giovedì 27 febbraio 2014

Papa Benedetto XVI, sempre nei nostri cuori!



"Quando, il 19 aprile di quasi otto anni fa, ho accettato di assumere il ministero petrino, ho avuto ferma questa certezza che mi ha sempre accompagnato. 
In quel momento, come ho già espresso più volte, le parole che sono risuonate nel mio cuore sono state: Signore, che cosa mi chiedi? 
E’ un peso grande quello che mi poni sulle spalle, ma se Tu me lo chiedi, sulla tua parola getterò le reti, sicuro che Tu mi guiderai. E il Signore mi ha veramente guidato, mi è stato vicino, ho potuto percepire quotidianamente la sua presenza. 
E’ stato un tratto di cammino della Chiesa che ha avuto momenti di gioia e di luce, ma anche momenti non facili; mi sono sentito come san Pietro con gli Apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa e il Signore sembrava dormire. 
Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua e non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. 
Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare. Ed è per questo che oggi il mio cuore è colmo di ringraziamento a Dio perché non ha fatto mai mancare a tutta la Chiesa e anche a me la sua consolazione, la sua luce, il suo amore".

(papa Benedetto XVI, Ultima udienza del 27 febbraio 2013)



"Da quel 19 aprile 2005, giorno della mia elezione, ho capito di essere impegnato sempre e per sempre dal Signore. Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy.
Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata. Ho potuto sperimentare, e lo sperimento precisamente ora, che uno riceve la vita proprio quando la dona. Prima ho detto che molte persone che amano il Signore amano anche il Successore di san Pietro e sono affezionate a lui; che il Papa ha veramente fratelli e sorelle, figli e figlie in tutto il mondo, e che si sente al sicuro nell’abbraccio della vostra comunione; perché non appartiene più a se stesso, appartiene a tutti e tutti appartengono a lui.
Il sempre è anche un per sempre - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera.
Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro".

(Benedetto XVI, Ultima udienza del 27 febbraio 2013)



"In un mondo in cui la menzogna è potente, la verità si paga con la sofferenza. Chi vuole schivare la sofferenza, tenerla lontana da sé, tiene lontana la vita stessa e la sua grandezza; non può essere servitore della verità e così servitore della fede. Non c’è amore senza sofferenza, senza la sofferenza della rinuncia a se stessi, della trasformazione e purificazione dell’io per la vera libertà. Là dove non c’è niente che valga che per esso si soffra, anche la stessa vita perde il suo valore."

Papa Benedetto XVI


TVB


lunedì 24 febbraio 2014

"Istruzioni spirituali" - Eckhart von Hochheim

«La vera e perfetta obbedienza é una virtù che supera tutte le altre, né alcuna opera, per grande che sia, può avvenire o essere realizzata senza questa virtù; d’altra parte, per quanto piccola e minima sia un’opera, essa è più utilmente compiuta nella vera obbedienza – sia ciò dire o ascoltare la messa, pregare, contemplare, o qualsiasi altra cosa. Prendi pure un’opera, piccola quanto vuoi: la vera obbedienza la rende migliore e più nobile.
L’obbedienza realizza sempre il meglio in ogni cosa. In verità, l’obbedienza non fuorvia mai e non ostacola nulla, qualsiasi cosa si faccia, in tutto ciò che procede dalla vera obbedienza, giacché essa non trascura alcun bene. Mai l’obbedienza deve mostrarsi inquieta, nessun bene le manca. Quando l’uomo rinuncia a se stesso nell’obbedienza ed esce da se stesso, Dio é obbligato ad entrare in lui, perché se questo uomo non vuole nulla per se stesso, Dio deve volere per lui nell’identico modo che per se stesso.
Quando io mi spoglio della mia volontà per mettermi nelle mani del mio superiore senza volere più nulla per me stesso, bisogna che Dio voglia per me: se mi trascura, egli trascura se stesso. Così è sempre: quando io non voglio nulla per me, Dio vuole al mio posto.
Ma fate attenzione: che cosa vuole Dio per me, quando io non voglio nulla per me? Se io ho rinunciato a me stesso, bisogna necessariamente che egli voglia per me ciò che vuole per se stesso, nel preciso identico modo e né più né meno di ciò che vuole per se stesso. Se Dio non agisse così, per la verità che lui è, Dio non sarebbe giusto, non sarebbe Dio, come è sua naturale essenza. 
Nella vera obbedienza quel che deve trovarsi non è: “Voglio questo o quello”, oppure “Voglio così e così”, ma una totale rinuncia a ciò che è proprio.
Perciò la migliore preghiera non è: “Dammi questa virtù o questo modo di essere”, oppure: “Signore, donati a me, dammi la vita eterna”; ma soltanto: “Signore, dammi solo ciò che vuoi, e fai ciò che vuoi nel modo che vuoi”.
Questa preghiera soverchia l’altra come il cielo la terra. Si prega bene quando si prega così: nella vera obbedienza, completamente usciti da se stessi per giungere a Dio.

