giovedì 21 ottobre 2010

Il “ 23 “ di Walter Covini

Per coloro che sono avvezzi o peggio ancora incalliti sovvenzionatori del Monopolio di Stato, che gestisce il gioco del Lotto, un numero come il 23 può rappresentare un miraggio tenacemente inseguito al fine di ottenere una vincita favolosa, di quelle milionarie intendo, che ti cambiano la vita, in meglio o in peggio a secondo dei casi. Per noi milanesi di vecchia data, radicati negli usi e nei costumi della vita cittadina il “23“, usato come numero adimensionale, può significare il numero di una linea tranviaria; come ad esempio quella di un tram di quelli storici, costituito da una piccola vettura con due carrelli articolati, risalente al 1929, su cui poggia la scocca allestita con le caratteristiche lunghe panche di legno impellicciato appoggiate una di fronte all’altra sul pianale per la sua lunghezza, sotto i finestrini apribili.
Nella breve riflessione che vi propongo il “23“ altro non è che la data di nascita, la “ classe” come si usa dire, di un arzillo nonno di 87 anni appunto, con cui ho avuto occasione di scambiare quattro chiacchiere. Una persona avanti con gli anni necessariamente è portata a fare il bilancio della propria vita e a esporre una specifica “filosofia” sulla stessa, derivante dal particolare suo vissuto. Siccome l’esistenza di ogni uomo dispensa, con una notevole dose di equità, gioie e dolori, opportunità e disillusioni, benessere e malattie, periodi di felicità e altri di sconforto cercherò di trarre da ciò che ho udito da quell’amico un denominatore comune, che serva da riferimento a me e a voi, miei lettori.
Nonno Anselmo, così lo chiamerò, ha elaborato nel corso della sua esistenza una dottrina secondo la quale ogni uomo ha un suo destino, che non coincide col fatalismo islamico, tuttavia attinge il suo fondamento osservando a ritroso l’intero cammino della nostra vita. Anselmo mi riferisce: “ Avrei desiderato diventare un ingegnere meccanico, invece mi sono fermato a diploma di tecnico. Avevo deciso di sposare la Francesca, ma lei se ne è andata con un altro ed io ho sposato Giovanna, che mi ha dato due figli. C’e stato di mezzo il fascismo che ha coinvolto l’Italia nella rovinosa II° Guerra mondiale. Avevo 17 anni quando Mussolini scese in guerra accanto alla Germania di Hitler nell’estate del 1940 e feci tempo a essere arruolato ed a finire in un campo di concentramento tedesco; ma sono dopo tutto stato fortunato. In seguito gli anni della ricostruzione sono stati difficili e la villetta che sognavo di possedere per la mia famiglia si è ridimensionata in tre piccoli vani delle case popolari, che negli anni venti l’acclamato Duce Benito Mussolini aveva fatto costruire per il popolo italico. Ho lavorato per quasi quarant’anni; i miei figli si sono sistemati e mi hanno rallegrato donandomi 5 nipotini, uno si chiama Mario, il nome di mio padre. Quando avevo 73 anni il Signore si è preso la mia Giovanna, ma non ho desistito e continuo a nutrire fiducia nella vita anche ora che mi trovo ricoverato in un letto d’ospedale. E che ospedale! Mi hanno detto che è stato fondato dal Duca Francesco Sforza nel 1456 col nome di Magna Domus Hospitalis, vale a dire Casa Grande. Che brave persone quelle che hanno iniziato e portato avanti quest’opera; pace alle loro anime. Quale sia il penultimo o ultimo cambio di direzione che il “destino” riserverà a quei pochi anni che mi restano da vivere, non lo so.
Di una cosa sono certo che, potendolo fare, non cambierei una virgola alla mia vita, poiché ciò potrebbe comportare imprevedibili conseguenze per il mio vissuto. La mia vita è stata quello che è stata, unica nelle sue dinamiche, più particolareggiata e complessa del DNA che m’identifica geneticamente. Ora, coricato sul mio letto d’ospedale, la vedo scorrere nella sua interezza ed è questo insieme unico e irrepetibile che io chiamo “destino”. La testimonianza di nonno Anselmo può essere assunta come matrice di altri milioni di racconti simili a questo, esternati da quanti, uomini o donne, hanno raggiunto un’età veneranda.
Voglio ritornare ai tempi della giovinezza, miei amici, all’età delle scelte morali, religiose, del discernimento su ciò che è bene o male, della lungimiranza contrapposta all’illusione del maligno che ci fa credere che i piaceri effimeri e le scorciatoie facili e furbesche conducano a un’esistenza felice e spensierata.
