sabato 22 dicembre 2012

Papa Benedetto XVI, per il Natale scrive sul Financial Times (tradotto in Italiano)

«Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» fu la risposta di Gesù quando gli fu chiesto ciò che pensava sul pagamento delle tasse. Quelli che lo interrogavano, ovviamente, volevano tendergli una trappola. Volevano costringerlo a prendere posizione nel dibattito politico infuocato sulla dominazione romana nella terra di Israele. E tuttavia c’era in gioco ancora di più: se Gesù era realmente il Messia atteso, allora sicuramente si sarebbe opposto ai dominatori romani. Pertanto la domanda era calcolata per smascherarlo o come una minaccia per il regime o come un impostore.

La risposta di Gesù porta abilmente la questione ad un livello superiore, mettendo con finezza in guardia nei confronti sia della politicizzazione della religione sia della deificazione del potere temporale, come pure dell’instancabile ricerca della ricchezza. I suoi ascoltatori dovevano capire che il Messia non era Cesare, e che Cesare non era Dio. Il regno che Gesù veniva ad instaurare era di una dimensione assolutamente superiore. Come rispose a Ponzio Pilato: «Il mio regno non è di questo mondo».

I racconti di Natale del Nuovo Testamento hanno lo scopo di esprimere un messaggio simile. Gesù nacque durante un "censimento del mondo intero", voluto da Cesare Augusto, l’imperatore famoso per aver portato la Pax Romana in tutte le terre sottoposte al dominio romano. Eppure questo bambino, nato in un oscuro e distante angolo dell’impero, stava per offrire al mondo una pace molto più grande, veramente universale nei suoi scopi e trascendente ogni limite di spazio e di tempo.

Gesù ci viene presentato come erede del re Davide, ma la liberazione che egli portò alla propria gente non riguardava il tenere a bada eserciti nemici; si trattava, invece, di vincere per sempre il peccato e la morte.

La nascita di Cristo ci sfida a ripensare le nostre priorità, i nostri valori, il nostro stesso modo di vivere. E mentre il Natale è senza dubbio un tempo di gioia grande, è anche un’occasione di profonda riflessione, anzi un esame di coscienza. Alla fine di un anno che ha significato privazioni economiche per molti, che cosa possiamo apprendere dall’umiltà, dalla povertà, dalla semplicità della scena del presepe?

Il Natale può essere il tempo nel quale impariamo a leggere il Vangelo, a conoscere Gesù non soltanto come il Bimbo della mangiatoia, ma come colui nel quale riconosciamo il Dio fatto Uomo.

È nel Vangelo che i cristiani trovano ispirazione per la vita quotidiana e per il loro coinvolgimento negli affari del mondo – sia che ciò avvenga nel Parlamento o nella Borsa. I cristiani non dovrebbero sfuggire il mondo; al contrario, dovrebbero impegnarsi in esso. Ma il loro coinvolgimento nella politica e nell’economia dovrebbe trascendere ogni forma di ideologia.

I cristiani combattono la povertà perché riconoscono la dignità suprema di ogni essere umano, creato a immagine di Dio e destinato alla vita eterna. I cristiani operano per una condivisione equa delle risorse della terra perché sono convinti che, quali amministratori della creazione di Dio, noi abbiamo il dovere di prendersi cura dei più deboli e dei più vulnerabili. I cristiani si oppongono all’avidità e allo sfruttamento nel convincimento che la generosità e un amore dimentico di sé, insegnati e vissuti da Gesù di Nazareth, sono la via che conduce alla pienezza della vita. La fede cristiana nel destino trascendente di ogni essere umano implica l’urgenza del compito di promuovere la pace e la giustizia per tutti.