E come la vera obbedienza non deve dire: “Io voglio questo”, così non deve dire: “Io non voglio questo”, perché un simile “Non voglio” è un vero veleno per l’obbedienza. Come dice Sant’Agostino, il servo fedele di Dio non spera che gli si dica o gli si dia ciò che vorrebbe sentire o vedere, perché il suo primo e supremo impegno è intendere ciò che più piace a Dio. La più intensa preghiera, la più potente per ottenere qualsiasi cosa, e l’opera fra tutte superiore, è quella che proviene da uno spirito libero. Più esso è libero, più la preghiera e l’opera sono intense, degne, utili, lodevoli e perfette. Uno spirito libero può tutto. Che cos’è uno spirito libero? È quello non turbato da nulla, non legato a nulla, che non fa dipendere da alcunché il suo bene supremo, che in nulla mira a quanto è suo, ma è completamente sprofondato nella dolcissima volontà di Dio e ha deposto ciò che è suo. Nessuno può compiere un’opera, per piccola che sia, senza ricavare da questo atteggiamento la sua forza e il suo potere. Bisogna pregare tanto intensamente da volere che tutte le membra dell’uomo, tutte le sue forze – occhi, orecchi, bocca, cuore e tutti i sensi – vi siano applicati, e non si deve smettere prima di accorgersi che si è sul punto di unirsi con colui che è presente e cui si rivolge la preghiera: Dio.»


domenica 23 febbraio 2014

Irremovibili nella Fede, amanti dei fratelli - S. Policarpo di Smirne

"Chi non riconosce che Gesù Cristo é venuto nella carne, é un anticristo e chi rigetta la testimonianza della croce viene dal diavolo. Chi perverte le parole del Signore, adattandole ai suoi malvagi desideri, e nega la risurrezione e il giudizio, costui è il primogenito di Satana.

Perciò, abbandonando la vanità della gente e i falsi insegnamenti, ritorniamo alla dottrina che ci fu impartita da principio, siamo sobri [per attendere] alla preghiera; perseveriamo nel digiuno e domandiamo con preghiere a Dio, che tutto vede, di non indurci in tentazione; poiché il Signore ha detto: Lo spirito é pronto, ma la carne é inferma.

Perseveriamo dunque senza posa nella nostra speranza e nel pegno della nostra giustizia, che è Gesù Cristo, che portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, che non commise peccato e nella cui bocca non si trovò mai frode; ma Egli ha sopportato tutto per noi, affinché vivessimo in Lui.
Cerchiamo quindi d’imitare la sua pazienza e, se dovremo soffrire per il suo nome, rendiamogli gloria. Tale infatti è l’esempio che Egli ci pose dinanzi nella sua persona, e noi l’abbiamo creduto.

Vi scongiuro quindi tutti ad essere obbedienti alla parola della giustizia e a sopportare con tutta quella pazienza che avete ammirato con i vostri occhi non solo nei beati Ignazio, Zosimo e Rufo , ma anche in altri dei vostri, nello stesso Paolo e negli altri Apostoli.

Persuadetevi che tutti costoro non corsero invano, ma nella fede e nella giustizia, e che ora occupano il posto loro dovuto presso il Signore, con il quale hanno condiviso le sofferenze. Poiché essi non hanno amato questo mondo , ma Colui che è morto per noi e che per noi fu risuscitato da Dio.

Rimanete dunque saldi in questi principi e seguite l’esempio del Signore, fermi e irremovibili nella fede , amanti dei fratelli, caritatevoli gli uni verso gli altri , uniti nella verità, gareggiando gli uni con gli altri nella mansuetudine del Signore, senza disprezzare nessuno".

S. Policarpo di Smirne, "Lettera ai Filippesi".

sabato 22 febbraio 2014

Coloro che stanno in pace con Dio, stanno in pace con tutti gli altri, buoni e cattivi. - don Vincenzo Carone

Coloro che stanno in pace con Dio, stanno in pace con tutti gli altri, buoni e cattivi. 
Sono sereni quando le cose vanno di male in peggio, e sono sereni quando tutto avviene secondo i loro progetti e desideri. Ci sono altri, purtroppo non sono pochi, i quali continuano per la strada della trasgressione ai Comandamenti del Signore. 
A motivo del loro amore al peccato, satana si è impossessato dei loro pensieri, dei loro desideri e della loro volontà. Li convince di quello che lui vuole e insegna loro ad andare verso il peccato sempre più sofisticato e più avvilente. Costoro non solo non sono in pace con Dio, ma non sono in pace neppure con se stessi. Non possono essere in pace con gli altri. 
Se nella famiglia in cui loro vivono c’è qualcuno timorato di Dio, costui diventa un candidato al martirio: insulti, tradimenti, e tante altre torture psichiche e fisiche. Ci sono poi alcuni che sono in pace con se stessi, dimenticano le loro esigenze, privazioni e sofferenze per aiutare altri a ritrovare la pace con Dio. 

