1. La famiglia, luogo
dell’amore e della vita
Papa Giovanni Paolo II, nell’esortazione apostolica Familiaris Consortio sui compiti della famiglia cristiana, scriveva queste illuminate parole: “La famiglia, nei tempi odierni, è stata investita da profonde e rapide trasformazioni. Alcune di esse sono divenute incerte e smarrite di fronte ai loro compiti o addirittura dubbiose e quasi ignare del significato ultimo e della verità della vita familiare e coniugale. Consapevole che il matrimonio e la famiglia costituiscono uno dei beni più preziosi dell’umanità, la Chiesa vuol far giungere la sua voce ed offrire il suo aiuto a chi, già conoscendo il valore del matrimonio e della famiglia, cerca di viverlo fedelmente, a chi, incerto ed ansioso, è alla ricerca della verità ed a chi è ingiustamente impedito di vivere liberamente il proprio progetto familiare”. Questo opuscolo vuol farsi eco dell’ansia apostolica del nostro compianto Pontefice e offrire, in forma succinta, semplice e chiara, il nucleo essenziale di ciò che Gesù e la sua Chiesa rivelano sulla famiglia umana. Compito che appare quanto mai urgente nell’attuale contesto storico in cui si moltiplicano le forze disgregatrici del consorzio familiare e compaiono nuove tendenze, prassi, o costumi, gravemente disordinati dal punto di vista etico, che accampano perfino la pretesa di ottenere il riconoscimento legislativo. Per noi cristiani la famiglia è luogo e casa dell’amore e della vita, come ha scritto Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est: non l’amore “erotico” che mette al centro l’io e il soddisfacimento dei propri piaceri ed interessi, ma l’amore “agapico” ovvero l’amore di carità, che mette al centro il tu ed è capace anche di morire per amore dell’altro; questo amore si compie nel generare una nuova vita, vita non meramente biologica, ma vita umana destinata alla vita eterna, che i coniugi hanno l’onore e l’onere di promuovere, accogliere ed educare, agendo in nome e per conto di Dio, consci che dalle loro scelte, per volontà di Dio che ha voluto affidare un compito così sublime e così grande ad un uomo e ad una donna, dipende la sorte terrena ed eterna di vite umane.
2. Purezza, pudore, modestia, verginità e castità
Ai nostri giorni, purtroppo, questi termini possono suscitare un sorriso ironico di compatimento, o essere ritenuti arcaici, obsoleti, anacronistici, fuori moda; per qualcuno andrebbero banditi e sostituiti dai loro contrari: impurità, impudicizia, inverecondia, libertinaggio. Noi cristiani, tuttavia, non ci vergogniamo del Vangelo, che è sempre lo stesso, come sta scritto: “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre: non lasciatevi sviare da dottrine varie e peregrine” (Eb 13,8-9).
Il Signore Gesù disse: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8). Nella purezza di cuore, infatti, sono contenute tutte le virtù necessarie per essere santi nel corpo e nello spirito, nella famiglia e nella società. La purezza è quella virtù che, nascendo dal cuore, sa dare il giusto valore a tutte le cose: prima Dio, poi il resto; prima l’anima, poi il corpo; prima il bene degli altri, poi il proprio. Dio è purezza assoluta e la sua purezza consiste nel non poter pensare, desiderare o fare il male. Dio è puro spirito; ed anche se ha creato i nostri corpi, che sono cosa buona, ci ricorda che più grande del corpo è l’anima. Il suo essere è amare totalmente: ed ogni amore autentico deve trovare in Lui il suo punto di riferimento principale e normativo.
L’amore umano sponsale, dunque, per essere autentico deve imitare il “donarsi totalmente di Dio” e pertanto deve essere esclusivo: rivolto ad una sola creatura, senza averne conosciute altre in precedenza ed intenzionato ad appartenere totalmente all’altro a qualunque costo, in ogni modo e in ogni tempo. Come potrà infatti dirsi esclusivo un amore che si è già dato ad altri? E quale più bel regalo di nozze possono farsi i coniugi che l’essersi preservati e conservati l’uno per l’atro?
