Diletti Figli e Figlie!
In queste brevi
conversazioni delle Udienze generali Ci
sembra ancora doveroso ripensare al Concilio.
E per ora lo facciamo
senza risalire ai suoi vari e specifici insegnamenti, ma con alcune
osservazioni d’indole molto sommaria. Questa, ad esempio, che tutti possono
fare da sé: il Concilio ha prodotto nel popolo cristiano una mentalità, una sua
mentalità. È chiaro che al fondo di questa mentalità si trova una convinzione
molto buona, un postulato, un’idea di base che alcuni ammettono come già
acquisita, altri, più avveduti, come da acquisire, da realizzare. E questa
convinzione ci dice che il Concilio vuole una professione cristiana più seria,
più autentica, più vera. Un approfondimento nella sincerità. E questa idea,
dicevamo, è molto buona, Possiamo e dobbiamo farla nostra, perché da essa è
partito il Concilio, come, del resto, da questa aspirazione ad una perfetta
interpretazione della vita cristiana, sia nel pensiero che nella condotta,
parte continuamente l’azione didattica, santificatrice e pastorale della
Chiesa. Ma, dopo il Concilio, come si esprime questa rinnovata mentalità? Dove
si dirige la sua ricerca d’un cristianesimo autentico, vivo e adatto per i
nostri tempi? Si esprime in vari modi. Uno di questi modi è quello di ritenere
ormai facile l’adesione al cristianesimo; e quindi di tendere a renderlo
facile.
L’ESSENZA DEL MESSAGGIO
EVANGELICO
Un cristianesimo facile:
questa Ci sembra una delle aspirazioni più ovvie e più diffuse, dopo il
Concilio. Facilità: la parola è seducente; ed è anche, in un certo senso,
accettabile, ma può essere ambigua. Può costituire una bellissima apologia
della vita cristiana, a intenderla come si deve; e potrebbe essere un
travisamento, una concezione di comodo, un «minimismo» fatale. Bisogna fare
attenzione.
Che il messaggio cristiano
si presenti nella sua origine, nella sua essenza, nella intenzione salvatrice,
nel disegno misericordioso che tutto lo pervade, come facile, felice,
accettevole e comportabile, è fuori dubbio. È una delle più sicure e
confortanti certezze della nostra religione; sì, ben compreso, il cristianesimo
è facile. Bisogna pensarlo così, presentarlo così, viverlo così. Lo ha detto
Gesù stesso: «Il mio giogo è soave ed il mio peso è leggero» (Matth. 11, 30).
Lo ha ripetuto, rimproverando ai Farisei, meticolosi e intransigenti, del suo
tempo: «Compongono pesanti e insopportabili fardelli e li impongono sulle
spalle degli uomini» (Matth. 23, 4; cfr. Matth. 15, 2, ss.). E una delle idee
maestre di San Paolo non è stata quella di esonerare i nuovi cristiani dalla
difficile, complicata e ormai superflua osservanza delle prescrizioni legali
del Testamento anteriore a Cristo?
IL SOMMO PRECETTO
DELL’AMOR DI DIO
Si vorrebbe qualche cosa
di simile anche per il nostro tempo, che è orientato verso concezioni spirituali
semplici e fondamentali. Sintetiche e a tutti accessibili: non ha il Signore
condensato nel sommo precetto dell’amor di Dio e in quello, che lo segue e ne
deriva, dell’amore del prossimo, «tutta la legge ed i profeti» (Matth. 22, 40)?
Lo esige la spiritualità dell’uomo moderno, quella dei giovani specialmente; lo
reclama un’esigenza pratica d’apostolato e di penetrazione missionaria. Semplificare
e spiritualizzare, cioè rendere facile l’adesione al cristianesimo; questa è la
mentalità che sembra scaturire dal Concilio: niente giuridismo, niente
dogmatismo, niente ascetismo, niente autoritarismo, si dice con troppa
disinvoltura: bisogna aprire le porte ad un cristianesimo facile. Si tende così
ad emancipare la vita cristiana dalle così dette «strutture»; si tende a dare
alle verità misteriose della fede una dimensione contenibile nel linguaggio
corrente e comprensibile dalla forma mentale moderna, svincolandole dalle
formulazioni scolastiche tradizionali e sancite dal magistero autorevole della
Chiesa; si tende ad assimilare la nostra dottrina cattolica a quella delle
altre concezioni religiose; si tende a sciogliere i vincoli della morale
cristiana, qualificati volgarmente come «tabu», e delle sue pratiche esigenze
di formazione pedagogica e di osservanza disciplinare, per concedere al
cristiano, fosse pur egli un ministro dei «misteri di Dio» (1 Cor. 4, 1; 2 Cor.