È molto difficile capire che fino a quando siamo in questo mondo ammalato di materialismo e di edonismo esasperato, nessuno di noi potrà mai vivere in pace. La nostra pace consiste nel dono che Gesù ci fa della sua pace per aiutarci a saper sopportare con umiltà e pazienza le contrarietà e le sofferenze che non potremo mai evitare. Colui che sa sopportare meglio, avrà una pace più grande. 
Costui vince se stesso, domina tutte le aggressioni fisiche, morali e psichiche che vengono dagli altri e dalla cattiveria del mondo. Costui non è schiavo di nessuno e non dipende più da quello che gli succede perché la pace che Gesù gli dona lo tiene unito al suo amore. Gesù solo gli basta, non ha più bisogno di niente e di nessuno per essere felice. Egli pensa sempre che Gesù fu tentato nei desideri della carne e nell’esaltazione dell’IO: “dì a queste pietre che diventino pane”. 
L’uomo, la donna, non vive soltanto di pane, vivono di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. 
Pensa che Gesù ha fatto posto alla carità, tu conserva l’amore a Lui mediante l’ubbidienza alla fede, sarai sempre in comunione con Lui e dirai con il Profeta: anche se un esercito si schierasse contro di me, io non ho paura, perché tu, o Signore, sei sempre con me. La pace che Gesù ti dona, è il frutto della vita divina in te, è la gioia della figliolanza divina, è la scoperta della fratellanza con tutti gli uomini e le donne della terra. 
Nella confessione in cui hai deciso di iniziare un cammino di conversione verso Dio, Gesù ti ha riconciliato con il Padre Celeste. Questa rappacificazione con Dio, ti ha rappacificato con tutti gli altri, anche con quelli che sono ingiusti contro di te. La pace che Gesù ti ha donato, è diventata pace tra il corpo e lo spirito, pace col prossimo e pace con tutto il Creato. “laudato sii o mì Signore per frate sole, per sorella luna, per i fiori, le piante, le stelle… laudato sii per nostra corporale sorella morte”.
Molti nella storia della Chiesa hanno sperimentato la pace per cui San Francesco gioisce nel suo Cantico delle creature. Tra costoro, se lo vorrai, puoi esserci anche tu. Tutte queste direzioni della pace, sono direzioni che vengono a noi dal Figlio di Dio, che ci porta la vita divina, che ci rende figli di Dio e fratelli con tutti gli uomini e con tutte le donne del mondo. 
Però, andando in fondo in fondo a questo mistero del Figlio di Dio, vedrai che il dono della pace lo ha meritato per noi con la sua Passione, Morte e Risurrezione. Tu devi infilarti in questo mistero del Figlio di Dio che è nato Bambino, è morto in Croce come se fosse un grande malfattore e tre giorni dopo è risorto alla vita del Cielo. Mediante la fede vissuta in tutte le sue esigenze, tu puoi intrufolarti in questo mistero meraviglioso e bello. 
Appena tu diventerai cosciente del dono che il Padre Celeste ti ha fatto donandoti il Figlio suo, sentirai echeggiare nel tuo cuore il Cantico delle creature di San Francesco. 
Andrai cosi a ringraziare e a baciare i piedi alla Mamma Celeste. Il suo amore materno ha squarcerà durezza del tuo cuore e ti donerà il desiderio di diventare un figlio che fa onore alla sua Mamma.
Don Vincenzo

martedì 18 febbraio 2014

LA MISERICORDIA DI DIO



1. Consola il peccatore.

Il Signore potrebbe abbandonarci, punirci ad ogni istante; lo meriterebbero i nostri peccati, le ingratitudini, la poca corrispondenza ai suoi inviti, alle sue carezze, al suo amore. Perché differisce il castigo e perdona? Perché con un solenne esempio non atterrisce i malvagi? Perché non scacciò da sé S. Pelagio, la Maddalena, S. Margherita di Cortona? Perché è misericordioso.

2. Ispira fiducia.

Gesù dice: Io non venni a cercare i giusti, ma i peccatori (Lc. 5,32); non venni per i sani, ma per gli ammalati (Mc. 2,17); chiedete e otterrete (Gv. 16,24). Non perdonerai, disse a S. Pietro, solo sette volte a nome mio, ma settanta volte sette (Mt. 18,22). Tali parole non ti dipingono la bontà di Dio? Ancorché degno mille volte dell'inferno, non ti senti tornare la speranza del perdono?

3. E’ frutto dell'amore.

Il Signore ci vuole salvi; benché peccatori, carichi d'iniquità, figli sleali, servi infedeli, non sa abbandonarci. La sua giustizia chiama riparazione, vorrebbe vendetta, ma la sua bontà lo disarma; concede un altro anno all'albero sterile; cerca la pecora smarrita; accoglie senza rimproveri il prodigo. Sono espedienti amorosi perché ci convertiamo e amiamo Lui solo, che solo merita l'amore del nostro cuore.

PRATICA: Qualunque colpa tu commetta confida nel perdono di Dio: basta un pentimento sincero.

laparola.it


domenica 16 febbraio 2014

Il Signore non ha mai cessato dal mandare operai ad istruire il suo popolo, che è quanto dire, a coltivare la sua vigna - S.Gregorio Magno

 Il regno dei cieli viene paragonato ad un padre di famiglia che prese degli operai per lavorare la sua vigna. Chi meglio del nostro Creatore può essere paragonato ad un padre di famiglia? Egli regge ciò che ha creato e possiede i suoi eletti in questo mondo, come il padrone, nella casa, possiede i servi. Egli ha una vigna, ossia la Chiesa universale, la quale ha prodotto, come tanti tralci, quanti sono i santi che ha formati, dal giusto Abele, fino all’ultimo eletto che nascerà alla fine del mondo.

Questo padre di famiglia assume degli operai per coltivare la sua vigna, allo spuntare del giorno, all’ora terza, all’ora sesta, all’ora nona ed all’ora undecima, perché, dal principio di questo mondo, sino alla fine, il Signore non ha cessato, e non cesserà mai di mandare predicatori ad ammaestrare il popolo dei fedeli. Lo spuntar del giorno per il mondo, fu l’epoca da Adamo a Noè; l’ora terza, da Noè ad Abramo; l’ora sesta, da Abramo a Mosè; l’ora nona, da Mosè fino alla venuta del Signore; l’undecima, dalla venuta del Signore fino alla fine del mondo. In quest’ultima ora sono stati mandati a predicare i santi Apostoli, i quali hanno ricevuto la paga intera sebbene ultimi venuti.

