mercoledì 5 dicembre 2012

“De Caritate Ministranda” - Benedetto XVI richiama le opere caritative cattoliche a essere veramente “caritative” e “cattoliche”

 Il Motu proprio di Benedetto XVI corregge gli errori di certi enti religiosi. Scongiura l’attivismo e il materialismo e si pone come strumento per rinnovare la fede.

Mentre ieri la stampa fremeva per lo sbarco di papa Benedetto XVI su Twitter, poco si è parlato dell’importante Motu Proprio “De Caritate Ministranda”, pubblicato dal pontefice il primo dicembre. La caratteristica di questo documento è di non essere stato proposto da alcun organismo della Curia Romana, ma di essere stato scritto di sua spontanea volontà dal Papa. Benedetto XVI rimarca, oltre alla preoccupazione per la cura dell’anima e non solo del corpo, la necessità della trasparenza delle operazioni delle organizzazioni caritative e i nuovi compiti dei vescovi per garantire la cattolicità di questi enti.

NASCE TUTTO DA CRISTO. Si legge innazitutto dell’importanza di «tenere presente che l’azione pratica resta insufficiente se in essa non si rende percepibile l’amore per l’uomo, un amore che si nutre dell’incontro con Cristo». Per questa ragione, le opere caritative devono evitare il rischio di dissolvere l’attività caritativa «nella comune organizzazione assistenziale, divenendone una semplice variante». E sopratutto devono garantire che la loro gestione «sia realizzata in accordo con le esigenze dell’insegnamento della Chiesa». Le organizzazioni caritative della Chiesa sono «tenute a seguire nella propria attività i princìpi cattolici e non possono accettare impegni che in qualche misura possano condizionare l’osservanza dei suddetti princìpi».

GLI SCANDALI. In effetti, fino ad ora non esisteva uno strumento (nemmeno il Codice di diritto canonico) per “regolare” la carità. E se si pensa ad alcuni problemi seguiti ai servizi e alla formazione di certi enti, sia religiosi sia laici, contrari al Magistero della Chiesa, se ne comprende la necessità. Nel Nord America, ad esempio, il Papa ha commissariato alcuni ordini che fornivano servizi quali la contraccezione e sostenevano l’aborto. Lo stesso è accaduto in alcuni paesi europei. Mentre altre organizzazioni, che si dicevano cattoliche, hanno utilizzato il nome della Chiesa per gestire fondi in maniera non sempre trasparente.

IL FARE DI DIO. Per questo, d’ora in poi, «un organismo caritativo può usare la denominazione di “cattolico” solo con il consenso scritto dell’autorità competente». E i vescovi saranno i responsabili di quanto accade al loro interno, evitando «il moltiplicarsi delle iniziative di servizio di carità a detrimento dell’operatività e all’efficacia rispetto ai fini che si propongono».

Così Benedetto XVI ha voluto riordinare la carità a partire dalla convinzione che la Chiesa non si poggia sul fare umano ma su quello di Dio, come ha già ricordato nel recente documento Porta Fidei. E come aveva già chiarito durante l’Udienza generale del 26 aprile di quest’anno: mentre raccomandava di non perdersi nell’«attivismo puro», esortava a ricomprendere che «la vera carità» non ha bisogno di «tante cose», ma «soprattutto dell’affetto del nostro cuore, della luce di Dio».

I VESCOVI. Perciò i vescovi non dovranno solo vigilare, ma fornire una «formazione del cuore che documenti una fede nell’opera di carità», provvedendo «alla loro formazione anche in ambito teologico e pastorale», addirittura «con specifici curricula» e «con adeguate offerte di vita spirituale». Infine, si chiede ai vescovi sobrietà, evitando «che gli organismi di carità che gli sono soggetti siano finanziati da enti o istituzioni che perseguono fini in contrasto con la dottrina della Chiesa. Parimenti, per non dare scandalo ai fedeli, il Vescovo diocesano deve evitare che organismi caritativi accettino contributi per iniziative che, nella finalità o nei mezzi per raggiungerle, non corrispondano alla dottrina della Chiesa».

Benedetto XVI: “De Caritate Ministranda” | Tempi.it


Dicembre 4, 2012

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