"Nell’estate del 1480 una flotta turca, inviata da Maometto II e comandata da Acmet Pascià, si affacciò sul mare di Otranto con l’intento di occupare la città e di aprire così la strada alle truppe ottomane per la conquista del regno di Napoli. L’assedio di Otranto durò 15 giorni, precisamente dal 28 luglio all’11 agosto. Acmet Pascià tento tutti i mezzi per indurre gli Otrantini ad arrendersi. Ma alle lusinghe e minacce del capitano turco, i cittadini di Otranto risposero con la sfida: «Se il Pascià vuole Otranto, venga a prenderla con le armi, perché dietro le mura ci sono i petti dei cittadini». Ladislao De Marco, uno degli Otrantini, gettò in mare le chiavi delle due porte della città; Acmet rispose con una serie di bombardamenti che ridussero le mura e gli edifici ad un cumulo di macerie sotto l’immane urto delle palle di pietra viva (alcune del peso di sei quintali e mezzo). Apertosi il varco tra i ruderi, i turchi irruppero in città. Le case vennero occupate sistematicamente, una per una, saccheggiate e poi date alle fiamme. I cittadini, terrorizzati e senza difesa, fuggirono a piccoli gruppi verso il centro della città. I malcapitati raggiunti per le strade o nelle case vennero massacrati senza pietà; i più fortunati trovarono rifugio in Cattedrale. Ma neanche questo luogo fu risparmiato dalla violenza: i turchi irruppero nella casa di Dio, uccidendo i sacerdoti e lo stesso arcivescovo, l’ottantaquattrenne Stefano Pendinelli, proprio mentre celebravano la S. Messa e distribuivano l’Eucaristia al popolo sgomento.
IL MARTIRIO
Dopo l'assedio e l'eccidio della città di Otranto, Acmet Pascià ordinò che tutti gli uomini validi, da quindici anni in su, fossero condotti alla sua presenza. Erano 813. Servendosi di un interprete, Acmet intimò loro di rinnegare la fede cristiana ed abbracciare il maomettanesimo: se avessero fatto ciò, avrebbe accordato loro vita, sostanze e ogni bene; in caso contrario li avrebbe fatti trucidare. Uno degli Otrantini, un cimatore di panni, Antonio Pezzulla, chiamato Primaldo o Grimaldo, rispose per tutti: «Noi crediamo in Gesù Cristo, Figlio di Dio; e per Gesù Cristo siamo pronti a morire». E, rivolta ai suoi concittadini, gridò: «Fratelli miei fino ad oggi abbiamo combattuto per defensione della patria e salvare la vita e per li signori nostri temporali; ora è tempo che combattiamo per salvare l’anime nostre, per il nostro Signore, quale essendo morto per noi in croce conviene che noi moriamo per esso, stando saldi e costanti nella fede» (dalla Historia di Giovanni Michele Lagetto). «E si sentì un mormorio tra di loro, per lo spazio di circa un’ora, mentre si esortavano a vicenda e dicevano: moriamo per Cristo, moriamo volentieri per non rinnegare la Fede in Lui» (dalla descrizione di Pietro Colonna, detto il Galatino, testimone oculare). Acmet concesse altro tempo per farli riflettere meglio sulla loro decisione. Ma il tempo valse a rafforzare il proposito di quei magnanimi confessori della fede.
Tre giorni dopo l’occupazione della città, il 14 Agosto, gli «Ottocento» furono incatenati con le braccia legate dietro la schiena, suddivisi in gruppi da cinquanta, denudati e, dietro ordine di Acmet, condotti per la via ora chiamata della «Madonna del Passio», sul colle della Minerva. «essi andavano – dice il Lagetto – allegramente confortandosi a pigliar pazientemente il martirio». Su quel colle, Acmet rinnovò agli Otrantini il dilemma: rinnegare Cristo o perdere la vita. Ma essi vedevano già «il cielo aperto e quelli spiriti aspettando con grande allegrezza riceverli» . Vollero tutti morire e Acmet non risparmiò nessuno.
Il primo ad essere decapitato fu Antonio Primaldo. Il cimatore di panni piegò il capo sul sasso. Seguì un colpo, secco: la testa rotolò per terra, ma il resto del corpo, prodigiosamente, si levò in piedi e restò immobile ( nonostante gli sforzi dei Turchi di piegarlo), ritto, sino alla fine della strage. Quel miracolo giovò ad uno dei carnefici: Berlabei. Come attestano quattro testimoni oculari nel Processo di beatificazione dei martiri di Otranto, Berlabei gettò via la scimitarra, si confessò cristiano e sostenne, impavido, l’orribile supplizio del palo".
(Tratto liberamente da Otranto 1480: secondo centenario della beatificazione dei martiri idruntini. Otranto 21-24 ottobre 1971)
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