L’orologio batte le cinque, nel cortile di San Damaso, in Vaticano. «Sono
puntuale!», esclama ridendo monsignor Georg Gänswein. Di ritorno dalla
passeggiata con papa Benedetto, borsa nera e passo spedito, il prefetto della
Casa pontificia, comincia a parlare prima ancora di arrivare nelle stanze del
suo ufficio. «Il Papa emerito sta bene, l’ho lasciato proprio adesso.
Abbiamo pregato insieme il rosario».
Il “segretario dei due Papi” fa la spola tra «due personalità diverse, due
modi diversi di fare, ma adesso credo nel frattempo di aver trovato la bussola
per fare bene quello che devo fare. La difficoltà più grande? Non poter
chiedere al mio predecessore. Nessuno si è trovato prima in una situazione del
genere».
Siamo a un anno dalla rinuncia di papa Benedetto al Pontificato. Lei era
stato avvertito molti mesi prima? «Sì, naturalmente sotto il segreto
pontificio. Mi ha detto che non potevo parlarne con nessuno finché lui stesso
non avrebbe comunicato la decisione. Ho mantenuto il segreto anche se non è
stato facile. Per me è stata come una coltellata, ho sentito un grande dolore».
Ha tentato di dissuaderlo? «Istintivamente ho detto “no, Santo Padre,
non è possibile”, ma poi ho subito capito che non mi stava comunicando qualcosa
di cui discutere, ma una decisione già presa. Da allora ho cercato di alleviare
le pressioni esterne, di diradare i suoi impegni perché potesse concentrarsi
sul magistero».
Hanno influito sulla sua decisione i vari scandali, Vatileaks, per
esempio? «No, per niente. Tutto ciò che è conosciuto come Vatileaks non ha
per niente condizionato né tantomeno causato la rinuncia. E neppure la vicenda
della pedofilia. Non dobbiamo dimenticare che la rinuncia non era una fuga. Il
Papa non è fuggito da una responsabilità, ma è stato coraggioso perché si è
detto: “Io non ho più le forze che sono necessarie in questo momento e allora
ridò la responsabilità a Colui che me l'ha data, al Signore”».
Però è indubbio che alcuni scandali hanno pesato sulle forze del
Papa. «Posso dire che, per quanto riguarda per esempio la pedofilia, un
giorno, quando si scriverà la storia su come i vescovi, i cardinali, la Santa
Sede hanno reagito, lì si vedrà che la prima persona in Vaticano che ha
risposto in modo giusto e coraggioso, e non sempre ascoltato, è stato lui. Ciò
che ha cominciato da cardinale-Prefetto della Congregazione per la Dottrina
della fede, ha continuato sistematicamente da Papa fino al momento della
rinuncia. Chi dice che non è vero, o non sa o non vuole sapere, o non gli
interessa la verità storica».
E per quanto riguarda la vicenda del maggiordomo che trafugava le sue
carte? «È chiaro che è stata umanamente una grande amarezza. Paolo
Gabriele ha vissuto proprio nella famiglia pontificia, tutti i giorni, per
anni. Quella vicenda è stata dolorosa, per il Papa, per me, ma anche per tutta
la famiglia pontificia. Sappiamo che Papa Benedetto, però, alla fine del 2012,
prima di Natale lo ha visitato in cella e lo ha perdonato. E con questo atto di
perdono per il Papa la vicenda del maggiordomo si è chiusa».
Guardando a ciò che sta succedendo nella Chiesa dopo l’elezione di papa
Francesco, qual è lo stato d’animo di Benedetto? «È molto sereno e in pace
con se stesso. Durante il suo Pontificato ci sono state delle sfide non facili
che hanno richiesto molta forza. Adesso, da Papa emerito, segue tutto
attentamente, ma non avendo più la responsabilità istituzionale, è molto più
rilassato».
Si sente con papa Francesco, gli dà dei consigli? «Non è un segreto
che fra i due Papi c’è una buona relazione. Si parlano, si scrivono, si
telefonano… Quello che si dicono faccia a faccia non posso saperlo. Ci sono
state diverse visite di papa Francesco da noi, al monastero Mater Ecclesiae, e
anche papa Benedetto è stato invitato a Santa Marta, da papa Francesco».
