Posso dire che le più profonde e vere impressioni della nostra storia comunitaria di Piccolo Gruppo di Cristo, anche se in modo parziale e approssimato, le ricordo collegate alla persona del nostro Fondatore, Ireos Della Savia, in quei primi anni cinquanta, in cui ancora non si conosceva la vicenda che si sarebbe sviluppata negli anni successivi.
Noi, che allora formavamo la gioventù di Azione Cattolica della parrocchia di S.Pio V, avvertivamo le difficoltà di quel tempo storico, che stava vivendo la Chiesa e vivevamo il disagio di una inadeguatezza delle modalità tradizionali di ciò che per noi era “la collaborazione dei laici all’apostolato gerarchico della Chiesa”, così era definita l’Azione Cattolica.
La nostra struttura diocesana era certamente vivace e dinamica, ma era presente in modo significativo la sensazione dell’urgenza di vie nuove e orizzonti nuovi, pur senza sapere cosa fare.
Possiamo anche dire che nessuno era in grado di intuire, neanche lontanamente, l’imprevedibile evento del Concilio Vaticano II, che sarebbe stato convocato non molti anni dopo. Ricordo benissimo i dibattiti appassionati su che cosa di nuovo fare per i giovani in oratorio e come avremmo potuto strutturare quelle novità, che allora erano individuate in ciò che definivamo i “Circoli giovanili”.Avevamo nel mondo cattolico personaggi come Lazzati, il Card. Lercaro a Bologna ed a Milano, dal 1955, il vescovo Mons. Montini; essi erano gli autorevoli riferimenti di una comunità ecclesiale in attesa di annunci nuovi.
In diocesi si diffondeva la conoscenza delle opere di J.Maritain e tuttavia si viveva il disagio di una Chiesa che stava perdendo la capacità di continuare quel tipo di presenza, che l’aveva contraddistinta negli anni precedenti.
I pastori dell’ambito parrocchiale rappresentavano l’allora ancora forte presenza della chiesa fra il popolo, mentre fra i laici l’unica realtà era rappresentata dall’Azione Cattolica con la nuova iniziativa di Gioventù studentesca (G.S. di don Giussani) che alcuni studenti cominciavano a far conoscere nelle parrocchie.
È assolutamente necessario conoscere questo contesto per capire lo stato d’animo di coloro che erano più impegnati in parrocchia e che già avevano le prime significative esperienze di inserimento nell’ambito più vasto della società civile per l’inizio dell’attività lavorativa, di studio in Università o anche perché qualcuno assumeva impegni in politica.
Ci trovavamo a confrontarci con un mondo che cambiava, con una Chiesa che aveva difficoltà a rendersene conto e col maturare, in noi giovani, della sensazione di una identità, sempre creduta solida ed affidabile, che si stava dissolvendo anche a fronte di nuove esperienze che prendevano piede (ad es. la già citata Gioventù studentesca).
Fortunatamente il nostro gruppo di Azione Cattolica, in S.PioV, aveva vissuto una forte tradizione di maturazione spirituale e di crescita nell’apostolato giovanile parrocchiale ed il disagio sopra descritto stimolava un crescente bisogno di prospettive, che si disegnavano sempre più radicali per quella porzione di Chiesa che conoscevamo.
È importante sottolineare che la nostra formazione culturale ed il nostro modo di sentire e di giudicare erano assolutamente pre-conciliari, mentre era significativa la realtà di giovani coscienze, che già sperimentavano la relazione cercata con il Signore Gesù per dare senso e prospettiva alla propria vita.
Il Piccolo Gruppo è nato in quegli anni ed in quella storia attraverso lo strumento di un fondatore, che nulla aveva a che fare con la nostra parrocchia, che ci era estraneo, che era apparso in modo casuale ai più e successivamente era stato introdotto fra noi dalla relazione con l’assistente don Eligio Verga.
Noi eravamo orgogliosi delle nostre identità e delle nostre strutture parrocchiali ed i “nuovi” dovevano essere in qualche modo codificati ed accettati fra noi certamente non senza una certa fatica.
Ho ben presente la prima immagine che ricordo di Ireos, ben precisa nel tipo di vestito, nei colori, nel luogo e nei tratti.
Io mi trovavo in oratorio vicino all’edicola della Madonnina e lui era solo e fermo, in piedi nella zona laterale del nostro polveroso campo di calcio, mentre io scambiavo, con un amico presente, le mie impressioni su questa nuova presenza.
La figura di Ireos era poi divenuta una realtà naturalmente accettata in Azione Cattolica fin da quei primi anni cinquanta (anni 1951 e 1952) con una presenza fra noi giovani che era ben accolta, nonostante la radicalità della sua testimonianza in azioni e parole che suscitavano comunque interesse e stima.
Dal 1952 lo abbiamo avuto presidente della GIAC (conservo ancora la tessera da lui firmata per la prima volta come presidente) ed è negli anni successivi che penso abbia iniziato ad emergere, attorno a lui, la sensazione che non bastava essere parte di una Chiesa infallibile e forte nelle sue istituzioni, nei suoi riti, nella sua liturgia e nei suoi sacramenti, ma che era importante accogliere con maggiore profondità la presenza del Signore nella nostra vita e negli eventi che la riguardavano.
