venerdì 30 novembre 2012

Sant'Andrea, 30 Novembre 2012

 
Pridie Kalendas Decembris. Luna quintodecima. Apud Patras in Achaia, natalis sancti Andreae Apostoli, qui in Thracia et Scythia sacrum Christi Euangelium praedicauit. Is, ab Aegea proconsule comprehensus, primum in carcere clausus est, deinde grauissime caesus, ad ultimum suspensus in cruce, in ea populum docens biduo superuixit; et, rogato Domino ne eum sineret de cruce deponi, circumdatus est magno splendore de caelo, et, abscedente postmodum lumine, emisit spiritum.

I Santi e l’Euro - Bratislava e Bruxelles divise sulla moneta dedicata a Cirillo e Metodio

C’è un equivoco di fondo nella vicenda che vede su due fronti opposti la Commissione europea e la Banca centrale slovacca a proposito della moneta commemorativa per il giubileo dei 1.150 anni della predicazione di Cirillo e Metodio, bizantini, evangelizzatori dei popoli slavi, figure chiave della storia e del cristianesimo del vecchio continente, proclamati co-patroni d’Europa da papa Giovanni Paolo II nel 1980.

Tale moneta avrebbe dovuto raffigurare, nella proposta iniziale proveniente da Bratislava, i due santi con croce e aureola. Da Bruxelles è invece giunta una obiezione: trattandosi di monete che circoleranno in tutta Europa, devono rispettare un non meno precisato principio di “neutralità religiosa”. Il bozzetto originario (la moneta sarà emessa nel 2013) è stato rimandato al mittente e quindi leggermente modificato: nella nuova proposta appaiono sul pezzo da 2 euro i due santi, senza aureola, che reggono la doppia croce, o “croce patriarcale”, che è il simbolo della stessa Slovacchia, richiamandone con tutta evidenza la diffusa fede cristiana.

Il 22 novembre s’era quindi levata la voce di dissenso della Chiesa slovacca. “La rimozione dei simboli essenziali dei santi Cirillo e Metodio dalla moneta commemorativa - aveva affermato Jozef Kovácik, direttore della sala stampa della Conferenza episcopale - è indice di una svolta culturale e di una mancanza di rispetto nei confronti della storia”. Nelle ultime ore è poi circolato l’impegno della Banca centrale slovacca di riproporre il primo bozzetto. E ora si attende una decisione definitiva da parte delle autorità europee.
Fin qui i fatti. L’equivoco in questa vicenda riguarda il fatto che si possa ritenere una parte importante della storia religiosa, sociale e culturale di un’intera regione europea (Cirillo e Metodio sono considerati parte integrante dell’identità slava e come tali venerati non solo in Slovacchia, ma anche in Repubblica ceca, Ungheria, Croazia, Slovenia e in altri Paesi) come un elemento secondario della storia comune.

Se, alla fine di questa strana vicenda, la moneta celebrativa dovesse rappresentare i due evangelizzatori con la doppia croce, non verrebbe meno il riferimento al consolidato patrimonio identitario della Slovacchia, che proprio nella croce patriarcale ha il suo simbolo di riferimento, tanto da apparire nella bandiera nazionale. Eppure si dovrebbe ammettere che una valutazione assolutamente parziale può prevalere rispetto all’identità di un Paese membro. E qui si dovrebbe riconoscere il mancato rispetto del motto dell’Europa, “unità nella diversità”.

L’Unione europea, infatti, ha stabilito nei trattati che un suo principio di fondo è la valorizzazione e promozione delle tante “diversità” che coesistono nel continente (siano esse storiche, sociali, culturali, economiche, linguistiche, religiose…), non certo la loro mortificazione o, peggio, il loro annullamento in una improponibile omogeneità.

È peraltro vero che su banconote e monete in euro, circolanti in tutta l’Eurozona, occorre proporre immagini che siano rispettose delle differenti sensibilità che attraversano l’Ue da ovest a est, da sud a nord. Tale criterio era stato definito per evitare scelte paradossali: ad esempio il conio di un euro con il volto di Hitler, una banconota con impressi falce e martello, o il ricordo di una feroce battaglia con migliaia di morti, oppure un quadro di un artista equivoco o irrispettoso… Ma, al di là dei paradossi, è sempre necessario considerare che un simbolo nazionale, derivante dalla storia di un popolo o di una regione, si intreccia con altre storie, altri episodi del passato. Per esemplificare: la vittoria di una battaglia militare può essere per uno Stato un momento fondante della propria indipendenza, per la nazione sconfitta quella stessa battaglia può evidenziare un ferita ancora aperta. Si tratta dunque - questo sì - di ricercare simboli che non abbiano valenze negative per altri popoli o Paesi. A questo punto è lecito domandarsi: la biografia di Cirillo e Metodio cosa può contenere di offensivo per chi non sia slovacco? Evidentemente nulla. Altrimenti sarebbe facile sollevare obiezioni - più o meno capziose - per tutti gli altri elementi raffigurati sulle monete circolanti nella zona dell’euro: dal re Alberto del Belgio all’aquila della sovranità tedesca, dal motto repubblicano francese agli stemmi araldici portoghesi.

È del resto evidente che quando si assumono segni religiosi occorre muoversi con prudenza. Sempre ragionando per paradossi, ci si potrebbe domandare se un domani - nel caso la Turchia dovesse fare ingresso nell’Ue e adottare la moneta unica - accetteremmo una moneta raffigurante una moschea o il Corano. Ma anche il quel caso sarebbe necessario muoversi con il criterio del rispetto delle diversità che compongono l’Europa, di ieri, come quella di oggi e quella di domani.

Resta il fatto che la sbandierata “neutralità” richiesta per le raffigurazioni sull’euro non può essere confusa con “indifferenza”: indifferenza storica, culturale, simbolica. La moneta passa di mano in mano, ed è di per sé un “volto” della costruzione europea: che sia dunque il primo veicolo della “unità nella diversità” su cui si fonda l’Unione europea.


Gianni Borsa - Sir Europa (Bruxelles)
Giovedì 29 Novembre 2012

 




giovedì 29 novembre 2012

E il giornalista laico scoprì Madre Teresa

Sono le prime luci dell’alba e vedo i "cadaveri" alzarsi dai loro giacigli di pietra, sbarazzarsi dello straccio che portano intorno alle reni e andare alla più vicina fontana, dove si lavano versandosi addosso l’acqua con una ciotola di cotto. Il sole li asciuga all’istante, ed eccoli di nuovo pronti a camminare per questa sterminata  città, per creare quel fiume ininterrotto che per l’intero giorno la terrà mostruosamente viva. Non tutti però si rialzano dai marciapiedi. Sono le 9, il termometro segna 39 gradi all’ombra, e in Kalighat Road c’è ancora un vecchio che dorme contro un lampione. Intorno a lui le pietre sono già roventi; persino i cani, i corvi, gli avvoltoi hanno trovato riparo all’ombra. Il vecchio se ne sta raggomitolato contro il lampione e tiene il magro braccio infilato nei fori di una cesta perché non gliela portino via. Più in là, all’ombra, c’è un giovane disteso sul dorso. Accanto a lui c’è una donna, quasi una bambina, che gli lava di continuo le gote, la fronte, intingendo uno straccio in una bacinella di rame. L’uomo è scosso dai brividi e tiene gli occhi chiusi. La donna-bambina continua a lavargli il volto e l’acqua della bacinella è diventata nera. Sono le 9 di una mattina di aprile e l’aria è rovente. Da un paio d’ore, già, il quartiere del Nirmal Hriday, della «Casa dei puri di cuore», è incredibilmente affollato, e del vecchio che dorme al sole e del giovane malato nessuno si accorge.

C’è troppo trambusto nel quartiere perché qualcuno possa badare a fatti così irrilevanti. Sia benedetta la dea Kalì, che almeno ha portato qui un poco di benessere. Siamo infatti vicini al suo tempio, che è il più grande che le sia stato dedicato in India, e a ragione, perché la dea Kalì, la dea della distruzione, è la patrona di Calcutta. Nera, con 8 braccia, le mani rosse di sangue, il piede sul corpo del marito che ha assassinato, gli occhi iniettati di sangue, una dozzina di corone di fiori gialli e di teste decapitate intorno al collo, mostra irritata la lingua rossa, lunghissima, pendula. A venerarla arriva gente da ogni parte dell’India e ogni giorno, davanti al suo altare, sono sacrificati non meno di 40 capretti. Fra i mille odori di Calcutta, qui nel quartiere della «Casa dei puri di cuore» grava nell’aria, tenace, quello del sangue. A quest’ora, infatti, gli aiutanti del sacerdote hanno già fatto scendere per una ventina di volte la loro pesante scimitarra sul collo dei capretti e c’è sangue un po’ dappertutto nel cortile del tempio.

