martedì 11 giugno 2013

La mormorazione

“La mormorazione è un vizio volontario che fa morire la carità” (S. Pio da Pietralcina).

Uno dei peccati per cui Padre Pio negava l’assoluzione era quello della mormorazione o maldicenza nella quale incorrono spesso anche quelli che si reputano cristiani praticanti.


Egli si mostrava severo con quelli che, forse senza rendersene conto del tutto, offendevano la giustizia e la carità.

Disse ad un penitente: «Quando tu mormori di una persona vuol dire che non l’ami, l’hai tolta dal tuo cuore. Ma sappi che, quando togli uno dal tuo cuore, con quel fratello se ne va anche Gesù».
Una volta, invitato a benedire una casa, arrivato all’ingresso della cucina, disse: «Qui ci sono i serpenti, non entro». E ad un sacerdote, che spesso vi si recava a mangiare, disse di non andarci più, perché lì si mormorava. Nella mormorazione oltre a mancare di carità si esprimono giudizi, contravvenendo a quanto dice Gesù: «Non giudicate». (Lc, 6,37)
In effetti, a volte non riflettiamo sul fatto che il comandamento “non uccidere” non riguarda solo l’omicidio vero e proprio; si può “uccidere” anche con le parole, con le ingiurie, con le maldicenze e con la mormorazione.
Capita spesso, a lavoro, con gli amici, dal parrucchiere, al bar, di essere coinvolti in conversazioni che più o meno velatamente mirano a screditare terze persone, mirano cioè al pettegolezzo.

Personalmente devo dire che non sono mai stata particolarmente avvezza a questo genere di discorsi. Tuttavia, da quando ho ricevuto il dono della conversione, ne ho avvertito ancora di più il male, il lato oscuro. Ho compreso che davvero, in questi casi, quando si è coinvolti, il cristiano dovrebbe interrompere queste discussioni, invitando anche gli altri e spiegandone il motivo.
Il confine tra “chiacchiere innocenti”, supposizioni maliziose, dicerie, insinuazioni e malignità, è labile e sottile, cammina su un terreno scivoloso, lavora sottilmente, con conseguenze drammatiche. Mormorazioni nella maggior parte dei casi basate sul ’sentito dire’ e dunque senza fondamento, che oltretutto normalmente avvengono di nascosto, sottovoce e alle spalle, si rivelano spesso assai dannose, perchè minano la dignità e la credibilità delle vittime, viaggiano a gran velocità in ogni direzione e intaccano la serenità di chi ne è stato fatto oggetto (e in genere anche delle persone a lui prossime).
Il pettegolezzo che oggi viene definito – nei media, nei social network, su internet – con il termine di “gossip“, quasi a volerne dare un’accezione più accettabile e divertente, che ne sminuisce il significato negativo, mi ricorda tanto il modo di agire del serpente. E siccome per combattere il serpente occorre avere buone armi, conviene rispolverare la lettera di Giacomo, che dice senza troppi giri di parole: “la lingua è un male ribelle, è piena di veleno mortale. Con essa benediciamo il Signore e malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio!”(3, 8-12).
Oppure si può tornare alla penitenza che il buon San Filippo Neri diede alla donna pettegola:

A una donna che si accusava di frequenti maldicenze, San Filippo Neri domandò: “Vi capita proprio spesso di sparlare così del prossimo?”. Molto spesso, Padre”, rispose la donna.
“Figliola, il vostro errore è grande. E’ necessario che ne facciate penitenza. Ecco cosa farete: uccidete una gallina e portatemela subito, spennandola lungo la strada da casa vostra fin qui”.
La donna ubbidì, e si presentò al santo con la gallina spiumata.
“Ora”, le disse Filippo, “ritornate per le strade attraversate e raccogliete ad una ad una le penne della gallina…”.
“Ma è impossibile, Padre”, ribatté la donna; “col vento che tira oggi non si troveranno più”.
“Lo so anch’io”, concluse il santo, “ma ho voluto farvi comprendere che se non potete raccogliere le penne di una gallina sparpagliate dal vento, come potrete riparare a tutte le maldicenze gettate in mezzo alla gente, a danno del vostro prossimo?”.

Questo piccolo aneddoto della vita di san Filippo Neri evidenzia come dettagli che trascuriamo si rivelano in realtà fondamentali.

A volte ciò che rovina ha proprio questo nome: la superficialità con cui si pensa di poter “passare sopra” a tante cose. Invece, rendere noti gli sbagli altrui a terzi è molto grave, in particolar modo quando si evita, per i più svariati motivi, di parlarne col diretto interessato. Innanzitutto, viene elusa la necessaria correzione fraterna , che rappresenta sempre, oltre ad un confronto schietto e sincero, una reciproca occasione di crescita, non solo spirituale ma anche umana.

È poi del tutto evidente come, qualora sia presente un’espressa volontà di ferire, denigrare, offendere, mettere in cattiva luce l’altra persona, avviene qualcosa forse anche peggiore della violenza fisica. Abbiamo tutti avuto esperienza della sofferenza che può essere causata dalle parole: utilizzarla come subdola arma di offesa cela una macchinazione che è ben peggiore di tante altre cattive azioni molto più visibili e concrete e – per questo motivo – molto più facili da individuare e contrastare.

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