giovedì 20 giugno 2013

CELIBATO DEI SACERDOTI. PERCHÉ ESISTE NELLA CHIESA LATINA? - Monsignor Raffaello Martinelli

IL CELIBATO DEI SACERDOTI È UN DOGMA NELLA CHIESA?

L’obbligo del celibato per i sacer­doti non è un dogma, ma una legge disciplinare della Chiesa. Tale legge è tuttavia molto antica, poggia su una tradizione consolidata e su forti moti­vazioni.

Certamente la verginità non è ri­chiesta dalla natura stessa del sacer­dozio. La riprova è che il celibato vale per la Chiesa Latina, ma non per i riti orientali, dove, anche nelle comunità unite alla Chiesa Cattolica, è norma che vi siano sacerdoti sposati. Questi peraltro si possono sposare prima e non dopo di essere ordinati sacerdoti.

Tuttavia anche nella Chiesa Orientale vige il celibato per i Vescovi, oltre che per i monaci. E inoltre si consente che uomini già sposati siano ordinati preti; chi poi rimanesse vedovo, non può risposarsi.

La Chiesa è fermamente convinta che la vi­gente legge del sacro celibato debba ancor oggi, per i sacerdoti latini, accompagnarsi al ministero ecclesiastico. Essa, pertanto, ritiene tutt'ora che la via della donazione nel celibato sia la scelta esem­plare per il sacerdozio ministeriale latino.

D'altra parte, non va sottaciuto che i giovani, che chiedono ed accettano liberamente di essere consacrati sacerdoti nella Chiesa latina, ben sanno di doversi impegnare anche nel celibato e assumo­no questo impegno liberamente e solennemente davanti a Dio e alla Chiesa.

DA QUANDO IL CELIBATO È STATO INTRODOTTO NELLA CHIESA?

Fra gli Apostoli, scelti da Cristo stesso, al­cuni erano sposati, altri no, come ad esempio l'apostolo Giovanni.

Risulta che l'obbligo del celibato sacer­dotale sia in vigore fin dal IV secolo. Ma nello stesso tempo, va rilevato che i legislatori del IV sec. sostenevano che questa legge ecclesiastica fosse fondata su una tradizione apostolica. Di­ceva per esempio il Concilio di Cartagine (del 390): "Conviene che quelli che sono al servizio dei divini misteri siano perfettamente continenti (continentes esse in omnibus), affinché ciò che hanno insegnato gli Apostoli e ha mantenuto l'antichità stessa, lo osserviamo anche noi".

Successivamente il Magistero della Chiesa, attraverso Concili e documenti, ha sempre riba­dito ininterrottamente le disposizioni sul celibato ecclesiastico. Lo stesso Concilio Ecumenico Va­ticano II ha riaffermato, nella dichiarazione Pre­sbyterorum ordinis (n. 16), lo stretto legame tra celibato e Regno di Dio, vedendo nel primo un segno che annuncia in modo radioso il secondo.

IN QUALI BRANI EVANGELICI SI PARLA DI CELIBATO?

Ne parlano Marco 10,29, Matteo 19,12 ("eunuchi per il regno dei cieli") e Luca 18,28-30. «Pietro allora disse: "Noi abbiamo lasciato tutte le nostre cose e ti abbiamo seguito". Gesù rispose: "In ve­rità vi dico, non c'è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o geni­tori o figli per il regno di Dio che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà"» (Lc 18,28-30).

IN CHE SENSO IL CELIBATO È UN DONO?

È anzitutto un dono inestimabile di Dio, "un dono particolare di Dio, me­diante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini" (CIC, Can. 277, § 1). In tal senso, presuppone una vo­cazione particolare, una chiamata spe­ciale da parte di Dio, e pertanto è un carisma.

È anche un dono prezioso della persona a Dio e al prossimo. Il radicale amore del sacerdote celibe verso Dio si manifesta e si attua nel generoso amo­re verso i fratelli, nel servizio disponi­bile verso di essi.

Questo dono, se accolto e vissuto con amore, gioia e gratitudine, è sor­gente di felicità e di santità, per il sa­cerdote stesso e per tutta la Chiesa.

QUALI SONO I MOTIVI A FAVORE DEL CELIBATO?

Va subito detto che le ragioni sola­mente pragmatiche, funzionali, come ad esempio il riferimento alla mag­giore disponibilità, non bastano. Tanto più sono inaccettabili motivazioni col­legate in qualche modo sia a elementi di prestigio, di potere, di promozione sociale o di benefici economici, sia al rifiuto o alla paura o al disprezzo del matrimonio.

