venerdì 21 settembre 2012

Benedetto XVI, l’uomo che non si tira indietro.

In Libano, la sola presenza del Papa ha avuto un forte impatto psicologico. Proviamo ad esaminare questo coraggio fisico, intellettuale e spirituale.

All’indomani della visita di Benedetto XVI a Beirut, in Libano, dove mi trovavo per La Vie, ricorreva una frase, come un Leitmotiv, sulla bocca di coloro ai quali avevo chiesto un bilancio, dal diplomatico ai vertici della Chiesa, passando per la madre di famiglia venuta ad assistere alla messa papale sotto un sole cocente: “Lui è venuto, senza paura e senza tirarsi indietro.”

Fino alla vigilia del viaggio persistevano i timori sulla sua fattibilità. La determinazione di Benedetto XVI era nota, ma la questione cruciale era quella della sicurezza. Con la guerra civile in Siria e le sue ripercussioni sul Libano, alcuni non vi hanno veramente creduto che nel vederlo apparire sulla passerella dell’aereo.

L’impatto psicologico di questo viaggio, in un contesto di così grande tensione, è immenso. Il fatto che il Papa sia venuto in carne e ossa è una fonte di speranza difficile da immaginare in Francia. Laggiù è stato vissuto come un evento nazionale, una vera festa in questo paese dove la gente di solito vive in apnea, temendo una ripresa del conflitti tra diverse comunità. Ma il benessere psicologico si era esteso anche ai poveri che erano tra i primi ad affluire. Penso ad Editha, una cattolica filippina di Mindanao incontrata a Messa. “Faccio la governante dai libanesi. Sono qui per sostenere la mia famiglia, da sei anni non vedo i miei quattro figli. Il mio figlio più giovane aveva un anno quando sono partita. La partecipazione alla Messa del Papa è stata un balsamo per il mio cuore “.

Joseph Ratzinger non è uomo da tirarsi indietro. Verso la fine degli anni ’50, quando la sua tesi viene “ritoccata” da un professore “maldestro” e la sua carriera da intellettuale è in pericolo, lui, semplicemente, aggira l’ostacolo riprendendo il suo lavoro da una prospettiva diversa, rendendolo inattaccabile. Dal 1982, in qualità di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, i media lo hanno trasformato in una figura negativa dell’istituzione. Altri ne avrebbero risentito pesantemente… Ma lui, modesto, continua a compiere la sua mansione, senza preoccuparsi della sua immagine.

A partire dall’anno 2000, Ratzinger è ben consapevole della mole di lavoro che lo attende in qualità di “rassettatore” dei disordini dei teologi ribelli, in quanto sulla sua scrivania si sono accumulati i dossier sui crimini di pedofilia di un certo numero di sacerdoti. Se, in quel momento, è l’ora dell’omertà (l’entourage di Papa Giovanni Paolo II, non vuole esporre pubblicamente alcune figure, tra cui Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo), il Cardinale Prefetto è cosciente della bomba ad effetto ritardato. Verso la fine della vita di Giovanni Paolo II, approfitta di un’occasione per lanciare pubblicamente un allarme sulla sporcizia dei preti, il Venerdì Santo durante la Via Crucis. Mai un Cardinale della Curia era arrivato al punto di rompere un tabù rivelando davanti all’istituzione il suo lato oscuro.

Non si tirerà indietro quando sarà eletto papa a 78 anni. Il messaggio generale è chiaro: “Joseph, apparentemente sei l’unico a conoscere l’entità del disastro. Ebbene, fai le pulizie per noi, per favore.” Mica scemi questi cardinali….E Joseph lo farà con tutto se stesso.

Non si tirerà indietro sulla questione orientale. Avviare un sinodo sul Medio Oriente non è mai stato un compito facile, data la complessità delle Chiese cattoliche profondamente divise fra di loro, e il contesto dell’area. In realtà, l’Oriente non è veramente il campo di competenza del teologo Ratzinger. Ma che importa… Il Papa avvierà la dinamica del Sinodo 2010, che ha raggiunto il suo culmine a Beirut la scorsa settimana.

