domenica 3 febbraio 2013

La Vita si è manifestata nella carne. Dai «Trattati sulla prima Lettera di Giovanni» di sant'Agostino, vescovo

«Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi e ciò che le nostre mani hanno toccato del Verbo della vita» (cfr. 1 Gv 1, 1). Chi è che tocca con le mani il Verbo, se non perché «il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi?» (cfr. Gv 1, 14).

Il Verbo che si è fatto carne, per poter essere toccato con mano, cominciò ad essere carne dalla Vergine Maria; ma non cominciò allora ad essere Verbo, perché è detto: «Ciò che era fin da principio». Vedete se la lettera di Giovanni non conferma il suo vangelo, dove ora avete udito: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio» (Gv 1, 1).


Forse qualcuno prende l'espressione «Verbo della vita» come se fosse riferita a Cristo, ma non al corpo di Cristo toccato con mano. Ma fate attenzione a quel che si aggiunge: «La Vita si è fatta visibile» (1 Gv 1, 2). E' Cristo dunque il Verbo della vita.


E come si è fatta visibile? Esisteva fin dal principio, ma non si era ancora manifestata agli uomini; si era manifestata agli angeli ed era come loro cibo. Ma cosa dice la Scrittura? «L'uomo mangiò il pane degli angeli» (Sal 77, 25).

Dunque la vita stessa si è resa visibile nella carne; si è manifestata perché la cosa che può essere visibile solo al cuore diventasse visibile anche agli occhi e risanasse i cuori. Solo con il cuore infatti può essere visto il Verbo, la carne invece anche con gli occhi del corpo. Si verificava dunque anche la condizione per vedere il Verbo: il Verbo si è fatto carne, perché la potessimo vedere e fosse risanato in noi ciò che ci rende possibile vedere il Verbo.

Disse: «Noi rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile» (1 Gv 1, 2), ossia, si è resa visibile fra di noi; o meglio, si è manifestata a noi.

«Quello dunque che abbiamo veduto e udito, lo annunziamo anche a voi» (1 Gv 1, 3). Comprenda bene il vostro amore: «Quello che abbiamo veduto e udito, lo annunziamo anche a voi». Essi videro il Signore stesso presente nella carne e ascoltarono le parole dalla bocca del Signore e lo annunziarono a noi. Anche noi perciò abbiamo udito, ma non abbiamo visto.

Siamo dunque meno fortunati di coloro che hanno visto e udito? E come mai allora aggiunge: «Perché anche voi siate in comunione con noi»? (1 Gv 1, 3). Essi hanno visto, noi no eppure siamo in comunione, perché abbiamo una fede comune.

«La nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la vostra gioia sia perfetta» (cfr. 1 Gv. 1, 3-4). Afferma la pienezza della gioia nella stessa comunione, nello stesso amore, nella stessa unità.




sabato 2 febbraio 2013

Ven. Paolo VI, L'AGGIORNAMENTO NON E' OSSEQUIO AL TRASFORMISMO O ROTTURA, MA CONTINUITA' NELLA TRADIZIONE – 12 agosto1970

Aggiornamento nella fedeltà: programma post-conciliare

La religione? La religione deve essere rinnovata. Questa è la persuasione di tutti coloro che oggi ancora si occupano di religione, siano essi fuori della sua espressione concreta: una fede, un’osservanza, una comunità; o siano invece all’interno d’una professione, o di una discussione religiosa. Tutto sta a vedere che cosa s’intenda per rinnovamento. Bisogna rinnovare la propria coscienza religiosa. Questa è piuttosto una questione, che un’obiezione: ma è questione polimorfa, polivalente; cioè si presenta sotto aspetti molto diversi, con principi, metodi di studio, conclusioni differenti e facilmente opposti fra loro. Il rinnovamento religioso può essere concepito come un processo continuo di perfezionamento, ovvero come un processo sbrigativo di dissoluzione, oppure come un tentativo di interpretazione nuova, secondo dati criteri.

TEMA DI SPECIALE ATTUALITÀ
Il tema è attuale. Tutti abbiamo accolto la parola prestigiosa di «aggiornamento», come un programma; programma del Concilio e del Post-Concilio; programma personale e comunitario. Segno evidente che proprio nel cuore della ortodossia deve agire, come un fermento vitale (Cfr.Matth. 13, 33), l’impulso della vita nuova, il respiro animatore della coscienza, la tensione morale, l’espressione attuale e, come l’amore, sempre originale. La religione è vita, e, come la nostra vita biologica, dev’essere soggettivamente in un continuo ricambio, in una continua purificazione, in un continuo accrescimento. Tutta la disciplina dello spirito ce lo ricorda; S. Paolo non cessa di ripeterlo: «l’uomo interiore si rinnovella di giorno in giorno» (2 Cor. 4, 16); «spogliatevi dell’uomo vecchio, il quale per le passioni ingannatrici si corrompe; e rinnovatevi nello spirito della vostra mentalità; e rivestitevi dell’uomo nuovo» (Eph. 4, 22-23); anzi «procuriamo di crescere per ogni verso in Lui (Cristo)» (Eph. 4, 15), sempre «progredendo nella scienza di Dio» (Col. 1, 10), eccetera.