Ma la maggior parte del sangue finisce in un condotto, entra nel tempio, scorre sulla lingua pendula della dea Kalì e riesce dal tempio mescolato ad acqua, latte, riso e fiori. La folla, contendendola ai cani, si porta questa poltiglia alla bocca, con la mano destra, e canta, prega in un delirio mistico, mentre i mendicanti si dividono le carni dei capretti sacrificati. C’è davvero troppa animazione, fuori e dentro il tempio, perché ci si possa accorgere di un vecchio che non vuole svegliarsi e di un giovane che trema per la febbre. Ma all’improvviso, in Kalighat Road, si fanno largo tra la folla alcune giovani donne che indossano un semplice sari bianco orlato di azzurro. Non sono qui per la dea, lo si comprende subito. Non hanno nulla da vendere, nulla da offrire o da chiedere, nulla in comune con il resto della folla. Hanno occhi diversi, non stravolti, non eccitati. Una di esse si china sul giovane malato e gli tocca il polso, mentre un’altra interroga la donna-bambina che gli sta accanto. Poco dopo un carro si accosta al marciapiede e il giovane vi è coricato sopra. Quindi le donne in sari si avvicinano al vecchio, si chinano su di lui. Ma il vecchio non vuole rispondere, non vuole abbandonare la sua cesta. È testardo, cocciuto, come soltanto può esserlo un vecchio indiano. E allora una delle donne prende dal carro un sacco e glielo stende sopra e allontana i cani che hanno avvertito la morte. Poi se ne vanno: ci sono tanti marciapiedi a Calcutta. C’è sempre qualcuno, al mattino, che non riesce più ad alzarsi dalle pietre. Spetta alle donne in sari il compito di raccoglierli. Osservate meglio, sopra il cuore hanno un piccolo crocifisso in ottone, sono le missionarie della carità. Li portano nella vecchia foresteria del tempio della dea Kalì, e soltanto un muro divide la folla che si eccita all’odore del sangue dai "quasi morti" che stipano i due cameroni del lazzaretto.

Il budello che immette nel primo camerone, quello degli uomini, è ostruito dal corpo di un vecchio. È l’ultimo arrivato, dentro non c’è più posto. Gli hanno messo accanto due ciotole: l’una per l’acqua, l’altra per il riso. Il sole, da fuori, gli lambisce i piedi. Mentre lo scavalco i suoi occhi mi seguono e alza la mano in un debole gesto di difesa. Poi, sono nel camerone, di fronte ai "quasi morti".

Stanno sulle loro barelle, sdraiati o seduti, e mi guardano, e si avverte soltanto il rumore delle pale dei ventilatori. Ci sono vecchi scheletriti, che non sanno tenere ritto il capo; uomini colpiti dalla lebbra; ragazzi ai quali non resta, di vivo, che gli occhi. I vecchi sono candele che si spengono con un nonnulla.
Li hanno tolti dalle strade soltanto perché qui il trapasso sia meno crudele. Ma non resistono che tre giorni.
Tre giorni di cibo, di cure, non compensano gli anni della fame.
Vengono qui a morire, lo sanno anche loro. E sono felici, perché hanno un lenzuolo pulito, il primo della loro vita, una ciotola di riso, e il sorriso di Madre Teresa. Ed ecco entrare suor Teresa. Com’è piccola e magra. E com’è liso il suo sari bianco orlato di azzurro. Se non portasse il piccolo crocifisso sopra il cuore, potrebbe essere scambiata per la più povera delle donne di Calcutta. Ha il viso scavato, a punta, gli occhi grandi e grigi, pieghe amare già le solcano la bocca. E ci stupisce che, a un tratto, possa avere un sorriso, un sorriso che le illumina il volto e lo fa quasi bello.
Nel camerone si sente ora un brusio. Sono i malati che ripetono il suo nome. Suor Teresa sorride e si china su un ragazzo, gli chiede qualcosa. Il ragazzo alza una mano fasciata e ha una smorfia di dolore mentre la donna gli toglie le bende. Alla mano mancano due dita. Mentre suor Teresa rifà la medicazione, mi sento toccare.
Mi sposto per lasciar passare due uomini che reggono una barella. Sopra c’è un uomo nascosto da un lenzuolo. Suor Teresa gli scopre il viso: è il vecchio che pochi istanti prima mi stava osservando con il volto appoggiato alla mano. Se ne è andato senza un grido, un gemito. Ora lo portano nel cortiletto, dove c’è appesa ad asciugare la biancheria del lazzaretto. Lo posano su di un ripiano, accanto a due altri vecchi che sono morti nella mattinata. Li bruceranno stasera, sulla riva del più vicino braccio del Gange. Madre Teresa ha finito il suo giro.

Le donne, dal loro camerone, la salutano congiungendo le mani sul petto. Sono scarmigliate, magre, con gli occhi della pazzia. Una grida parole incomprensibili, un’altra ride. Fanno più pena degli uomini. Usciamo al sole, è quasi mezzogiorno.

Da Kalighat Road hanno tolto il corpo del vecchio e la sua cesta. Accompagno suor Teresa, in taxi, al piccolo ambulatorio di Ekbalpore Road. Le visite sono finite; nella stanzetta, dove regna un acre odore di acido fenico, sono rimasti soltanto un’infermiera indiana e un giovane sacerdote. N
el vederlo, suor Teresa ha un grido di gioia. «Mi ha portato il progetto?». Il giovane fa cenno di sì con il capo e srotola un foglio da disegno sul quale è tracciata la pianta di un edificio. Suor Teresa lo osserva a lungo, si fa spiegare ogni dettaglio, mentre continua a dire: «It’s very nice», «È bellissimo». Ma infine, con una dolcezza che rivela il suo carattere conciliante ma anche autoritario, prende a dare suggerimenti, a spostare porte e finestre, ad allargare o a rimpicciolire gli ambienti, a disporre in altro senso i servizi. Alla fine, il progetto è un altro, ma il sacerdote-architetto è convinto per primo che sia notevolmente migliorato. «Vede – mi dice mostrandomi il disegno – io non avevo pensato ai venti. Lei sì. Ed è giusto spostare su questo lato la veranda. I malati saranno più al riparo». Sul foglio da disegno c’è la pianta del nuovo lebbrosario che sorgerà in Chingree Hata: ospiterà 600 malati e sarà uno dei più grandi dell’India. Lo costruirà Madre Teresa, questa piccola donna che ha giurato di sconfiggere l’inferno di Calcutta. Questa fragile donna che ogni mattina guida le sorelle dai sari bianchi orlati di azzurro a raccogliere i morenti nelle strade, che ha aperto scuole, istituti commerciali, ambulatori.
Il suo nome è Agnese Gonxha Bojaxhiu. È nata 47 anni fa a Skopje, in Macedonia. È a Calcutta da trent’anni, da dieci è impegnata in questa opera di pietà con altre sessanta missionarie indiane. Ma i 200 dollari che il dottor Roy, il primo ministro del Bengala Occidentale, le passa ogni mese, non servono che a cominciare. Al resto pensa la provvidenza, e lei, che è un mare di coraggio, non fa certo mancare le iniziative. Lei, così fragile, con questo visetto da contadina siciliana, preso tutto da due occhi grandi e tristi. Due occhi che possono però anche sorridere. Due occhi che sanno anche comandare.

Quando le manifesto la mia ammirazione per ciò che ha fatto, ha un gesto che è quasi di fastidio. «Proprio lei deve dirmi questo? Proprio lei che è di Torino e sa cos’è il Cottolengo?». Nel tardo pomeriggio, dopo aver visitato alcune scuole, torniamo nel quartiere della «Casa dei puri di cuore». Siamo di nuovo nel camerone del lazzaretto. In un angolo, sotto il piccolo lume della Vergine, una ragazzina indiana stira della biancheria. C’è un’afa tremenda e i malati non riescono più a star seduti sul letto, come al mattino. Le vetrate colorate sono quasi spente. L’ultima debole luce batte sul cranio nero e levigato di un vecchio. Nessuno si muove, nessuno parla, ma tutti gli occhi sono puntati su di noi. Nel budello di uscita, incespico nel vecchio che non ha ancora trovato posto nel camerone e che fa anticamera per entrare nell’anticamera della morte.

