Per molti, moltissimi,
ormai, inizia la settimana del lungo ponte di Halloween. In realtà sarà la
settimana della festa dei Santi e della commemorazione dei defunti, ma la festa
neo pagana e consumistica del carnevale della morte e l’opportunità di un lungo
week end di vacanza è in cima al pensiero di tutti, ben oltre la tradizione
cattolica del nostro paese. C’è da giurare che il primo di novembre saranno in
pochi a recarsi in chiesa per onorare i Santi, mentre moltissimi staranno a
letto a smaltire la sbronza di una notte passata con streghe e demoni.
Se riusciremo ad
estraniarci da questo mix di sabba neo pagano e consumismo, forse ci sarà
spazio per una timida riflessione su due argomenti che invece dovrebbero essere
sempre in cima ai nostri pensieri: la morte e la vita eterna. Alla prima si
pensa il meno possibile, in un goffo e patetico tentativo di esorcizzarla. Alla
seconda non si crede più: è stata relegata nella soffitta delle pie
consolazioni, di quelle “inventate dagli uomini”, come sostiene la critica
razionalista, per consolarsi del lutto della vita. La morte e la vita eterna
(le due realtà cui la tradizione cattolica del nostro paese dedica i giorni
dell’1 e del 2 novembre) sono un tabù da cui stare alla larga, semplicemente
perché non si hanno più ragioni valide di fronte ad esse.
Se scaviamo a fondo, e
facciamo un po’ di sana autocritica, scopriamo che la nostra situazione non è
poi così diversa da quella del mondo pagano, specie quello della decadenza, ad
esempio quello messo in scena da Petronio nel suo Satyricon. In quel romanzo
(la cui trama procede a ritmo di disordini sessuali, di rapporti etero-omo,
addirittura pedofili, di allusioni e riti osceni, di volgarità, di
dissolutezze, di cattivo gusto, di carpe diem di bassa lega, di mangiate
colossali e colossali vomiti, di discorsi frivoli e superficiali), in quel
romanzo, dicevo, aleggia continuo un senso di disfacimento, di putrefazione, un
freddo e lugubre presagio di morte.
Come nella famosa scena in
cui, durante il banchetto, viene portato a tavola del “Falerno Opimiamo di anni
cento” e Trimalcione, il celebre padrone di casa, commenta: “Ahimè, dunque il
vino ha vita più lunga dell’omuncolo!”, per poi aggiungere, immediatamente, “E
allora facciamo le spugne: Il vino è vita!”. Dove, appunto, la vita è ridotta a
dipendere dal vino, e la menzogna prende il sopravvento immediato su una
sensata riflessione della ragione. La scena successiva ribadisce il concetto:
Trimalcione si fa portare da uno schiavo uno scheletro d’argento, poi lo butta
un paio di volte sulla tavola, ci gioca, gli fa assumere posizioni diverse, poi
canta: “Ahinoi miseri, com’è nulla l’intero omuncolo! Così saremo tutti, dopo
che l’Orco ci avrà rapiti. Dunque viviamo, finchè possiamo ancora spassarcela”.
E’ una scena che in qualche modo ricorda il macabro scherzare con la morte che
ci riproporrà il prossimo Halloween. Si scherza, ma, a scavare, la morte è
l’unica presenza che domina il mondo.
Vorrei contrapporre a
tutto questo, una delle immagini che più mi ha colpito, in assoluto. Ricordo
ancora lo stupore che mi invase nell’entrare nella Sala del Consiglio del
palazzo pubblico di Siena, di fronte all’imponente affresco trecentesco di
Simone Martini, quello della Maestà della Madonna in mezzo ai santi. Ma non era
un’età buia il Medioevo? Andate e guardate quell’affresco: sarete travolti
dalla luce, dallo splendore, dall’oro delle aureole. Nel cuore stesso della
vita cittadina, nel luogo in cui si faceva politica, in cui si decidevano gli
affari più importanti (dalle tasse alle guerre, dalla costruzione di mercati ai
trattati commerciali), c’era questo solenne richiamo alla vita eterna, al
Paradiso. Non le “congreghe di streghe” immaginate da Carducci (che come tanti
altri aveva una visione del tutto parziale e infondata del Medioevo), ma una
famiglia di Santi che ti guardano in faccia, con gli occhi bene aperti, con
dignità e vigore: quell’affresco (andate a vederlo durante il lungo ponte) dal
suo mistico silenzio proclama in modo assordante: la morte è stata vinta, la
morte non è l’ultima parola. Noi abbiamo vinto la morte! Noi, un’umanità nuova,
non la triviale, degenerata e disperata umanità dello stanco mondo pagano.
Adesso noi, uomini d’oggi,
siamo come di fronte ad un bivio: o tornare indietro (e lo stiamo facendo
sempre di più), ricadendo in braccio ad una cultura che non sa come vivere
perché non sa dare un senso alla morte; o progredire appoggiandoci a dei
giganti che ci hanno testimoniato (spesso con sacrificio, spesso con il supremo
sacrificio della vita) un destino di luce, di eterna felicità.
Se riusciremo ad
estraniarci dall’allegro e gaio sabba infernale, non ci sarà di certo difficile
scegliere la strada giusta.
Simone Martini
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