Il Signore non ha mai cessato dal mandare operai ad istruire il suo popolo, che è quanto dire, a coltivare la sua vigna. Infatti da principio, si servì dei Patriarchi, in seguito dei Dottori della Legge e dei Profeti, ed infine degli Apostoli, per coltivare i costumi morali del suo popolo; attese cioè a coltivare la sua vigna, per mezzo di braccianti. Del resto, chiunque, in qualsiasi modo e misura, se agendo, si è conservato nella fede retta, costui fu un operaio di tale vigna. Dunque gli operai chiamati allo spuntar del giorno, all’ora terza, sesta e nona raffigurano l’antico popolo ebraico, il quale mentre fin dall’origine del mondo, si studiò nei suoi eletti, di adorare Dio con fede retta, non cessò, per così dire, di lavorare nella vigna. All’ora undecima vengono chiamati i Gentili, ai quali vien detto: Perché ve ne state tutto il giorno qui senza far nulla? (Mt. 20,6). [Infatti si poteva ben dire che se ne stavano tutto il giorno oziosi, essi che avevano lasciato passare un così lungo periodo del mondo senza curarsi di lavorare per la loro vera vita.]

S. GREGORIO MAGNO
Mt. 20,1-16 [ Il padrone della vigna e gli operai a mercede]
Homilia 19 in Evangelia post principium

La parabola degli operai della vigna, Rembrandt, Museo dell'Hermitage, San Pietroburgo

giovedì 13 febbraio 2014

LE TENTAZIONI - Don Giuseppe Tomaselli

Si esce vittoriosi dalla grande tribolazione della vita e si entra in Cielo per i meriti del Sangue dell'Agnello Immacolato, Gesù Cristo. Questo Sangue Divino dà forza nella lotta, risana le ferite ed è caparra di eterna felicità.

Intratteniamoci pertanto sulle tribolazioni, cioè sulle tentazioni...

Noi, discendenti di Adamo e di Eva, abbiamo pure le nostre prove. Beato chi le supera, perché ne avrà premio eterno!

Il Paradiso è premio e bisogna meritarselo con la lotta. 
San Paolo dice: « Non sarà coronato, se non chi avrà strenuamente combattuto » (II Timoteo, II - 5). Sembrerebbe strano, eppure è così: più si è accetti a Dio e più aumentano le tentazioni. 

I motivi potrebbero essere:

l. - Il Signore vuol dare in Cielo una corona di gloria più preziosa a quelli che predilige, corona che si arricchisce con le ripetute vittorie.
2. - Satana, geloso delle anime che Dio predilige, lancia contro di esse le frecce più velenose, nella speranza di vincerle.

Don Giuseppe Tomaselli


martedì 11 febbraio 2014

Mons Gänswein racconta come Benedetto XVI decise di rinunciare al pontificato: "Per me fu come una coltellata"

L’orologio batte le cinque, nel cortile di San Damaso, in Vaticano. «Sono puntuale!», esclama ridendo monsignor Georg Gänswein. Di ritorno dalla passeggiata con papa Benedetto, borsa nera e passo spedito, il prefetto della Casa pontificia, comincia a parlare prima ancora di arrivare nelle stanze del suo ufficio.  «Il Papa emerito sta bene, l’ho lasciato proprio adesso. Abbiamo pregato insieme il rosario».
  
Il “segretario dei due Papi” fa la spola tra «due personalità diverse, due modi diversi di fare, ma adesso credo nel frattempo di aver trovato la bussola per fare bene quello che devo fare. La difficoltà più grande? Non poter chiedere al mio predecessore. Nessuno si è trovato prima in una situazione del genere».   
  
Siamo a un anno dalla rinuncia di papa Benedetto al Pontificato. Lei era stato avvertito molti mesi prima? «Sì, naturalmente sotto il segreto pontificio. Mi ha detto che non potevo parlarne con nessuno finché lui stesso non avrebbe comunicato la decisione. Ho mantenuto il segreto anche se non è stato facile. Per me è stata come una coltellata, ho sentito un grande dolore».   
  
Ha tentato di dissuaderlo? «Istintivamente ho detto “no, Santo Padre, non è possibile”, ma poi ho subito capito che non mi stava comunicando qualcosa di cui discutere, ma una decisione già presa. Da allora ho cercato di alleviare le pressioni esterne, di diradare i suoi impegni perché potesse concentrarsi sul magistero».   
  
Hanno influito sulla sua decisione i vari scandali, Vatileaks, per esempio? «No, per niente. Tutto ciò che è conosciuto come Vatileaks non ha per niente condizionato né tantomeno causato la rinuncia. E neppure la vicenda della pedofilia. Non dobbiamo dimenticare che la rinuncia non era una fuga. Il Papa non è fuggito da una responsabilità, ma è stato coraggioso perché si è detto: “Io non ho più le forze che sono necessarie in questo momento e allora ridò la responsabilità a Colui che me l'ha data, al Signore”».  

 Però è indubbio che alcuni scandali hanno pesato sulle forze del Papa. «Posso dire che, per quanto riguarda per esempio la pedofilia, un giorno, quando si scriverà la storia su come i vescovi, i cardinali, la Santa Sede hanno reagito, lì si vedrà che la prima persona in Vaticano che ha risposto in modo giusto e coraggioso, e non sempre ascoltato, è stato lui. Ciò che ha cominciato da cardinale-Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, ha continuato sistematicamente da Papa fino al momento della rinuncia. Chi dice che non è vero, o non sa o non vuole sapere, o non gli interessa la verità storica». 
  