Occorre nello stesso tempo ricor­dare che, come disse Cristo stesso, il celibato, con le sue autentiche motiva­zioni, "non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso" (Mt 19,11).

I motivi veri, profondi sono princi­palmente tre: teocentrico-cristologico, ecclesiologico, escatologico. Essi mo­tivano la convenienza profonda che esiste tra sacerdozio e celibato.

1) Motivo teocentrico-cristologico: Il celibato poggia sulla Fede in Dio e sull'amore di Dio e per Dio: è acco­gliere Dio come terra su cui si fonda la propria esistenza. Illuminanti, a que­sto proposito, sono le parole del santo padre Benedetto XVI: "Il vero fon­damento del celibato può essere rac­chiuso solo nella frase: Dominus pars (mea) - Tu, Signore, sei la mia parte. Può essere solo teocentrico. Non può significare il rimanere privi di amore, ma deve significare il lasciarsi prende­re dalla passione per Dio, ed imparare poi, grazie ad un più intimo stare con lui, a servire pure gli uomini. Il celi­bato deve essere una testimonianza di Fede: la Fede in Dio diventa concreta in quella forma di vita che solo a parti­re da Dio ha un senso. Poggiare la vita su di lui, rinunciando al matrimonio ed alla famiglia, significa che io accolgo e sperimento Dio come realtà e per­ciò posso portarlo agli uomini" (Be­nedetto XVI, Discorso in occasione dell'udienza alla Curia Romana per la presenta­zione degli auguri natalizi, 22 dicembre 2006).

Il sacerdote non è dunque una persona priva di amore, anzi egli vive di passione per Dio. Il suo vivere non è da scapolo, ma da sposato in maniera indissolubile a Dio e alla sua Chiesa. Il celibato è una via all'amore e dell'amore; favorisce lo stile di una speciale vita sponsale da parte del sacerdo­te. Il sacerdote è uomo di Dio perché di lui vive, a lui parla, con lui discerne e decide, di lui è sempre più innamorato. L’inadirimento della vita spiritua­le molto spesso precede la crisi del celibato.

Ma Dio si è reso visibile e si è fatto presen­te in Gesù, il Figlio unigenito del Padre, inviato nel mondo: egli "si fece uomo affinché l'umanità, soggetta al peccato e alla morte, venisse rigene­rata e, mediante una nascita nuova, entrasse nel Regno dei cieli. Gesù compì mediante il suo mi­stero pasquale questa nuova creazione" (SC, 19). Gesù Cristo è dunque la novità di Dio. Egli realiz­za una nuova creazione. Il suo sacerdozio è nuovo. Egli rinnova tutte le cose. Un aspetto importante di questa novità è la vita nella verginità, che Gesù stesso ha vissuto. Egli, infatti, rimase per tutta la vita nello stato di verginità, dedicandosi totalmen­te al servizio di Dio e degli uomini. Il celibato consente pertanto una totale dedizione al Signore, una configurazione più piena con il Signore Gesù Cristo Capo e Sposo della Chiesa, una imitazione del suo stato di vita, una immedesimazione con il cuore di Cristo Sposo che dà la vita per la sua Sposa, una maggiore disponibilità all'ascolto del­la sua Parola e al dialogo con lui nella preghiera. Spiega ancora l'Enciclica Sacerdotalis Celibatus: "Cristo rimase per tutta la sua vita nello stato di verginità, il che significa la sua totale dedizione al servizio di Dio e degli uomini. Questa profonda connessione tra la verginità e il sacerdozio di Cri­sto si riflette in quelli che hanno la sorte di parte­cipare alla dignità e alla missione del Mediatore e Sacerdote eterno, e tale partecipazione sarà tanto più perfetta, quanto più il sacro ministero sarà li­bero da vincoli di carne e di sangue" (SC, 21).

La verginità per il Regno di Dio esiste pertanto nella Chiesa, perché esiste Cristo che la rende possibile, con il dono del Suo Spirito. "In questo legame tra il Signore Gesù e il sacerdote, legame ontologico e psicologico, sacramentale e morale, sta il fondamento e nello stesso tempo la forza per quella `vita secondo lo Spirito' e per quel 'radica­lismo evangelico' al quale è chiamato ogni sacer­dote e che viene favorito dalla formazione perma­nente nel suo aspetto spirituale" (Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 72).