Paragonando lo scorrere della nostra esistenza al tragitto di una tramvia, è questo il tratto più impegnativo che il nostro personale immaginario tram deve percorrere, poiché è molto fitto di scambi e incroci. Su di essi le ruote sferragliano vigorosamente, talora sembra che il tram deragli, ma se il conducente (leggasi la nostra coscienza) è attento, sa come dirigere la vettura verso il percorso migliore, che corrisponde solitamente a una vita più bella e serena. Curiosamente il termine ebraico, che solitamente si traduce col termine “ peccato ”, è “ mancare il bersaglio “, per esempio con un tiro d’arco. Nel nostro caso l’obiettivo mancato è prendere lo scambio che ci allontana dalla meta ultima della nostra vita, in questa metafora vista appunto come il centro di un bersaglio.
Come avrete capito, miei lettori, sono appassionato di treni e di tram, anche perché pur guidando con una certa regolarità, non possiedo un’autovettura. Come intermezzo rilassante farò un breve tuffo nel passato scrivendo qualche riga sulla storica vettura milanese cosiddetta “ Carrelli ”. Dello storico tram, costruito in ben 500 esemplari dalla Carminati & Toselli fra il 1929 il 1930, a Milano ne circolano circa 130 carrozze ridipinte coi due colori originali bianco crema e nocciola nella parte inferiore. Non c’e più sul fondo, dove è stata aggiunta la porta posteriore, l’elegante salottino con un divanetto ricoperto di velluto rosso; bei tempi quelli quando si riconosceva il valore delle belle realizzazioni degli ingegneri e delle maestranze e si valorizzava il tempo conversando fra amici o scambiando quattro chiacchiere con altri passeggeri. Dell’epoca sono rimasti assieme alla scocca e le due lunghe panche di legno i quattro motori elettrici, uno per ogni asse (più esattamente assile) da 21Kw ciascuno, che permettono al tram di “correre” a circa 50 Km all’ora. Quando ero ragazzino correvo davanti alla sinistra del conducente e restavo in piedi, aggrappato ai corrimano metallici, e mi appassionavo quando il tranviere dava manetta girando gradualmente il pesante combinatore marcia in ottone ed il tram ondeggiava come un vaporetto sul Canal Grande a Venezia. La manovra che più m’incuriosiva era quando il conducente, per fare scattare uno scambio, toglieva la corrente, azionava con maestria la levetta dei freni ad aria compressa per poi ridare corrente in modo subitaneo; uno scatto secco dello scambio e si ripartiva nella direzione voluta.
Uscendo dalla metafora la rete tranviaria che si dirama dal centro fino alle lontane periferie della città, può rappresentare il cammino della nostra vita. Si parte da un capolinea posto a un’estremità dell’agglomerato urbano; tale capolinea non è scelto da noi in quanto collocazione spazio-temporale, come il giorno della nostra nascita, in quella determinata famiglia, in quel peculiare contesto storico e nell’ambito di un particolare ambiente sociale con le sue mode e tendenze, che, assieme all’educazione impartitaci dai genitori ed insegnanti, condizionano la nostra formazione intellettuale e psicologica e materializzano il primo tratto della nostra personale linea tranviaria. Si giunge in seguito nel periodo dell’adolescenza ad affrontare i primi scambi, vale a dire alle prime vere scelte impegnative come l’interesse per lo studio e quelle più sagge, come evitare cattive compagnie e abitudini distruttive e il rifuggire dalle passioni giovanili per ricercare gli amori più profondi e duraturi.
Ovviamente manovrando opportunamente il nostro tram si avvia lungo il tragitto più breve al centro della città, che rappresenta la meta e il fine ultimo della nostra esistenza. Ambientando questo simbolico percorso nella nostra Milano il punto centrale coincide con l’ubicazione del Duomo, che oltre ad essere una straordinaria espressione dell’ingegno umano, è degna dimora di nostro Signore Gesù presente nell’Eucaristia e sede della cattedra dell’Arcivescovo. In cima alla guglia centrale a 108 metri d’altezza svetta la statua dorata della “Madonnina”, alta 4 metri, cui la chiesa cattedrale è dedicata e che costituisce un segnavia da qualsiasi punto della periferia inizi il nostro viaggio. Le tribolazioni della vita tuttavia, indipendentemente dalla nostra buona volontà, non ci permettono di procedere sempre in linea retta; il corso della nostra esistenza è, infatti, disseminato di ostacoli e imprevisti. Basta un’infermità che colpisca un membro della famiglia, un incidente stradale oppure un periodo di difficoltà economica dovuto alla mancanza di lavoro o dissidi sempre in ambito famigliare e la vita diventa faticosa.
Tuttavia è proprio in tali frangenti, in cui è richiesto maggiore impegno, che manovrando con perseveranza si può e si deve procedere per riconnettersi, dopo un tratto di linea apparentemente divergente, al percorso principale. A posteriori, come nel caso di nonno Anselmo, tutto il percorso compiuto, anche quello fitto di scambi e di tragitti contorti, costituirà il quadro d’assieme del nostro vissuto; in altre parole il tragitto della nostra particolare linea tranviaria, coscienti che ogni metro di essa ha un inestimabile valore. Vi è però una condizione necessaria affinché la nostra vita sia feconda a giunga a buon fine.