Sembra banale, ma questa sensazione era un grande orizzonte a fronte di quei gravi problemi che ho voluto sopra ricordare e trasmetteva a noi giovani il modo di dare una importanza nuova ai gesti della nostra vita (erano gli anni in cui iniziavamo a lavorare, a continuare lo studio o affrontavamo per la prima volta il problema “ragazza”).
Questi nostri atti dovevano ritrovare senso in una relazione fra ambito secolare e ambito religioso a cui non eravamo abituati, e questo lo avremmo visto confermato alcuni anni dopo nella costituzione conciliare Gaudium et Spes.
Ricordo le raccomandazioni di Ireos (era presente don Eligio), prima di una mia vacanza estiva, a non lasciare la stretta della mano del Signore per tutto il tempo di ogni mia giornata: lui diceva che il braccio del Signore è tanto lungo da poterci seguire in ogni luogo.
Cominciavamo ad avvertire un linguaggio che ci riguardava personalmente e ci provocava a ritrovare il “senso” della nostra vita ed è in tutti questi ricordi che vedo qualcosa di simile ad un “prologo” al Piccolo Gruppo di Cristo.
Fu all’inizio dell’anno 1957 che Ireos propose ad alcuni di ritrovarsi a meditare sul Vangelo di Luca e sulle lettere di San Paolo, per iniziare un’esperienza che mi apparve subito come qualcosa di nuovo e importante pur non avendo ben chiaro di cosa si trattasse.
Se ne parlò subito con alcuni che frequentavamo più assiduamente e ricordo bene il primo incontro con don Eligio, in casa sua (in quegli anni era impensabile una iniziativa di questo genere senza il sacerdote) ed anche la sensazione percepita che il nostro assistente, per altri suoi impegni, non avrebbe potuto seguirci.
Per questo fatto la cosa ha rischiato di cadere.
L’iniziativa, pur fermandosi per qualche tempo, rimase ancora “possibile” nelle intenzioni di alcuni, che tuttavia prendevano coscienza che non avremmo avuto con noi il nostro assistente religioso.
Il ritrovarci così isolati ci poneva in una situazione difficile in quegli anni preconciliari, in cui una iniziativa autonoma di laici non pareva possibile e tanto meno una presenza della chiesa nel “secolo” attraverso laici “impegnati” nelle realtà secolari.
La lettura di quella parte di evento è facilitata dalla conoscenza della storia che oggi ne abbiamo, ma devo dire che ricordo bene il disagio di quella pausa obbligata, anche se alcuni si rendevano conto che gli incontri erano una opportunità che non si poteva perdere: non ne conoscevamo il preciso motivo, ma intuivamo che così doveva essere.
Pur nella comprensibile confusione, ricordo di avere espresso ad Ireos il parere che dovevamo continuare quel cammino interrotto, a patto che fosse per sempre. Se ne parlò fra di noi, anche con alcuni che non aderirono, e, credo prima dell’estate 1957, cominciammo a ritrovarci in sei o sette, guidati da Ireos, in un locale seminterrato della chiesa di S.PioV, adiacente al salone del cinema.
Attorno a questi incontri e accomunati dalla certamente importante presenza in Azione Cattolica (Ireos ne era ancora il presidente), il Gruppo iniziava un cammino semplice nei suoi aspetti evidenti, senza il patrocinio di alcuna autorità, affinando al suo interno quel progetto di vita che si stava identificando nel “Carisma” e che, in modo naturale, si ritrovava come parte della Chiesa di Milano.
Ricordo bene che avevamo coscienza di non compiere niente di straordinario e che il nostro ritrovarci era, in quell’inizio, prevalentemente un bisogno di approfondire la nostra fede per ritrovare il dono di una maggiore fedeltà e coerenza con il Vangelo di Gesù di Nazareth.
Il “sapore” del Carisma credo sia stato avvertito progressivamente, poco a poco, sotto la guida spirituale del Fondatore (allora era l’unico “responsabile” del Gruppo) che, ricordo bene, richiamava tanto la necessità della fedeltà alla preghiera, quanto l’impegno nella scelta e nello svolgimento dei nostri adempimenti secolari.
Io mi immaginavo, in quegli anni, che stessimo facendo l’esperienza di una super-Azione Cattolica, mentre vediamo oggi che si trattava di una realtà completamente diversa che solo alla luce dei documenti del Concilio Vaticano II (conclusosi otto anni più tardi) poteva essere letta nel suo significato più essenziale.
Ho detto solo di alcuni fatti che riguardano i primissimi tempi della nostra storia, così come li ricordo con la sensibilità di oggi e quindi con l’intuizione che ben difficilmente potremo mai “sapere” tutto della presenza dell’Amore di Dio per i suoi figli ed in particolare il misterioso “tutto” di quei nostri primi anni.
Francesco Duca, uno dei primi aderenti al Piccolo Gruppo di Cristo