Angelo Del Boca

Fonte: Avvenire.it

19 novembre 2012



 



 

mercoledì 28 novembre 2012

La Croce del Perdono


 
Durante moltissime estasi, Maria Giulia JAHENNY, la pia stigmatizzata di la Fraudais, fu infiammata d'amore alla Croce, e Nostro Signore le rivelò che avrebbe concesso molte grazie a coloro che veneravano la Sua Santa Croce, e li avrebbe particolarmente protetti durante i castighi. Queste anime privilegiate erano chiamate da Nostro Signore -La famiglia della Croce il cui destino è di essere protetta.


Parole di Nostro Signore il 20 luglio 1882 :

«lo desidero che i miei servi e le mie serve e perfino i bambini possano rivestirsi di una Croce. Questa Croce sarà piccola e porterà al centro come una fiammella bianca. Questa fiamma indicherà che essi sono i figli e le figlie della luce».

Estasi del 15 novembre 1921

«Miei cari piccoli amici, Io voglio darvi un'idea di quanto soffro, pensando a tante anime che vengono private dell'eterna beatitudine. Miei cari piccoli amici, i giorni scorsi sono stati ben terribili, ma quelli che verranno lo saranno ancora di più, poichè il male aumenta con grande intensità, e diventerà tale da oltrepassare ogni misura. Miei cari piccoli amici, voi porterete la Mia Croce adorabile che vi preserverà da tutti i mali ; essa sarà grande o piccola e più tardi Io le benedirò.


- Esse porteranno il nome di «Croce del perdono», in primo luogo.

- In secondo luogo, esse porteranno il nome di «Croce della salvezza».

- In Terzo luogo, esse porteranno il nome di «Croce della santa protezione».

- In quarto luogo, esse porteranno il nome di «Croce calma flagelli».

- In quinto luogo, esse porteranno la preghiera «O Dio, Salvatore Crocifïsso, infiammami d'amore, di fede e di coraggio per la salvezza dei miei fratelli».

«Miei cari figli, tutte le anime sofferenti e crivellate di flagelli, tutti coloro che baceranno questa Croce avranno il Mio perdono, tutti coloro che la toccheranno avranno il Mio perdono. L'espiazione sarà lunga, ma un giorno arriverá in Cielo, il Cielo sarà aperto... Io vi avverto in anticipo, Miei cari piccoli amici, affinchè voi non siate sorpresi, affinchè avrete tutto il tempo di avvertire i vostri cari e le vostre famiglie».

Estasi del 17 gennaio 1922

Nostro Signore ha rivelato questa preghiera da recitare spesso, e specialmente nei momenti del «grande diluvio di mali e di terrori» :

«Ti saluto, Ti adoro e Ti abbraccio, o Croce adorabile del mio Salvatore. Proteggici, custodiscici, salvaci. Gesù Ti ha tanto amata, e, seguendo il Suo esempio, anch'io Ti amo. Con la tua santa immagine calma i nostri terrori. Che io non perda la pace e la fiducia !»

Nostro Signore aggiunge che, recitando questa preghiera, «Voi riceverete tante grazie, tanta forza ed amore, in modo che questo grande diluvio passerà come se non fosse nemmeno avvenuto. Questa è una grazia della mia tenerezza».



 

martedì 27 novembre 2012

"Pronti a difendere il gregge cristiano fino a versare il proprio sangue” - Papa Benedetto XVI

Benedetto XVI riceve in udienza i nuovi cardinali, ricordando loro il significato della berretta rossa


Ieri mattina,  in Aula Paolo VI, papa Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza i sei nuovi cardinali creati sabato 24 novembre, accompagnati dai familiari e dai fedeli delle loro diocesi convenuti a Roma per il Concistoro. Riportiamo di seguito il discorso tenuto dal Santo Padre per l’occasione.
***
[in italiano]


Signori Cardinali,
Cari Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
Cari amici!

Con animo grato al Signore, vogliamo oggi prolungare i sentimenti e le emozioni, che abbiamo vissuto ieri e l’altro ieri, in occasione della creazione di 6 nuovi Cardinali. Sono stati momenti di intensa preghiera e di profonda comunione, vissuti nella consapevolezza di un evento che riguarda la Chiesa universale, chiamata ad essere segno di speranza per tutti i popoli. Sono pertanto lieto di accogliervi anche quest’oggi, in quest’incontro semplice e familiare e di rivolgere il mio cordiale saluto ai neo-Porporati, come pure ai loro parenti, amici e a quanti li accompagnano in questa circostanza così solenne e importante.

[in inglese]

Rivolgo un cordiale saluto ai Presuli di lingua inglese che ho avuto la gioia di elevare alla dignità di Cardinali, durante il Concistoro di sabato scorso: il Cardinale James Michael Harvey, Arciprete della Basilica di San Paolo fuori le Mura; il Cardinale Baselios Cleemis Thottunkal, Arcivescovo Siro-Malankrese Maggiore di Trivandrum (India); il Cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja (Nigeria); e il Cardinale Luis Antonio Tagle, Arcivescovo di Manila

(Filippine).

Do il benvenuto anche ai loro familiari ed amici, e a tutti i fedeli che li accompagnano oggi.
Il Collegio Cardinalizio, le cui origini risalgono all’antico clero della Chiesa di Roma, è incaricato dell’elezione del Successore di Pietro e lo consiglia su temi della massima importanza. Sia negli uffici della Curia Romana sia nel loro ministero nelle Chiese locali sparse per il mondo, i Cardinali sono chiamati a condividere in maniera speciale la sollecitudine del Papa per la Chiesa universale.
Il colore acceso delle loro berrette è stato tradizionalmente visto come un simbolo del loro impegno a difendere il gregge di Cristo fino a versare il proprio sangue. Nel momento in cui i nuovi Cardinali assumono l’onere del loro ufficio, confido che saranno supportati dalle vostre preghiere e dal vostro appoggio e che si batteranno al fianco del Romano Pontefice per promuovere la santità, la comunione e la pace della Chiesa in tutto il mondo.
[in francese]

Saluto cordialmente i pellegrini francofoni, in particolare libanesi, nel gioioso ricordo della mia recente Visita apostolica nel loro paese, motivata dalla firma dell’Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente. Attribuendo il cardinalato al patriarca Boutros Rai, desidero incoraggiare in modo particolare la vita e la presenza dei cristiani in Medio Oriente dove si deve poter vivere liberamente la propria fede, e lanciare ancora una volta un pressante appello alla pace nella Regione. La Chiesa incoraggia ogni sforzo in vista della pace nel mondo e in Medio Oriente; una pace che non sarà effettiva se non si baserà su un autentico rispetto reciproco. Possa il tempo d’Avvento, ormai alle porte, farci riscoprire la grandezza di Cristo, vero uomo e vero Dio, venuto nel mondo per salvare tutti gli uomini e portare la pace e la riconciliazione! Buon pellegrinaggio a tutti!

[in spagnolo]

Saluto con vivo affetto il cardinale Rubén Salazar Gomez, arcivescovo metropolitano di Bogotà e presidente della Conferenza Episcopale della Colombia, e i suoi familiari, vescovi, sacerdoti, religiosi e laici che lo accompagnano e partecipano della sua gioia intima e spirituale per essere stato incorporato al Collegio Cardinalizio. Invito tutti a elevare ferventi preghiere per il nuovo porporato, perché sia sempre più unito al Successore di Pietro e collabori infaticabilmente con la Sede Apostolica. Inoltre chiediamo a Dio che lo assista con i suoi doni, perché continui ad essere testimone della verità del Vangelo della salvezza, esponendo con rettitudine e fedeltà il proprio contenuto e portando a tutti la forza redentrice di Cristo. Che Maria Santissima, che in quelle nobili terre viene invocata sotto il dolce Nome di Nostra Signora del Rosario di Chiquinquirá, lo sostenga sempre con il suo amore di Madre, così come tutti i cari figli e figlie di Colombia, che custodisco nel cuore e nella preghiera, perché avanzino nella pace e nella concordia lungo i cammini della giustizia, della riconciliazione e della solidarietà.