RINNOVAMENTO INTERIORE
Questa incessante esortazione significa molte cose, che ci offrono la visione genuina del fatto religioso: significa che esso nasce da piccoli inizi e che deve svilupparsi (ricordate le parabole del seme?) (Luc. 8, 5, 11; ecc.); significa che anch’esso è soggetto a decadenza e perversione (ricordate la polemica di Cristo con i Farisei?) (Matth. 23, 14 ss.); significa che è spesso bisognoso di riforma, e sempre di perfezionamento, e che solo nella vita futura raggiungerà la sua pienezza. Tutto questo è noto ai discepoli della Parola divina, e della scuola della liturgia e della vita ecclesiale. Perciò volentieri accettiamo «l’aggiornamento», e cerchiamo d’interpretarne il significato e di accoglierne le conseguenze rinnovatrici. Prima nell’interno delle anime (Eph. 4, 23); e poi, se occorre, nelle leggi esteriori.
Ma questo rinnovamento non è senza pericolo. Anzi non è senza pericoli. Il primo pericolo è quello del cambiamento, voluto per se stesso, o in ossequio al trasformismo del mondo moderno. Del cambiamento incoerente con la tradizione irrinunciabile della Chiesa. La Chiesa è la continuità di Cristo nel tempo. Noi non possiamo staccarci da essa, come un ramo, che vuole esplodere nei nuovi fiori della primavera, non può staccarsi dalla pianta, dalla radice, donde trae la sua vitalità. Questo è uno dei punti capitali della storia contemporanea del cristianesimo: è un punto decisivo: o dell’adesione fedele e feconda con la tradizione autentica e autorevole della Chiesa, ovvero del taglio mortale da esso. Il contatto normale con Cristo non può avvenire per chi voglia rifarsi a lui secondo vie di propria elezione, creando un vuoto dottrinale e storico fra la Chiesa presente e l’annuncio primitivo del Vangelo. «Lo Spirito soffia dove vuole» (Io. 3, 8); sì l’ha detto il Signore; ma il Signore ne ha lui stesso istituito un veicolo conduttore: « ricevete lo Spirito Santo », ha pur detto il Signore risorto ai suoi discepoli, «i peccati di coloro a cui li avrete rimessi, saranno perdonati, e quelli di coloro a cui li avrete ritenuti, saranno ritenuti» (Io. 20, 23). Cristo, certamente, rimane l’unica sorgente, l’unica «vera vite»; ma la sua linfa giunge a noi attraverso i tralci vitali germinati da quella (Cfr. Io. 15, 1 ss.; Luc. 10, 16).

CONTINUITÀ DI SVILUPPO
La Chiesa non è un diaframma divisorio, che interpone una distanza, un impedimento dogmatico e legale fra Cristo e il suo seguace del secolo ventesimo; è il canale, è il tramite, è lo sviluppo normale che unisce; è la garanzia dell’autenticità, dell’immediatezza della presenza di Cristo fra noi. «Sono con voi . . .», ha detto Cristo congedandosi dagli Undici e aprendo davanti ad essi la successione dei tempi, «fino alla consumazione del secolo» (Matth. 28, 20). Non si può ideare un cristianesimo nuovo per rinnovare il cristianesimo; bisogna essergli tenacemente fedeli. E questa stabilità nell’essere, con questa sua continuità nel movimento e nello sviluppo, questa coerenza esistenziale, propria d’ogni essere vivente, non si può qualificare reazionaria, oscurantista, arcaica, sclerotica, borghese, clericale, o con altro titolo dispregiativo, come pur troppo certa moderna letteratura la definisce, per la fobia di tutto ciò che è del passato, o per la diffidenza di tutto ciò che il magistero della Chiesa fa oggetto di fede; la verità è così: rimane; la Realtà divina, che in essa si contiene, non si può modellare a piacimento, s’impone. Questo è il mistero: chi ha la fortuna di entrarvi mediante la fede e la carità, ne gode indicibilmente; ha qualche ineffabile esperienza della effusione dello Spirito Santo. Chiederà qualcuno: ma allora non v’è più nulla da rinnovare? L’immobilismo diventa legge. No: la verità rimane, ma esigente: bisogna conoscerla, bisogna studiarla, bisogna purificarla nelle sue espressioni umane: quale rinnovamento tutto questo comporta!
La verità rimane, ma è feconda: nessuno può mai dire d’averla tutta compresa e definita nelle formule che pure nel loro significato restano intangibili; essa può presentare aspetti ancora meritevoli di ricerca; essa proietta luce su campi diversi, che interessano il progresso della nostra dottrina; la verità rimane, ma ha bisogno di divulgazione, di traduzione, di formulazione relativa alla capacità comprensiva dei suoi alunni, e questi sono gli uomini di diversa età, di diversa cultura, di diversa civiltà. La religione ammette perciò perfezionamento, incremento, approfondimento, una scienza sempre tesa nella sublime fatica d’una qualche migliore comprensione, o d’una qualche più felice formulazione. Un pluralismo, allora? Sì, un pluralismo, che tenga conto delle raccomandazioni del Concilio (Cfr.A.A.S. 54 (1962), pp. 790, 792) e purché riferito ai modi, con cui le verità della fede sono enunciate, non al contenuto, come affermò con tanta forza e con tanta chiarezza il nostro venerato Predecessore Papa Giovanni XXIII, nel celebre discorso d’apertura del Concilio (Optatam totius, 16; Gravissimum educationis, 7, 10), riferendosi tacitamente, ma evidentemente, alla classica formula del «Commonitorium» di S. Vincenzo di Lérins (†450): le verità della fede possono essere espresse in modo diverso, purché «con lo stesso significato» (Cfr. DENZ-SCH., 2802). Il pluralismo non deve generare dubbi, equivoci o contraddizioni; non deve legittimare un soggettivismo di opinioni in materia dogmatica, che comprometterebbe l’identità e quindi l’unità della fede: progredire, sì, arricchire la cultura, favorire la ricerca; demolire, no.

