1. L'INVIDIA È UNA PASSIONE ABOMINEVOLE.
- «L'invidia, dice S. Agostino, è odio della felicità altrui»; Aristotile
chiama l’invidia l'antagonista della prosperità (Ethic.). L'invidia è il triste
e segreto effetto di un orgoglio pusillanime che si sente diminuito od
eclissato per ogni menomo splendore che si veda negli altri, ed ogni più tenue
raggio di gloria e di felicità che risplenda in altri lo inquieta.
«L'invidia, predicava il Bossuet, è la più vile, la più odiosa e la più
screditata delle passioni; ma forse la più comune e tale che poche anime ne
sono del tutto immuni. Gli uomini pretendono di essere delicati ed il nostro
amor proprio ci gonfia talmente agli occhi nostri, che la più piccola
contraddizione ci sembra un attentato contro la nostra dignità e felicità e la
menoma scalfittura ci fa imbronciare. Ma il peggio si è che ci teniamo offesi,
tanto s'amo teneri di noi stessi, anche quando nessuno ci ha urtati; strilliamo
come feriti, quando non ci hanno nemmeno toccati. Un tale migliora le sue
condizioni nella maniera più onesta ed ecco che la sua buona fortuna ci rende
suoi nemici senz'altro motivo; la virtù di quell'altro ci fa tristi, la fama di
un terzo ci toglie il sonno. Gli scribi e i farisei non potevano soffrire Gesù
Cristo né la purezza della sua dottrina, né l'innocente semplicità della sua
vita e della sua condotta, perché erano un rimprovero tacito, ma potente,
contro l'ipocrita loro invidia e il sordido loro orgoglio» (Sur la Passion de
J. C.).
«O invidia, esclama il Nazianzeno, tu sei la più giusta e la più ingiusta
insieme delle passioni! Ingiusta sì, perché rattristi ingiustamente gli
innocenti; ma giusta ancora, perché punisci i colpevoli. Ingiusta, perché metti
a disagio tutto il genere umano; ma sommamente giusta, perché produci prima di
tutto i maligni tuoi frutti nel cuore dove sei allignata» (Anton. in Meliss.
lib. I, c. XXVI).
L'invidia e la gelosia sono un conflitto con le passioni più furiose...
2. L'INVIDIA TORMENTA CHI LA POSSIEDE.
- L'invidia è la tortura del cuore che l'alberga. Come la ruggine consuma il
ferro da cui è originata, così, dice Antistene, l'invidioso è consumato dal suo
proprio vizio (Ap. Laert. lib. VI. c. I). E più spiegatamente il Crisostomo:
«L'invidia fa sempre da carnefice col suo proprio autore: irrita i sensi,
tormenta lo spirito, corrompe il cuore. Chi ha l'invidia sempre ne soffre la
tirannia e i supplizi, perché vuole accarezzarsi in seno questo molesto
persecutore. E quando infatti, potrà vedere il fine dei suoi tormenti colui che
soffre della fortuna altrui? (Serm. CLXXII)». Con tutta ragione S. Agostino
chiama l’invidia: «Tignola, consunzione, vipera, carnefice dell'anima (De
Morib.)»; Socrate paragonava l'azione dell’invidia su l'anima, all'effetto di
Dna sega sui corpi (Anton. in Meliss. 1. I, c. XXVI).
L'invidioso è sempre irrequieto, permaloso, triste, scontento, come ben si
conosce dall'occhio livido, dai lineamenti contratti, dalla faccia smorta e
scura: egli va ruminando odio, collera e vendetta; ne sono esempio i fratelli
di Giuseppe, i quali concepirono contro il loro fratello un odio tale da
volerne la morte, quando divennero gelosi di lui perché Giacobbe lo amava più
di essi (Gen. XXXVII, 4).