Per ottenere questo, è necessario custodirsi puri nei pensieri, negli occhi e nel corpo. La purezza del corpo trova infatti nei pensieri e nel cuore la propria origine, nella volontà di amare veramente la propria forza, nella grazia di Dio e nella sua divina purezza la garanzia della propria custodia, anche a costo di grandi sacrifici. La purezza del corpo va custodita dalla modestia nel vestire, per mezzo della quale, pur curando il buon gusto, il decoro e la bellezza esteriore (pallidi riflessi dell’infinita bellezza di Dio), evita di ostentare, mettere in mostra, essere incitamento a pensieri o desideri non puri, guardandosi dal provocare, sedurre, o, nei casi peggiori, dare scandalo. Quanti adolescenti, seguendo le mode – quelle mode di cui la Madonna di Fatima predisse l’avvento, avvertendo che avrebbero offeso molto Dio – hanno perduto la propria purezza, scoprendo poi di essere stati solo strumenti da usare e poi gettare!
La purezza del corpo permette dunque la totalità del dono di sé: ed in questo consiste il vero amore. Ora, il nostro amore può rivolgersi in due dimensioni: verso Dio, e questo è l’amore verginale; o verso una creatura diversa da me e a me complementare, e questo è l’amore umano sponsale, da vivere nella castità, sia nel fidanzamento che nel matrimonio. I fidanzati, infatti, devono rispettare la santità e la sacralità di una persona (e di un corpo) che ancora non gli appartiene, e quindi limitare le forme di comunicazione del proprio amore (ancora precario e informe) ai soli gesti idonei a veicolare l’affetto, simili a quelli che ci si scambia anche in famiglia o tra amici. Gli sposi, invece, che hanno fatto dono totale e reciproco di sé possono amarsi con la totalità di se stessi (corpo, anima e spirito), sempre coscienti del fatto che il loro amore può (e deve) essere fecondo, cioè aperto alla collaborazione con l’opera creativa di Dio, che ha inscritto, negli atti coniugali, la capacità di generare la vita; e l’amore, vissuto così, ha la benedizione di Dio.
La castità coniugale esige dunque dagli sposi che mantengano in un contesto di vero amore l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana; ciò comporta la connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo (la mutua e totale donazione di sé che i coniugi si scambiano) e il significato procreativo (il non porre nessun tipo di volontario impedimento al possibile concepimento di una vita umana). Da questa verità fondamentale dipende tutto l’insegnamento della Chiesa sulla santità del matrimonio e della famiglia umana.
3. Insegnamenti dei Papi
1) Pio XI, lettera enciclica Casti Connubii (1930)
«Poiché nel nostro tempo vi sono alcuni che, sul tema della castità del consorzio coniugale, abbandonando la dottrina cristiana, hanno preteso di predicarne un’altra, la Chiesa cattolica, a cui Dio ha affidato il compito di insegnare e difendere l’integrità e onestà dei costumi, per preservare la castità del consorzio coniugale dalla turpitudine, proclama fortemente, per mezzo della Nostra parola che qualsiasi uso del matrimonio, nel quale per studio umano, l’atto sia destituito della sua naturale capacità procreatrice, va contro la legge di Dio e della natura e coloro che commettessero tali azioni si rendono colpevoli di colpa grave». Subito dopo, per prevenire il cattivo comportamento di alcuni ministri di Dio che, con la scusa di essere “buoni” e “aperti” traviano le coscienze dei fedeli (ed a cui, per la verità, alcuni di essi si rivolgono per averne “assoluzioni facili”), il Pontefice aggiunge: «Per questo ammoniamo tutti i sacerdoti che si danno ad ascoltare le confessioni e gli altri che sono in cura di anime, che non permettano ai fedeli a sé affidati di errare in un punto così grave della legge di Dio e molto più che preservino se stessi da queste falsi opinioni e non si rendano, in qualsiasi modo, ad esse conniventi. In verità, se qualche confessore o pastore di anime – Dio ci scampi – inducesse egli stesso in tali errori i fedeli a sé affidati o quanto meno ve li confermasse sia approvandoli sia con inganno tacendo, sappia che dovrà rendere severo conto a Dio, Giudice supremo, del suo ufficio tradito e ritenga rivolte a sé le parole di Cristo: “sono ciechi e guide di ciechi. E se un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso” (Mt 15,14)».
2) Paolo VI: lettera enciclica Humanae Vitae (1968)
«Ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale (pillola anticoncezionale, spirale e sterilizzazione), o nel suo compimento (profilattico o coito interrotto), o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali (aborto e pillola RU 486), si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione è intrinsecamente cattiva. Nel compito di trasmettere la vita gli sposi non sono liberi di procedere a proprio arbitrio, come se potessero determinare in modo del tutto autonomo le vie oneste da seguire, ma, al contrario, devono conformare il loro agire all’intenzione creatrice di Dio, espressa nella stessa natura del matrimonio e dei suoi atti, e manifestata dall’insegnamento costante della Chiesa».
