Non vogliamo pensare che a queste conclusioni si voglia arrivare: la fede resterebbe senza «simboli», che la definiscono e la esprimono; resterebbe senza catechesi univoca e autorevole; resterebbe fonte di divisione e non più d’unione (una fides!), resterebbe senza la guida, stabilita da Cristo, d’un magistero incontestabile, che ne vigila, le espressioni, ne promuove l’insegnamento e la diffusione, ne difende l’integrità, di cui i fedeli si alimentano, e per cui è doverosa la testimonianza.
Vogliamo piuttosto osservare che, se il Concilio non tratta espressamente della fede, ne parla ad ogni pagina, ne riconosce il carattere vitale e soprannaturale, la suppone integra e forte, e costruisce su di essa le sue dottrine. Basterebbe ricordare le affermazioni conciliari sulla necessità congiunta della Chiesa insegnante e della fede (Lumen Gentium, 14, 48), sul senso della fede, sotto la guida del sacro magistero, anima tutto il Popolo di Dio (ibid. 12), sulla doverosa purezza della fede, asserita proprio in funzione del dialogo ecumenico (Unit. red., 11), sull’opera dei Vescovi nell’insegnamento delle verità della fede (Christus Dominus, 36), sull’incontro della fede e della ragione in un’unica verità al livello degli studi superiori (Graviss. educ., 10), sulla sintesi nuova, che s’intravede possibile e magnifica fra la fede antica e la cultura moderna (Gaudium et spes, 57), e così via, per rendersi conto dell’essenziale importanza che il Concilio, coerente con la tradizione dottrinale della Chiesa, attribuisce alla fede, alla vera fede, quella che ha per sorgente Cristo e per canale il magistero della Chiesa"
Ven. Paolo VI, 8 marzo 1967
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