Poiché tali fini vengono condivisi da molti, è possibile una grande e fruttuosa collaborazione fra i cristiani e gli altri. E tuttavia i cristiani danno a Cesare soltanto quello che è di Cesare, ma non ciò che appartiene a Dio. Talvolta lungo la storia i cristiani non hanno potuto accondiscendere alle richieste fatte da Cesare. Dal culto dell’imperatore dell’antica Roma ai regimi totalitari del secolo appena trascorso, Cesare ha cercato di prendere il posto di Dio. Quando i cristiani rifiutano di inchinarsi davanti ai falsi dèi proposti nei nostri tempi non è perché hanno una visione antiquata del mondo. Al contrario, ciò avviene perché sono liberi dai legami dell’ideologia e animati da una visione così nobile del destino umano, che non possono accettare compromessi con nulla che lo possa insidiare.

In Italia, molte scene di presepi sono adornate di rovine degli antichi edifici romani sullo sfondo. Ciò dimostra che la nascita del bambino Gesù segna la fine dell’antico ordine, il mondo pagano, nel quale le rivendicazioni di Cesare apparivano impossibili da sfidare. Adesso vi è un nuovo re, il quale non confida nella forza delle armi, ma nella potenza dell’amore. Egli porta speranza a tutti coloro che, come lui stesso, vivono ai margini della società. Porta speranza a quanti sono vulnerabili nelle mutevoli fortune di un mondo precario. Dalla mangiatoia, Cristo ci chiama a vivere da cittadini del suo regno celeste, un regno che ogni persona di buona volontà può aiutare a costruire qui sulla terra.

 

L’articolo del Papa per il Financial Times (20 dicembre 2012) nasce da una richiesta venuta dalla redazione del Financial Times stesso, che, prendendo spunto dalla pubblicazione dell’ultimo libro del Papa sull’infanzia di Gesù, ha chiesto un suo commento in occasione del Natale.
Nonostante si trattasse di una richiesta insolita, il Santo Padre ha accettato con disponibilità.
Forse è giusto ricordare la disponibilità con cui il Papa aveva risposto anche in passato ad alcune richieste fuori del comune, ad esempio la richiesta di intervento alla BBC, proprio in occasione del Natale alcuni mesi dopo il viaggio nel Regno Unito, o la richiesta di intervista televisiva per il programma A sua immagine della RAI, rispondendo a domande in occasione del Venerdì Santo.
Si è trattato anche allora di occasioni per parlare di Gesù e del suo messaggio ad un ampio uditorio, nei momenti salienti dell’anno liturgico cristiano.


 

venerdì 21 dicembre 2012

Le strategie diaboliche - Don Marcello Stanzione

Quando Satana apparve per la prima volta a Santa Gemma Galgani (1890-1902) e le offrì la guarigione dalla sua gravissima malattia e la felicità su questa terra, egli scelse il suo più seducente volto. Tale è il suo modo di azione favorito con le anime che ingenuamente ed in buona fede si danno alla vita mistica quando esse non hanno, per camminare nel suo arduo percorso, le necessarie protezioni spirituali.

Ogni tentativo di esperienza mistica fuori dai quadri provati vale ad avventurarsi senza preparazione né soccorso in un universo differente, pieno di spiriti celesti benevoli certamente, ma anche di demoni odiosi ed insidiosi che non aspettano che l’occasione per attaccare i figli di Dio (Prima Lettera di San Pietro 5,8 : “Siate sobri, vigilate. Il vostro avversario, il Diavolo, come un leone ruggente, va in giro, cercando chi divorare”). In questo campo ogni imprudenza od ingenuità può rivelarsi fatale. Nessuna creatura umana è capace di tenere testa da sola alle forze tenebrose che a causa della propria santità di vita si sentono provocate e quindi cercano di dar fastidio in tutti i modi. Così, prima di lanciarsi nell’impresa dell’eroismo spirituale che dovrebbe essere normale scelta di vita per ogni militante cattolico, prete o laico poco importa, è bene ricordarsi del doppio avvertimento degli Apostoli Giovanni e Paolo : “Carissimi, non credete ad ogni spirito. Ma provate gli spiriti per sapere se sono di Dio” ( Prima Lettera di San Giovanni 4,1-3).

