lunedì 24 giugno 2013

La croce di ogni giorno: l'impegno per il bene, Domenica: 23 giugno 2013 - XII Domenica del Tempo Ordinario-

Quando Gesù parlava della sua croce la gente che lo ascoltava non sapeva ancora che Egli sarebbe morto sulla croce. Lui lo sapeva, e noi ora lo sappiamo, ma i suoi ascoltatori non lo sapevano.
Quindi in quel momento Gesù non può essersi riferito alla croce sul­la quale sarebbe morto. Era una croce ben determinata quella croce.
C'è un'altra cosa. Gesù disse ai discepoli che doveva­no portare la sua croce tutti i giorni. Ma Gesù non portava quotidianamente quella croce. La portò alla fine della sua vita forse per qualche ora, e anche allora ebbe bisogno di essere aiutato da un uomo che veniva da una città chiamata Cirene: Simone. Quando parlava della croce che i suoi ascoltatori e noi dobbiamo portare ogni giorno insieme con lui, Gesù non stava parlando della croce che vediamo sopra l'altare. Deve aver parlato della croce che stava portando nel momento in cui parlava: le cose che compiva giorno dopo giorno.
Sappiamo quali erano le sue attività. Erano la sua lotta costante contro il peccato, che era attorno a lui in ogni sua forma. Il peccato e l'ingiustizia nel servizio del tempio, dove alcuni approfittavano della pietà e dei sensi di colpa dei poveri e dei miserabili. Il peccato e l'ingiustizia nelle relazioni umane, come quando difese la donna adultera contro i suoi ipocriti persecutori e le disse di non peccare più. Il peccato e l'ingiustizia nel campo politico e nella vi­ta economica. La corruzione, le bustarelle, l'abbandono dei bambini. Il fallimento delle famiglie, dove i mariti ri­pudiavano le mogli, a loro capriccio, e così via.
Di fronte a ogni peccato, davanti a ogni ingiustizia, vediamo Gesù combattere contro tutto questo, non con la violenza, ma in modo potente, ogni giorno, ogni ora.
Fu in questo modo che si fece dei nemici, che voleva­no inchiodarlo alla croce. Fu in questo modo che portò la sua croce ogni giorno, molto prima della sua morte di fat­to sulla croce.
E' in questo modo che dobbiamo seguirlo, rifiutando ogni ipocrisia e ogni male che è tale davanti a Dio e davanti al prossimo. 

Omelia di don Roberto Rossi 
È l'amore disarmato quello che salva
Le folle chi dicono che io sia? La risposta è bella e sbagliata. Dicono che sei un profeta: una creatura di fuoco e di luce, voce di Dio e suo respiro.
La seconda domanda arriva diretta, esplicita: Ma voi chi dite che io sia? Preceduta da un «ma», come se i Dodici appartenessero ad un'altra logica. Scrive Cristina Cam­po: ci sono due mondi / noi siamo dell'altro.
La terza domanda, sottinte­sa, è diretta a me: ma tu chi dici che io sia?
Gesù non chiede una rispo­sta astratta: «chi è Dio», o «chi sono io»; mette in que­stione ciascuno di noi: tu, con il tuo cuore, la tua fati­ca, il tuo peccato e la tua gioia, «Chi sono io per te?» Non è la definizione di Cri­sto che è in gioco, ma quan­to di lui vive nella tua esi­stenza. Allora chiudere tutti i libri e aprire la vita. Gesù ci educa alla fede attraverso domande, perché niente è ovvio, né Dio né l'uomo, né il bene né il male.
Non servono studi, letture, catechismi, ma fame di pa­ne e di assoluto. Ciascuno, che ha Dio nel sangue, deve dare la sua risposta.
Ed è una risposta in-finita, mai finita. Cristo non è ciò che dico di lui, ma ciò che vi­vo di lui; non è le mie paro­le ma la mia passione. La ve­rità è ciò che arde. «Il Tuo no­me brucia su tutte le labbra: Tu ardi» canta Efrem Siro.
Se Cristo non è io non sono.
Gesù stesso offre l'inizio del­la risposta: il Figlio dell'uo­mo deve soffrire molto, veni­re ucciso e poi risorgere. Ec­co chi è: un Crocifisso amo­re, dove non c'è inganno. Che inganno può nascon­dere uno che morirà di do­lore e di amore per te?
Disarmato amore che non è mai entrato nei palazzi dei potenti se non da prigioniero, che non ha assoldato guardie, che i nemici non li teme, li ama.
Amore vincente. Pasqua è la prova che Dio procura vita a chi produce amore.
Amore indissolubile, da cui «nulla mai ci separerà» (Rom 8,38). Nulla mai: due parole assolute, perfette, totali. Niente fra le cose, nessuno fra i giorni.
Se qualcuno vuol venire die­tro a me, prenda la sua croce e mi segua. Non è un invito alla rassegnazione, non oc­correva Gesù per questo. La Croce è invece la sintesi del­la sua storia: scegli per te u­na vita che sia il riassunto della mia vita.
Prendi su di te la tua porzio­ne d'amore, altrimenti non vivi. Accetta la porzione di croce che ogni passione por­ta con sé, altrimenti non a­mi.
Non un invito a patire di più, ma a far fiorire di più la zol­la del cuore, a conquistare la sua infinita passione per Dio e per l'uomo, per tutto ciò che vive sotto il sole, e oltre il grande arco del sole. 