E per quanto riguarda la vicenda del maggiordomo che trafugava le sue carte? «È chiaro che è stata umanamente una grande amarezza. Paolo Gabriele ha vissuto proprio nella famiglia pontificia, tutti i giorni, per anni. Quella vicenda è stata dolorosa, per il Papa, per me, ma anche per tutta la famiglia pontificia. Sappiamo che Papa Benedetto, però, alla fine del 2012, prima di Natale lo ha visitato in cella e lo ha perdonato. E con questo atto di perdono per il Papa la vicenda del maggiordomo si è chiusa». 
  
Guardando a ciò che sta succedendo nella Chiesa dopo l’elezione di papa Francesco, qual è lo stato d’animo di Benedetto? «È molto sereno e in pace con se stesso. Durante il suo Pontificato ci sono state delle sfide non facili che hanno richiesto molta forza. Adesso, da Papa emerito, segue tutto attentamente, ma non avendo più la responsabilità istituzionale, è molto più rilassato». 
  
Si sente con papa Francesco, gli dà dei consigli? «Non è un segreto che fra i due Papi c’è una buona relazione. Si parlano, si scrivono, si telefonano… Quello che si dicono faccia a faccia non posso saperlo. Ci sono state diverse visite di papa Francesco da noi, al monastero Mater Ecclesiae, e anche papa Benedetto è stato invitato a Santa Marta, da papa Francesco».   

 È una sintonia che è nata subito, già la sera dell’elezione di papa Francesco? «La sera del 13 marzo, dopo l’elezione, anch’io ero nella cappella Sistina per salutare il nuovo Papa e per promettergli obbedienza. E, subito, papa Francesco mi ha chiesto di Papa Benedetto e detto di volergli telefonare. Io stesso ho fatto il numero di telefono e gliel’ho passato. E dieci giorni dopo l’elezione, il 23 marzo, papa Francesco è andato di persona a Castel Gandolfo per visitare il suo predecessore. C’è un rapporto molto cordiale e di affetto tra due persone che non si erano molto frequentate prima».   
  
Lei che lo conosce bene. Cosa ha pensato papa Benedetto dell’elezione di papa Francesco? «Papa Benedetto ha seguito la fumata bianca, cioè l’elezione del suo successore alla televisione a Castel Gandolfo. In quel momento io non ero lì, ma ero nel Palazzo Apostolico in Vaticano, perciò non so qual è stata la sua prima reazione. Certamente era sorpreso del fatto che il nuovo Papa, subito dopo l’elezione, volesse parlargli al telefono. In quella telefonata Benedetto gli ha fatto gli auguri e gli ha promesso la propria preghiera e il proprio appoggio».   

 Come trascorre, oggi, le sue giornate di Papa emerito? «Con la preghiera, innanzitutto, con lo studio, la corrispondenza personale e le visite. Arrivano, giorno per giorno, molti libri in diverse lingue, vedo che lui predilige quelli di teologia, filosofia e storia. Legge molto e preferisce i testi in tedesco e in italiano. Il giorno comincia con la messa, poi c’è il breviario, poi segue la prima colazione. La mattinata, in genere, è dedicata alla preghiera allo studio, alla posta e alle visite che aumentano. All’una e trenta pranziamo tutti insieme, papa Benedetto, io e le memores. Non può mancare la siesta. Il pomeriggio sbriga la vasta corrispondenza privata, ascolta anche musica. Naturalmente il programma cambia quando, per esempio, c’è suo fratello».   
  
E poi ci sono le passeggiate che fate insieme. «Ne facciamo una dietro la casa, subito dopo pranzo e, un’altra, verso le quattro, per dire insieme il rosario. Poi una brevissima sul terrazzo, dopo la cena delle sette e mezza e il telegionale. Dopo, il Papa si ritira, a volte suona il pianoforte».   
  
È lo stesso che aveva da cardinale? «Si, è lo stesso che aveva giá da professore. È stato un dono della sua famiglia e, in 50 anni, lo ha seguito ovunque, in ogni tappa, da Frisinga a Bonn, a Münster, a Tubinga, a Ratisbona, a Monaco e finalmente a Roma».   

 Anche i gatti si sono trasferiti? «I gatti non sono mai stati suoi, ma è vero, ci sono gatti che girano nei giardini vaticani, vengono anche al Monastero e qualche volta si avvicinano quando hanno il desiderio della presenza umana. Certo, al Papa piacciono molto i gatti, anche se, per esempio, in Tv preferisce il commissario Rex, che ha per protagonista un bel cane di pastore tedesco».   

 Cos’altro vede in Tv? «Gli piacciono i vecchi film di don Camillo. Gli piace anche la serie di don Matteo. Adesso ne è cominciata un’altra, no?». È difficile immaginarlo, siamo abituati al Ratzinger teologo, professore. Dall’apparenza anche un po’ rigida. «Un’apparenza appunto, uno stereotipo. Chi lo conosce da vicino sa che non è così. Papa Benedetto, pur essendo un po’ riservato, è una persona molto affabile, per niente rigido o qualcos’altro del genere».
  
