"Un secondo dovere
succede a quello della riconoscenza, ed anche questo subito noi promettiamo di
compiere; ed è la fedeltà al Concilio. Esso ci impegna. Dobbiamo comprenderlo;
dobbiamo seguirlo. E, professando questo proposito di fedeltà a...quanto il
Concilio c’insegna e ci prescrive, sembra a Noi doversi evitare due possibili
errori: primo quello di supporre che il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo
rappresenti una rottura con la tradizione dottrinale e disciplinare che lo
precede, quasi ch’esso sia tale novità da doversi paragonare ad una
sconvolgente scoperta, ad una soggettiva emancipazione, che autorizzi il
distacco, quasi una pseudo-liberazione, da quanto fino a ieri la Chiesa ha con
autorità insegnato e professato, e perciò consenta di proporre al dogma
cattolico nuove e arbitrarie interpretazioni, spesso mutuate fuori
dell’ortodossia irrinunciabile, e di offrire al costume cattolico nuove ed
intemperanti espressioni, spesso mutuate dallo spirito del mondo; ciò non
sarebbe conforme alla definizione storica e allo spirito autentico del
Concilio, quale lo presagì Papa Giovanni XXIII. Il Concilio tanto vale quanto
continua la vita della Chiesa; esso non la interrompe, non la deforma, non la
inventa; ma la conferma, la sviluppa, la perfeziona, la «aggiorna».
E altro errore, contrario alla fedeltà che dobbiamo al Concilio, sarebbe quello di disconoscere l’immensa ricchezza di insegnamenti e la provvidenziale fecondità rinnovatrice che dal Concilio stesso ci viene. Volentieri dobbiamo attribuire ad esso virtù di principio, piuttosto che compito di conclusione; perché, se è vero ch’esso storicamente e materialmente si pone come epilogo complementare e logico del Concilio Ecumenico Vaticano Primo, in realtà esso rappresenta altresì un atto nuovo e originale di coscienza e di vita della Chiesa di Dio; atto che apre alla Chiesa stessa, per il suo interno sviluppo, per i rapporti con i Fratelli tuttora da noi disgiunti, per le relazioni con i seguaci d’altre religioni, col mondo moderno quel è, - magnifico e complesso, formidabile e tormentato -, nuovi e meravigliosi sentieri.
Ed è questa avvertenza della Chiesa viva che ci richiama in questa circostanza, ad un altro dovere verso il Concilio, quello della nostra interiore e personale riforma mediante la quale la professione della religione cristiana, a cui tutto il Concilio si riferisce, diventa per ogni singolo fedele una sincera ragione di vita, diventa un ritorno al Vangelo, diventa un incontro con Cristo, diventa un combattimento per la santità"
Paolo VI, dall'omelia nel primo anniversario della chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 8 dicembre 1966.
E altro errore, contrario alla fedeltà che dobbiamo al Concilio, sarebbe quello di disconoscere l’immensa ricchezza di insegnamenti e la provvidenziale fecondità rinnovatrice che dal Concilio stesso ci viene. Volentieri dobbiamo attribuire ad esso virtù di principio, piuttosto che compito di conclusione; perché, se è vero ch’esso storicamente e materialmente si pone come epilogo complementare e logico del Concilio Ecumenico Vaticano Primo, in realtà esso rappresenta altresì un atto nuovo e originale di coscienza e di vita della Chiesa di Dio; atto che apre alla Chiesa stessa, per il suo interno sviluppo, per i rapporti con i Fratelli tuttora da noi disgiunti, per le relazioni con i seguaci d’altre religioni, col mondo moderno quel è, - magnifico e complesso, formidabile e tormentato -, nuovi e meravigliosi sentieri.
Ed è questa avvertenza della Chiesa viva che ci richiama in questa circostanza, ad un altro dovere verso il Concilio, quello della nostra interiore e personale riforma mediante la quale la professione della religione cristiana, a cui tutto il Concilio si riferisce, diventa per ogni singolo fedele una sincera ragione di vita, diventa un ritorno al Vangelo, diventa un incontro con Cristo, diventa un combattimento per la santità"
Paolo VI, dall'omelia nel primo anniversario della chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 8 dicembre 1966.
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