Su gentile concessione di QUATTRO, Giornale di informazione e cultura della Zona 4 Vittoria Forlanini, articolo firmato da Giacomo Perego
L'incontro con Giovanni Barbareschi, monsignore della Diocesi, è sempre gratificante. L'ascoltare ciò che ha ancora da dire è estremamente stimolante e si rimane come incantati dalle sue parole così soppesate. Stenta a classificare, tra le innumerovoli cose che lo hanno visto protagonista, cose belle e negative, ma, piuttosto, dice che "esperienza più bella, per me non ha significato. Esperienza più significativa: accetto." Ma come si fa a trovare l'esperienza più significativa di tutta una vita, e di una veramente vissuta e gustata, come quella di don Giovanni? Un gusto, un amore per la libertà che lo hanno portato a fare ciò che ha fatto e per cui la provincia di Milano ha deciso di assegnargli il Premio Isimbardi 2009 nella giornata della riconoscenza, il 18 dicembre. La motivazione del conferimento sta nel ruolo di educatore, punto di riferimento per numerose generazioni di giovani di ieri ma anche di oggi. E come fare a non venire travolti da quella sequenza di vicende personali così cariche di ideali, fede e passione? Tutto comincia il 17 marzo 1943, stazione di Udine, quando don Giovanni incontra Don Carlo Gnocchi di ritorno dalla Russia. "Con don Carlo abbiamo fatto la resistenza assieme, insieme abbiamo salvato ebrei, assieme abbiamo fatto documenti falsi, per salvare ebrei. Siamo diventati molto amici, durante la resistenza.Poi le nostre vie si sono un pò separate, ma quando lui si è accorto di non stare bene, dicembre '55 il Cardinale Montini va a trovarlo e gli dice: cosa posso fare per te? e lui chiede che il mio amico don Giovanni possa essere esonerato da qualsiasi altro impegno sacerdotale e possa restare con me per aiutarmi a morire bene. E sono rimasto, per due mesi. La prima parte dalla mattina alla sera, poi il 3 gennaio 1956, sono le 8 di sera, io sto salutandolo per andare via, lui mi dice: no, non andar via stasera! Sta chì, perchè gù paura....e da allora non l'ho più lasciato. Nè di giorno, nè di notte. E' uscito dalla clinica Columbus in una bara, che anch'io portavo". Ribelle per amore, è incarcerato a S.Vittore la sera dopo la sua prima messa. Scrive in clandestinità il Ribelle. Viene catturato più volte e internato, dopo la guerra è assistente ecclesiastico per la FUCI e l'AGESCI, insegnante per oltre 30 anni al liceo Manzoni. Da diversi anni è legato con particolare affetto alla parrocchia di S.Pio V (via Ennio) in cui vi celebra la messa ogni domenica alle ore 18.00. Come dunque dare torto a un riconoscimento del genere? E come non restare affascinati da una simile storia?
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