venerdì 6 aprile 2012

Il Mistero della Croce – Card. Carlo Maria Martini


La Passione di Cristo passa oggi per le case di tanti che soffrono: dei disoccupati, di coloro che pensano all’avvenire con crescente timore, dei sequestrati ancora attesi con ansia e afflizione, di coloro che furono vittime di una violenza assurda e spietata. Ma passa anche per le case degli anziani, spremuti delle loro energie e messi da parte, in solitudine – e quanti di essi si lamentano con sofferenza di questa solitudine! –; passa per le case di coloro che attendono giustizia senza riuscire ad ottenerla, di quanti hanno dovuto, per qualunque motivo, abbandonare una patria, senza riuscire a trovarne una nuova, o a sentirsi accolti, che forse non hanno neppure una casa, e stanno magari vicino a noi.

Il mistero della croce si rinnova in tutti coloro che si sentono esclusi e che la nostra società fa sentire come tali, come gli handicappati, o coloro a cui vengono indicate vie d’uscita che sono soluzione di morte: drogati, disadattati, carcerati, che anche nei luoghi che dovrebbero essere di espiazione ma anche di redenzione, rimangono vittime di un clima di violenza e di morte, che in passato hanno o possono aver contribuito a creare.

Passa infine, questa Passione e questa sofferenza, per il cuore di tutti coloro che pensano che il loro sacrificio e la loro fedeltà al dovere quotidiano sia inutile, incompresa, e di questo dovere cadono vittime.

Ci sembra impossibile alle volte, leggendo i giornali, pensare che uomini tanto piccoli possano fare nel mondo un male tanto grande, eppure se ascoltiamo la lettura della Passione non è un sentimento diverso quello che ci sentiamo nascere dentro.

La Passione del Signore ci insegna non solo ad accorgerci anche di chi soffre, non solo a soccorrerlo, ma anche ad uscire dalla logica della violenza che sembra perpetuarsi nel cuore dell’uomo e della storia dell’umanità.

Un gesto di perdono e di preghiera come quello di Cristo morente e che altri ai nostri giorni cercano di rendere vivo ed operante, è una buona novella che ci aiuta a credere che il mistero del Venerdì Santo conosce ancora e sempre l’alba del giorno di Pasqua e che il Cristo non vuole aver oggi altre mani che le nostre per avere cura dei nostri fratelli.

(Cardinale Carlo Maria Martini)
Crocefissione
Giotto di Bondone (1266-1337)
Cappella degli Scrovegni, Padova, Italy

mercoledì 4 aprile 2012

Arcidiocesi di Milano

Messa per la benedizione delle palme


Zc 9,9-10; Salmo 47 (48); Col 1,15-20; Gv 12,12-16
 
Duomo di Milano, 1 aprile 2012

Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano


           1. «Sei benedetto Signore! Tu che salisti al monte, tu che spirasti in croce, tu che gustasti la morte, tu che glorioso regni» (Alla Comunione). Così ci farà pregare il Canto alla Comunione delineando, con un potente “crescendo”, l’ultimo tratto del cammino umano del nostro Redentore, dalla Passione alla Gloria. «Gustasti la morte», cioè ne bevesti il calice fino all’ultima goccia, assaporandola fino in fondo.

Sorelle e fratelli carissimi, questo è il nostro Dio: Uno che non si sottrasse in nulla all’orrore della sofferenza e della morte. Uno che sovrabbondò nell’amore per aprirci l’accesso alla sovrabbondanza della vita. Con la processione, le palme, gli ulivi, i canti ed i salmi abbiamo voluto immedesimarci con il popolo che accolse l’ingresso di Gesù a Gerusalemme con gli Osanna.

La Domenica delle Palme è il portico della Settimana Autentica: i fatti della vita di Gesù che la Chiesa nostra Madre, a partire da oggi, ci farà vivere rappresentano la verità presente nell’Eucaristia illuminata dalla Parola di Dio. Danno senso pieno all’esistenza di ciascuno di noi e di tutti gli uomini di ogni tempo, di tutta la storia. Viviamo quindi con fede questa Settimana eminente come figura del percorso della nostra vita.