 Cos’hanno in comune, secondo lei i due Papi? «Hanno in comune l’amore per il Signore, per la Chiesa e per i fedeli, anzi per tutti gli esseri umani. Se non ci fosse questo amore sarebbe impossibile fare il Papa. Impossibile».


di Annachiara Valle
https://www.facebook.com/notes/papa-benedetto-xvi/esclusiva-mons-g%C3%A4nswein-racconta-come-benedetto-xvi-decise-di-rinunciare-al-pont/689112247777505



Un anno fa le dimissioni di Papa Benedetto XVI




Ricordo lo shock dell'11 febbraio 2013.
Non era uno scherzo, era l'annuncio sconvolgente dell'abbandono di uno dei Papi più colti e rigorosi della storia, un sant'uomo che ci manca molto. 
Ancora oggi il gesto resta inspiegabile, la malattia? Certo è molto invecchiato, il passo incerto, il bastone, ma sempre lucidissimo riferiscono i pochi fortunati che l'avvicinano.
Pare che alla base ci sia stata una contestazione forte di quasi metà dei Cardinali: troppo antiquato, antigay, anti-pedofilia, è stato il Papa che più ha combattuto gli abusi ed ha fatto chiarezza all'interno del clero, ma il suo assolutismo morale non era condiviso da una Chiesa che si sta sempre più secolarizzando. Più ancora la potente lobby gay che vedeva in lui il nemico numero uno! 







venerdì 7 febbraio 2014

Teoria Gender

"Da qualche tempo ci siamo resi conto che l'ideologia del gender, iniziata negli anni '50, è penetrata surrettiziamente in gran parte delle organizzazioni pubbliche e dei media, magari solo per apparire 'a la page' o per trarne qualche beneficio economico. 
Come ciò sia potuto accadere all'insaputa della maggior parte dei cittadini, non è certo un mistero: potenti lobbies internazionali (1), sostenitrici delle tesi neo-malthusiane e dell'estremismo ecologico, che ritengono il pianeta sovrappopolato, puntano a ridurne il numero degli abitanti con la diffusione capillare della contraccezione e della sterilizzazione, con l'aborto e l'eutanasia da inserire tra i 'diritti umani', e infine con il 'matrimonio omosessuale', naturalmente sterile. 
Un'altra causa, non meno pericolosa della prima, è costituita dalle lobbies finanziarie mondiali, che vorrebbero scardinare ogni valore morale e religioso, per governare il mondo globalizzato senza intralci. Tutto questo è in contrasto con i principi della democrazia e con le analisi degli studiosi, che evidenziano un maggior sviluppo economico proprio nei paesi con un alto tasso di natalità e ritengono che il pianeta già ora sia in grado di sfamare almeno venti miliardi di persone.." Alberto Zelger, Presidente del Movimento europeo per la difesa della vita e della dignità umana. 1)Nell'ottobre 2013, il Segretario di Stato americano ha dichiarato che attraverso il Global Equality Found, gli Stati Uniti finanziano progetti LGBT in più di 50 paesi del mondo.


http://www.lifesitenews.com/news/sexual-radicalism-imperial-project-global-goliath




giovedì 6 febbraio 2014

Dalla «Storia del martirio dei santi Paolo Miki e compagni» scritta da un autore contemporaneo

"Piantate le croci, fu meraviglioso vedere in tutti quella fortezza alla quale li esortava sia Padre Pasio, sia Padre Rodriguez. Il Padre commissario si mantenne sempre in piedi, quasi senza muoversi, con gli occhi rivolti al cielo. Fratel Martino cantava alcuni salmi per ringraziare la bontà divina, aggiungendo il versetto: «Mi affido alle tue mani» (Sal 30, 6). Anche Fratel Francesco Blanco rendeva grazie a Dio ad alta voce. Fratel Gonsalvo a voce altissima recitava il Padre nostro e l'Ave Maria.
Il nostro fratello Paolo Miki, vedendosi innalzato sul pulpito più onorifico che mai avesse avuto, per prima cosa dichiaro ai presenti di essere giapponese e di appartenere alla Compagnia di Gesù, di morire per aver annunziato il vangelo e di ringraziare Dio per un beneficio così prezioso. Quindi soggiunse: «Giunto a questo istante, penso che nessuno tra voi creda che voglia tacere la verità. Dichiaro pertanto a voi che non c'è altra via di salvezza, se non quella seguita dai cristiani. Poiché questa mi insegna a perdonare ai nemici e a tutti quelli che mi hanno offeso, io volentieri perdono all'imperatore e a tutti i responsabili della mia morte, e li prego di volersi istruire intorno al battesimo cristiano».
Si rivolse quindi ai compagni, giunti ormai all'estrema battaglia, e cominciò a dir loro parole di incoraggiamento.
Sui volti di tutti appariva una certa letizia, ma in Ludovico era particolare. A lui gridava un altro cristiano che presto sarebbe stato in paradiso, ed egli, con gesti pieni di gioia, delle dita e di tutto il corpo, attirò su di sé gli sguardi di tutti gli spettatori. Antonio, che stava di fianco a Ludovico, con gli occhi fissi al cielo, dopo aver invocato il santissimo nome di Gesù e di Maria, intonò il salmo Laudate, pueri, Dominum, che aveva imparato a Nagasaki durante l'istruzione catechista; in essa infatti vengono insegnati ai fanciulli alcuni salmi a questo scopo.
Altri infine ripetevano: «Gesù! Maria!», con volto sereno. Alcuni esortavano anche i circostanti ad una degna vita cristiana; con questi e altri gesti simili dimostravano la loro prontezza di fronte alla morte.
Allora quattro carnefici cominciarono ad estrarre dal fodero le spade in uso presso i giapponesi. Alla loro orribile vista tutti i fedeli gridarono: «Gesù! Maria!» e quel che è più, seguì un compassionevole lamento di più persone, che salì fino al cielo. I loro carnefici con un primo e un secondo colpo, in brevissimo tempo, li uccisero".

(Dalla «Storia del martirio dei santi Paolo Miki e compagni» scritta da un autore contemporaneo).

