La risposta di Gesù porta
abilmente la questione ad un livello superiore, mettendo con finezza in guardia
nei confronti sia della politicizzazione della religione sia della deificazione
del potere temporale, come pure dell’instancabile ricerca della ricchezza. I
suoi ascoltatori dovevano capire che il Messia non era Cesare, e che Cesare non
era Dio. Il regno che Gesù veniva ad instaurare era di una dimensione
assolutamente superiore. Come rispose a Ponzio Pilato: «Il mio regno non è di
questo mondo».
I racconti di Natale del
Nuovo Testamento hanno lo scopo di esprimere un messaggio simile. Gesù nacque
durante un "censimento del mondo intero", voluto da Cesare Augusto,
l’imperatore famoso per aver portato la Pax Romana in tutte le terre sottoposte
al dominio romano. Eppure questo bambino, nato in un oscuro e distante angolo
dell’impero, stava per offrire al mondo una pace molto più grande, veramente
universale nei suoi scopi e trascendente ogni limite di spazio e di tempo.
Gesù ci viene presentato
come erede del re Davide, ma la liberazione che egli portò alla propria gente
non riguardava il tenere a bada eserciti nemici; si trattava, invece, di
vincere per sempre il peccato e la morte.
La nascita di Cristo ci
sfida a ripensare le nostre priorità, i nostri valori, il nostro stesso modo di
vivere. E mentre il Natale è senza dubbio un tempo di gioia grande, è anche
un’occasione di profonda riflessione, anzi un esame di coscienza. Alla fine di
un anno che ha significato privazioni economiche per molti, che cosa possiamo
apprendere dall’umiltà, dalla povertà, dalla semplicità della scena del
presepe?
Il Natale può essere il
tempo nel quale impariamo a leggere il Vangelo, a conoscere Gesù non soltanto
come il Bimbo della mangiatoia, ma come colui nel quale riconosciamo il Dio
fatto Uomo.
È nel Vangelo che i
cristiani trovano ispirazione per la vita quotidiana e per il loro
coinvolgimento negli affari del mondo – sia che ciò avvenga nel Parlamento o
nella Borsa. I cristiani non dovrebbero sfuggire il mondo; al contrario,
dovrebbero impegnarsi in esso. Ma il loro coinvolgimento nella politica e
nell’economia dovrebbe trascendere ogni forma di ideologia.
I cristiani combattono la
povertà perché riconoscono la dignità suprema di ogni essere umano, creato a
immagine di Dio e destinato alla vita eterna. I cristiani operano per una
condivisione equa delle risorse della terra perché sono convinti che, quali
amministratori della creazione di Dio, noi abbiamo il dovere di prendersi cura dei
più deboli e dei più vulnerabili. I cristiani si oppongono all’avidità e allo
sfruttamento nel convincimento che la generosità e un amore dimentico di sé,
insegnati e vissuti da Gesù di Nazareth, sono la via che conduce alla pienezza
della vita. La fede cristiana nel destino trascendente di ogni essere umano
implica l’urgenza del compito di promuovere la pace e la giustizia per tutti.
Poiché tali fini vengono
condivisi da molti, è possibile una grande e fruttuosa collaborazione fra i
cristiani e gli altri. E tuttavia i cristiani danno a Cesare soltanto quello
che è di Cesare, ma non ciò che appartiene a Dio. Talvolta lungo la storia i
cristiani non hanno potuto accondiscendere alle richieste fatte da Cesare. Dal
culto dell’imperatore dell’antica Roma ai regimi totalitari del secolo appena
trascorso, Cesare ha cercato di prendere il posto di Dio. Quando i cristiani
rifiutano di inchinarsi davanti ai falsi dèi proposti nei nostri tempi non è
perché hanno una visione antiquata del mondo. Al contrario, ciò avviene perché
sono liberi dai legami dell’ideologia e animati da una visione così nobile del
destino umano, che non possono accettare compromessi con nulla che lo possa
insidiare.
In Italia, molte scene di
presepi sono adornate di rovine degli antichi edifici romani sullo sfondo. Ciò
dimostra che la nascita del bambino Gesù segna la fine dell’antico ordine, il
mondo pagano, nel quale le rivendicazioni di Cesare apparivano impossibili da
sfidare. Adesso vi è un nuovo re, il quale non confida nella forza delle armi,
ma nella potenza dell’amore. Egli porta speranza a tutti coloro che, come lui
stesso, vivono ai margini della società. Porta speranza a quanti sono
vulnerabili nelle mutevoli fortune di un mondo precario. Dalla mangiatoia,
Cristo ci chiama a vivere da cittadini del suo regno celeste, un regno che ogni
persona di buona volontà può aiutare a costruire qui sulla terra.
L’articolo del Papa per il
Financial Times (20 dicembre 2012) nasce da una richiesta venuta dalla
redazione del Financial Times stesso, che, prendendo spunto dalla pubblicazione
dell’ultimo libro del Papa sull’infanzia di Gesù, ha chiesto un suo commento in
occasione del Natale.
Nonostante si trattasse di una richiesta insolita, il
Santo Padre ha accettato con disponibilità.
Forse è giusto ricordare la
disponibilità con cui il Papa aveva risposto anche in passato ad alcune
richieste fuori del comune, ad esempio la richiesta di intervento alla BBC,
proprio in occasione del Natale alcuni mesi dopo il viaggio nel Regno Unito, o
la richiesta di intervista televisiva per il programma A sua immagine della
RAI, rispondendo a domande in occasione del Venerdì Santo.
Si è trattato anche
allora di occasioni per parlare di Gesù e del suo messaggio ad un ampio
uditorio, nei momenti salienti dell’anno liturgico cristiano.
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