2) Motivo ecclesiologico

Simile a Cristo e in Cristo, il sacerdote si unisce con amore esclusivo alla Chiesa, sposan­dosi misticamente con essa. "La verginità consa­crata dei sacri ministri manifesta infatti l'amore verginale di Cristo per la Chiesa, e la verginale e soprannaturale fecondità di questo connubio"(SC 26). La nuzialità del celibato ecclesiastico espri­me ed incarna proprio questo rapporto tra Cristo e la Chiesa.

E in virtù di questo esclusivo legame sponsale, il sacerdote celibe si dedica totalmente al servi­zio generoso e disinteressato di Cristo e della sua Chiesa, con una ampia libertà spirituale e verso tutti gli uomini, senza alcuna distinzione o discri­minazione.

Nella Presbyterorum Ordinis leggiamo che i sa­cerdoti "si dedicano più liberamente a Lui e per Lui al servizio di Dio e degli uomini, servono con maggiore efficacia il suo Regno e la sua opera di rigenerazione divina e in tal modo si dispongono meglio a ricevere una più ampia paternità in Cri­sto" (n.16).

L'esperienza comune insegna e conferma come sia più semplice, per chi non è legato da al­tri affetti, aprire il cuore ai fratelli pienamente e senza riserve.

3) Motivo escatologico

Il celibato sacerdotale è segno e profezia del­la nuova creazione, ossia, del Regno definitivo di Dio nella Parusia, quando, alla fine di questo mondo, tutti risorgeremo dalla morte. Di questi tempi ultimi, la verginità, vissuta per amore del Regno di Dio, costituisce un segno particolare, poiché il Signore ha annunziato che: "Alla risur­rezione non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo" (Mt 22,30). Nella Chiesa, fin d'ora è presente il Regno futuro: essa non solo lo annun­cia, ma lo realizza sacramentalmente contribuendo alla "creazione nuova". Di questo Regno, la Chiesa costitui­sce quaggiù il germe e l'inizio, come ci insegna il Concilio Vaticano II (cfr. LG. 5). Il celibato sacerdotale è uno dei modi con cui la Chiesa annuncia e contribuisce a realizzare tale novità del Regno di Dio.

L'ABOLIZIONE DEL CELIBATO AUMENTEREBBE IL NUMERO DEI SACERDOTI?


Come ha anche affermato il Sinodo dei Vescovi del 2005, un allargamento della regola del celibato non sarebbe una soluzione neppure per il problema della scarsità delle vocazioni, come dimostra l'esperienza anche delle al­tre confessioni cristiane, che hanno sacerdoti o pastori sposati. La scarsità numerica dei sacerdoti è da collegarsi piuttosto ad altre cause, a cominciare dalla cultura secolarizzata moderna.

QUAL È IL RAPPORTO TRA IL CE­LIBATO SACERDOTALE E IL SA­CRAMENTO DEL MATRIMONIO?

È un rapporto complementare: l'uno integra, completa l'altro.

Ecco al riguardo tre autorevoli te­stimonianze:

1) "L'amore sponsale del Risorto per la sua Chiesa, sacramentalmen­te elargito nel matrimonio cristiano, alimenta, nello stesso tempo, il dono della verginità per il Regno. Questa, a sua volta, indica il destino ultimo dello stesso amore coniugale" (Gio­vanni Paolo II, Discorso al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, 31 mag­gio 2001).

2) "La scelta della verginità per amo­re di Dio e dei fratelli, che è richiesta per il sacerdozio e la vita consacrata, sta infatti insieme con la valorizzazione del ma­trimonio cristiano: l'uno e l'altra, in due maniere differenti e complementari, rendono in qualche modo visibile il mistero dell'alleanza tra Dio e il suo popolo" (Benedetto XVI, Discorso alla dio­cesi di Roma, 6 giugno 2005).

3) "Entrambi, il sacramento del Matrimonio e la verginità per il regno di Dio, provengono dal Si­gnore stesso. È lui che dà loro senso e concede la grazia indispensabile per viverli conformemente alla sua volontà. La stima della verginità per il Regno e il senso cristiano del Matrimonio sono inseparabili e si favoriscono reciprocamente" (CCC, 1620).

Il celibe rende consapevoli gli sposati del fat­to che essi non sono solamente in funzione di un rapporto, bensì hanno un loro valore proprio. E gli sposati testimoniano al celibe la necessità di dare alla propria vita una dimensione d'amore incarnato.

IL SACERDOTE È UN UOMO SOLO?

