La semplicità ed umiltà
devono sì renderci buoni ed accoglienti con tutti, senza plateali pretese
moralizzatrici, ma non possono impedirci di qualificare col proprio nome il
male che vediamo intorno a noi ed anche nel corpo santo della Chiesa di Cristo.
Un conto è la denunzia ferma di ciò che è riprovevole, un altro conto è non sapere accettare e comprendere chi, spesso inconsciamente, ci appare degno di biasimo, abbandonandosi a condanne indiscriminate ed offensive, quest’ultima cosa è inaccettabile dal punto di vista della carità cristiana.
È una premessa necessaria al discorso che stiamo per fare.
Sì, sì, parliamo di “sporcizia” ecclesiale, anche se ciò è motivo di grande sofferenza, per chi dell’amore alla Chiesa ha fatto il suo inderogabile programma.
Parliamone dal momento che dopo la famosa nona stazione della Via Crucis del venerdì santo 2005 colui che allora era il cardinale Ratzinger, oggi papa Benedetto XVI, vi è ritornato sopra coraggiosamente, ripetendo le stesse parole nella omelia della messa crismale del giovedì santo 2007 dinanzi a migliaia di presbiteri e vescovi, senza una particolare enfasi, ma con una velata tristezza.
Come la candida veste bianca che il ministro sacro indossa nell’accingersi alla celebrazione dei divini misteri, così la condotta di essi deve escludere ogni “sporcizia” e presentarsi in maniera degna dinanzi al Dio tre volte santo, che “scorge la macchia anche nei suoi angeli”.
IL Papa, sappiamo, è ritornato, poi, con grande insistenza sull’argomento nel discorso rivolto a diversi episcopati del mondo ed anche più recentemente nel discorso alla Curia Romana. Ciò sempre con una ben visibile e sofferta tristezza…
Chi potrà dire che questa insistenza paterna di chi della Chiesa di Gesù, e del suo tessuto umano, conosce da più decenni le più riposte pieghe, sia senza un particolare significato?
Questa insistenza ci interpella: guai a non trarne le conseguenze.
Essere mondi da qualsiasi sporcizia morale è dovere di ogni battezzato il quale, proprio nell’atto di essere incorporato a Cristo, agnello senza macchia, riceve la veste candida, simbolo di una purezza interiore che egli deve custodire sino alla vita eterna.
Nella gloria, come dice l’autore dell’Apocalisse, si aggirano in miriadi i biancovestiti che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello. (Ap 7, 13 ss).
Quel candore deve essere preparato e propiziato sin da quaggiù con una ineccepibile condotta “per la quale essi devono risplendere come astri in mezzo ad una generazione malvagia e perversa” (Fil 2).
Se questo candore fulgido dell’anima è impreteribile dovere di ogni battezzato non si dovrà dire essere eccezionale caratteristica dei ministri sacri, di coloro che devono essere a guardia del gregge di Cristo prima che con la parola, con un’integra condotta di vita?
E invece come non arrossire nel constatare che i pastori troppo spesso non corrispondono degnamente al ministero cui sono stati chiamati e per il quale sono stati formati di doni eccezionali!
Sarebbe facile, al riguardo, richiamare le severissime parole del profeta a proposito dei pastori indegni, che tradiscono il loro mandato (cf Ez 34, 2 ss).
A cominciare da chi scrive, rientriamo in noi stessi, umiliamoci sotto la potente mano di Dio, vindice di ogni ingiustizia, esaminiamo con serietà e coraggio la nostra condotta, a cominciare dai nostri pensieri, dalle nostre aspirazioni. Vediamo, negli angoli più riposti del nostro spirito, se vi si annidi “sporcizia” che il Papa depreca e da cui intende metterci in guardia.
È “sporcizia” la nostra mancanza di fede, per cui ci accostiamo alle altissime e santissime realtà che Cristo ci ha messo fra le mani e sulle nostre labbra con mediocrità spaventosa, con una ripetitiva e abitudinaria faciloneria, propria di funzionari e di burocrati del sacro, non di fervidi adoratori di Dio in spirito e verità. Non si può trattare il fuoco e rimanere freddi…
È “sporcizia” quella sovversione di valori che ammettiamo in noi e anche nelle nostre scelte, anche senza accorgercene, per cui ciò che dovrebbe essere al primo posto: l’adorazione, il silenzio, la preghiera, la contemplazione, è relegato all’ultimo; quando non è addirittura trascurato ed omesso.
È “sporcizia” quella ricerca del benessere materiale, del denaro, che dimostra di non aver posto Dio quale bene supremo e scopo della propria vita. Cosa che tanto scandalizza il popolo di Dio.
È “sporcizia” quella ipocrisia che spesso nasconde, dietro maschere d’accatto, i nostri pensieri segreti, le nostre mire inconfessate e che spesso vestiamo di untuoso ossequio e piaggeria.
È “sporcizia” quell’arrivismo e carrierismo da cui Giovanni Paolo II coraggiosamente mise in guardia in un celebre discorso alla sua curia romana.
E’ “sporcizia” – vorrei sottolinearlo – dopo dolorosissimi fatti recenti – quella … delazione che spinge, non si sa perché, a riferire, magari ingrandendogli ad arte, incresciosi fatti che mettono in cattiva luce i fratelli e rasentano la calunnia. C’è bisogno di dire che si tratta di colpe gravi che non hanno alcuna giustificazione. Perché non dirlo? La delazione ha spinto in qualche caso a gesti estremi di autodistruzione… Dio ci liberi da tanta nequizia!
