domenica 27 ottobre 2013

Papa Paolo VI, sulla vita comoda e la vita cristiana - Udienza generale, 5 aprile 1967

La vita comoda, la vita libera, la vita pacifica costituisce il tipo migliore di esistenza, a cui rivolgere aspirazione e ammirazione. Un edonismo fondamentale ispira la filosofia pratica d’ogni individuo. Il benessere gaudente e incurante sembra il vertice delle umane ascensioni. E anche quando si ammette come nobile e necessario lo sforzo, il coraggio, il rischio, non esclusa la lotta, unta tendenza si nota, quella di eliminare il fine (se non il carattere) morale d’un’attività combattiva: si parla di morale senza peccato, si cerca di giustificare ogni sorta di azioni in sede psicologica e sociologica; non si vuole il combattimento né contro il demonio, di cui si nega l’esistenza; né contro il mondo, di cui si celebrano i valori fascinatori; né contro la carne, diventata l’idolo del piacere e della libera esperienza.

Non così la vita cristiana. Essa continua ad asserire la necessità d’un conflitto morale implacabile. Voi tutti, Noi pensiamo, avete rinnovato, in occasione della Pasqua, le rinunce e le promesse battesimali; e tutti ricordate gli insegnamenti di Cristo, il quale non tace l’asprezza della sua sequela, che esige di portare la croce con Lui, e che, per la voce dell’Apostolo, ci ammonisce: «Non vogliate conformarvi alla vita del secolo» (Rom. 12, 2); e «Non sarà coronato se non colui che avrà combattuto come si deve» (2 Tim. 2, 5). Questa concezione militante della vita cristiana è molto importante, perché la caratterizza, la distingue, la tonifica in modo inalienabile e originale. Ogni cristiano è un soldato dello spirito, è un aspirante alla santità, è un impegnato alla testimonianza.

E donde viene l’ostacolo, che obbliga il cristiano alla resistenza? L’ostacolo è molteplice [...] Ma nella frase dell’evangelista Giovanni, che stiamo commentando, l’ostacolo, contro il quale dobbiamo combattere, è un altro: è il «mondo». E qui dovremo fare attenzione al molteplice significato di questo termine, che nel linguaggio di Cristo, riferito dallo stesso evangelista, assume spesso un significato negativo e malefico.

Mondo può significare il creato, il cosmo: è questo l’immenso universo della creazione, che non avremo mai finito di conoscere e di scoprire, e che può magnificamente servire come scala alla scoperta di Dio (cf. Act. 17, 27) [...] E mondo può significare l’umanità. È il senso considerato dal Concilio (cf. Gaudium et spes, 2), teatro del dramma umano, devastato dal peccato, ma amato e virtualmente salvato da Dio e da Cristo. «Così Dio ha amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia la vita eterna» (Io. 3, 16). È il campo umano in cui si svolge la storia della salvezza.

Ma vi è un terzo significato del termine «mondo»; ed è il significato cattivo e ostile. Il mondo, in questo senso, è ancora l’umanità, ma quella resa schiava del mistero del male; è la negazione e la ribellione al regno di Dio; è la coalizione delle false virtù, rese tristemente potenti dal loro affrancamento dal fine supremo; è in pratica una concezione della vita deliberatamente cieca sul suo vero destino, e sorda alla vocazione dell’incontro con Dio; uno spirito egocentrista, drogato di piacere, di fatuità, d’incapacità di vero amore. Ed è, tutto sommato, la «fascinatio nugacitatis» (Sap. 4, 12) la seduzione dei valori effimeri e inadeguati alle aspirazioni profonde ed essenziali dell’uomo; una seduzione, che incontriamo ad ogni passo della nostra esperienza temporale, e che ci può essere fatale. Analisi e riflessione da continuare.

Per superarla, diciamo ora, questa seduzione, di che cosa disponiamo? Disponiamo della fede, della sicurezza cioè che Cristo è veramente il Figlio di Dio, e che la concezione della vita che da ciò deriva è vittoriosa di questa terribile insidia. 

Paolo VI, Udienza generale, 5 aprile 1967


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