L'invidia è un tormento perpetuo come l'inferno, ardente come il fuoco,
divorante come la fiamma (Cant. VIII, 6); è un lento veleno che consuma le
midolla delle ossa (Prov. XIV, 30); conduce alla miseria (Prov. XXVIII, 22); è
la più crudele malattia, la più terribile morte del cuore. «O invidia, esclama
il Crisostomo, sorgente della morte, malattia complicata, chiodo acutissimo nel
cuore! (Ibid.)».
L'invidioso ha le pupille inferme, perché offese da ciò che è splendido e
bello, la gloria, la virtù, la fama, il benessere degli altri lo inquieta e lo
tormenta; l'invidia sua cresce col crescere della gloria e della virtù del
prossimo. Domandato Socrate qual cosa sia di danno ai buoni e di tormento ai
malvagi, rispose: La felicità dei cattivi è dannosa ai buoni; la prosperità dei
buoni tormenta i cattivi per mezzo dell'invidia (Anton. in Meliss. lib. I, c.
XXVI).
L'invidioso è doppiamente infelice: per i mali suoi e per i beni degli altri.
Egli rende qualche volta, con la sua invidia, molto più grandi e fortunati
coloro di cui è geloso; come si vide nei figli di Giacobbe, i quali furono, con
la loro invidia e gelosia, la causa per cm il loro fratello Giuseppe fu
innalzato a viceré di Egitto. «L'invidioso, come osserva S. Gregorio, è di
animo pusillanime, di cuore gretto e vile, perché portando invidia agli altri,
dimostra di essere inferiore a loro; fa vedere la sua piccolezza e povertà; che
cosa è infatti invidiare, se non confessare che manca quella cosa di cui si ha
invidia!» (Moral. lib. V). L’invidioso è dolente che altri abbia ciò che egli
ha; gli dispiace di avere meno di un altro o che un altro abbia più di lui; si
rattrista perché le sue sostanze non uguagliano quelle del suo emulo. «O somma
ingiustizia della gelosia, esclama Palladio (Apud Stobaeum, serm. XXXVIII),
l'invidioso perseguita il fortunato!».
« L'invidia, predica S. Bernardo, è il tarlo dell'anima; distrugge il buon
senso, brucia le viscere, turba lo spinto, rode come cancro il cuore, alimenta
col pestilenziale suo fiato ogni sorta di beni. L’invidioso converte l’altrui
bene in suo peccato. O tu che ti mostri geloso dell’altrui benessere, bada di
non distruggere il tuo! perché se la morte spirituale è compagna indivisibile
dell'invidia, certamente tu non puoi essere invidioso e vivere (De inter. domo,
c. XLII)».
L'invidia è veleno più pericoloso che l'amor proprio: esso incomincia a dare la
morte a colui che lo vomita su gli altri e lo porta ai peggiori attentati.
L'orgoglio è naturalmente ardimentoso e ama sfoggiare; ma l'invidia è ipocrita,
si camuffa sotto ogni pretesto, lavora nel segreto e trama all'oscuro.
3. FURORI E STRAGI DELL'INVIDIA.
- «L'invidia, morbo pestilenziale, dice il Crisostomo, ha ridotto l'uomo alla
condizione del demoni e ne ha fatto un ferocissimo diavolo. Il primo omicidio
fu commesso dalla mano dell’invidia; essa fu che calpestò l’amor fraterno
(Homil. XLI, in Matth.)». In altro luogo il medesimo santo chiama l'invidia,
invenzione di Satana, peste orribile, il più nero dei vizi, bestia feroce che
sopra ogni cosa devasta e distrugge la salute (Homil. XXII, in Gen.).
L'invidia è: 1° il segnale o il marchio di un animo vile e spregevole... 2°
L'invidia non patisce superiorità... 3° Impedisce e manda a monte bene spesso
le più grandi imprese... 4° E amara e riboccante di fiele... 5° Si rallegra del
male e si rattrista del bene degli altri... 6° Essa è la più grande infelicità
dell’uomo... Fu essa infatti, come dice il Savio, la prima introduttrice della
morte nel mondo (Sap. II, 24). Non è forse infelice colui che è in esecrazione
a tutti, che vive sempre sbattuto come nave in mare tempestoso, che rassomiglia
ai demoni? Orbene, tale è l'invidioso, dice S. Basilio (Homil. de Invid.).