3) Giovanni Paolo II: esortazione apostolica Familiaris Consortio (1981)
«Nel contesto di una cultura che gravemente deforma o addirittura smarrisce il vero significato della sessualità umana, la Chiesa sente più urgente la sua missione di presentare la sessualità come valore e compito di tutta la persona creata a immagine di Dio. Quando i coniugi, mediante il ricorso alla contraccezione, scindono i due significati (unitivo e procreativo) dell’atto coniugale che Dio Creatore ha inscritti nell’essere dell’uomo e della donna, si comportano come “arbitri” del disegno divino, “manipolano” e avviliscono la sessualità umana e con essa la persona propria e del coniuge, alterandone il valore di donazione “totale”. Al linguaggio nativo che esprime la reciproca donazione totale dei coniugi, la contraccezione impone un linguaggio oggettivamente contraddittorio, quello cioè del non donarsi all’altro in totalità. Quando invece i coniugi, mediante il ricorso a periodi di infecondità [i “metodi naturali”], rispettano la connessione inscindibile dei significati unitivo e procreativo della sessualità umana, si comportano come “ministri” del disegno di Dio ed “usufruiscono” della sessualità secondo l’originario dinamismo della donazione “totale”, senza manipolazioni ed alterazioni. In tal modo la sessualità viene rispettata e promossa nella sua dimensione veramente e pienamente umana, non mai invece usata come un oggetto».
4. I rapporti prematrimoniali
«Molti oggi rivendicano il diritto all’unione sessuale prima del matrimonio, almeno quando una ferma volontà di sposarsi e un affetto, in qualche modo già coniugale nella psicologia dei soggetti, richiedono questo completamento, che essi stimano connaturale. Questa opinione è in contrasto con la dottrina cristiana, secondo la quale ogni atto genitale umano deve svolgersi nel quadro del matrimonio. Infatti, per quanto sia fermo il proposito di coloro che si impegnano in tali rapporti prematuri, resta vero, però, che questi non consentono di assicurare, nella sua sincerità e fedeltà, la relazione interpersonale di un uomo e di una donna e, specialmente di proteggerla dalle fantasie e dai capricci. Ora, è un’unione stabile quella che Gesù ha voluto e che ha restituito alla sua condizione originale, fondata sulla differenza del sesso. L’unione dei corpi nell’impudicizia, invece, contamina il tempio dello Spirito Santo, quale è divenuto il cristiano. Pertanto l’unione carnale non è legittima se tra l’uomo e la donna non si è instaurata una definitiva comunità di vita. Ecco ciò che ha sempre inteso e insegnato la Chiesa» (CDF, Persona Humana, 1975).
5. L’inseminazione e la fecondazione artificiale
«Le tecniche che provocano una dissociazione dei genitori, per l’intervento di una persona estranea alla coppia (dono di sperma o ovocita, prestito dell’utero) sono gravemente disoneste. Tali tecniche (inseminazione e fecondazione artificiale eterologhe) ledono il diritto del figlio a nascere da un padre e da una madre conosciuti da lui e tra loro legati dal matrimonio. Tradiscono il diritto esclusivo degli sposi a diventare padre e madre soltanto l’uno per mezzo dell’altro. Anche quando siano praticate in seno alla coppia (inseminazione e fecondazione artificiali omologhe), tali tecniche rimangono moralmente inaccettabili, in quanto dissociano l’atto sessuale dall’atto procreatore. L’atto che fonda l’esistenza del figlio non è più un atto con il quale due persone si donano l’una all’altra, bensì un atto che affida la vita e l’identità dell’embrione al potere dei medici e dei biologi e instaura un dominio della tecnica sull’origine e sul destino della persona umana. Una siffatta relazione di dominio è in sé contraria alla dignità e alla uguaglianza che dev’essere comune a genitori e figli. La procreazione è privata dal punto di vista morale della sua perfezione propria quando non è voluta come il frutto dell’atto coniugale, e cioè del gesto specifico della unione degli sposi; soltanto il rispetto del legame che esiste tra i due significati dell’atto coniugale e il rispetto dell’unità dell’essere umano consente una procreazione conforme alla dignità della persona» (CDF, Donum vitae, 1989).
