Meditazione di sant'Alfonso M. de' Liguori
«Ascendit autem et Ioseph a Galilaea de civitate Nazareth in Iudaeam in civitatem David, quae vocatur Bethlehem» (Luc. 2. 4).
Considera i dolci colloqui che in questo viaggio dovette fare Maria con Giuseppe della misericordia di Dio in mandare il suo Figlio al mondo per redimere il genere umano, e dell'amore di questo Figlio in venire a questa valle di lacrime a soddisfare colle sue pene e morte i peccati degli uomini.
Considera poi la pena di Giuseppe in vedersi in quella notte, in cui nacque il Verbo divino, discacciato con Maria da Betlemme, sì che furono costretti a stare in una stalla.
Qual fu la pena di Giuseppe in vedere la sua santa sposa, giovinetta di quindici anni, gravida vicino al parto tremar di freddo in quella grotta, umida ed aperta da più parti!
Ma quanta poi dovette essere la sua consolazione, quando intese da Maria chiamarsi e dire: “Vieni Giuseppe, vieni ad adorare il nostro Dio bambino, ch'è già nato in questa spelonca. Miralo quanto è bello: mira in questa mangiatoia su di questo poco fieno il Re del mondo. Vedi come trema di freddo, chi fa ardere d'amore i Serafini! Ecco come piange quegli ch'è l'allegrezza del Paradiso!”.
Or qui considera qual fu l'amore e la tenerezza di Giuseppe, allorché mirò co' propri occhi il Figlio di Dio fatto bambino; e nello stesso tempo udì gli Angeli che cantavano intorno al loro nato Signore, e vide quella grotta ripiena di luce!
Allora genuflesso Giuseppe piangendo per tenerezza: “Vi adoro”, disse, “Vi adoro sì mio Signore e Dio; e qual sorte è la mia di essere il primo dopo Maria a vedervi nato! e di sapere che nel mondo Voi volete esser chiamato e stimato figlio mio! Dunque lasciate che anch'io vi chiami e da ora vi dica: Dio mio e figlio mio, a Voi tutto mi consacro. La mia vita non sarà più mia, sarà tutta vostra; ad altro ella non servirà che a servire Voi, mio Signore”.
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