mercoledì 21 novembre 2012

Raimond Diocrè


Ed ecco un altro fatto sconvolgente, avvenuto alla presenza di migliaia di testimoni ed esaminato in tutti i particolari dai dottissimi Bollandisti.
 
 
 
Era morto a Parigi il professore della Sorbona, Raimond Diocré.
Nella Chiesa di Nòtre Dame si svolgevano i solenni funerali. Oltre a molti semplici fedeli, vi parteciparono numerosi professori e discepoli del defunto.
La salma era collocata nel mezzo della navata centrale, coperta, secondo l'uso di quel tempo, da un semplice velo.
Cominciate le esequie, allorché il sacerdote disse le parole del rito: "Rispondimi: quante iniquità e peccati hai...?", si udì una voce sepolcrale uscire da sotto il velo funebre: "Per giusto giudizio di Dio sono stato accusato!".
Fu tolto subito il drappo mortuario, ma si trovò il defunto immobile e freddo.
La funzione, improvvisamente interrotta, fu subito ripresa fra il turbamento generale.
Poco dopo, il cadavere si alzò davanti a tutti e gridò con voce ancora più forte di prima: "Per giusto giudizio di Dio sono stato giudicato!".
Lo spavento dei presenti giunse al colmo.
Alcuni medici si avvicinarono al defunto, ripiombato nella sua immobilità, e constatarono che era veramente morto.
Non si ebbe però il coraggio, per quel giorno, di continuare il funerale e si rimandò al domani. Intanto, le autorità ecclesiastiche non sapevano che cosa decidere.
Alcuni dicevano: "E' dannato; non è degno delle preghiere della Chiesa!".
Altri osservavano: "Non si può essere sicuri che Diocré sia dannato!
Ha detto di essere stato accusato e giudicato, ma non condannato".
Anche il Vescovo fu di questo parere. II giorno seguente fu ripetuto l'ufficio funebre, ma giunti alla stessa frase prevista dal rito, “Rispondimi...”, il cadavere si alzò nuovamente da sotto il velo funebre e gridò: "Per giusto giudizio di Dio sono stato condannato all'inferno per sempre!".
Davanti a questa terribile testimonianza, cessarono i funerali e si decise di non seppellire il cadavere nel cimitero comune. Il prodigio era evidentissimo e molti si convertirono.
Tra i presenti c'era un certo Bruno, discepolo e ammiratore del Diocré; era già un buon cristiano, ma in quell'occasione prese la ferma decisione di lasciare le attrattive del mondo e di darsi alla penitenza. Altri seguirono il suo esempio.
Bruno fondò l'Ordine eremitico dei Certosini. In seguito morì da Santo. Chi va oggi a Serra San Bruno, in Calabria, può visitare il monastero fatto costruire dal Santo, ove sono sepolti, tra gli altri, non pochi uomini illustri che hanno lasciato tutto per dedicarsi interamente alla preghiera, al lavoro, all'aspra penitenza e al più rigoroso silenzio.
II mondo potrà giudicare pazzi costoro, ma in realtà sono sapienti; seguendo le orme del fondatore, al pensiero dell'inferno, infatti, perseverano nella vita di mortificazione per guadagnarsi il Paradiso.
 

Nato in Germania nel 1030 e vissuto poi tra il suo Paese, la Francia e l'Italia, dove morì nel 1101, Bruno o Brunone, professore di teologia e filosofia, sceglie ben presto la strada della vita eremitica. Trova così sei compagni che la pensano come lui e il vescovo Ugo di Grenoble li aiuta a stabilirsi in una località selvaggia detta «chartusia» (chartreuse in francese). Lì si costruiscono un ambiente per la preghiera comune, e sette baracche dove ciascuno vive pregando e lavorando: una vita da eremiti, con momenti comunitari. Quando Bruno insegnava a Reims, uno dei suoi allievi era il benedettino Oddone di Châtillon. Nel 1090 se lo ritrova papa col nome di Urbano II, che lo sceglie come consigliere. Ottiene da lui riconoscimento e autonomia per il monastero fondato presso Grenoble, poi noto come Grande Chartreuse. In Calabria nella Foresta della Torre (ora in provincia di Vibo Valentia) fonda una nuova comunità. Più tardi, a poca distanza, costruirà un altro monastero per la vita comunitaria. È il luogo accanto al quale sorgeranno poi le prime case dell'attuale Serra San Bruno. (Avvenire)
 

 

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