Ottantacinque ben portati. Nel senso di ben vissuti e ancora ben vivibili, per sua stessa ammissione. Con raffinata autoironia, Benedetto XVI, nel suo discorso al Bundestag di Berlino, nel settembre 2011, aveva fatto cenno al fatto che alla sua età il cervello è ancora in grado di funzionare bene: "Il grande teorico del positivismo giuridico, Kelsen, all’età di ottantaquattro anni – nel 1965 – abbandonò il dualismo di essere e dover essere. (Mi consola il fatto che, evidentemente, a ottantaquattro anni si sia ancora in grado di pensare qualcosa di ragionevole)". Con apparente nonchalance, il 28 marzo scorso, durante il colloquio con Fidel Castro, aveva lasciato cadere una considerazione sulla sua età e sulle energie che lo animano, sgonfiando così il gossip sulle sue imminenti dimissioni: "È vero, sono anziano, ma posso fare ancora il mio dovere al servizio della Chiesa".
Il 16 aprile 2012 Joseph Ratzinger ha compiuto ottantacinque anni, il 19 aprile 2012 Benedetto XVI ha iniziato il suo ottavo anno di Pontificato.
Le sue prime parole da Pontefice, nel 2005 furono: "Cari fratelli e sorelle, dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti".
In occasione degli ottantacinque anni di questo "semplice e umile lavoratore", diventato il Papa più longevo dall’inizio del Novecento, sono usciti tre libri: uno in omaggio alla sua “semplicità”, uno alla sua “umiltà”, il terzo contiene una testimonianza diretta del suo “lavoro”. I tre autori non si sono messi d’accordo, ma quando è naturale l’accordo suona meglio.
Il libro sul “lavoratore” è curato dall’uomo che è fisicamente più vicino al “Papa al lavoro”, il suo segretario personale mons. Georg Gänswein. È uscito in Germania, ne sono autori venti tedeschi famosi, nella politica, nella cultura, nell’economia e nello sport, cattolici e non, invitati a dire la loro sul connazionale che tutti li supera in fama e importanza. "Benedikt XVI. Prominente über den Papst" (Benedetto XVI. Personaggi famosi sul Papa) raccoglie i loro interventi, c’è anche quello di Franz Beckenbauer, mons. Gänswein ne ha curato l’edizione, scritto l’introduzione e, soprattutto, il suo personale itratto di Papa Ratzinger. Don Georg, così ancora lo chiamano nonostante il titolo di monsignore, il dottorato in teologia e la docenza in diritto canonico, ne parla come di un "modesto dono di compleanno" e ci tiene a "sottolineare espressamente che quest’opera non è un lavoro compiacente commissionato 'dall’alto'. Gli autori non hanno ricevuto nessuna indicazione, tutti hanno avuto piena libertà di dire la loro". L’unica indicazione, scrive nell’introduzione, riflette una richiesta pubblica che il Papa ha fatto già per un suo libro, il "Gesù di Nazaret", "quell’anticipo di simpatia, senza il quale non c’è alcuna comprensione". "Il Papa delle parole" che riflette e fa riflettere, il "Papa teologo più che uomo dei grandi gesti" che ha a cuore "il rapporto tra fede e ragione, tra religione e rinuncia alla violenza», ha, secondo don Georg, un unico programma: "Riaffermare con forza e chiarezza il nocciolo delle fede cattolica: l’amore di Dio per l’uomo che trova nella morte in croce di Gesù e nella sua resurrezione l’espressione insuperabile".