[in italiano]

Cari e venerati Fratelli che siete entrati a far parte del Collegio cardinalizio! Il vostro ministero si arricchisce di un nuovo impegno nel sostenere il Successore di Pietro, nel suo universale servizio alla Chiesa. Pertanto, mentre rinnovo a ciascuno di voi il mio augurio più cordiale, confido nel sostegno della vostra preghiera e nel vostro prezioso aiuto. Proseguite fiduciosi e forti nella vostra missione spirituale e apostolica, mantenendo fisso lo sguardo su Cristo e rafforzando il vostro amore per la sua Chiesa. Questo amore lo possiamo imparare anche dai Santi, che sono la realizzazione più compiuta della Chiesa: essi l’hanno amata e, lasciandosi plasmare da Cristo, hanno speso totalmente la loro vita perché tutti gli uomini siano illuminati dalla luce di Cristo che splende sul volto della Chiesa (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1). Invoco su di voi e sui presenti la materna protezione della Vergine Maria, Madre della Chiesa, e di cuore imparto a voi e a tutti i presenti una speciale Benedizione Apostolica.

 

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 26 novembre 2012 (ZENIT.org)


lunedì 26 novembre 2012

Dall'opera "Conversazioni religiose" - Napoleone Bonaparte

“Tutto di Gesù mi sorprende.
Il suo spirito mi supera e la sua volontà mi confonde.
Tra lui e qualsiasi altra persona al mondo non c’è possibilità di paragone.
E’ veramente un essere a parte.
Le sue idee, i suoi sentimenti, la verità che egli annuncia, la sua maniera di convincere, non si riescono a spiegare nè con le istituzioni umane nè con la natura delle cose.
La sua nascita e la storia della sua vita, la profondità della sua dottrina che raggiunge davvero la vetta delle difficoltà e ne è la soluzione più ammirevole, il suo Vangelo, il suo cammino attraverso i secoli, tutto rappresenta per me un prodigio.
E’ un mistero insondabile.
Qui non vedo niente di umano, più guardo da vicino e più mi accorgo che tutto è al di sopra di me, tutto appare più grande. Tra il cristianesimo e qualsiasi altra religione c’è la distanza dell’infinito.
Io di uomini me ne intendo e Gesù Cristo non era solamente un uomo. In Licurgo, in Numa, in Maometto, non vedo che dei legislatori i quali, poiché occupavano il primo posto nello Stato, hanno cercato la migliore soluzione al problema sociale.
Non ci trovo nulla che nasconda la divinità ed essi stessi, del resto, non hanno mai alzato le loro pretese così in alto.
Cerco invano nella storia qualcuno simile a Gesù Cristo o qualcuno che comunque si avvicini al Vangelo.
Anche gli empi non hanno mai osato negare la sublimità del Vangelo che ispira loro una specie di venerazione obbligata! Che gioia procura questo libro!
Dal primo giorno fino all’ultimo, egli è lo stesso, sempre lo stesso, maestoso e semplice, infinitamente severo e infinitamente dolce.
Che parli o che agisca, Gesù è luminoso, immutabile, impassibile. Gesù si è impadronito del genere umano.
Mentre tutto ciò che egli ha fatto è divino, negli altri, Zoroastro, Numa, Maometto, non c'è nulla, al contrario, che non sia umano.
L'azione di questi mortali si limita alla loro vita. Cristo si tratta forse di una invenzione dell'uomo? No, al contrario è una realtà inspiegabile. Gesù è il solo che abbia osato tanto.
E’ il solo che abbia detto chiaramente e affermato senza esitazione egli stesso di sé: io sono Dio. Voi parlate di Cesare e di Alessandro, delle loro conquiste e dell’entusiasmo che seppero suscitare nel cuore dei soldati, ma quanti anni è durato l’impero di Cesare? Per quanto tempo si è mantenuto l’entusiasmo dei soldati di Alessandro?
Invece per Cristo è stata una guerra, un lungo combattimento durato trecento anni, cominciato dagli apostoli e proseguito dai loro successori e dall’onda delle generazioni cristiane. E che dura tutt'ora.
Dopo san Pietro i trentadue vescovi di Roma che gli sono succeduti sulla cattedra hanno, come lui, subito il martirio. Durante i tre secoli successivi, la cattedra romana fu un patibolo che procurava sicuramente la morte a chi vi veniva chiamato.
In questa guerra tutti i re e tutte le forze della terra si trovano da una parte, mentre dall’altra non vedo nessun esercito, ma una misteriosa energia, alcuni uomini sparpagliati qua e là nelle varie parti del globo e che non avevano altro segno di fratellanza che una fede comune nel mistero della Croce. Potete concepire un morto che fa delle conquiste con un esercito fedele e del tutto devoto alla sua memoria? Potete concepire un fantasma che ha soldati senza paga, senza speranza per questo mondo e che ispira loro la perseveranza e la sopportazione di ogni genere di privazione?
Questa è la storia dell’invasione e della conquista del mondo da parte del cristianesimo. I popoli passano, i troni crollano e la Chiesa rimane!
Quale è, dunque, la forza che mantiene in piedi questa Chiesa, assalita dall’oceano furioso della diffidenza, del pregiudizio, della collera e dell’odio del mondo?
Qual è il braccio, dopo diciotto secoli, che l’ha difesa dalle tante tempeste che hanno minacciato di inghiottirla?”.


Napoleone Bonaparte, dall'opera "Conversazioni religiose
 
 

Tra le memorie storiche della vita di Napoleone Bonaparte viene riportato anche questo breve episodio molto istruttivo per comprendere la verità delle parole di Gesù sulla incrollabilità della «Pietra» di fonda­zione su cui è costruita la Chiesa.

Sul finire della sua vita, Napoleone, esiliato dagli inglesi nell'isola di Sant'Ele­na, in mezzo all'oceano Atlantico, un giorno chiese all'amico, il conte Giuseppe de Ritrel, venuto a visitarlo:

- C'eri tu a Fontaineblau, quando il Papa Pio VII mi predisse la fine?

- Sì, c'ero, e ricordo bene le parole che il Papa ti disse in quell'occasione, ossia: «Il Dio d'altri tempi vive ancora. Egli ha sem­pre stritolato i persecutori della Chiesa: lo stesso farà con vostra Maestà, se continue­rete a opprimere la Chiesa».

- Sì, adesso ricordo anch'io. Egli mi disse proprio così... - confermò Napoleone. E aggiunse: «Ah, perché non posso ora gri­dare, da qui, a quelli che hanno qualche potere sulla terra: `Rispettate il rappresen­tante di Gesù Cristo! Non toccate il Papa, altrimenti sarete annientati dalla mano ven­dicatrice di Dio. Anzi, proteggete la Catte­dra di Pietro!».

 

domenica 25 novembre 2012

Solennità di Cristo Re dell’Universo - 25 Novembre

Questa festa fu introdotta da papa Pio XI, con l’enciclica “Quas primas” dell’11 dicembre 1925, a coronamento del Giubileo che si celebrava in quell’anno.