È una sintonia che è nata subito, già la sera dell’elezione di papa
Francesco? «La sera del 13 marzo, dopo l’elezione, anch’io ero nella
cappella Sistina per salutare il nuovo Papa e per promettergli obbedienza. E,
subito, papa Francesco mi ha chiesto di Papa Benedetto e detto di volergli
telefonare. Io stesso ho fatto il numero di telefono e gliel’ho passato. E
dieci giorni dopo l’elezione, il 23 marzo, papa Francesco è andato di persona a
Castel Gandolfo per visitare il suo predecessore. C’è un rapporto molto
cordiale e di affetto tra due persone che non si erano molto frequentate
prima».
Lei che lo conosce bene. Cosa ha pensato papa Benedetto dell’elezione di
papa Francesco? «Papa Benedetto ha seguito la fumata bianca, cioè
l’elezione del suo successore alla televisione a Castel Gandolfo. In quel
momento io non ero lì, ma ero nel Palazzo Apostolico in Vaticano, perciò non so
qual è stata la sua prima reazione. Certamente era sorpreso del fatto che il
nuovo Papa, subito dopo l’elezione, volesse parlargli al telefono. In quella
telefonata Benedetto gli ha fatto gli auguri e gli ha promesso la propria
preghiera e il proprio appoggio».
Come trascorre, oggi, le sue giornate di Papa emerito? «Con la
preghiera, innanzitutto, con lo studio, la corrispondenza personale e le
visite. Arrivano, giorno per giorno, molti libri in diverse lingue, vedo che
lui predilige quelli di teologia, filosofia e storia. Legge molto e preferisce
i testi in tedesco e in italiano. Il giorno comincia con la messa, poi c’è il
breviario, poi segue la prima colazione. La mattinata, in genere, è dedicata
alla preghiera allo studio, alla posta e alle visite che aumentano. All’una e
trenta pranziamo tutti insieme, papa Benedetto, io e le memores. Non può
mancare la siesta. Il pomeriggio sbriga la vasta corrispondenza privata,
ascolta anche musica. Naturalmente il programma cambia quando, per esempio, c’è
suo fratello».
E poi ci sono le passeggiate che fate insieme. «Ne facciamo una dietro
la casa, subito dopo pranzo e, un’altra, verso le quattro, per dire insieme il
rosario. Poi una brevissima sul terrazzo, dopo la cena delle sette e mezza e il
telegionale. Dopo, il Papa si ritira, a volte suona il pianoforte».
È lo stesso che aveva da cardinale? «Si, è lo stesso che aveva giá da
professore. È stato un dono della sua famiglia e, in 50 anni, lo ha seguito
ovunque, in ogni tappa, da Frisinga a Bonn, a Münster, a Tubinga, a Ratisbona,
a Monaco e finalmente a Roma».
Anche i gatti si sono trasferiti? «I gatti non sono mai stati
suoi, ma è vero, ci sono gatti che girano nei giardini vaticani, vengono anche
al Monastero e qualche volta si avvicinano quando hanno il desiderio della
presenza umana. Certo, al Papa piacciono molto i gatti, anche se, per esempio,
in Tv preferisce il commissario Rex, che ha per protagonista un bel cane di
pastore tedesco».
Cos’altro vede in Tv? «Gli piacciono i vecchi film di don
Camillo. Gli piace anche la serie di don Matteo. Adesso ne è cominciata
un’altra, no?». È difficile immaginarlo, siamo abituati al Ratzinger
teologo, professore. Dall’apparenza anche un po’ rigida. «Un’apparenza
appunto, uno stereotipo. Chi lo conosce da vicino sa che non è così. Papa
Benedetto, pur essendo un po’ riservato, è una persona molto affabile, per
niente rigido o qualcos’altro del genere».
Cos’hanno in comune, secondo lei i due Papi? «Hanno in comune
l’amore per il Signore, per la Chiesa e per i fedeli, anzi per tutti gli esseri
umani. Se non ci fosse questo amore sarebbe impossibile fare il Papa.
Impossibile».
di Annachiara Valle
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