"Costoro sono dei falsi profeti, degli operai imbroglioni, che si travestono da apostoli di Cristo. E nulla di stupefacente : Satana stesso si maschera bene da angelo di Luce. Niente di sorprendente se i suoi ministri si mascherano da ministri di giustizia. Ma il loro fine sarà conforme alle loro opere” (San Paolo, Seconda Lettera ai Corinzi 11, 13-15).

Sotto la maschera di Satana non si dissimula un dio del Male come lo immaginano i dualisti di ogni epoca, ma una creatura creata più che buona : ammirabile, la più bella uscita dalle mani di Dio ad eccezione della Vergine Maria. Satana è sempre Lucifero, principe dei Serafini.

Il canonico regolare agostiniano Giovanni di Ruysbroec (1293-1381) può anche scrivere : “Il Demonio vede come attraverso una sfera di diamante che egli non romperà mai la sua bellezza di Arcangelo eternamente sussistente nel pensiero divino ; l’unità del suo essere è per sempre spezzata ed egli sa che quello splendore di se stesso, non lo raggiungerà più”. Non c’è dubbio che la disfatta degli Angeli ribelli è una atroce tragedia, benché siano soli ed unici responsabili del loro triste stato. Ma fa ancora meno dubbio che essi sono animati contro l’umanità di un rancore spaventoso. Il loro regno si appoggia sulla menzogna, l’odio e l’omicidio.

Lo scopo di questi Angeli decaduti è di impedire all’uomo di raggiungere la felicità da cui essi sono privi, di uccidere, non solamente i corpi che essi detestano e disprezzano, ma le anime. Tutte le eresie più o meno manichee che vedono il diavolo creatore della materia non misurano l’ironia delle loro affermazioni : fare di Lucifero, cacciato dal Cielo per avere rifiutato di adorare il Dio incarnato, l’inventore di quella materia che egli aborra con tutto il suo essere... Lucifero è un Angelo, pervertito certo, ma sempre un Angelo. Ed è da Angelo che egli ama agire, mettendo al servizio del suo odio e della sua vendetta i suoi doni magnifici”.

Il Gesuita Padre de Tonquedec, che fu per anni l’esorcista della Diocesi di Parigi, conosceva a meraviglia il modo dell’agire diabolico. Secondo lui, Satana è tentatore. Seduttore, cattivo consigliere, ispiratore di ogni atto maligno, imbroglione. Egli acceca, corrompe, fa prendere il falso per vero ed il male per bene.

Egli non forza, propone, suggerisce, persuade, mette in gioco, esplora le passioni umane e gli istinti, trovando in noi, per il tramite della natura decaduta dopo il peccato originale, un complice naturale, chiamato a diventare vittima. Perché Satana è un cattivo maestro. San Giovanni della Croce e Santa Teresa del Bambino Gesù, lapidari, lo accusavano di essere “vigliacco davanti a chi gli resiste e crudele con quello che gli cede”...In altre parole satana è debole con i forti e forte con i deboli!!!


Don Marcello Stanzione




 

giovedì 20 dicembre 2012

Paolo VI, si vuole un cristianesimo facile nella fede e nel costume. Udienza del 25 giugno 1969, rendere agevole il cristianesimo senza dimenticare la croce

 Diletti Figli e Figlie!

In queste brevi conversazioni delle Udienze generali  Ci sembra ancora doveroso ripensare al Concilio.