Vorrei concludere ripetendo la breve preghiera che ho ripetuto tante volte nei miei oltre cinquant’anni di sacerdozio indossando la sacra alba: “Dealba me, Domine, et munda cor meum…”.
Mons Andrea Gemma
Un conto è la denunzia ferma di ciò che è riprovevole, un altro conto è non sapere accettare e comprendere chi, spesso inconsciamente, ci appare degno di biasimo, abbandonandosi a condanne indiscriminate ed offensive, quest’ultima cosa è inaccettabile dal punto di vista della carità cristiana.
È una premessa necessaria al discorso che stiamo per fare.
Sì, sì, parliamo di “sporcizia” ecclesiale, anche se ciò è motivo di grande sofferenza, per chi dell’amore alla Chiesa ha fatto il suo inderogabile programma.
Parliamone dal momento che dopo la famosa nona stazione della Via Crucis del venerdì santo 2005 colui che allora era il cardinale Ratzinger, oggi papa Benedetto XVI, vi è ritornato sopra coraggiosamente, ripetendo le stesse parole nella omelia della messa crismale del giovedì santo 2007 dinanzi a migliaia di presbiteri e vescovi, senza una particolare enfasi, ma con una velata tristezza.
Come la candida veste bianca che il ministro sacro indossa nell’accingersi alla celebrazione dei divini misteri, così la condotta di essi deve escludere ogni “sporcizia” e presentarsi in maniera degna dinanzi al Dio tre volte santo, che “scorge la macchia anche nei suoi angeli”.
IL Papa, sappiamo, è ritornato, poi, con grande insistenza sull’argomento nel discorso rivolto a diversi episcopati del mondo ed anche più recentemente nel discorso alla Curia Romana. Ciò sempre con una ben visibile e sofferta tristezza…
Chi potrà dire che questa insistenza paterna di chi della Chiesa di Gesù, e del suo tessuto umano, conosce da più decenni le più riposte pieghe, sia senza un particolare significato?
Questa insistenza ci interpella: guai a non trarne le conseguenze.
Essere mondi da qualsiasi sporcizia morale è dovere di ogni battezzato il quale, proprio nell’atto di essere incorporato a Cristo, agnello senza macchia, riceve la veste candida, simbolo di una purezza interiore che egli deve custodire sino alla vita eterna.
Nella gloria, come dice l’autore dell’Apocalisse, si aggirano in miriadi i biancovestiti che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello. (Ap 7, 13 ss).
Quel candore deve essere preparato e propiziato sin da quaggiù con una ineccepibile condotta “per la quale essi devono risplendere come astri in mezzo ad una generazione malvagia e perversa” (Fil 2).
Se questo candore fulgido dell’anima è impreteribile dovere di ogni battezzato non si dovrà dire essere eccezionale caratteristica dei ministri sacri, di coloro che devono essere a guardia del gregge di Cristo prima che con la parola, con un’integra condotta di vita?
E invece come non arrossire nel constatare che i pastori troppo spesso non corrispondono degnamente al ministero cui sono stati chiamati e per il quale sono stati formati di doni eccezionali!
Sarebbe facile, al riguardo, richiamare le severissime parole del profeta a proposito dei pastori indegni, che tradiscono il loro mandato (cf Ez 34, 2 ss).
A cominciare da chi scrive, rientriamo in noi stessi, umiliamoci sotto la potente mano di Dio, vindice di ogni ingiustizia, esaminiamo con serietà e coraggio la nostra condotta, a cominciare dai nostri pensieri, dalle nostre aspirazioni. Vediamo, negli angoli più riposti del nostro spirito, se vi si annidi “sporcizia” che il Papa depreca e da cui intende metterci in guardia.
È “sporcizia” la nostra mancanza di fede, per cui ci accostiamo alle altissime e santissime realtà che Cristo ci ha messo fra le mani e sulle nostre labbra con mediocrità spaventosa, con una ripetitiva e abitudinaria faciloneria, propria di funzionari e di burocrati del sacro, non di fervidi adoratori di Dio in spirito e verità. Non si può trattare il fuoco e rimanere freddi…
È “sporcizia” quella sovversione di valori che ammettiamo in noi e anche nelle nostre scelte, anche senza accorgercene, per cui ciò che dovrebbe essere al primo posto: l’adorazione, il silenzio, la preghiera, la contemplazione, è relegato all’ultimo; quando non è addirittura trascurato ed omesso.
È “sporcizia” quella ricerca del benessere materiale, del denaro, che dimostra di non aver posto Dio quale bene supremo e scopo della propria vita. Cosa che tanto scandalizza il popolo di Dio.
È “sporcizia” quella ipocrisia che spesso nasconde, dietro maschere d’accatto, i nostri pensieri segreti, le nostre mire inconfessate e che spesso vestiamo di untuoso ossequio e piaggeria.
È “sporcizia” quell’arrivismo e carrierismo da cui Giovanni Paolo II coraggiosamente mise in guardia in un celebre discorso alla sua curia romana.
E’ “sporcizia” – vorrei sottolinearlo – dopo dolorosissimi fatti recenti – quella … delazione che spinge, non si sa perché, a riferire, magari ingrandendogli ad arte, incresciosi fatti che mettono in cattiva luce i fratelli e rasentano la calunnia. C’è bisogno di dire che si tratta di colpe gravi che non hanno alcuna giustificazione. Perché non dirlo? La delazione ha spinto in qualche caso a gesti estremi di autodistruzione… Dio ci liberi da tanta nequizia!
Vorrei concludere ripetendo la breve preghiera che ho ripetuto tante volte nei miei oltre cinquant’anni di sacerdozio indossando la sacra alba: “Dealba me, Domine, et munda cor meum…”.
Mons Andrea Gemma
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