Omelia di padre Ermes Ronchi

Croce sinonimo di vittoria

" E ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno". Tale proibizione si ripete più volte da parte di Gesù e avviene talora in occasione di alcuni esorcismi (quando comanda ai demoni di non riferire a nessuno che egli è il Cristo), di qualche miracolo, di alcuni insegnamenti e ora nel presente episodio evangelico in cui Pietro gli rivolge l'importantissima confessione: "Tu sei il Cristo di Dio". Essa viene definita "segreto messianico"e a detta di alcuni studiosi non sarebbe neppure originaria di Gesù, ma sarebbe stata aggiunta successivamente dai redattori dei Vangeli o sarebbe stata addirittura inventata da alcuni studiosi! Personalmente sono convinto che non sia affatto un'invenzione, ma che Gesù abbia davvero imposto questo "segreto" nelle predette circostanze, poiché ciò era necessario. Gesù infatti non voleva essere conosciuto come un grande personaggio fautore di prodigi, e nemmeno si accontentava che qualcuno come Pietro capisse per altre vie la sua vera identità di Messia Unto di Dio, ma voleva che essa fosse accolta da tutti in forza della sua Parola e del suo stesso annuncio del Regno. In particolare, voleva che la sua messianicità emergesse nell'ora suprema della passione e della morte di croce. E' lì infatti che egli si rivelerà come il Figlio di Dio, Signore della gloria. Quindi imponeva loro di non dirlo a nessuno fino a quando tale annuncio non fosse stato reso evidente con la morte e con la risurrezione.
E della croce parla infatti la versione di Luca relativa al presente episodio, che si collega immediatamente al profeta Zaccaria (I Lettura): "guarderanno a colui che hanno trafitto", poiché il Figlio dell'Uomo deve tanto patire, essere rifiutato dalle autorità giudaiche, essere ucciso e poi risorgere dopo tre giorni poiché proprio la sua morte concedere all'uomo il riscatto dal peccato e la salvezza e compirà definitivamente il disegno del Padre a vantaggio dell'uomo. La croce è stata indispensabile perché il Cristo umiliato fosse poi esaltato dal Padre dopo la resurrezione e di conseguenza entrasse nella gloria per non morire più; la morte di Cristo, preceduta dalla condanna e dal disprezzo degli uomini era l'unico mezzo necessario perché egli riscattasse l'umanità addossandosi sulle sua spalle i peccati di tutti e comprando tutti noi a caro prezzo (1 Cor 6, 20); è stato indispensabile perché dall'umiltà si passasse alla gloria e all'esaltazione. E infatti questa è la pedagogia che, secondo lo scritto di Luca, seguita immediatamente al segreto messianico: "chi vuol essere mio discepolo, rinneghi se stesso, prenda la propria croce ogni giorno e mi segua".
Se la nostra fede fosse incentrata sui soli dati miracolistici, forse la nostra religione non sarebbe differente dall'Ebraismo o da qualche altro Credo lontano da noi. Se dovessimo entusiasmarci solamente per i miracoli e per gli avvenimenti straordinari e restare affascinati dalle apparizioni mariane (molte volte fittizie e infondate) non ci allontaneremmo di molto dal paganesimo e vanificheremmo la morte stessa di Cristo sulla croce.
Certo, i segni esteriori possono sempre essere di supporto alla nostra fede, aiutarci nell'accettare il mistero del Messia e del resto anche i miracoli e gli esorcismi assumono nei vangeli la loro grande importanza, perché rivelano in Cristo la misericordia di Dio e parlano essi stessi del Regno che Cristo ha già realizzato con la sua incarnazione.