O Dio, forza dei martiri, che hai chiamato alla gloria eterna san Paolo Miki e i suoi compagni attraverso il martirio della croce, concedi anche a noi per loro intercessione di testimoniare in vita e in morte la fede del nostro Battesimo. Per il nostro Signore...


lunedì 3 febbraio 2014

Papa Francesco e il peccato – omelia del 31 gennaio 2014

Un peccato grave, come ad esempio l’adulterio, derubricato a “problema da risolvere”. 

La scelta che compie il re Davide, narrata nella prima Lettura di oggi, diventa lo specchio davanti al quale Papa Francesco pone la coscienza di ogni cristiano. Davide si invaghisce di Betsabea, moglie di Uria, un suo generale, gliela prende e spedisce il marito in prima linea in battaglia, causandone la morte e di fatto perpetrando un assassinio. Eppure, adulterio e omicidio non lo scuotono più di tanto. “Davide si trova davanti a un grosso peccato, ma lui non lo sente peccato”, osserva il Papa. “Non gli viene in mente di chiedere perdono. Quello che gli viene in mente è: ‘Come risolvo questo?’”:

“A tutti noi può accadere questa cosa. Tutti siamo peccatori e tutti siamo tentati e la tentazione è il pane nostro di ogni giorno. Se qualcuno di noi dicesse: ‘Ma io mai ho avuto tentazioni’, o sei un cherubino o sei un po’ scemo, no? Si capisce… E’ normale nella vita la lotta e il diavolo non sta tranquillo, lui vuole la sua vittoria. Ma il problema – il problema più grave in questo brano – non è tanto la tentazione e il peccato contro il nono comandamento, ma è come agisce Davide. E Davide qui non parla di peccato, parla di un problema che deve risolvere. Questo è un segno! Quando il Regno di Dio viene meno, quando il Regno di Dio diminuisce, uno dei segni è che si perde il senso del peccato”.

Ogni giorno, recitando il “Padre Nostro”, noi chiediamo a Dio “Venga il Tuo Regno…”, il che – spiega Papa Francesco – vuol dire “cresca il Tuo Regno”. Quando invece si perde il senso del peccato, si perde anche “il senso del Regno di Dio” e al suo posto – sottolinea il Papa – emerge una “visione antropologica superpotente”, quella per cui “io posso tutto”:

“La potenza dell’uomo al posto della gloria di Dio! Questo è il pane di ogni giorno. Per questo la preghiera di tutti i giorni a Dio ‘Venga il tuo Regno, cresca il tuo Regno’, perché la salvezza non verrà dalle nostre furbizie, dalle nostre astuzie, dalla nostra intelligenza nel fare gli affari. La salvezza verrà dalla grazia di Dio e dall’allenamento quotidiano che noi facciamo di questa grazia nella vita cristiana”.

“Il più grande peccato di oggi è che gli uomini hanno perduto il senso del peccato”.

Papa Francesco cita questa celebre frase di Pio XII e poi sposta lo sguardo su Uria, l’uomo incolpevole mandato a morte per la colpa del suo re. Uria, dice il Papa, diventa allora l’emblema di tutte le vittime della nostra inconfessata superbia:

“Io vi confesso, quando vedo queste ingiustizie, questa superbia umana, anche quando vedo il pericolo che a me stesso avvenga questo, il pericolo di perdere il senso del peccato, mi fa bene pensare ai tanti Uria della storia, ai tanti Uria che anche oggi soffrono la nostra mediocrità cristiana, quando noi perdiamo il senso del peccato, quando noi lasciamo che il Regno di Dio cada… Questi sono i martiri dei nostri peccati non riconosciuti. Ci farà bene oggi pregare per noi, perché il Signore ci dia sempre la grazia di non perdere il senso del peccato, perché il Regno non cali in noi. Anche portare un fiore spirituale alla tomba di questi Uria contemporanei, che pagano il conto del banchetto dei sicuri, di quei cristiani che si sentono sicuri”.

Papa Francesco, omelia del 31 gennaio 2014



domenica 2 febbraio 2014

LA CANDELORA spiegata da Papa Benedetto XVI

L’incontro del caos e della luce

Nella quotidianità cittadina non ci si accorge quasi più che il 2 febbraio si celebra un’antichissima festa, comune alle Chiese dell’Oriente e dell’Occidente , che una volta aveva da noi una grande importanza nell’anno contadino: la Candelora.
E’ una festa in cui sono confluite diverse correnti storiche, cosicché risplende di vari colori.

L’occasione immediata è il ricordo del fatto che Maria e Giuseppe, il quarantesimo giorno dopo la sua nascita, portarono Gesù al tempio di Gerusalemme per presentare il sacrificio di purificazione prescritto.

Della scena descritta da Luca, la liturgia ha sottolineato soprattutto un aspetto: l’incontro tra Gesù Bambino e il vecchio Simeone; perciò nel mondo greco la festa ha ricevuto il nome di hypapanti, incontro. In questo stare insieme del bambino con l’anziano, la Chiesa vede raffigurato l’incontro tra il mondo pagano che va scomparendo e il nuovo inizio in Cristo, tra il tempo dell’Antica Alleanza che sta per finire e il tempo nuovo della Chiesa dei popoli.
Ciò che qui è espresso è più dell’eterno ciclo di morte e nascita: è più del fatto consolante che al declino di una generazione ne segue sempre un’altra, con nuove idee e speranze. Se così fosse, questo bambino non rappresenterebbe nessuna speranza per Simeone, ma solo per se stesso. Invece è di più: è speranza per tutti, perché è una speranza al di là della morte.