Don Leonardo Maria Pompei
Papa Giovanni Paolo II, nell’esortazione apostolica Familiaris Consortio sui compiti della famiglia cristiana, scriveva queste illuminate parole: “La famiglia, nei tempi odierni, è stata investita da profonde e rapide trasformazioni. Alcune di esse sono divenute incerte e smarrite di fronte ai loro compiti o addirittura dubbiose e quasi ignare del significato ultimo e della verità della vita familiare e coniugale. Consapevole che il matrimonio e la famiglia costituiscono uno dei beni più preziosi dell’umanità, la Chiesa vuol far giungere la sua voce ed offrire il suo aiuto a chi, già conoscendo il valore del matrimonio e della famiglia, cerca di viverlo fedelmente, a chi, incerto ed ansioso, è alla ricerca della verità ed a chi è ingiustamente impedito di vivere liberamente il proprio progetto familiare”. Questo opuscolo vuol farsi eco dell’ansia apostolica del nostro compianto Pontefice e offrire, in forma succinta, semplice e chiara, il nucleo essenziale di ciò che Gesù e la sua Chiesa rivelano sulla famiglia umana. Compito che appare quanto mai urgente nell’attuale contesto storico in cui si moltiplicano le forze disgregatrici del consorzio familiare e compaiono nuove tendenze, prassi, o costumi, gravemente disordinati dal punto di vista etico, che accampano perfino la pretesa di ottenere il riconoscimento legislativo. Per noi cristiani la famiglia è luogo e casa dell’amore e della vita, come ha scritto Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est: non l’amore “erotico” che mette al centro l’io e il soddisfacimento dei propri piaceri ed interessi, ma l’amore “agapico” ovvero l’amore di carità, che mette al centro il tu ed è capace anche di morire per amore dell’altro; questo amore si compie nel generare una nuova vita, vita non meramente biologica, ma vita umana destinata alla vita eterna, che i coniugi hanno l’onore e l’onere di promuovere, accogliere ed educare, agendo in nome e per conto di Dio, consci che dalle loro scelte, per volontà di Dio che ha voluto affidare un compito così sublime e così grande ad un uomo e ad una donna, dipende la sorte terrena ed eterna di vite umane.
2. Purezza, pudore, modestia, verginità e castità
Ai nostri giorni, purtroppo, questi termini possono suscitare un sorriso ironico di compatimento, o essere ritenuti arcaici, obsoleti, anacronistici, fuori moda; per qualcuno andrebbero banditi e sostituiti dai loro contrari: impurità, impudicizia, inverecondia, libertinaggio. Noi cristiani, tuttavia, non ci vergogniamo del Vangelo, che è sempre lo stesso, come sta scritto: “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre: non lasciatevi sviare da dottrine varie e peregrine” (Eb 13,8-9).
Il Signore Gesù disse: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8). Nella purezza di cuore, infatti, sono contenute tutte le virtù necessarie per essere santi nel corpo e nello spirito, nella famiglia e nella società. La purezza è quella virtù che, nascendo dal cuore, sa dare il giusto valore a tutte le cose: prima Dio, poi il resto; prima l’anima, poi il corpo; prima il bene degli altri, poi il proprio. Dio è purezza assoluta e la sua purezza consiste nel non poter pensare, desiderare o fare il male. Dio è puro spirito; ed anche se ha creato i nostri corpi, che sono cosa buona, ci ricorda che più grande del corpo è l’anima. Il suo essere è amare totalmente: ed ogni amore autentico deve trovare in Lui il suo punto di riferimento principale e normativo.
L’amore umano sponsale, dunque, per essere autentico deve imitare il “donarsi totalmente di Dio” e pertanto deve essere esclusivo: rivolto ad una sola creatura, senza averne conosciute altre in precedenza ed intenzionato ad appartenere totalmente all’altro a qualunque costo, in ogni modo e in ogni tempo. Come potrà infatti dirsi esclusivo un amore che si è già dato ad altri? E quale più bel regalo di nozze possono farsi i coniugi che l’essersi preservati e conservati l’uno per l’atro?