Su questa semplicità ultima, posta al centro della politica ecclesiale di Benedetto XVI, si sofferma l’autore del secondo libro, il cardinale svizzero Kurt Koch, già vescovo di Basilea e presidente della Conferenza Episcopale del suo paese, e ora del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e della Commissione per le relazioni religiose con gli ebrei. Come altri cardinali legati a Benedetto XVI, anche Koch è allievo di Hans Urs von Balthasar, il gigante della teologia del Novecento, di cui Joseph Ratzinger fu studioso e amico. Ne "Il mistero del granello di senape" (Lindau), Koch introduce alla conoscenza del pensiero teologico di Joseph Ratzinger a partire da una sua affermazione: "Il semplice è il vero ed il vero è semplice". Per Benedetto XVI, ha detto il cardinale presentando il suo libro lo scorso 16 aprile al Centro internazionale di Comunione e Liberazione, "la teologia cristiana proprio oggi deve tornare alle basi elementari della fede. Teologia e annuncio non possono avere nessun altro obiettivo se non quello di condurre continuamente proprio a questa elementarità". Per spiegare come la teologia sia un pensiero "che viene dopo" (il pensatore fa precedere il pensiero alla parola, per il teologo è il contrario, la parola precede il pensiero), Koch fa parlare ancora Papa Ratzinger: "La teologia presuppone un nuovo inizio nel pensiero, che non è il prodotto della nostra riflessione, ma che proviene dall’incontro con una Parola che sempre ci precede". Questo perché la teologia antepone a se stessa l’autorità, l’evento della rivelazione, la vita della fede. È sempre Joseph Ratzinger a spiegare che "una Chiesa senza teologia s’impoverisce e diventa cieca; ma una teologia senza Chiesa si dissolve nel possibilismo". Per Koch, quindi, non è la teologia il criterio dell’annuncio, ma l’annuncio il criterio della teologia, perché "il bene principale di cui è responsabile la Chiesa è la fede delle persone semplici", ammonisce citando ancora il Papa, e i teologi farebbero bene a ricordarlo. In questa logica, e con qualche sorpresa per chi è fermo all’immagine del “Panzer Kardinal”, la teologia di Benedetto XVI riserva un posto preminente e particolare ai Santi e all’arte: strettamente imparentati tra loro nella profondità della fede, sono i due argomenti a cui potrebbe limitarsi "l’unica vera apologia del cristianesimo".
Il terzo libro segnala la virtù fondamentale della teologia e della personalità del Papa. "Benedetta umiltà" (anch’esso pubblicato da Lindau) di Andrea Monda non è l’opera di un teologo, ma di un laureato in Giurisprudenza che ha lasciato il posto da funzionario di banca per studiare alla Gregoriana e insegnare religione in un liceo classico di Roma. A questa passione unisce quella di scrivere saggi, brevi per i giornali e più corposi per le librerie. Monda ha avuto la fortuna di incontrare personalmente Benedetto XVI quando era ancora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e di discutere con lui di letteratura inglese, in specie di Lewis e Chesterton, scoprendo come il futuro Papa li conoscesse meglio di lui che se ne considera uno specialista. "Il card. Ratzinger – ricorda Monda – condusse il dialogo con l’umiltà di chi non vuole mettere a disagio il suo interlocutore né apparire a lui superiore". Nel suo libro Monda scava nei gesti e nelle parole del Papa alla ricerca di questa virtù misteriosa e indicibile, ché appena dici di averla la perdi, e ne evidenzia la parentela con l’umorismo, dote anche questa insospettabile, celata, ma non aliena a Benedetto XVI. Dopo aver fatto notare al lettore che umiltà, umorismo e umanità hanno radice etimologica nel latino “humus” (terra), Monda osa parlare della “leggerezza” del Papa. Se lo può permettere perché autorizzato, in qualche modo dal Papa stesso, il quale, intervistato da una televisione tedesca, alla domanda su quale ruolo abbiano nella vita di un Pontefice "lo humor e la leggerezza dell’essere", rispose: "Io non sono uno a cui vengano in mente continuamente barzellette. (…) Saper vedere anche l’aspetto divertente della vita e la sua dimensione gioiosa e non prendere tutto così tragicamente, questo lo considero molto importante e direi che è anche necessario per il mio ministero. Un qualche scrittore aveva detto che gli angeli possono volare perché non si prendono troppo sul serio. E noi forse potremmo anche volare un po’ di più se non ci dessimo tanta importanza". Il “qualche scrittore” era Gilbert Keith Chesterton, che diceva: "Gli angeli possono volare perché portano se stessi leggermente", e aggiungeva: "Satana è caduto per la forza di gravità".
