mercoledì 24 aprile 2013

La santificazione personale - Enciclica Haerent animo di San Pio X, (14 agosto 1908)


Questa esortazione è un forte richiamo perché la prima preoccupazione dei Sacer­doti sia rivolta a diventare Santi. La santi­ficazione personale é vista come la premes­sa indispensabile per l'azione apostolica. Da qui una particolare insistenza sulle pratiche di pietà, la meditazione e i ritiri spirituali: le virtù «passive» sono più im­portanti di quelle «attive».

I. MOTIVI E INTENTI

1. Scopo dell'esortazione. L'avve­nire della Chiesa dipende dalla qualità degli Ecclesiastici

Abbiamo scolpite nella mente e ci riempiono di salutare timore le parole dell'Apostolo agli Ebrei (13,17), che, inculcando loro il dovere dell'ubbidi­enza verso i superiori, affermava con tutta la sua autorità: "Essi vegliano co­me responsabili che dovranno render conto delle anime vostre". Se questa sentenza riguarda tutti quelli che hanno nella Chiesa una qualunque preminen­za, principalmente riguarda noi, che, benché impari a tanto officio, abbiamo nella Chiesa la suprema autorità.

Quindi notte e giorno senza posa non ci stanchiamo di meditare e di ten­tare tutto quanto interessa l'incolumità e la prosperità del gregge affidatoci da Dio. Fra queste preoccupazioni una più delle altre ci sta a cuore, ed è che i Sa­cerdoti siano tali, quali li esige la digni­tà del loro ministero, poiché a nostro av­viso, per questa via principalmente, possiamo nutrire liete speranze dell'avve­nire della religione. Così, non appena saliti al soglio pontificio, benché, volgendo uno sguardo all'universalità del clero, scorges­simo in esso molteplici titoli di lode, tutta­via non potremmo non esortare con ogni studio i nostri venerandi fratelli, i Vesco­vi dell'orbe cattolico, che in nulla ponesse­ro tanta perseveranza e tanta cura, quanto nel formar Cristo in quelli che a formar Cristo negli altri sono destinati.

Né ci sfugge lo zelo e l'attività, che dis­piegano nell'educare il clero alla virtù, del che ci torna dolce non tanto di render loro una pubblica lode, quanto di esprimere i sensi della più viva riconoscenza.

2. Stimolo ai ferventi e ai meno ferventi

Se non che, mentre per una parte ci al­lieta il vedere che, per tali cure dei Vesco­vi, già molti ecclesiastici si mostrano acce­si di un sacro fuoco, che risuscita o ravviva in essi la Grazia di Dio ricevuta nell'impo­sizione delle mani nella sacra ordinazione, per l'altra ci resta ancora a lamentare che alcuni altri, in diverse regioni, non sono così esemplari, che i fedeli cristiani, vol­gendo gli occhi in loro, quasi in uno spec­chio, come una guida, possono conforma­re se stessi al loro esempio. A questi vo­gliamo aprire il nostro cuore con questa lettera, come il cuore di un padre palpitan­te di ansiosa carità nel cospetto del figlio infermo. Per un tale veemente amore, ag­giungiamo a quelli dei Vescovi i nostri ammonimenti; i quali, benché indirizzati specialmente a ridurre a miglior consiglio i fuorviati e giacenti in letargo, tuttavia possono, come è nostro vivo desiderio, es­sere anche agli altri di stimolo.

Noi additiamo la via, seguendo la qua­le, ciascuno deve sforzarsi ogni giorno più di riuscire, secondo la chiara espressione dell'Apostolo, "uomo di Dio" (1 Tm 6,11), e di corrispondere alla giusta aspettazione della Chiesa. Nulla diremo di non mai udi­to da Voi, o di nuovo per chicchessia, ma cose, le quali conviene che ognuno si ram­menti: e Dio ci infonde la speranza che la nostra voce sia per produrre notevole buon frutto. Questo è il nostro desiderio: "Che vi rinnoviate nello spirito della vostra men­te, e vi rivestiate dell'uomo nuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità" (Ef 4,23-24): e sarà questo il più bello e il più gradito dono, che Ci possiate offrire nel cinquantesimo del nostro sacer­dozio. E mentre Noi, "contriti di anima e umiliati di spirito" (Dn 3,39), ripensere­mo in Dio i passati anni del nostro sacer­dozio; espieremo in certo qual modo i no­stri umani mancamenti, dei quali ci abbia­mo a pentire, ammonendovi con paterna cura, "onde camminiate in maniera degna di Dio, piacendo a Lui in tutte le cose" (Col 1,10).

