Contemplazione ed azione: norme di vita del cristiano
Alla ricerca dei criteri fondamentali, che devono guidare
la vita dell’uomo, e che gli insegnamenti del Concilio hanno maggiormente
inculcato.
Noi ne troviamo uno comunissimo, perché ha tanta parte nel mondo
moderno, ma non per questo esso è meno originale e meno caratteristico nel
cristianesimo; e questo criterio è l’azione, è l’attività, è l’indirizzo
operativo, è il fare, l’operare, il lavorare; cioè l’impiego morale della
volontà.
L’uomo vale, potremmo dire alla fine dei conti, non tanto
per ciò che è, ma per ciò che fa.
È questo uno dei punti più chiari in cui la pedagogia del
Concilio s’incontra con l’atteggiamento generale dell’uomo moderno, ch’è quello
di compiere il massimo sforzo operativo per sviluppare se stesso, per conoscere
le cose che lo circondano, per dominarle e utilizzarle, per progredire
(Cfr. Gaudium et
Spes, 33). Il nostro tempo è volontarista.
Anche nella difesa della libertà e nell’oblio della
nozione del dovere, il nostro tempo tende all’intensità dell’azione, e misura
se stesso dall’impiego di forze umane e di energie naturali, e quindi dai
risultati prodotti dall’attività, resa scientifica ed utilitaria.
LA SCUOLA DEL VANGELO
Con altri procedimenti e per altri fini anche la scuola
del Vangelo, aggiornata nella coscienza e nei metodi, tende a fare dell’uomo un
attivista. Si può leggere il Vangelo in chiave di «azione». L’azione è
l’esplicazione cosciente e voluta dell’essere, la sua perfezione, la sua
felicità (Cfr. S. TH. 1, 89, 1; 1-2, 3, 2). Ricordate le parabole del Vangelo;
quella, ad esempio, dei vignaiuoli disoccupati: «Perché ve ne state tutto il
giorno oziosi?» (Matth. 20, 6), chiede il padre di famiglia in cerca di mano
d’opera per la sua vigna; o quella dei talenti, nella quale è punito colui che
si era limitato a custodire, senza trafficare il suo tesoro (Matth. 25, 25);
ovvero le famose parole del Signore: «Non chi dirà . . . . ma chi farà . . . .
entrerà nel regno dei cieli» (Matth. 7, 21; Luc. 11, 28). Tutto il Vangelo
è un trattato per lo sviluppo dell’uomo (quante volte ricorre la parabola del
seme!); e come l’annuncio liberatore del regno è tutto intessuto da doveri da
compiere, scegliendo la via stretta e difficile (Cfr. Matth. 7, 14), senza
retrocedere per stanchezza o per ostacoli (Cfr. Luc. 9, 62), fino, se
occorre, a dare la propria vita! (Io. 12, 25).
Il Vangelo non è affatto un codice
di facile esecuzione; esige sforzo e fedeltà.
NÉ QUIETISMO NÉ PIETISMO
Qui si potrebbero passare in rassegna i sistemi morali
rinunciatari allo sforzo personale per raggiungere la salvezza, nella erronea
convinzione che alla fede soltanto e soltanto alla grazia noi dobbiamo la
fortuna d’essere salvati, senza una positiva e sistematica disciplina morale,
quasi che la fede e la grazia, doni di Dio, vere cause della salute, non
esigessero una corrispondenza, una coerenza, una collaborazione libera e responsabile
da parte nostra, sia come concorrente condizione dell’opera salvatrice di Dio
in noi, e sia poi come conseguenza della rinascita operata dalla sua
misericordiosa azione soprannaturale. Né quietismo, né pietismo poi
interpretano la concezione morale del cristiano; e nemmeno la semplice
consuetudine passiva e tradizionale di certi precetti religiosi, o di certi
costumi convenzionali. Così pure si potrebbero ricordare i sistemi morali che
pretendono raggiungere una data efficienza operativa e morale, come il
pragmatismo utilitarista, e lo stoicismo che sotto l’aspetto d’un’insensibile
austerità nasconde la persuasione orgogliosa di bastare a se stesso, senza
l’umiltà della penitenza e della preghiera, e senza il ricorso all’unica fonte
di perfezione e di salvezza, che scaturisce dalla virtù redentrice di Cristo e
dalla bontà infinita di Dio.
Non sono questioni antiquate, perché sopravvivono nella
perenne problematica teologica e morale della nostra inserzione nel piano
divino della rivelazione e dei rapporti che ne derivano, specialmente circa
l’esistenza e l’impiego della nostra libertà.
Ma oggi la questione del nostro attivismo cristiano si
presenta ordinariamente in altri termini.
Accenniamo appena a titolo di
esempio. Non siamo noi forse assaliti da una grande tentazione di pigrizia
morale, che vulnera nella sua intima nervatura la voglia e la capacità di dare
alla vita cristiana un orientamento volontarista, sia personale che operativo?
Di consacrarla ad un ideale, che tragga dall’assoluto la sua forza impegnativa?
Perché? Noi siamo come asfissiati dal dubbio; un dubbio sistematico e negativo,
quasi mai di vera ricerca, ma piuttosto di disimpegno e di demolizione, di
riduzione al minimo delle certezze della fede e dell’obbedienza all’istituzione
ecclesiale, di secolarizzazione, non solo di tanti campi specifici propri della
competenza della ragione umana e dell’ordine naturale, ma di tutto il pensiero
e quindi di tutto il comportamento pratico e sociale. Sopravvivono formule
operative nominaliste, che non osano quasi documentarsi di propri principi. Non
si ha più voglia alcuna di affermare, di militare per la propria fede e per le
proprie idee. È la credibilità della dottrina e della disciplina della Chiesa,
che anche nel settore religioso spesso è posta in questione. Si nasconde spesso
questa carenza di pensiero e di volontà con termini equivoci: il pluralismo, la
liberazione, l’autonomia della coscienza, la moralità nuova e permissiva, la
trasformazione continua del mondo contemporaneo, la scoperta d’un nuovo
sistema, ecc.
APPLICARE IL CONCILIO
Fratelli e Figli carissimi! Non è con questi tortuosi
atteggiamenti che potremo rinnovare la nostra vita morale e religiosa. Non è
così che daremo al Concilio la sua autentica interpretazione e la sua feconda
applicazione. Noi ci rivolgiamo perciò ai Fedeli, che aspirano a realizzare la
vita cristiana in modo vivo, nuovo, positivo, costruttivo. E li invitiamo
ancora a infondere nella loro fede soggettiva quello sforzo umile ed energico
che implora la fede stessa come dono di Dio, come il suo dono primario: ecco
allora la fede che sale cercando, la fede che scende dalla voce dello Spirito
Santo, dalla sua testimonianza interiore (Cfr. Rom. 8, 16), e che
s’incontrano e scoccano in scintilla di luce e di gaudio là dove la Chiesa
maestra aggiunge la sua testimonianza autorizzata (Cfr. Act. 1, 8) e
conferma: sì, questa è la Verità rivelata, la Verità a cui si può, senza
pericolo di delusione finale, consacrare la vita.
Li invitiamo all’antico binomio, che tutto pervade
l’esperienza e la storia del nostro cattolicesimo: contemplazione ed azione. E
li esortiamo, non con parole Nostre, ma con quelle dell’Apostolo Paolo alla
nascente e già travagliata comunità cristiana di Corinto: «Diletti Fratelli,
siate stabili, incrollabili, abbondando sempre nell’opera del Signore, sapendo
che la vostra fatica non è vana nel Signore» (1 Cor. 15, 58).
Così, così, con la
Nostra Benedizione Apostolica.
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