Il coraggio fisico. Il suo programma, concentrato in 60 ore, è stato molto denso. Durante le sue apparizioni in pubblico, Benedetto XVI ha patito un calore infernale sotto l’occhio permanente delle telecamere… Ha rivolto il suo sguardo e la sua attenzione a centinaia di laici o di prelati orientali in fila per salutarlo, si è concentrato sui “politici” (laici o ecclesiastici) durante le interviste private, dove la minima parola sbagliata può avere conseguenze nefaste. A 85 anni, è una grande prestazione. L’uomo è diventato fragile, a volte si muove con un bastone per tenersi in equilibrio, ma chi recentemente ha potuto avvicinarlo deve ammettere che la sua memoria e il suo umorismo sono folgoranti.

In Libano, il Papa ha pubblicato il testo della sua esortazione post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente, vera tabella di marcia per il futuro. Non ha affatto esitato a esortare i cristiani orientali a non prendere delle strade sbagliate in alcuni campi. Ad esempio, il testo si dilunga molto sull’origine ebraica del cristianesimo. Ora, in Medio Oriente il conflitto israelo-palestinese è nella mente di tutti.

Sottolineare quindi l’importanza del giudaismo è un atto coraggioso. Questa è la prova che Roma, attraverso il Papa, è apportatrice di alterità e riapre le ferite per meglio sanarle. Senza dubbio qui si trova l’essenza del ministero petrino.

L’altro elemento “anti-demagogia” dell’Esortazione sta nel discorso di Benedetto XVI sulla laicità. In effetti dal punto di vista orientale la laicità è una mostruosità, la malattia di origine francese che contaminato l’Occidente conducendolo a spezzare i legami con Dio (e ciò spiega il fatto che le potenze occidentali ormai si disinteressano della sorte dei cristiani d’Oriente). Ma Benedetto XVI spiega il concetto. “La sana laicità, al contrario, significa liberare la religione dal peso della politica e arricchire la politica con gli apporti della religione, mantenendo la necessaria distanza, la chiara distinzione e l’indispensabile collaborazione tra le due. […] Una tale laicità sana garantisce alla politica di operare senza strumentalizzare la religione, e alla religione di vivere liberamente senza appesantirsi con la politica dettata dall’interesse, e qualche volta poco conforme, o addirittura contraria, alle credenze religiose.” Un discorso che percuote, in Oriente, le molteplici confusioni tra religione e politica.

A Beirut, il Papa ha impiegato parole provocanti per richiamare alla pace, evocando l’urgenza del perdono e della conversione del cuore, di fronte alle autorità politiche e religiose: “Dobbiamo essere ben coscienti che il male non è una forza anonima che agisce nel mondo in modo impersonale o deterministico. Il male, il demonio, passa attraverso la libertà umana, attraverso l’uso della nostra libertà. Cerca un alleato, l’uomo. Il male ha bisogno di lui per diffondersi. […] Ma è possibile non lasciarsi vincere dal male e vincere il male con il bene. È a questa conversione del cuore che siamo chiamati. […] Questa conversione richiesta è esaltante perché apre delle possibilità facendo appello alle innumerevoli risorse che abitano il cuore di tanti uomini e donne desiderosi di vivere in pace e pronti ad impegnarsi per la pace. Ora essa è particolarmente esigente: si tratta di dire no alla vendetta, di riconoscere i propri torti, di accettare le scuse senza cercarle, e infine di perdonare. Perché solo il perdono dato e ricevuto pone le fondamenta durevoli della riconciliazione e della pace per tutti”.

Tante parole che possono scivolare come l’acqua su una tela cerata nelle nostre società europee dove non abbiamo conosciuto la guerra civile, le famiglie decimate dai bombardamenti, la paura di essere rapiti e di sparire (e che oggi è ancora una paura reale)… Ma laggiù? “Parlare di perdono non è così evidente per libanesi o siriani. È molto duro accettare il fatto che l’uccisore di un membro della propria famiglia sia un fratello da amare” mi spiegava, il giorno successivo alla partenza del papa, il padre gesuita Samir Khalil Samir. Il perdono delle offese e la conversione del cuore rappresentano per ciascuno una sfida tanto più grande quanto la cultura mediterranea è segnata dalla forza della soggezione al clan religioso o famigliare, dalla logica della vendetta, dal codice d’onore. I libanesi, in particolare, restano prigionieri di una paura fondamentale, ancorata nei loro corpi.

Una “conversione particolarmente esigente”? L’invito non si limita al Medio Oriente, echeggia tutto quello che il papa dice da sette anni e si collocherà al centro dell’anno della fede, che comincia tra alcune settimane. Profeta in Libano con la sua parola e il suo corpo, Benedetto XVI è sempre più il papa della libertà interiore.

Fonte: Jean Mercier – La Vie


 

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