Non appena elevato al soglio pontificio, nel 1922, Pio XI condannò in primo luogo esplicitamente il liberalismo “cattolico” nella sua enciclica “Ubi arcano Dei”.
Egli comprese, però, che una disapprovazione in un’enciclica non sarebbe valsa a molto, visto che il popolo cristiano non leggeva i messaggi papali.
Papa Pio XI  pensò allora che il miglior modo di istruirlo fosse quello di utilizzare la liturgia. Di qui l’origine della “Quas primas”, nella quale egli dimostrava che la regalità di Cristo implicava (ed implica) necessariamente il dovere per i cattolici di fare quanto in loro potere per tendere verso l’ideale dello Stato cattolico: “Accelerare e affrettare questo ritorno [alla regalità sociale di Cristo] coll’azione e coll’opera loro, sarebbe dovere dei cattolici”. Dichiarava, quindi, di istituire la festa di Cristo Re, spiegando la sua intenzione di opporre così “un rimedio efficacissimo a quella peste, che pervade l'umana società. La peste della età nostra è il così detto laicismo, coi suoi errori e i suoi empi incentivi”.
Tale festività coincide con l’ultima domenica dell’anno liturgico, con ciò indicandosi che Cristo Redentore è Signore della storia e del tempo, a cui tutti gli uomini e le altre creature sono soggetti. Egli è l’Alfa e l’Omega, come canta l’Apocalisse (Ap 21, 6). Gesù stesso, dinanzi a Pilato, ha affermato categoricamente la sua regalità. Alla domanda di Pilato: “Allora tu sei re?”, il Divino Redentore rispose: “Tu lo dici, io sono re” (Gv 18, 37).
E' Cristo soltanto la“fonte della salute privata e pubblica”, diceva Pio XI. “Né in alcun altro vi salvezza, né sotto il cielo altro nome è stato dato agli uomini, mediante il quale dobbiamo essere salvati” (At 4, 12).
Lontano da Lui l’uomo ha dinanzi chimere e sistemi ideologici totalizzanti e fuorvianti; non cercando il suo Regno e la sua Giustizia, il genere umano ha di fronte a sé i vari “-ismi” della storia che, diabolicamente, in nome di un falso progresso sociale, economico e culturale, degradano ogni uomo, negandone la dignità.
Ed il XX secolo non ha mancato di fornirne dei tragici esempi con i vari regimi autoritari, comunisti e nazista (che la Chiesa ha condannato vigorosamente), riproponendo, per l’ennesima volta, il duro scontro tra Regno di Cristo e regno di Satana, che durerà sino alla fine dei tempi.
Basti qui far riferimento, a titolo esemplificativo, giusto al solo travagliato periodo del pontificato di papa Ratti per averne una pallida idea.

Con l’enciclica “Mit brennender Sorge”, del 14 marzo 1937 – tra i cui estensori vi era pure il cardinale segretario di Stato e futuro papa Pio XII, Eugenio Pacelli – il Pontefice romano disapprovava il provocante neopaganesimo imperante in Germania (il nazismo), il quale rinnegava la Sapienza Divina e la sua Provvidenza, che “con forza e dolcezza domina da un'estremità all’altra del mondo” (Sap. 8, 1), e tutto dirige a buon fine; deplorava anche certi banditori moderni che perseguono il falso mito della razza e del sangue; biasimava, infine, le liturgie del Terzo Reich tedesco, veri riti paganeggianti, qualificate come “false monete”.
In Messico, “totalmente infeudato dalla massoneria”, dove gli Stati Uniti avevano favorito – in nome dei loro interessi economici – la nascita di uno Stato dichiaratamente anticlericale ed anticristiano, furono promulgate pesanti leggi restrittive della libertà della Chiesa cattolica, stabilendo l’espulsione dei sacerdoti non sposati, la distruzione delle chiese e la soppressione persino della parola “adios”. Il fanatico anticlericale governatore dello Stato messicano di Tabasco, Tomás Garrido Canabal, autore di queste misure repressive, nella sua fattoria, “La Florida”, giunse a chiamare, in segno di dispregio, un toro “Dio”, ad un asino diede nome “Cristo”, una mucca “Vergine di Guadalupe”, un bue ed un maiale “Papa”. Suo figlio lo chiamò “Lenin” e sua figlia “Zoila Libertad”. Un nipote fu chiamato “Luzbel” [Lucifer], un altro figlio “Satan”.
Si costituì allora un esercito di popolo, i “cristeros”, i quali combattevano al grido di “Viva Cristo Re! Viva la Vergine di Guadalupe! Viva il Messico!”.Con le stesse parole sulle labbra versavano il loro sangue in quella terra anche numerose schiere di martiri, mentre i loro carnefici esclamavano, riempiendo ceste di vimini con le teste mozzate dei cattolici, “Viva Satana nostro padre”. Si trattò di un vero “olocausto” passato sotto silenzio ed ignorato. Alcuni dei valorosi martiri cristiani messicani, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, hanno raggiunto la gloria degli altari, come il gesuita Miguel Agustin Pro, fucilato senza processo. Le sue ultime parole furono giusto“Viva Cristo Re!”.
Questa grave situazione di persecuzione religiosa fu riprovata da Pio XI con le encicliche “Nos Es Muy Conocida” del 28 Marzo 1937 ed “Iniquis Afflictisque”del 18 novembre 1926.

Una netta opposizione fu, infine, manifestata nei confronti della Russia sovietica, contro il comunismo ateo, condannato dall'enciclica “Divini Redemptoris” del 19 marzo 1937, e nei riguardi della Spagna repubblicana, dichiaratamente antireligiosa.
Qui, il governo repubblicano socialista di Manuel Azaña Y Díaz proclamò che “da oggi la Spagna non è più cristiana”, mirando a “laicizzare” lo Stato. La nuova costituzione vanificava ogni potere della Chiesa, la religione cattolica era ridotta al rango d’associazione, senza sostegno finanziario da parte statale, senza scuole, esposta agli espropri; con il decreto 24 gennaio 1932 era dichiarata l’estinzione della compagnia di Gesù e se ne confiscavano i beni; era introdotto, nel 1932, il divorzio e il matrimonio civile ed abolito il reato di bestemmia; circa seimila religiosi furono massacrati. Pio XI reagì duramente con l’enciclica “Dilectissima Nobis” del 3 giugno 1933.

Questi esempi dimostrano lo scontro plurisecolare, sin dalla fondazione del Cristianesimo, tra il Regno di Cristo e quello di Satana, e come, anche in epoca contemporanea, la regalità di Cristo sia contestata, rimanendo vittima delle sue passioni, inimicizie ed inquietudini.

 
Re secondo Cristo è chi disarma il proprio cuore,chi smaschera gli inganni,le menzogne e gli idoli del nostro vivere.E' re chi giudica l'arroganza,chi è libero nella verità,chi si prende cura d'altri.E' re chi sa amare,perchè l'amore possiede l'eternità.Venga il tuo Regno,Signore,e sia bello come i sogni,sia intenso come le lacrime di chi visse e morì nella notte per costruirlo.

Ermes Ronchi











 

 

sabato 24 novembre 2012

Percorsi di felicità - don Marco Pedron


Il primo di novembre  la chiesa celebra la festa di Tutti i Santi. Ci sono i Santi che tutti ricordiamo: Padre Pio, Madre Teresa, Papa Giovanni XXIII, Massimiliano Kolbe, Francesco d'Assisi, Antonio da Padova, ecc. Ma c'è anche una schiera sconosciuta di uomini e donne che hanno vissuto in maniera "santa" e che hanno rivestito una grande importanza per ciascuno di noi. Uomini e donne che magari non saranno in nessun calendario liturgico se non nel calendario del nostro cuore.

La festa dei  Santi dice: "Ringrazia i tuoi santi; ringrazia i tuoi angeli. Ringrazia tutte quelle persone che si sono avvicinate nel tuo cammino, che si sono affiancate con amore e ti hanno aiutato, ti hanno sostenuto, ti hanno dato una mano, ti hanno salvato la vita, ti hanno aperto visioni e finestre di vita diverse".

Quando oggi siete tornati a casa, vi prendete un attimo di tempo, foglio e carta, scrivete i numeri da 1 a 31, i giorni di un mese, e per ogni giorno scrivete il nome di una persona importante per voi, una di quelle il cui aiuto, presenza, vicinanza, ci hanno fatto bene o sono state fondamentali, porti di salvezza. Poi ve lo mettete come un calendario vicino al comodino del letto e ogni mattina leggete il vostro santo. Vi sentirete in compagnia e sostenuti.

Santo, kadosh in ebraico, vuol dire "altro". Dio è Santo perché è l'Altro, Colui che non puoi mai prendere, controllare, conoscere. Dio è troppo grande.
E' attribuito a Sant'Agostino questo fatto: Agostino stava passeggiando lungo il mare e rifletteva sul mistero di Dio, mistero immenso e inesauribile. Ad un certo punto incontra un ragazzino che lungo la riva del mare aveva fatto una piccola buca. Poi con una piccola ciottola andava in acqua e metteva l'acqua del mare nella sua piccola buca; questo per molte volte. Il santo gli chiede: "Ma cosa stai facendo, bambino mio?". E il bambino: "Sto mettendo l'acqua del mare tutta dentro la buca!". "Ma non si può - rispose il santo - il mare è troppo grande per questa piccola buca". E il bambino, dice la leggenda, rispose: "E tu come pensi di mettere e di comprendere Dio, che è immenso, nella tua piccola mente?".
Dio è troppo grande, Dio ci sfugge, ci scappa. Quando le persone dicono: "Io, tutto sommato, conosco Dio", dicono una grande falsità ed eresia. Dio è oltre, più in là. Ogni valico che raggiungi ti apre nuove e sempre più vaste strade e orizzonti.
Chi intraprende la strada della conoscenza di Dio, della Vita, del Mistero dell'essere, farà delle scoperte incredibili ma quante volte dovrà cambiare visione e quanto lontano andrà dai suoi iniziali punti di partenza! Questo, perché Lui è Troppo Grande!
Per questo si dice che Dio è un mistero: non lo puoi mai catturare, afferrare o possedere. Dio si può amare, cantare, seguire, pregare, invocare, ma non comprendere. Comprendere, nel senso letterale della parola, vuol dire abbracciare, afferrare, prendere-con la mia mente. Sì, abbiamo bisogno di capire chi è Dio e la mente e la riflessione ci servono, ma Dio non si può comprendere nel senso di possederlo, di saperlo del tutto. Per questo le persone razionali, fredde, mentali, fanno fatica ad accedere al mondo divino: perché Lui è l'incomprensibile, Colui che sfugge sempre.