6, 4) o un seguace della perfezione evangelica (cfr. Matth. 19, 21; Luc. 14,
33), una così detta integrazione con il modo di vivere della gente comune. Si
vuole, ripetiamo, un cristianesimo facile, nella fede e nel costume.
Ma non si va oltre il
confine di quell’autenticità, a cui tutti aspiriamo? Quel Gesù, che ci ha
portato il suo vangelo di bontà, di gaudio e di pace, non ci ha forse anche esortati
ad entrare «per la porta stretta» (Matth. 7, 13)? E non ha forse preteso una
fede nella sua parola, che va oltre la capacità della nostra intelligenza?
(cfr. Io. 6, 62-67). E non ha Egli detto che «chi è fedele nel poco, è fedele
,anche nel molto» (Luc. 16, 10)? Non ha fatto Egli consistere l’opera della sua
redenzione nel mistero della Croce, stoltezza e scandalo (1 Cor. 1, 23) per
questo mondo, mentre è condizione della nostra salvezza il parteciparvi?
PIENEZZA DI RISPETTO PER
LA LEGGE DIVINA
Qui la lezione si fa lunga
e difficile. Sorge la domanda: ma allora il cristianesimo non è facile? Allora
non è accettabile da noi moderni, e non è più presentabile al mondo
contemporaneo? Rinunciamo in questo momento a risolvere debitamente questa
grave, ma non profonda difficoltà. Ricordiamo soltanto che il costo delle cose
facili, se belle, se perfette, se rese tali superando ostacoli formidabili, è
sempre alto. Pensiamo, per esempio, a questa legge, che presiede a tutto lo
sforzo della coltura e del progresso, quando abbiamo occasione di viaggiare in
aeroplano: volare, com’è facile! ma quanti studi, quante fatiche, quanti
rischi, quanti sacrifici esso è costato!
E poi, per stare al nostro
tema, ci domandiamo: il cristianesimo sarebbe fatto per i temperamenti deboli
di forza umana e per i fiacchi di coscienza morale? Per gli uomini imbelli,
tiepidi, conformisti, e non curanti delle austere esigenze del Regno di Dio? Ci
domandiamo alle volte se non sia da cercare fra le cause della diminuzione
delle vocazioni alla sequela generosa di Cristo, senza riserve e senza ritorni,
quella della presentazione superficiale d’un cristianesimo edulcorato, senza
eroismo e senza sacrificio, senza la Croce, privo perciò della grandezza morale
d’un amore totale. E Ci chiediamo anche se fra i motivi delle obbiezioni,
sollevate nei confronti dell’Enciclica «Humanae vitae», non vi sia anche quello
d’un segreto pensiero: abolire una legge difficile per rendere la vita più
facile. (Ma se è legge, che ha in Dio il suo fondamento, come si fa?).
Noi ripeteremo: sì, il
cristianesimo è facile; ed è saggio, è doveroso appianare ogni sentiero che ad
esso conduce, con ogni possibile agevolazione. Ed è ciò che la Chiesa, dopo il
Concilio, cerca in ogni modo di fare, ma senza tradire la realtà del cristianesimo.
Il quale è davvero facile a qualche condizione: per gli umili, che ricorrono
all’aiuto della grazia, con la preghiera, con i sacramenti, con la fiducia in
Dio, «che non permetterà, dice S. Paolo, che siate tentati sopra le vostre
forze, ma con la tentazione vi offrirà modo . . . di superarla» (1 Cor. 10,
13); e per i coraggiosi, che sanno volere ed amare, amare soprattutto. Diciamo
con S. Agostino: il giogo di Cristo è soave, per chi ama; duro per chi non ama:
«amanti, suave est; non amanti, durum est» (Serm. 30; PL 38, 192).
Procurate, Figli
carissimi, di fare questa felice esperienza: rendere facile mediante l’amore la
vita cristiana! Con la Nostra Apostolica Benedizione.