"È vero: il sacerdote, per il suo celibato, è un uomo solo; ma la sua solitudine non è il vuoto, perché è riempita da Dio e dall'esuberante ricchezza del suo Regno. Inoltre, a questa solitudine, che dev'esse­re pienezza interiore ed esteriore di carità, egli si è preparato, se l'ha scelta consapevolmente e non per l'orgoglio di essere differente dagli altri, non per sottrarsi alle comuni responsabilità, non per estra­niarsi dai suoi fratelli o per disistima del mondo. Segregato dal mondo, il sacerdote non è separato dal popolo di Dio, perché è costituito a vantaggio degli uomini, consacrato interamente alla carità e all'opera per la quale lo ha assunto il Signore. A volte la soli­tudine peserà dolorosamente sul sacer­dote, ma non per questo egli si pentirà di averla generosamente scelta. Anche Cristo, nelle ore più tragiche della sua vita, restò solo" (SC, 58-59).

CHE COSA OCCORRE AL SACERDOTE PER MANTENERSI CELIBE?

Occorre:

• una preparazione accurata du­rante il cammino verso questo obiettivo; e dunque una adeguata formazione:

*sia remota, vissuta in famiglia, sia soprattutto prossima, negli anni del Seminario;

• l'esigenza di una solida forma­zione umana e cristiana, sostenu­ta da una buona direzione spiri­tuale, sia per i seminaristi sia per i sacerdoti;

• un'esperienza sempre più pro­fonda di Cristo: dalla qualità e profondità di tale relazione con il Signore dipende la tipologia dell'intera esistenza sacerdotale;

• una condivisione sempre più am­pia e radicale dei sentimenti e degli atteggiamenti di Gesù Cri­sto;

• una preghiera costante, che invo­ca senza tregua Dio come il Dio vivente e si appoggia a lui nel­le ore di confusione come nelle ore della gioia. La celebrazione Eucaristica quotidiana, l'Ufficio divino, la Confessione frequen­te, l'adorazione del Santissimo Sacramento, il rapporto affettuoso con Maria Santissima, gli Esercizi Spirituali, la recita possibilmente quotidiana del santo Rosario... sono alcune forme di questa pre­ghiera che non deve mai mancare nella vita sacerdotale;

• disponibilità a seguire Cristo an­che sulla via del Calvario: l'esi­stenza sacerdotale comporta an­che l'accettazione dell'ottica del Crocifisso. La sofferenza, talvolta la fatica, lo sconforto, le delusio­ni, la noia, perfino lo scacco... hanno il loro posto nell'esistenza di un sacerdote, che tuttavia sa e deve reagire a tutto questo con l'aiuto di Dio;

• un'osservanza puntuale dei "di­versi consigli evangelici, che Gesù propone nel Discorso della Montagna e tra questi i consigli, intimamente coordinati tra loro, d'obbedienza, castità e povertà: il sacerdote è chiamato a viver­li secondo quelle modalità, e più profondamente secondo quelle fi­nalità e quel significato originale, che derivano dall'identità propria del presbitero e la esprimono" (Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 27);

• accompagnamento persistente da parte del Vescovo, di amici sacer­doti e di laici, che sostengano in­ sieme questa testimonianza sacerdotale, con la stima, l'amicizia, il consiglio e la preghiera;

• una vigilanza continua e una prudente cautela nelle sue relazioni con le altre persone;

• una permanente capacità di lavorare senza ri­sparmiarsi perché Cristo sia conosciuto, amato e seguito;

• una vita comunitaria con altri sacerdoti: sant'Agostino riteneva consigliabile che i sa­cerdoti celibi vivessero insieme in una stessa casa.

Il sacerdote deve utilizzare, in modo continuo e complementare, questi mezzi e modalità, per vivere con serenità e gioia il proprio celibato.

Alla luce di quanto esposto sopra, non sarà perciò difficile condividere quanto scrive il papa Benedetto XVI, nell'Esortazione Apostolica post­sinodale Sacramentum Caritatis sull'Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa (22 febbraio 2007), n. 24: "In unità con la grande tradizione ecclesiale, con il Concilio Vati­cano II e con i Sommi Pontefici miei predecessori, ribadisco la bellezza e l'importanza di una vita sa­cerdotale vissuta nel celibato come segno espressi­vo della dedizione totale ed esclusiva a Cristo, alla Chiesa e al Regno di Dio, e ne confermo quindi l'obbligatorietà per la tradizione latina. Il celibato sacerdotale vissuto con maturità, letizia e dedizione è una grandissima benedizione per la Chiesa e per la stessa società".


Monsignor Raffaello Martinelli

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