Nella nostra testa santo uguale a perfetto. Ma la perfezione (per-ficere, fare per un motivo, per uno scopo) non è la santità. La perfezione è il tentativo di uscire dall'umanità. Siamo imperfetti per origine, quindi tentare di essere perfetti è impossibile a priori. Essere perfetti è il tentativo di essere superiori, più in alto degli altri. Ma se fossimo perfetti, che ce ne faremo degli altri? Basteremo a noi stessi!
La perfezione nasce dal bisogno insoddisfatto di quando eravamo piccoli. Quando un bambino non riesce ad essere amato e accolto per quello che è, che fa? Sviluppa quello che coglie può essere accolto e accettato, sviluppa quello che viene premiato. Vede che se fa "il bravo bambino", che se si prende cura dei fratellini papà e mamma sono contenti di lui? Allora lui lo fa e diventa la baby-sitter dei suoi fratelli (il problema è che facendo l'adulto non fa il bambino e si crea un buco dentro di sé, come costruire un palazzo senza il primo piano! E' solo questione di tempo: quel palazzo non può reggere).
Vede che se non piange, che se non canta, che se non urla, che se non da fastidio ai genitori, questi sono contenti di lui? Allora non canta, non urla e non piange più. Si tiene dentro tutto (e sappiamo bene che disastro è questa cosa).
Vede che se va benissimo a scuola i suoi genitori lo apprezzano? Allora cercherà di essere il migliore, il più bravo; si sentirà qualcuno e baserà la stima di sé solo nel risultato scolastico (ma la vita è ben più grande della scuola).
La perfezione è così: faccio una cosa (-ficere) così da avere (per-) qualcos'altro (amore, accoglienza, approvazione, stima, ecc).
I farisei rispettavano tutte le 613 leggi della Legge: erano perfetti. Erano perfetti per ottenere stima e riconoscimento dagli altri: "Ma che bravi! Quelli sì che sono santi! Quelli sono da imitare!". Ma quei "perfetti" uccisero Gesù.
Erano "santi" perché avevano paura di vivere, avevano paura di esporsi, avevano paura di seguire la propria strada, avevano paura di individuarsi cioè di trovare il proprio unico sentiero da percorrere e per questo si conformavano. Erano senza identità, senza personalità: dietro la maschera non c'era niente. Perché più un uomo è senza personalità e più cercherà di conformarsi.
Quand'ero piccolo era stimatissima una coppia che andava a messa tutti i giorni, remissivi, disponibili fino all'esaurimento per tutti. Da tutti venivano stimati ed elogiati. Noi ragazzi li chiamavamo gli "zombi (i morti che vivono)" e nella nostra ingenuità forse avevamo colto nel segno: non erano capaci di dire di "no", erano schiavi dal dover accontentare tutti (eccetto se stessi) e nel non poter deludere nessuno (soprattutto le figure religiose); dovevano pregare per paura (altrimenti Dio non li avrebbe più voluti).

Il santo non è questa figura. Basta vedere il vangelo e guardare di chi si circondava Gesù.
Il santo è uno "altro". Non fa come tutti gli altri perché fare come tutti gli altri vuol dire sprecare la propria esistenza. Il santo è colui che ha la sua strada, che è "altra", cioè diversa da tutte le altre strade. Lui fa la sua strada che è solo sua e di nessun altro.
Quando ti dicono: "Ma sei proprio diverso da tutti gli altri!", e tu ti senti sbagliato perché non fai come tutti gli altri mentre così ti viene richiesto, dovresti rispondere: "Per fortuna!". Per fortuna che sono un pezzo unico, originale, per cui ha senso il mio esserci.
Quando ti dicono: "Ma sei proprio strano, tu!", come a dire: "Stai sbagliando perché non fai come gli altri", dovresti rispondere: "Non strano, diverso!; non come tutti gli altri ma secondo il mio modo".
Io ho un senso per l'universo. Cioè: c'è un senso e una ragione ben precisa per cui esisto in questo tempo e in questo spazio. Non sono qui a caso. Il mio esserci ha uno scopo. Quando faccio come gli altri, quando per paura abdico, rinuncio alla mia strada o copio gli altri per non espormi troppo, allora io rinuncio al motivo per cui ci sono. Faccio come un altro, ma il mio esserci non può essere come nessun altro, altrimenti non ci sarei (c'è già lui!).
L'amore è questo: "Tu non puoi diventare come me! Tu sei "altro" da me, hai una forma, una vita, uno scopo, che non è il mio. Se diventi come me tu rovini la tua vita. Se ti chiedo di diventare come me ti chiedo di sacrificare la tua vita. Ma se ti chiedo di diventare come me, forse, è perché io non sono diventato come me.

L'altra grande caratteristica del santo è la felicità. Quando i preti dicevano a noi ragazzi: "Chi di voi vuole diventare santo?". Tutti noi dicevamo, in silenzio dentro di noi: "Io no, io no! Fa' che non mi guardi, fa' che non mi veda, che non lo chieda a me!". E se il prete non te l'aveva chiesto, si diceva: "Uau!, scampato pericolo!". Ci fa ridere, ma chiediamoci: cosa c'è dietro a questo rifiuto?
Nel nostro immaginario il santo è uno che deve rinunciare ad un sacco di cose. Santo, per noi, vuol dire "no" a questo, "no" a quello, niente divertimenti, niente sesso, niente amore, niente lasciarsi andare, niente slanci, niente emozioni. Se fosse così, speriamo che nessuno diventi santo perché sarebbe patologico! L'idea che abbiamo è che santo voglia dire privazione, sacrificio, rinuncia. Ma non è così. Guardate Gesù!
Santo vuol dire realizzazione di sé. Santo vuol dire: "Vivo per espandermi, per realizzare tutte le mie doti e tutte le mie dimensioni". L'affettività, la spiritualità, il progetto di vita, la comunione, l'ascolto, il dialogo, l'amore, che tutto si espanda al massimo delle mie possibilità.

Santo vuol dire la vita scorre in me, che mi sento vivo e che si sente che sono vivo.
Santo vuol dire che sono felice di ciò che sono, di ciò che faccio, di come sono e di come lo faccio.
Santo vuol dire che ciò che faccio/sono lo faccio perché lo voglio, perché mi sento libero di farlo.
Santo vuol dire che questo è il miglior modo per realizzarmi ed essere me stesso.
Santo vuol dire che ho un fuoco dentro, una motivazione forte, e che per nessuna cosa al mondo lascerei la mia strada per farne un'altra: piuttosto la morte. Meglio una morte da vivi che una vita da morti.
Santo vuol dire che mi sento vivo, fecondo, centrato su di me, vibrante, realizzato.
Santo vuol dire che rido, scherzo, gioco, mi diverto, sorrido, perché se sei felice si vede e traspare.
Nella "Vita della beata Umiliana de' Cerchi", di fra Vito da Cortona, si racconta: "Mentre la santa giaceva nel suo letto, dentro la sua cella nella torre, ecco un bambino di quattro anni o poco più, dal volto bellissimo: giocava nella sua cella davanti a lei. Quando lo vide provò una grande gioia e gli disse: «O amore dolcissimo, o carissimo bambino, non sai fare altro che giocare?». E il bambino rispose: «Che volete che faccia?». E la benedetta Umiliana disse: «Voglio che tu mi dica qualcosa di bello su Dio». E il bambino disse: «Credi che sia bene che uno parli di se stesso». E disparve".