Per ottenere questo, è necessario custodirsi puri nei pensieri, negli occhi e nel corpo. La purezza del corpo trova infatti nei pensieri e nel cuore la propria origine, nella volontà di amare veramente la propria forza, nella grazia di Dio e nella sua divina purezza la garanzia della propria custodia, anche a costo di grandi sacrifici. La purezza del corpo va custodita dalla modestia nel vestire, per mezzo della quale, pur curando il buon gusto, il decoro e la bellezza esteriore (pallidi riflessi dell’infinita bellezza di Dio), evita di ostentare, mettere in mostra, essere incitamento a pensieri o desideri non puri, guardandosi dal provocare, sedurre, o, nei casi peggiori, dare scandalo. Quanti adolescenti, seguendo le mode – quelle mode di cui la Madonna di Fatima predisse l’avvento, avvertendo che avrebbero offeso molto Dio – hanno perduto la propria purezza, scoprendo poi di essere stati solo strumenti da usare e poi gettare!
La purezza del corpo permette dunque la totalità del dono di sé: ed in questo consiste il vero amore. Ora, il nostro amore può rivolgersi in due dimensioni: verso Dio, e questo è l’amore verginale; o verso una creatura diversa da me e a me complementare, e questo è l’amore umano sponsale, da vivere nella castità, sia nel fidanzamento che nel matrimonio. I fidanzati, infatti, devono rispettare la santità e la sacralità di una persona (e di un corpo) che ancora non gli appartiene, e quindi limitare le forme di comunicazione del proprio amore (ancora precario e informe) ai soli gesti idonei a veicolare l’affetto, simili a quelli che ci si scambia anche in famiglia o tra amici. Gli sposi, invece, che hanno fatto dono totale e reciproco di sé possono amarsi con la totalità di se stessi (corpo, anima e spirito), sempre coscienti del fatto che il loro amore può (e deve) essere fecondo, cioè aperto alla collaborazione con l’opera creativa di Dio, che ha inscritto, negli atti coniugali, la capacità di generare la vita; e l’amore, vissuto così, ha la benedizione di Dio.
La castità coniugale esige dunque dagli sposi che mantengano in un contesto di vero amore l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana; ciò comporta la connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo (la mutua e totale donazione di sé che i coniugi si scambiano) e il significato procreativo (il non porre nessun tipo di volontario impedimento al possibile concepimento di una vita umana). Da questa verità fondamentale dipende tutto l’insegnamento della Chiesa sulla santità del matrimonio e della famiglia umana.
3. Insegnamenti dei Papi
1) Pio XI, lettera enciclica Casti Connubii (1930)
«Poiché nel nostro tempo vi sono alcuni che, sul tema della castità del consorzio coniugale, abbandonando la dottrina cristiana, hanno preteso di predicarne un’altra, la Chiesa cattolica, a cui Dio ha affidato il compito di insegnare e difendere l’integrità e onestà dei costumi, per preservare la castità del consorzio coniugale dalla turpitudine, proclama fortemente, per mezzo della Nostra parola che qualsiasi uso del matrimonio, nel quale per studio umano, l’atto sia destituito della sua naturale capacità procreatrice, va contro la legge di Dio e della natura e coloro che commettessero tali azioni si rendono colpevoli di colpa grave». Subito dopo, per prevenire il cattivo comportamento di alcuni ministri di Dio che, con la scusa di essere “buoni” e “aperti” traviano le coscienze dei fedeli (ed a cui, per la verità, alcuni di essi si rivolgono per averne “assoluzioni facili”), il Pontefice aggiunge: «Per questo ammoniamo tutti i sacerdoti che si danno ad ascoltare le confessioni e gli altri che sono in cura di anime, che non permettano ai fedeli a sé affidati di errare in un punto così grave della legge di Dio e molto più che preservino se stessi da queste falsi opinioni e non si rendano, in qualsiasi modo, ad esse conniventi. In verità, se qualche confessore o pastore di anime – Dio ci scampi – inducesse egli stesso in tali errori i fedeli a sé affidati o quanto meno ve li confermasse sia approvandoli sia con inganno tacendo, sappia che dovrà rendere severo conto a Dio, Giudice supremo, del suo ufficio tradito e ritenga rivolte a sé le parole di Cristo: “sono ciechi e guide di ciechi. E se un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso” (Mt 15,14)».
2) Paolo VI: lettera enciclica Humanae Vitae (1968)
«Ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale (pillola anticoncezionale, spirale e sterilizzazione), o nel suo compimento (profilattico o coito interrotto), o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali (aborto e pillola RU 486), si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione è intrinsecamente cattiva. Nel compito di trasmettere la vita gli sposi non sono liberi di procedere a proprio arbitrio, come se potessero determinare in modo del tutto autonomo le vie oneste da seguire, ma, al contrario, devono conformare il loro agire all’intenzione creatrice di Dio, espressa nella stessa natura del matrimonio e dei suoi atti, e manifestata dall’insegnamento costante della Chiesa».