Ed in una simile esortazione non miria­mo semplicemente alla vostra utilità, ma al vantaggio generale dei fedeli cattolici, che da quella non si può separare. Poiché tale non è il Sacerdote che possa essere buono o cattivo semplicemente per sé, ma l'e­sempio della sua vita non è a dire di qua! li conseguenze sia fecondo sull'indiriz­zo della vita dei fedeli. Ove è un Sacer­dote veramente buono, qual tesoro è ve­ramente largito dal cielo

II. LA SANTITA DEL SACERDOTE

3. La santità, dote prima della vita sacerdotale. L'esempio deve precedere la parola

Diamo principio, diletti figli, alla nostra esortazione, con l'incitarvi a quella santità, che è richiesta dalla di­gnità del vostro grado. Poiché chi è insi­gnito del sacerdozio, non per sé soltan­to, ma per gli altri ancora ne è insignito: "Ogni pontefice scelto tra gli uomini, è preposto a pro degli uomini a tutte quel­le cose che riguardano Dio" (Eb 5,1).

Il medesimo pensiero volle esprime­re Cristo, quando, a significare quale sia il fine dell'azione sacerdotale, li parago­nò al sole ed alla luce del mondo, sale della terra. Ognuno sa che sale e luce Egli è principalmente per l'ufficio che ha di distribuire il pane della verità cri­stiana; ma chi è che ignori che un tale ammaestramento non approda a nulla, se il Sacerdote non consacri con l'esempio le cose insegnate con la parola.

Gli uditori con irriverenza sì, ma non a torto obietteranno: "Professano di cono­scere Dio e lo rinnegano coi fatti" (Tt 1,16); e respingeranno la dottrina, né frui­ranno della luce del sacerdozio.

Ond'è che Cristo, forma viva del Sacer­dote, insegnò prima con l'esempio e poi con le parole: "Principiò Gesù a fare, e poi ad insegnare " (At 1,1). Parimenti se gli si levi la santità a nessun titolo il Sacerdote sarà più sale della terra: poiché ciò che è corrotto e contaminato non può servire a conferire la purezza; e, donde esula la san­tità, conviene che abiti la contaminazione. Perciò Gesù, continuando la medesima fi­gura, chiama tali Sacerdoti sale insipido, "che non è più buono a nulla se non ad esser gettato via e calpestato" (Mt 5,13).

III. LA SANTITÀ DEI SACRI UFFICI

4. L'altezza della vocazione e i Sacri Uffici per sè medesimi esigono la santità

Quanto si è fin qui detto riceve nuova luce, quando si pensa che noi esercitiamo l'ufficio sacerdotale non già a nostro nome ma nel nome di Gesù. "Così", dice l'Apo­stolo, "ognuno consideri noi come mini­stri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio" (1 Cor 4,1); "siamo davvero adunque ambasciatori di Cristo" (2 Cor 5,20).

Proprio per questo motivo Cristo ci as­crisse non al numero dei suoi servi, ma de­gli amici: "Non vi chiamerò più servi, ma amici, perché tutto quello che intesi dal Padre mio, l'ho fatto sapere a voi... Io ho eletto voi, e vi ho destinati, che andiate e facciate frutto"(Gv 15,16).

È quindi nostro ufficio di rappresentare la persona di Cristo e di condurre la mis­sione da lui affidataci in maniera che ci sia dato di raggiungere il fine, che Egli ha di mira. E poiché "il bramare e schivare le cose medesime, questo è il pegno più fer­mo d'amicizia", siamo tenuti, come amici, a nutrire i medesimi sentimenti, che sono in Cristo Gesù, che è "santo, innocente, immaco­lato" (Eb 7,26): come suoi ambasciatori, dobbiamo conciliare gli uomini alla sua dottrina ed alla sua leg­ge, non senza osservarle prima noi stessi: come par­tecipi della sua autorità nel­l'alleggerire le anime dalle catene della colpa, conviene che poniamo ogni studio nel­l'evitare di caricarci noi di tali catene.

Ma più come suoi ministri nell'augusto sacrificio che, con perenne prodigio, si rinnova per la vita del mondo, dobbiamo avere la medesima disposizione di animo, con la quale Egli sull'altare della Croce si offrì Ostia immacolata a Dio.

Poiché, se in antico, quando non esiste­va che un'ombra e figura del vero sacrifi­zio, si esigeva nei sacri ministri tanta san­tità, quale non è giusto che si esiga, ora che la vittima è Cristo?

5. Due splendidi moniti di San Giovan­ni Crisostomo e di San Carlo Borromeo

"Quanto dunque non conviene che sia più puro chi fruisce di un tal sacrificio? Di quale raggio solare non deve essere più splendida la mano, che divide questa car­ne, la bocca che è saziata dal fuoco spiri­tuale, la lingua che rosseggia di questo sa­cramentissimo Sangue?".

Assai opportunamente San Carlo Bor­romeo nei discorsi al Clero così inculcava: "Se ci ricordassimo, dilettissimi fratelli, quante e quanto preziose cose abbia poste Dio nelle nostre mani, quale stimolo non sarebbe per noi questa considerazione a farci condurre una vita degna di ecclesia­stici! Che cosa non pose Iddio nelle mani, quando vi pose il proprio suo Figlio unige­nito, come Lui eterno ed a Lui eguale?

