vanitosa del
mondo, ad un cortigiano dello stesso stampo, e dite loro, ad esempio: mio Dio! Quanto lei è in gamba, quanto merito le deve essere riconosciuto!
Non trovo
nulla che si avvicini alla sua perfezione. Risponderanno: Oh, Signore, non
valgo nulla, e non sono che la miseria in persona e la stessa imperfezione; ma
contemporaneamente sono molto contenti di sentirsi lodare e, ancor di più, se
li giudicate secondo quello che dite.
Ecco allora che quelle parole di umiltà
non si trovano che sulle labbra e non provengono dal profondo del cuore;
infatti, se doveste prenderli in parola, prendendo per vere le loro false
dichiarazioni di umiltà, si offenderebbero, e pretenderebbero che facciate loro
ammenda per l’onore offeso. Ora, Dio ci protegga da umili di tal genere!
Il terzo livello è di ammettere e confessare la nostra pochezza e abiezione quando
la scoprono gli altri: infatti, molto spesso, diciamo personalmente e anche con
convinzione, che siamo cattivi e miserabili, ma non vorremmo che in questa
affermazione ci prevenisse qualche altro; e se capita, non soltanto non ci fa
piacere, ma ce ne abbiamo a male, e questo è un segno sicuro che la nostra
umiltà non è perfetta e nemmeno di buona qualità.
Bisogna dunque ammettere
francamente e dire: avete proprio ragione, mi conoscete molto bene. Questo
grado è già molto buono.
Il quarto è amare il disprezzo e rallegrarci quando veniamo abbassati e
umiliati; infatti, a quale pro trarre in inganno lo spirito degli altri? È un
fatto irragionevole. Se ammettiamo che non siamo nulla, dobbiamo essere molto
contenti che venga creduto, che si dica e che ci si tratti come nullità e
miserabili.
Il quinto, che è il più perfetto e il più alto dei gradi di umiltà, è quello
non soltanto di amare il disprezzo, ma desiderarlo, cercarlo e compiacervisi
per amore di Dio: e beati sono quelli che giungono a questo livello; ma il loro
numero è molto limitato.
Nostro Signore lo voglia aumentare di... 10 o 20
fratelli che Gli sono consacrati in questa nostra famiglia
San Francesco di Sales
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