17 agosto 2012
Ubaldo Casotto, Tempi
Su questa semplicità ultima, posta al centro della politica ecclesiale di Benedetto XVI, si sofferma l’autore del secondo libro, il cardinale svizzero Kurt Koch, già vescovo di Basilea e presidente della Conferenza Episcopale del suo paese, e ora del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e della Commissione per le relazioni religiose con gli ebrei. Come altri cardinali legati a Benedetto XVI, anche Koch è allievo di Hans Urs von Balthasar, il gigante della teologia del Novecento, di cui Joseph Ratzinger fu studioso e amico. Ne "Il mistero del granello di senape" (Lindau), Koch introduce alla conoscenza del pensiero teologico di Joseph Ratzinger a partire da una sua affermazione: "Il semplice è il vero ed il vero è semplice". Per Benedetto XVI, ha detto il cardinale presentando il suo libro lo scorso 16 aprile al Centro internazionale di Comunione e Liberazione, "la teologia cristiana proprio oggi deve tornare alle basi elementari della fede. Teologia e annuncio non possono avere nessun altro obiettivo se non quello di condurre continuamente proprio a questa elementarità". Per spiegare come la teologia sia un pensiero "che viene dopo" (il pensatore fa precedere il pensiero alla parola, per il teologo è il contrario, la parola precede il pensiero), Koch fa parlare ancora Papa Ratzinger: "La teologia presuppone un nuovo inizio nel pensiero, che non è il prodotto della nostra riflessione, ma che proviene dall’incontro con una Parola che sempre ci precede". Questo perché la teologia antepone a se stessa l’autorità, l’evento della rivelazione, la vita della fede. È sempre Joseph Ratzinger a spiegare che "una Chiesa senza teologia s’impoverisce e diventa cieca; ma una teologia senza Chiesa si dissolve nel possibilismo". Per Koch, quindi, non è la teologia il criterio dell’annuncio, ma l’annuncio il criterio della teologia, perché "il bene principale di cui è responsabile la Chiesa è la fede delle persone semplici", ammonisce citando ancora il Papa, e i teologi farebbero bene a ricordarlo. In questa logica, e con qualche sorpresa per chi è fermo all’immagine del “Panzer Kardinal”, la teologia di Benedetto XVI riserva un posto preminente e particolare ai Santi e all’arte: strettamente imparentati tra loro nella profondità della fede, sono i due argomenti a cui potrebbe limitarsi "l’unica vera apologia del cristianesimo".
Il terzo libro segnala la virtù fondamentale della teologia e della personalità del Papa. "Benedetta umiltà" (anch’esso pubblicato da Lindau) di Andrea Monda non è l’opera di un teologo, ma di un laureato in Giurisprudenza che ha lasciato il posto da funzionario di banca per studiare alla Gregoriana e insegnare religione in un liceo classico di Roma. A questa passione unisce quella di scrivere saggi, brevi per i giornali e più corposi per le librerie. Monda ha avuto la fortuna di incontrare personalmente Benedetto XVI quando era ancora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e di discutere con lui di letteratura inglese, in specie di Lewis e Chesterton, scoprendo come il futuro Papa li conoscesse meglio di lui che se ne considera uno specialista. "Il card. Ratzinger – ricorda Monda – condusse il dialogo con l’umiltà di chi non vuole mettere a disagio il suo interlocutore né apparire a lui superiore". Nel suo libro Monda scava nei gesti e nelle parole del Papa alla ricerca di questa virtù misteriosa e indicibile, ché appena dici di averla la perdi, e ne evidenzia la parentela con l’umorismo, dote anche questa insospettabile, celata, ma non aliena a Benedetto XVI. Dopo aver fatto notare al lettore che umiltà, umorismo e umanità hanno radice etimologica nel latino “humus” (terra), Monda osa parlare della “leggerezza” del Papa. Se lo può permettere perché autorizzato, in qualche modo dal Papa stesso, il quale, intervistato da una televisione tedesca, alla domanda su quale ruolo abbiano nella vita di un Pontefice "lo humor e la leggerezza dell’essere", rispose: "Io non sono uno a cui vengano in mente continuamente barzellette. (…) Saper vedere anche l’aspetto divertente della vita e la sua dimensione gioiosa e non prendere tutto così tragicamente, questo lo considero molto importante e direi che è anche necessario per il mio ministero. Un qualche scrittore aveva detto che gli angeli possono volare perché non si prendono troppo sul serio. E noi forse potremmo anche volare un po’ di più se non ci dessimo tanta importanza". Il “qualche scrittore” era Gilbert Keith Chesterton, che diceva: "Gli angeli possono volare perché portano se stessi leggermente", e aggiungeva: "Satana è caduto per la forza di gravità".
17 agosto 2012
Ubaldo Casotto, Tempi
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