Nella mano mia pose i tesori suoi, tutti i Sacramenti e le Grazie: pose le anime che gli sono care come la pupilla e che nell'a­more preferì a se stesso, che redense con il suo Sangue; nelle mie mani pose il cielo che io posso aprire e chiudere agli altri...

Come mai dunque potrò io essere così ingrato a tanta degnazione ed amore da peccare contro di Lui, da offenderlo nel­l'onore, da inquinare questo Corpo che è suo, da macchiare questa dignità e questa vita al suo ossequio consacrata?".

IV AVVERTIMENTI DELLA CHIESA

6. Avvertimenti della Chiesa nel con­feriregli Ordini ai suoi Chierici

Ad ottenere nei suoi Sacerdoti questa santità di vita, la Chiesa mira con assidue e non mai interrotte cure. A tal fine furono istituiti i Seminari: dove, se coloro che co­stituiscono le speranze della Chiesa devono essere educati nelle lettere e nelle scien­ze, nello stesso tempo, tuttavia, e più an­cora lo devono essere sino dai più teneri anni ad una sincera pietà verso Dio.

Inoltre, nel mentre promuove i candi­dati ai gradi sacri con non brevi intervalli, non pone fine mai, come madre amorosa, alle esortazioni, che impartisce intorno al conseguimento della santità. Richiamia­moci queste tappe gioconde.

Non appena ci ascrisse nella sacra mili­zia, volle che dichiarassimo secondo il ri­to: "Il Signore è la porzione della mia ere­dità e del mio calice; tu sei quegli che a me restituirà la mia eredità" (Sal 16,5).

Con le quali parole, commenta san Gi­rolamo, si ammonisce "il chierico, affin­ché egli, che è parte del Signore o ha per sua parte il Signore, si diporti così che egli possegga il Signore e sia dal Signore pos­seduto".

Quanto gravi parole rivolge poi la Chie­sa ai novelli diaconi! Dovete considerare attentamente quale obbligo oggi di vostra spontanea volontà assumete; quando avre­te ricevuto quest'Ordine, non vi sarà più possibile di volgere indietro i passi; ma dovrete servire in perpetuo a Dio, e mante­nere, con la sua Grazia, la castità. E infine: se finora foste lontani alla Chiesa, d'ora in­nanzi dovete essere assidui; se finora foste sonnolenti, d'ora innanzi vigilanti...; Se fi­nora disonesti, d'ora innanzi casti... Riflet­tete di chi vi si affida il servizio!

Per i futuri consacrati così prega la Chiesa per mezzo del Vescovo: "Abbondi in essi la bellezza di ogni virtù, l'autorità modesta, la pudicizia costante, la ferma purità dell'innocenza e l'osservanza della spirituale disciplina. I suoi precetti ris­plendano nella loro vita, affinché dall'e­sempio della loro castità il popolo si ecciti a imitarli santamente".

Più commovente ancora è l'ammoni­zione rivolta a coloro che devono essere iniziati al sacerdozio: "Con grande timore a così alto grado si deve salire, ed allora bisogna accertar­si che una celeste sapienza, illibati costumi e lunga os­servanza della legge di Dio distinguano gli eletti a tale dignità... Sia il profumo della vostra vita diletto del­la Chiesa di Cristo, affinché con la parola e con l'esempio edifichiate la casa della fami­glia di Dio".

E più di ogni cosa ci sti­mola la grave sentenza, che si aggiunge: "Siate all'al­tezza di ciò che ammini­strate "; il che concorda col precetto di San Paolo: "Af­fine di rendere perfetto ogni uomo in Cristo Gesù" (Col 1,28).

7. Padri e Dottori confermano che il Sacerdote deve essere un cielo tersissimo

Poiché questa dunque è la mente della Chiesa riguardo alla vita sacerdotale, non potrebbe riuscire ad alcuno di meraviglia, che tale sia la consonanza delle voci dei Padri e dei Dottori intorno a questo punto così che sembrino peccare di ridondanza.

Ma, se con retto giudizio li osserviamo, ci apparirà evidente come altro non dicano che il vero e il giusto.

Il loro giudizio si può brevemente es­porre così: tanta differenza è tra il cielo e la terra; e quindi guardi bene il Sacerdote che la sua virtù non solo non sia tocca neppure dall'ombra delle più gravi colpe, ma nep­pure delle più lievi.

A tal riguardo il Concilio di Trento fece suo il pensiero, quando ammonì i chierici di fuggire anche i leggeri mancamenti, che in loro sarebbero massimi: massimi non già in sé, ma per ragione di chi li commet­te, al quale più ancora che all'edifizio sacro conviene quel detto: "Alla casa tua (o Si­gnore), si conviene la santità " (Sal 93,5).

San Pio X, 14 agosto 1908




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