«L'invidia dice S. Agostino, cacciò l'angelo dal cielo, esiliò l'uomo dal
paradiso, uccise Abele, armò contro Giuseppe i suoi fratelli, precipitò Daniele
nella fossa dei leoni, crocifisse Gesù, il nostro capo, strangolò Giuda. O miei
fratelli, annunziate ai quattro venti che l'invidia è quella belva feroce che
toglie la fede, distrugge la concordia, disperde la giustizia e genera tutti
mali. Essa crollò le mura di Gerusalemme, spopolò Roma, abbatté Cartagine,
diroccò Troia (Serm. XVIII, de Temp.)». «L’invidia, dice il Nisseno, è il
maggiore dei mali, la madre della morte, la prima porta del peccato, la radice
dei vizi; è il principio del dolori, l’origine della miseria, la causa della
disobbedienza, la sorgente dell'ignominia, morbo della natura; è una lama
avvelenata, un pugnale nascosto, una bile rabbiosa, una piaga funesta, un
calice di fiele, un patibolo al quale l'uomo si impicca, una fiamma che divora
il cuore, un fuoco interno. Gli invidiosi sono uccelli di rapina» (Homil. in
Gen.).
«Fuggiamo l'invidia, esclama S. Basilio, perché è un male intollerabile,
precetto del serpente, invenzione del demonio, cibo del nostro nemico, caparra
del castigo, ostacolo alla pietà, esclusione dal paradiso, strada dello
inferno. Gli invidiosi dànno colore di vizio alle virtù anche più belle, non
mancando mai di calunniare tutto ciò che è degno di lode», Dice Aristonimo:
«L'invidia contrasta tutte quante le azioni oneste (In Diatrib.)».
«Gli invidiosi, dice S. Giovanni Crisostomo, sono peggiori dei leoni; simili, e
starei per dire, più malvagi dei demoni. Infatti i leoni ci assaltano solo
quando sono spinti dalla fame o si vedono provocati, mentre gli invidiosi, vi
mordono proprio quando la vostra mano con favori li accarezza, vi perseguitano
e dilacerano quando li beneficate. I demoni poi, quantunque accanitamente e
implacabilmente ci guerreggino, non si azzuffano però mai fra loro, secondo
l'osservazione con cui Gesù Cristo chiudeva la bocca agli invidiosi Farisei, i
quali per gelosia contro di lui dicevano che egli scacciava i demoni in nome di
Beelzebù, principe dei diavoli. Infatti, diceva loro, non vedete che se Satana
facesse la guerra a Satana, per lui sarebbe finita? Per ciò i demoni saranno
vostri giudici (MATTH. XII, 26-27). Gli invidiosi al contrario si accapigliano,
si lacerano tra di loro... Questo peccato non trova perdono. Il libidinoso può
scusarsi con la forza della concupiscenza, il ladro col bisogno e con la fame;
l'assassino con la collera; ma che scusa potrete trovare per i vostri misfatti,
voi, o invidiosi, se non quella di una somma malvagità? Questo vizio è peggiore
della fornicazione e perfino dell'adulterio, perché il furore del vizio impuro
si arresta nell'azione medesima, ma il furore e le stragi dell’invidia
scompigliano la Chiesa e il mondo intero. Per l’invidia il demonio ha ucciso il
genere umano in Adamo (Hom. XXII, In Gen.). In altro luogo (Homil. LXII, in
Ioann.), il medesimo padre chiama l'invidia, spaventoso flagello che si stende
per tutta la terra e tutta la mette a soqquadro: da lei l'ingiustizia, gli odi,
l'avarizia, le zuffe...