Tuttavia è il suo donarsi estremo al supplizio che determinerà definitivamente che Gesù è il Salvatore nonché Messia e cosa vi è infatti di più affascinante e degno di nota del fatto di un Dio che si lascia uccidere per noi? Nella croce del Suo Figlio Dio ci ragguaglia che non siamo noi a cercare Lui, ma che è da sempre Lui che ci viene incontro cercandoci in ogni luogo e raggiungendoci fino all'estrema profondità. La croce dovrebbe esaurire ogni dubbio intorno alla validità della rivelazione e della nostra fede, dovrebbe estinguere ogni incertezza e ogni inquietitudine quando ci sorprenda il dubbio e la perplessità se valga la pena accettare l'umiliazione e la sconfitta nella vita.
La croce che abbracciamo tutti i giorni prende il nome di malattia, sofferenza, patimenti e ingiustizie subite da altri, persecuzioni e frustrazioni a cui siamo costretti anche a motivo della nostra stessa fede; per alcune persone corrisponde alla tortura materiale e alla morte fisica, come nel caso dei cristiani perseguitati in terre di esasperato fanatismo religioso. La croce assume i connotati di sacrificio, sofferenza, lotta... Il più delle volte il gravame che essa comporta per le nostre spalle, il suo peso e la sua insostenibilità ci inducono a rifiutarla come inutile e illusoria e vi è la tentazione di considerarla semplicemente un dato astratto. Paolo però suggerisce parole confortanti in merito alla croce: "Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la fame,, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori, in virtù di Colui che ci ha amati." (Rm 8, 35 - 37) Parole che non mettono in discussione l'amara realtà del male e della vessazione a cui tutti si è costretti, ma che infondono fiducia e coraggio con la garanzia che, dal momento che Cristo ha vinto la morte con l'amore, anche noi con il suo amore trionferemo.
La nostra croce è sempre sproporzionata in difetto rispetto a quella che ha abbracciato Cristo ed è soprattutto per questo che, quando essa ci sembra insostenibile e assillante, siamo invitati a metterla a confronto con quella dello stesso Signore risorto: si trova sempre consolazione nel dolore quando lo si relativizza pensando a quanti sperimentano un dolore più pesante, considerando tutte quelle persone che soffrono molto più di noi; gettare uno sguardo sulla croce di Cristo mentre ci accingiamo a portare ciascuno la nostra ci darà consolazione, costanza e fiducia. Soprattutto perché lo stesso destino del Signore è riservato a noi: se con lui andiamo al patibolo, con lui anche risorgeremo.
Il cristiano non fugge le ansie e i pericoli del mondo; non si aliena dalla realtà e non si rifugia in chimeriche consolazioni inesistenti quando debba affrontare l'esperienza della prova e l'assillo della croce. Piuttosto, egli condivide lo stesso destino del Maestro nella croce che diventa risurrezione e nella risurrezione che presuppone il dolore e la crocifissione, senza sottrarsi né alla prima né alla seconda. Non c'è sacrificio immolativo, infatti, al quale non faccia seguito il premio della gloria nella Risurrezione e poiché Cristo è risorto primizia di coloro che sono morti, anche noi siamo destinati a risorgere, cioè a gioire, nel quotidiano trionfo che di volta in volta fa seguito all'apparente sconfitta.
Guardare a Colui che hanno trafitto e che non ha ricusato l'immolazione e il sepolcro ci è di sprone e di incoraggiamento e il luogo della speranza, prima che si cada nella disperazione, è appunto la croce di Cristo. Essa è la speranza che è diventata certezza nella gloria. 


Omelia di padre Gian Franco Scarpitta 


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