Tale necessità è l’essere radicati in Cristo Gesù, vero uomo e vero Dio, nella sua Parola, trasmessaci dai Vangeli e dalle Lettere apostoliche, e nell’accoglimento dello Spirito Santo, che proviene da Dio Padre e dal Figlio stesso. Il grande sconvolgimento che caratterizza la nostra epoca, inizio del III° millennio, è la diffusa scristianizzazione, che colpisce soprattutto le nazioni che furono la culla storica del cristianesimo, a partire dalla nostra Italia.
Recita un versetto del Vangelo o di S. Giovanni: “ Io sono la via la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” ( Gv. 14,6) e ancora” Io sono la vite voi i tralci. Chi rimane in me ed io in lui fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.” ( Gv. 15,5). Ignorare la parola di Dio, agire come se Dio non esistesse, non seguire le orme percorse da Gesù, ci condanna a vagare senza meta nel nostro pellegrinaggio terreno. Coloro che non pensano alla dimensione ultraterrena della vita, alla resurrezione della carne e al giudizio divino, che ha come unità di misura l’amore cristiano e la carità, come possono giungere felicemente al capolinea della loro esistenza, che abbiamo simbolicamente collocato in questo scritto al centro della città, che si è sviluppata attorno alla sua chiesa cattedrale? Ciononostante sia per i cristiani virtuosi, ma comunque peccatori, per i non credenti, comunque persone oneste e laboriose o per i peccatori che hanno rinnegato il loro battesimo al centro di tutto e come fine ultimo s’innalza la croce di Cristo, che nel silenzio della sua passione e dei più crudeli tormenti, intercede per tutti presso il Padre suo e nostro.
Il nostro “ personale” tram n° 23… dopo aver intersecato tanti scambi, affrontato curve, intoppi di traffico, strade innevate dal rigore invernale o arroventate dal sole estivo arriverà finalmente a destinazione, al fatidico traguardo per consegnare, assieme alla nostra persona, il preziosissimo carico dei ricordi del nostro peculiare e irripetibile vissuto. Esso è composto dalle incontenibili gioie infantili, ma anche dalle autentiche soddisfazioni del periodo della giovinezza, con i suoi innamoramenti e le sue speranze, dalla maturità necessaria per la vita coniugale e per la responsabile educazione dei figli, e caratterizzato dal lungo cammino dell’attività lavorativa, magari frammentata in vari luoghi di lavoro, dove occorreva mettersi in gioco e ricominciare daccapo. Alla fine giunge l’età della pensione quando si diventa nonni e ci si consola gioendo della spontaneità e dell’irrefrenabile energia vitale che spinge i nostri nipotini alla scoperta del mondo.
O “23”, caro alla mia memoria infantile, con la tua capienza trasporti, assieme al mio corpo costituito da tessuto nervoso, muscoli e ossa, un carico eterogeneo di gioie e di dolori, di felicità e di tristezza, di sorriso e di lacrime, di compassione e d’indifferenza, d’impegno e di spossatezza, di amore profondo o tiepido verso il prossimo, di preghiera e meditazione o d’incredulità e di legittimo enigma circa la sostanza della vita ultraterrena. Per quanto contorto sia stato il tragitto che la nostra volontà o i casi della vita ci hanno fatto percorrere, il nostro buon tram arriverà alla sua meta, che se da un lato coincide con l’esperienza ineluttabile della nostra morte corporale, che ci costringe ad aggrapparci saldamente alla fede, il buon “ 23” si trasformerà in un traghetto che ci condurrà dinanzi al nostro Creatore. Sarà Dio, con la sua onnipotenza e il suo infinito amore, a epurare tutte le negatività che abbiamo accumulato nel corso della nostra esistenza, mentre le tribolazioni e le sofferenze patite si trasformeranno in gioia e letizia che faranno accrescere a dismisura i momenti felici vissuti. Questo patrimonio inalienabile sarà associato al nostro corpo glorificato per una nuova vita, questa volta eterna e senza sofferenze, che vivremo nella gioia e nel vero amore condiviso con tutte le persone che il Signore ci ha fatto incontrare.
“Coraggio non abbiate paura, aprite, anzi spalancate le porte al Signore Dio“. Queste parole le ha pronunciate con fermezza il grande pontefice Giovanni Paolo II°; facciamole nostre e non scordiamoci che vicino a casa nostra, basta fare pochi passi e girare l’angolo, passa sempre un “ 23 “.
Walter Covini
Milano, 20 settembre 2010

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