L'invidia ha per corteo e famiglia la maldicenza, la calunnia, le truffe, i
sospetti, le simulazioni, gli odi, le seduzioni, le guerre, gli scismi, le
eresie, le ribellioni politiche e religiose. Perisca dunque l'invidia, madre di
tanti mali e di tante sciagure! «Gli invidiosi, come dice S. Prospero, amano il
male, piangono il bene, godono dell’altrui rovina, si rattristano dell'altrui
fortuna, si consumano nell'odio, sono pieni di ipocrisia; sempre riboccanti di
amarezza e di livore, sempre infidi, sono amici del demonio, avversari di Dio,
nemici della società e di se stessi. Afflitti e tormentati di ciò che dovrebbe
consolarli, lieti e ridenti di quello di cui dovrebbero piangere, si rendono
ridicoli e odiosi a tutto il mondo. Perversi e crudeli con se stessi, tali sono
ancora a danno degli altri» (De vita contempl. lb. III, C. IX).
L' invidia dapprima si nasconde; sono parole monche, frasi equivoche,
maldicenze coperte; poi divengono calunnie, frodi, tradimenti; sono le movenze
del serpente; ma quando è giunta, per mezzo di queste subdole arti, ad ottenere
sopravvento, allora scoppia e scarica contro l'innocente, la cui gloria la
confonde, insulti e beffe, con tutta l'impetuosità dell'odio e del rancore
lungamente repressi; allora si abbandona agli eccessi della crudeltà, tanto più
feroce quanto più ritardata.
Ecco come ne parla S. Cipriano: «Palpabili e molteplici sono le stragi che fa
l'invidia. Essa è la radice di tutti i mali, la sorgente delle contese, la
causa dei processi, l'arsenale dei misfatti, la materia di tutti i disordini;
l'invidia soffoca il timor di Dio, dissipa la scienza di Gesù Cristo, bandisce
dalla memoria la morte, il giudizio, la salvezza, Dio medesimo. Irrita
l'ambizione, l'orgoglio, porta alla collera, alle discordie, alla
prevaricazione, alla perfidia, alla crudeltà al disprezzo di Dio e del suo
servizio; quando trova nel suo cammino l'intoppo dell'autorità non può né
reggersi, né temperarsi. Spezza il legame della pace e della carità, corrompe
la verità, scinde l'unione e spinge all'eresia e allo scisma. Che delitto è mai
questo di vedere di malocchio, d'ingelosire della virtù o della felicità degli
altri, di odiare in essi i loro meriti o naturali o soprannaturali! Che peccato
cambiare in male il bene degli altri, rattristarsi del progresso e della
fortuna del prossimo! Che pazza mania è mai quella di accarezzare e introdurre
in casa nostra un carnefice, un manigoldo che ci schianta le viscere!... Gli
altri mali hanno almeno un termine, l'invidia non ne conosce nessuno; è un male
che dura sempre, è un peccato che non conosce fine (Serm. de Zelo et Livore)».
4. RIMEDI CONTRO L'INVIDIA.
- Rimedi efficaci contro l'invidia sono l'umiltà, la modestia, il disprezzo
della gloria e dei beni temporali, il desiderio degli eterni, la temperanza in
mezzo alle ricchezze, la dolcezza, la mansuetudine, la bontà e la carità...
Bisogna schivare le occasioni, i motivi d'invidia. «Non siate avidi di vana
gloria, scriveva S. Paolo ai Galati, non provocatevi, non portatevi invidia»
(V, 26). Bisogna rallegrarsi del bene degli altri. «Che cosa ci deve importare
il resto? dice S. Paolo, purché Gesù Cristo sia annunziato, da chiunque si
faccia ed in qualunque modo avvenga, io ne giubilo e ne giubilerò sempre»
(Philipp. I, 18). «Gioite con chi è in festa, rattristatevi con chi piange»
(Rom. XII, 15).
Fonte: Centro Diocesano Vocazioni
martedì 7 maggio 2013
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