Brano tratto dall' Omelia di don Marco Pedron

I santi dell'immagine, in ordine da sinistra verso destra e dall'alto verso il basso:

Beata Chiara "Luce" Badano:
http://www.chiaraluce.org/ - http://www.chiaralucebadano.it/ - Uno splendido disegno - Io ho tutto: i 18 anni di Chiara Luce

Giulia Gabrieli:
http://www.congiulia.com/ - Biografia - Una sua bellissima testimonianza - Il sorriso senza fine di Giulia

Chiara Corbella:
http://www.chiaracorbella.it/ - Biografia - Testimonianza - Funerale - Ho bisogno di te

Giovanna Rita Di Maria (Kiri):
http://giovannadimaria.altervista.org/ - Giovanna Rita Di María, Kiri: L'angelo che ha visitato la terra

Servo di Dio Carlo Acutis:
http://www.carloacutis.com/ - "L'Eucaristia é la mia autostrada per il Cielo"

Serva di Dio Alexia Gonzáles-Barros:
http://www.alexiagb.org/ - Biografia

Sonia Cutrona: Biografia

Servo di Dio Alberto Michelotti:
http://www.albertoecarlo.it/ - Biografia di Alberto - Insieme possiamo! Documentario su Alberto Michelotti e Carlo Grisolia

Servo di Dio Carlo Grisolia:
http://www.albertoecarlo.it/ - Biografia di Carlo - Insieme possiamo! Documentario su Alberto Michelotti e Carlo Grisolia

Santa Gemma Galgani:
http://www.santagemma.org/ - Diario di Santa Gemma Galgani

Beato Piergiorgio Frassati:
http://www.piergiorgiofrassati.org/ -

Anne de Guigné:
http://www.annedeguigne.fr/ - Biografia -

Servo di Dio Nicola D'Onofrio: La sua vita - La vita del servo di Dio Nicola D'Onofrio

Serva di Dio Santa Scorese:
http://www.santascorese.it/ - Santa Scorese - Chiara Luce Badano, Giulia Gabrieli, Santa Scorese a Sulla via di Damasco

Serva di Dio Sandra Sabattini: Biografia - La vita di Sandra Sabattini
 

 

venerdì 23 novembre 2012

Dedicato ai fedeli defunti

Il mese di novembre è dedicato in modo del tutto speciale ai fedeli defunti, a tutti coloro che ci hanno preceduto nel segno della fede e dormono il sonno della pace e a cui siamo vincolati con il ricordo prezioso della loro memoria.

Il pensiero dei nostri cari che hanno vissuto con noi e hanno già lasciato questo mondo, non solo ci sospinge al passato per ricordare i bei momenti trascorsi con loro, ma propone l’attesa del futuro che deve ancora accadere. I fratelli defunti, infatti, ci parlano di una vita oltre la morte, nella quale sono entrati, e in cui anche noi entreremo una volta varcata la soglia della morte.

I defunti ci sostengono nel presente e nel futuro.

I morti continuano a vivere perché hanno l'anima immortale. Quando siamo venuti in questo mondo, i nostri genitori hanno apportato la materialità del nostro corpo, le cui caratteristiche sono simili alle loro. Ma l’anima l’ha creata direttamente Dio per ciascuno di noi, e l’ha infusa al momento del concepimento. Siamo immortali! Avendo Dio creato direttamente la parte spirituale del nostro essere. Non siamo una massa di cellule; non un pezzo di carne con gli occhi. Siamo persone umane che pensano, amano, decidono, sentono. Noi abbiamo un'anima immortale, non ereditata dai nostri genitori, ma ricevuta direttamente da Dio al momento del nostro concepimento. Di conseguenza, ogni essere umano concepito merita rispetto da parte degli altri, perché oltre al contributo dei rispettivi genitori, Dio ha dato un'anima, creandola nuova per infonderla in quel embrione che comincia a esistere. Ogni essere concepito è una persona umana che possiede un'anima immortale.

La fine della nostra vita terrena è decretata dalla morte che si verifica con la separazione dell'anima dal corpo. Il corpo senza anima è un corpo senza vita fino alla sua decomposizione. Ma l'ultimo giorno nella storia l'umanità risorgerà dai morti per unirsi all'anima e partecipare della sua sorte. L'anima, invece, già al momento della morte compare alla presenza di Dio, e contemplarLo faccia a faccia. E alla presenza di Dio potrà vedere intuitivamente quanto grande sia stato l'amore di Dio e quale sia stata la sua risposta.

L'amore pienamente corrisposto condurrà l'anima alla gloria, al cielo. Questo dovrebbe essere il normale itinerario per tutti. Ma spesso non è così. Il cammino della nostra vita terrena è piena di difficoltà e la nostra debolezza ci ha portato a dimenticare l'amore di Dio allontanandoci da Lui. Abbiamo peccato. Cioè, ci siamo chiusi nei nostri interessi egoistici. Abbiamo offeso Dio, padre buono, che vuole solo il nostro bene. E abbiamo offeso anche il prossimo al quale non abbiamo dato il nostro amore che meritava. La luce di Dio ci mostrerà tutto questo senza ragionamenti, in maniera lucida. E questo contrasto tra l'immenso amore di Dio per noi e la nostra risposta meschina, produrrà un dolore indicibile nella nostra anima. Questo sarà per noi il purgatorio.

La Chiesa, che è buona madre, sa che i suoi figli che soffrono di più sono le anime del purgatorio. E così, ci invita continuamente ad averle presenti nelle nostre preghiere e a offrire suffragi per loro. Ciò equivarrebbe a prestare loro il nostro amore perché serva ad asse come balsamo nella sofferenza di purificazione le prepara per il cielo. E ci ricorda che tutte le nostre sofferenze e le fatiche della vita contribuiscono a purificarci nell’amore, ci consentirà di evitare realmente il purgatorio, in modo che quando giungerà il momento di tornare alla casa del Padre, possiamo guadagnare direttamente il paradiso.

Novembre. Mese dei morti, per ricordarli e per aiutarli con la nostra preghiera. Mese che a tutti noi fa pensare alla vita eterna, alla quale dobbiamo aspirare mentre camminiamo lungo le strade di questa vita terrena.


Fonte: uamnesimocristiano


giovedì 22 novembre 2012

Il credo dei chiamati (San Paolo)


- Noi crediamo che Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto (cfr. Ef 1,4).
- Noi crediamo che quelli che Egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo (Rm 8,29).
- Noi crediamo che Dio ci ha scelti fin dal seno materno, ci ha chiamati con la sua grazia e si compiace di rivelare a noi suo Figlio, perché lo annunziamo (Gal 1,15-16).
- Noi crediamo che Dio ha scelto ciò che è debole per confondere i forti, affinché la nostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio (1Cor 1,27).
- Noi crediamo che a ciascuno Dio ha dato una manifestazione dello Spirito per l'utilità comune (1Cor 12).
- Noi crediamo di doverci comportare in maniera degna della vocazione che abbiamo ricevuto: con tutta umiltà, mansuetudine e pazienza, cercando di crescere in ogni cosa verso di Lui (Ef 4,1-2).
- Noi crediamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno (Rm 8,28).
- Noi crediamo a colui che in tutto ha potere di fare molto di più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la sua potenza che già opera in noi (Ef 3,20).
- Noi crediamo che colui che ha iniziato in noi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù, perché colui che ci ha chiamati è fedele (Fil 1,6; 1Ts 5,24).


 

 

 

 

mercoledì 21 novembre 2012

Raimond Diocrè


Ed ecco un altro fatto sconvolgente, avvenuto alla presenza di migliaia di testimoni ed esaminato in tutti i particolari dai dottissimi Bollandisti.
 