IL CAMMINO DELLA CHIESA
Dovremmo dire di tante altre cose in tema di rinnovamento religioso, sul progresso teologico, ad esempio, sulle relazioni fra la dottrina religiosa e l’ambiente, sia storico, che culturale (tema oggi molto sentito e molto delicato), sugli insegnamenti morali della Chiesa e i costumi mutevoli degli uomini; ecc. Ma sia sufficiente l’accenno ora fatto a questo grande tema del rinnovamento religioso, affinché anch’esso sia oggetto di qualche vostra stimolante riflessione, e faccia a voi apprezzare lo sforzo che la Chiesa in questi anni sta facendo, con sofferta fedeltà e con pastorale bontà, per dare alla fede la sua gelosa custodia e la sua amorosa apertura. Ed anche affinché ai maestri della fede, Vescovi, Teologi, Catechisti, non manchi la vostra adesione e la vostra riconoscenza. 
Con la Nostra Benedizione Apostolica.



venerdì 1 febbraio 2013

LA SOFFERENZA TERRENA DI GIOVANNI PAOLO II RACCONTATA IN UN LIBRO


Il volume "Lasciatemi andare" ripercorre i giorni di malattia e di speranza di Wojtyla secondo le testimonianze di quattro persone molto vicine al Beato-
Uno dei grandi misteri della vita è rappresentato dalla sofferenza. L'uomo di ogni tempo ha tentato invano di trovare una soluzione sul perché di tanto dolore. La fede possiede una risposta alle prove che la vita pone davanti agli uomini, a volte anche dure, dimostrando come le parole di San Paolo non restino soltanto tali: "quando sono debole, è allora che sono forte" (2 Cor 12,10).

Lasciatemi andare - La forza della debolezza di Giovanni Paolo II (San Paolo, 2006) è un libro uscito nel primo anniversario della morte di Wojtyla, che racconta un lato umano del Pontefice: quello della sofferenza. Il volume ripercorre le tappe fondamentali del magistero di Giovanni Paolo II, con testimonianze autorevoli, come quella del dottor Buzzonetti, che descrive i giorni della sofferenza e della speranza. Prove importanti che con tenacia e fede non hanno mai allontanato il Papa dal suo operato. Per questo motivo i tanti fedeli dal giorno del suo funerale hanno iniziato ad alzare un urlo che diventa sempre più vivo: "Santo subito!"

"Un'esistenza alimentata dalla partecipazione al dolore" è stata quella di Karol Wojtyla. L'infanzia caratterizzata dalla morte della mamma prima, e del papà e del fratello poi. Durante la gioventù il dramma della guerra e i due totalitarismi che hanno devastato la sua Polonia, ed infine nel suo Pontificato i ricoveri al Policlinico Gemelli, l'attentato e il Parkinson che lo ha accompagnato lungo tutta la sua vecchiaia, fino alla morte.

Il libro è composto da quattro testimonianze importanti di uomini che hanno lavorato a stretto contatto con Wojtyla: Stanislaw Dziwisz suo segretario, Czeslaw Drazek responsabile dell'edizione polacca de L'Osservatore Romano, Renato Buzzonetti medico personale e Angelo Comastri, responsabile della Basilica di San Pietro, che descrive il lungo e silenzioso fiume di persone accorse da tutto il mondo per rendere omaggio e dire grazie al papa polacco subito dopo la sua morte.

Una vita che ha commosso il mondo con la sofferenza, conducendo così la Chiesa nel Terzo millennio.

Daniele Trenca
ROMA, Monday, 28 January 2013 (Zenit.org).