3) Giovanni Paolo II: esortazione apostolica Familiaris Consortio (1981)
«Nel contesto di una cultura che gravemente deforma o addirittura smarrisce il vero significato della sessualità umana, la Chiesa sente più urgente la sua missione di presentare la sessualità come valore e compito di tutta la persona creata a immagine di Dio. Quando i coniugi, mediante il ricorso alla contraccezione, scindono i due significati (unitivo e procreativo) dell’atto coniugale che Dio Creatore ha inscritti nell’essere dell’uomo e della donna, si comportano come “arbitri” del disegno divino, “manipolano” e avviliscono la sessualità umana e con essa la persona propria e del coniuge, alterandone il valore di donazione “totale”. Al linguaggio nativo che esprime la reciproca donazione totale dei coniugi, la contraccezione impone un linguaggio oggettivamente contraddittorio, quello cioè del non donarsi all’altro in totalità. Quando invece i coniugi, mediante il ricorso a periodi di infecondità [i “metodi naturali”], rispettano la connessione inscindibile dei significati unitivo e procreativo della sessualità umana, si comportano come “ministri” del disegno di Dio ed “usufruiscono” della sessualità secondo l’originario dinamismo della donazione “totale”, senza manipolazioni ed alterazioni. In tal modo la sessualità viene rispettata e promossa nella sua dimensione veramente e pienamente umana, non mai invece usata come un oggetto».
4. I rapporti prematrimoniali
«Molti oggi rivendicano il diritto all’unione sessuale prima del matrimonio, almeno quando una ferma volontà di sposarsi e un affetto, in qualche modo già coniugale nella psicologia dei soggetti, richiedono questo completamento, che essi stimano connaturale. Questa opinione è in contrasto con la dottrina cristiana, secondo la quale ogni atto genitale umano deve svolgersi nel quadro del matrimonio. Infatti, per quanto sia fermo il proposito di coloro che si impegnano in tali rapporti prematuri, resta vero, però, che questi non consentono di assicurare, nella sua sincerità e fedeltà, la relazione interpersonale di un uomo e di una donna e, specialmente di proteggerla dalle fantasie e dai capricci. Ora, è un’unione stabile quella che Gesù ha voluto e che ha restituito alla sua condizione originale, fondata sulla differenza del sesso. L’unione dei corpi nell’impudicizia, invece, contamina il tempio dello Spirito Santo, quale è divenuto il cristiano. Pertanto l’unione carnale non è legittima se tra l’uomo e la donna non si è instaurata una definitiva comunità di vita. Ecco ciò che ha sempre inteso e insegnato la Chiesa» (CDF, Persona Humana, 1975).
5. L’inseminazione e la fecondazione artificiale
«Le tecniche che provocano una dissociazione dei genitori, per l’intervento di una persona estranea alla coppia (dono di sperma o ovocita, prestito dell’utero) sono gravemente disoneste. Tali tecniche (inseminazione e fecondazione artificiale eterologhe) ledono il diritto del figlio a nascere da un padre e da una madre conosciuti da lui e tra loro legati dal matrimonio. Tradiscono il diritto esclusivo degli sposi a diventare padre e madre soltanto l’uno per mezzo dell’altro. Anche quando siano praticate in seno alla coppia (inseminazione e fecondazione artificiali omologhe), tali tecniche rimangono moralmente inaccettabili, in quanto dissociano l’atto sessuale dall’atto procreatore. L’atto che fonda l’esistenza del figlio non è più un atto con il quale due persone si donano l’una all’altra, bensì un atto che affida la vita e l’identità dell’embrione al potere dei medici e dei biologi e instaura un dominio della tecnica sull’origine e sul destino della persona umana. Una siffatta relazione di dominio è in sé contraria alla dignità e alla uguaglianza che dev’essere comune a genitori e figli. La procreazione è privata dal punto di vista morale della sua perfezione propria quando non è voluta come il frutto dell’atto coniugale, e cioè del gesto specifico della unione degli sposi; soltanto il rispetto del legame che esiste tra i due significati dell’atto coniugale e il rispetto dell’unità dell’essere umano consente una procreazione conforme alla dignità della persona» (CDF, Donum vitae, 1989).
Don Leonardo Maria Pompei
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