 
 
Era morto a Parigi il professore della Sorbona, Raimond Diocré.
Nella Chiesa di Nòtre Dame si svolgevano i solenni funerali. Oltre a molti semplici fedeli, vi parteciparono numerosi professori e discepoli del defunto.
La salma era collocata nel mezzo della navata centrale, coperta, secondo l'uso di quel tempo, da un semplice velo.
Cominciate le esequie, allorché il sacerdote disse le parole del rito: "Rispondimi: quante iniquità e peccati hai...?", si udì una voce sepolcrale uscire da sotto il velo funebre: "Per giusto giudizio di Dio sono stato accusato!".
Fu tolto subito il drappo mortuario, ma si trovò il defunto immobile e freddo.
La funzione, improvvisamente interrotta, fu subito ripresa fra il turbamento generale.
Poco dopo, il cadavere si alzò davanti a tutti e gridò con voce ancora più forte di prima: "Per giusto giudizio di Dio sono stato giudicato!".
Lo spavento dei presenti giunse al colmo.
Alcuni medici si avvicinarono al defunto, ripiombato nella sua immobilità, e constatarono che era veramente morto.
Non si ebbe però il coraggio, per quel giorno, di continuare il funerale e si rimandò al domani. Intanto, le autorità ecclesiastiche non sapevano che cosa decidere.
Alcuni dicevano: "E' dannato; non è degno delle preghiere della Chiesa!".
Altri osservavano: "Non si può essere sicuri che Diocré sia dannato!
Ha detto di essere stato accusato e giudicato, ma non condannato".
Anche il Vescovo fu di questo parere. II giorno seguente fu ripetuto l'ufficio funebre, ma giunti alla stessa frase prevista dal rito, “Rispondimi...”, il cadavere si alzò nuovamente da sotto il velo funebre e gridò: "Per giusto giudizio di Dio sono stato condannato all'inferno per sempre!".
Davanti a questa terribile testimonianza, cessarono i funerali e si decise di non seppellire il cadavere nel cimitero comune. Il prodigio era evidentissimo e molti si convertirono.
Tra i presenti c'era un certo Bruno, discepolo e ammiratore del Diocré; era già un buon cristiano, ma in quell'occasione prese la ferma decisione di lasciare le attrattive del mondo e di darsi alla penitenza. Altri seguirono il suo esempio.
Bruno fondò l'Ordine eremitico dei Certosini. In seguito morì da Santo. Chi va oggi a Serra San Bruno, in Calabria, può visitare il monastero fatto costruire dal Santo, ove sono sepolti, tra gli altri, non pochi uomini illustri che hanno lasciato tutto per dedicarsi interamente alla preghiera, al lavoro, all'aspra penitenza e al più rigoroso silenzio.
II mondo potrà giudicare pazzi costoro, ma in realtà sono sapienti; seguendo le orme del fondatore, al pensiero dell'inferno, infatti, perseverano nella vita di mortificazione per guadagnarsi il Paradiso.
 

Nato in Germania nel 1030 e vissuto poi tra il suo Paese, la Francia e l'Italia, dove morì nel 1101, Bruno o Brunone, professore di teologia e filosofia, sceglie ben presto la strada della vita eremitica. Trova così sei compagni che la pensano come lui e il vescovo Ugo di Grenoble li aiuta a stabilirsi in una località selvaggia detta «chartusia» (chartreuse in francese). Lì si costruiscono un ambiente per la preghiera comune, e sette baracche dove ciascuno vive pregando e lavorando: una vita da eremiti, con momenti comunitari. Quando Bruno insegnava a Reims, uno dei suoi allievi era il benedettino Oddone di Châtillon. Nel 1090 se lo ritrova papa col nome di Urbano II, che lo sceglie come consigliere. Ottiene da lui riconoscimento e autonomia per il monastero fondato presso Grenoble, poi noto come Grande Chartreuse. In Calabria nella Foresta della Torre (ora in provincia di Vibo Valentia) fonda una nuova comunità. Più tardi, a poca distanza, costruirà un altro monastero per la vita comunitaria. È il luogo accanto al quale sorgeranno poi le prime case dell'attuale Serra San Bruno. (Avvenire)
 

 

martedì 20 novembre 2012

E’ giusto che la Caritas paghi l’IMU per la casa dei papà “poveri e separati”?

In via Jommelli a Milano, la Caritas ospita alcuni papà separati in situazioni di indigenza.

Si chiama Aus,  acronimo di Assistenza uomini separati, ed è un progetto della Caritas ambrosiana per cercare di rispondere al bisogno di alcuni di quei  50 mila padri separati nel milanese che, secondo le stime, si trovano in una situazione di indigenza.  

Sono italiani in difficoltà economiche e da qualche anno sono stati identificati come “nuovi poveri”.
Aus offre loro alloggio in un appartamento di  110 metri quadrati in via Jacomelli, zona città studi: per quest’appartamento, don Carlo, parroco della chiesa di San Luca proprietaria dell’immobile, ha pagato l’Imu già da quest’anno. Mentre il governo ha appena confermato che partiti, associazioni e Chiesa pagheranno la tassa per le attività commerciali, don Luca spiega che «la curia ambrosiana ha deciso di pagare l’Imu già quest’anno, anche se la situazione era ancora incerta e in via d’evoluzione.

Ogni anno, per Aus paghiamo all’incirca 600 euro. L’immobile è stato dato in comodato d’uso gratuito alla Caritas. Se Caritas ambrosiana fosse proprietaria sarebbe esente dalla tassa, idem se come parrocchia non cedessimo l’immobile in comodato ma lo tenessimo per noi: ma così, sebbene il fine è chiaramente assistenziale, la tassa va pagata».

Don Carlo ha comunque deciso che l’immobile di via Jacomelli resterà ancora in uso alla Caritas.

La parrocchia, invece, ha avuti problemi con i locali dell’oratorio, molto più ampi, e che comprendono anche le aule del catechismo. «Questi locali – spiega don Carlo – erano stati dati sempre in comodato d’uso anche a due associazioni sportive, che li usavano al di fuori delle attività dell’oratorio.

Si tratta di un’associazione di ping pong, creata da volontari, e di una di karate dedicata ai bambini.

Le due associazioni mi davano una donazione volontaria di 500 euro all’anno: però di Imu la parrocchia ha dovuto pagare per questi spazi 5 mila euro.

Così, le due associazioni non hanno rinnovato il contratto per l’anno prossimo: usando gli spazi solo per l’oratorio e il catechismo, trattandosi di attività parrocchiali di evangelizzazione, non pagheremo così tanto».

Don Carlo spiega che con la tassazione ad essere colpite potrebbero essere non le attività commerciali, ma tutte quelle associazioni che fino ad oggi si sono appoggiate alle parrocchie quasi gratuitamente, per offrire servizi di volontariato o semi-gratuiti:  «Con il comodato d’uso, eventuali esenzioni valgono solo per l’uso esclusivo del proprietario».

L’esperienza dell’appartamento di via Jacomelli, («La casa dei papà» la chiama don Carlo) è iniziata nel 2010, grazie alla disponibilità della parrocchia e con il finanziamento di Fondazione Ubibanca, che ha permesso la ristrutturazione dell’appartamento e l’acquisto d’arredo. Dentro l’appartamento ci sono due camere con cinque posti letto, una cucina e un salotto, che gli ospiti possono usare liberamente.

Racconta Alessandro Pezzoni, responsabile del progetto in Caritas ambrosiana che «gli ospiti preparano i pasti, generalmente cenano insieme, e si organizzano in turni per fare le pulizie.

Possono invitare i loro figli, previo accordo con un’educatrice, presente nella casa ogni giorno per qualche ora.

Quest’estate si è chiusa la prima esperienza di ospitalità: ora il progetto Aus ripartirà con nuove regole, come una permanenza massima di otto mesi e un contributo minimo alle spese».

La scelta si è resa necessaria per garantire il più possibile un turn over, e quindi una risposta, ad un numero enorme di richieste.

Aus è una goccia nel mare: «Nella prima fase di accoglienza c’è capito di ospitare persone senza lavoro o con lavori troppo saltuari, e i tempi di accoglienza si allungavano moltissimo. Era prevista infatti ospitalità da sei mesi ad un anno, il rischio è stato che diventasse invece permanente.

 I 7 ospiti di questi due anni sono stati tutti italiani. Si tratta di uomini ultraquarantenni, che avevano però grossi problemi lavorativi, con difficoltà ad inserirsi. Qualcuno, una volta uscito da via Jacomelli, è dovuto andare nei dormitori. È emerso che queste persone presentavano situazioni familiari fragili e la mancanza di una rete che consentisse di reggere l’evento della separazione o dell’inoccupazione. È emersa anche la difficoltà psicologica, nel rimettersi in moto per cercare un lavoro o ricostruirsi una vita. Era molto difficile per loro rialzarsi»


Novembre 16, 2012

Fonte: Tempi.it