E per ora lo facciamo senza risalire ai suoi vari e specifici insegnamenti, ma con alcune osservazioni d’indole molto sommaria. Questa, ad esempio, che tutti possono fare da sé: il Concilio ha prodotto nel popolo cristiano una mentalità, una sua mentalità. È chiaro che al fondo di questa mentalità si trova una convinzione molto buona, un postulato, un’idea di base che alcuni ammettono come già acquisita, altri, più avveduti, come da acquisire, da realizzare. E questa convinzione ci dice che il Concilio vuole una professione cristiana più seria, più autentica, più vera. Un approfondimento nella sincerità. E questa idea, dicevamo, è molto buona, Possiamo e dobbiamo farla nostra, perché da essa è partito il Concilio, come, del resto, da questa aspirazione ad una perfetta interpretazione della vita cristiana, sia nel pensiero che nella condotta, parte continuamente l’azione didattica, santificatrice e pastorale della Chiesa. Ma, dopo il Concilio, come si esprime questa rinnovata mentalità? Dove si dirige la sua ricerca d’un cristianesimo autentico, vivo e adatto per i nostri tempi? Si esprime in vari modi. Uno di questi modi è quello di ritenere ormai facile l’adesione al cristianesimo; e quindi di tendere a renderlo facile.

L’ESSENZA DEL MESSAGGIO EVANGELICO

Un cristianesimo facile: questa Ci sembra una delle aspirazioni più ovvie e più diffuse, dopo il Concilio. Facilità: la parola è seducente; ed è anche, in un certo senso, accettabile, ma può essere ambigua. Può costituire una bellissima apologia della vita cristiana, a intenderla come si deve; e potrebbe essere un travisamento, una concezione di comodo, un «minimismo» fatale. Bisogna fare attenzione.

Che il messaggio cristiano si presenti nella sua origine, nella sua essenza, nella intenzione salvatrice, nel disegno misericordioso che tutto lo pervade, come facile, felice, accettevole e comportabile, è fuori dubbio. È una delle più sicure e confortanti certezze della nostra religione; sì, ben compreso, il cristianesimo è facile. Bisogna pensarlo così, presentarlo così, viverlo così. Lo ha detto Gesù stesso: «Il mio giogo è soave ed il mio peso è leggero» (Matth. 11, 30). Lo ha ripetuto, rimproverando ai Farisei, meticolosi e intransigenti, del suo tempo: «Compongono pesanti e insopportabili fardelli e li impongono sulle spalle degli uomini» (Matth. 23, 4; cfr. Matth. 15, 2, ss.). E una delle idee maestre di San Paolo non è stata quella di esonerare i nuovi cristiani dalla difficile, complicata e ormai superflua osservanza delle prescrizioni legali del Testamento anteriore a Cristo?

IL SOMMO PRECETTO DELL’AMOR DI DIO

Si vorrebbe qualche cosa di simile anche per il nostro tempo, che è orientato verso concezioni spirituali semplici e fondamentali. Sintetiche e a tutti accessibili: non ha il Signore condensato nel sommo precetto dell’amor di Dio e in quello, che lo segue e ne deriva, dell’amore del prossimo, «tutta la legge ed i profeti» (Matth. 22, 40)? Lo esige la spiritualità dell’uomo moderno, quella dei giovani specialmente; lo reclama un’esigenza pratica d’apostolato e di penetrazione missionaria. Semplificare e spiritualizzare, cioè rendere facile l’adesione al cristianesimo; questa è la mentalità che sembra scaturire dal Concilio: niente giuridismo, niente dogmatismo, niente ascetismo, niente autoritarismo, si dice con troppa disinvoltura: bisogna aprire le porte ad un cristianesimo facile. Si tende così ad emancipare la vita cristiana dalle così dette «strutture»; si tende a dare alle verità misteriose della fede una dimensione contenibile nel linguaggio corrente e comprensibile dalla forma mentale moderna, svincolandole dalle formulazioni scolastiche tradizionali e sancite dal magistero autorevole della Chiesa; si tende ad assimilare la nostra dottrina cattolica a quella delle altre concezioni religiose; si tende a sciogliere i vincoli della morale cristiana, qualificati volgarmente come «tabu», e delle sue pratiche esigenze di formazione pedagogica e di osservanza disciplinare, per concedere al cristiano, fosse pur egli un ministro dei «misteri di Dio» (1 Cor. 4, 1; 2 Cor. 6, 4) o un seguace della perfezione evangelica (cfr. Matth. 19, 21; Luc. 14, 33), una così detta integrazione con il modo di vivere della gente comune. Si vuole, ripetiamo, un cristianesimo facile, nella fede e nel costume.