Così tocchiamo il secondo significato fondamentale che la liturgia attribuisce a questo giorno. Essa si riallaccia alle parole di Simeone, che chiama il bambino “luce per illuminare le genti”. Sulla base di queste parole si celebra il giorno liturgico come una festa delle luci. La luce calda delle candele vuol essere l’espressione evidente della luce più grande che si sprigiona in tutti i tempi dalla figura di Gesù.
A Roma la processione delle luci ha sostituito un corteo rumoroso e scatenato, il cosiddetto “amburbale”, che dalla paganità si era conservato a lungo nell’era cristiana. Il corteo pagano esprimeva elementi magici: doveva servire per purificare la città e difenderla dalle potenze cattive.

In ricordo di ciò, la processione cristiana si teneva dapprima in vesti nere e poi – fino alla riforma liturgica del Concilio – viola. Così nella processione compariva ancora una volta il simbolismo dell’incontro.

Il grido selvaggio del mondo pagano che chiede purificazione, liberazione, superamento delle potenze oscure si incontra con la “luce per illuminare le genti”, la luce tenue e umile di Gesù Cristo. Il tempo che “sta per finire”, ma che è sempre presente, di un mondo caotico, schiavizzato e schiavizzante, s’ incontra con la forza purificatrice del messaggio cristiano. Questo mi ricorda una frase del drammaturgo Eugene Ionesco, il quale, come esponente del teatro dell’assurdo, aveva levato con chiarezza il grido di un mondo assurdo e, al tempo stesso, aveva compreso sempre più che questo grido è un’invocazione a Dio. “La storia – aveva affermato, è rovina, è caos, se non è rivolta al soprannaturale”.

La processione delle luci, con le vesti scure, l’incontro simbolico che vi si verifica del caos e della luce, dovrebbe ricordarci questa verità e darci il coraggio, nello sforzo di migliorare il mondo, di non considerare il soprannaturale come una perdita di tempo,ma come l’unica via che può dare un senso al caos.

J. Ratzinger da "Le cose di lassù" 1986-2008 - Libreria Editrice Vaticana


sabato 1 febbraio 2014

MESE di FEBBRAIO dedicato allo SPIRITO SANTO

Consacrazione allo Spirito Santo

O Santo Spirito Amore che procede dal Padre e dal Figlio Fonte inesauribile di grazia e di vita a te desidero consacrare la mia persona,il mio passato, il mio presente, il mio futuro, i miei desideri,le mie scelte, le mie decisioni, i miei pensieri, i miei affetti,tutto quanto mi appartiene e tutto ciò che sono.

Tutti coloro che incontro, che penso che conosco, che amo
e tutto ciò con cui la mia vita verrà a contatto: tutto sia beneficato dalla Potenza della tua Luce, del tuo Calore, della tua Pace.

Tu sei Signore e dai la vita
e senza la tua Forza nulla è senza colpa.

O Spirito dell’Eterno Amore
vieni nel mio cuore, rinnovalo
e rendilo sempre più come il Cuore di Maria,

affinché io possa diventare, ora e per sempre,
Tempio e Tabernacolo della Tua Divina presenza.


Un tandem speciale! - don Michele Fontana

Quando pensiamo alla nostra vita possiamo descriverla con diverse metafore. 
Spesso ci viene di accostarla a una bicicletta che ci sforziamo di guidare in una corsa ciclistica, pedalando tra salite irte e discese ripide, su strade asfaltate e mulattiere acciottolate, sotto il tepore dei raggi luminosi e l’umidità di giorni piovosi.
Secondo quest’immagine, per alcuni Gesù assume il volto dell’inflessibile giudice della competizione, il cui compito è controllare la validità delle pedalate e la regolarità del percorso, denunciare gli inganni, sanzionare le infrazioni, decidere chi merita il premio finale.
Per altri, invece, Gesù potrebbe essere associato a una bevanda energetica da bere lungo il percorso: pratica da portare, capace di aumentare la resistenza fisica, di favorire l'eliminazione delle tossine, di migliorare le prestazioni anche per i meno atletici, ma pur sempre una “bevanda” di cui servirsi solo al momento del bisogno.
Se, tuttavia, guardiamo meglio quella nostra strana bicicletta, ci accorgiamo che in realtà si tratta di un tandem. Sì, un tandem! Quel tipo di bicicletta “doppia”, in cui si è in due persone a pedalare, anche se il passeggero anteriore rimane colui che guida e comanda la direzione, i freni e il cambio.
A noi spetta, allora, decidere se continuare a portarla da soli o farci salire sopra Gesù per pedalare con noi.
Quando le forze vengono meno e il colpo del pedale sembra pesante come un macigno, quando i timori per le insidie ci fanno battere il cuore, sarà lui a sporgere la mano e stringere la nostra, donandoci amore e sicurezza.
Possiamo, poi, chiedere di invertire il posto con lui, farlo sedere avanti per guidare la nostra “bicicletta”.
Quando diamo a Gesù il comando del “tandem”, è lui a decidere il percorso, proporre le strade, indicare quando seguire diritti o sterzare;
Quando diamo a Gesù il comando del “tandem”, non serve chiedergli dove ci porta, basta solo fidarsi del suo amore;
Quando diamo a Gesù il comando del “tandem”, nei momenti in cui ci sembra di non farcela più egli con voce rassicurante ci dice:
“Stai tranquillo e pedala. Ci sono io!”

don Michele Fontana