Ma non si va oltre il confine di quell’autenticità, a cui tutti aspiriamo? Quel Gesù, che ci ha portato il suo vangelo di bontà, di gaudio e di pace, non ci ha forse anche esortati ad entrare «per la porta stretta» (Matth. 7, 13)? E non ha forse preteso una fede nella sua parola, che va oltre la capacità della nostra intelligenza? (cfr. Io. 6, 62-67). E non ha Egli detto che «chi è fedele nel poco, è fedele ,anche nel molto» (Luc. 16, 10)? Non ha fatto Egli consistere l’opera della sua redenzione nel mistero della Croce, stoltezza e scandalo (1 Cor. 1, 23) per questo mondo, mentre è condizione della nostra salvezza il parteciparvi?

PIENEZZA DI RISPETTO PER LA LEGGE DIVINA

Qui la lezione si fa lunga e difficile. Sorge la domanda: ma allora il cristianesimo non è facile? Allora non è accettabile da noi moderni, e non è più presentabile al mondo contemporaneo? Rinunciamo in questo momento a risolvere debitamente questa grave, ma non profonda difficoltà. Ricordiamo soltanto che il costo delle cose facili, se belle, se perfette, se rese tali superando ostacoli formidabili, è sempre alto. Pensiamo, per esempio, a questa legge, che presiede a tutto lo sforzo della coltura e del progresso, quando abbiamo occasione di viaggiare in aeroplano: volare, com’è facile! ma quanti studi, quante fatiche, quanti rischi, quanti sacrifici esso è costato!

E poi, per stare al nostro tema, ci domandiamo: il cristianesimo sarebbe fatto per i temperamenti deboli di forza umana e per i fiacchi di coscienza morale? Per gli uomini imbelli, tiepidi, conformisti, e non curanti delle austere esigenze del Regno di Dio? Ci domandiamo alle volte se non sia da cercare fra le cause della diminuzione delle vocazioni alla sequela generosa di Cristo, senza riserve e senza ritorni, quella della presentazione superficiale d’un cristianesimo edulcorato, senza eroismo e senza sacrificio, senza la Croce, privo perciò della grandezza morale d’un amore totale. E Ci chiediamo anche se fra i motivi delle obbiezioni, sollevate nei confronti dell’Enciclica «Humanae vitae», non vi sia anche quello d’un segreto pensiero: abolire una legge difficile per rendere la vita più facile. (Ma se è legge, che ha in Dio il suo fondamento, come si fa?).

Noi ripeteremo: sì, il cristianesimo è facile; ed è saggio, è doveroso appianare ogni sentiero che ad esso conduce, con ogni possibile agevolazione. Ed è ciò che la Chiesa, dopo il Concilio, cerca in ogni modo di fare, ma senza tradire la realtà del cristianesimo. Il quale è davvero facile a qualche condizione: per gli umili, che ricorrono all’aiuto della grazia, con la preghiera, con i sacramenti, con la fiducia in Dio, «che non permetterà, dice S. Paolo, che siate tentati sopra le vostre forze, ma con la tentazione vi offrirà modo . . . di superarla» (1 Cor. 10, 13); e per i coraggiosi, che sanno volere ed amare, amare soprattutto. Diciamo con S. Agostino: il giogo di Cristo è soave, per chi ama; duro per chi non ama: «amanti, suave est; non amanti, durum est» (Serm. 30; PL 38, 192).

Procurate, Figli carissimi, di fare questa felice esperienza: rendere facile mediante l’amore la vita cristiana! Con la Nostra Apostolica Benedizione.