2. «Osanna al re d’Israele!» (Vangelo, Gv 12,13) grida la folla uscendo incontro a Gesù. Con la sua acclamazione esprime la speranza che l’attesa messianica del popolo d’Israele finalmente si realizzi. «Non temere figlia di Sion, il tuo re viene…» (Vangelo, Gv 12,15). Ma inevitabilmente il popolo riveste questa attesa con le sue immagini. Le stesse che suscitano sentimenti opposti nei capi del popolo e nei sacerdoti che giungono fino a tramare di ucciderLo.

 Anche il contesto in cui Giovanni colloca la narrazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme è ad un tempo carico di segnali di morte (oltre alla decisione del sinedrio, per cui Egli sarà costretto a nascondersi, l’unzione di Betania interpretata da Gesù stesso come annuncio della sua sepoltura…), ma anche da promesse e presagi di vita (le folle che Lo seguono, la fede di molti Giudei, l’episodio dei Greci che vogliono vedere Gesù…).

L’evento dell’entrata a Gerusalemme è quindi un evento dalle varie valenze, vissuto in maniera profondamente diversa dalla folla, dai capi e dal Signore Gesù. Come lo stiamo vivendo noi, qui ed ora?

Come sciogliamo questa ambivalenza?

Noi sappiamo che Gesù ci rivela chi è il nostro Dio: un Padre che ama la libertà dei figli a tal punto da non sopraffarla mai, senza mai cessare di pro-vocarla con la forza della verità. Essa ci scuote dalla “gaia rassegnazione” in cui spesso, quasi senza accorgercene, scivoliamo, incapaci - o semplicemente - stanchi di cercare il senso pieno della nostra esistenza.
 
3. «Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina» (Prima Lettura, Zc 9,9) annuncia il profeta. E Giovanni ne dà piena conferma.

Benedetto XVI nel primo volume del suo Gesù di Nazaret ci spiega che la parola greca per dire mansueto, umile (praýs) - la stessa impiegata anche nelle Beatitudini - è una parola usata tanto per descrivere chi è Gesù come per dire l’identità della Chiesa. Una parola che dice la natura della nuova “regalità” inaugurata da Gesù. La Sua mansuetudine è la sua obbedienza al disegno del Padre. Questa deve essere anche la nostra, di noi che portiamo il Suo nome: cristiani. La Chiesa nasce dal costato di Cristo e deve ogni giorno rinascere dal cuore di ogni fedele.

4. «I suoi discepoli sul momento non compresero queste cose; ma, quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che di lui erano state scritte queste cose e che a lui essi le avevano fatte» (Vangelo, Gv 12,16). I discepoli sciolgono l’ambivalenza di cui, come il popolo erano vittime, solo di fronte alla Sua glorificazione. Con questo termine il Vangelo di Giovanni sintetizza l’evento della Pasqua di morte e resurrezione. È il termine che indica la manifestazione, il peso di Gesù nel mondo.

Così afferma San Paolo: al nostro Dio «è piaciuto che abiti in Cristo tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (cf. Epistola, Col 1,20).

La profezia di Zaccaria - «Egli annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra» (Prima Lettura, Zc 9,10) - si compie quindi non tanto nell’accoglienza di Gesù all’entrata a Gerusalemme, ma sul Calvario.

Gesù «con la sua obbedienza ci chiama dentro questa pace, la pianta dentro di noi» (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret 1,106). Infatti nell’azione eucaristica il Re della pace ci educa a riconoscere che non c’è possibilità di bene per sé e di edificazione di vita buona a tutti i livelli dell’umana convivenza che non passi dal dono di sé. Se questo è vero, come è vero, a nessuno sfugga la grande attualità della Pasqua di nostro Signore.

5. «Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose» (Epistola, Col 1, 18). In Cristo si attua la signorìa di Dio sul mondo creato e redento, di cui Egli ci vuole partecipi. Ma di quale signorìa, di quale regalità si tratta? Ce lo indica il CCC 1884. Il Signore «non ha voluto riservare solo a sé l'esercizio di tutti i poteri. Egli assegna ad ogni creatura le funzioni che essa è in grado di esercitare, secondo le capacità proprie della sua natura. Questo modo di governare deve essere imitato nella vita sociale. Il comportamento di Dio nel governo del mondo, che testimonia un profondissimo rispetto per la libertà umana, dovrebbe ispirare la saggezza di coloro che governano le comunità umane. Costoro devono comportarsi come ministri della provvidenza divina» (CCC 1884).

6. Apprestiamoci a vivere, qui nella nostra cattedrale e nelle nostre comunità, la potente liturgia della Settimana autentica. Lasciamoci com-muovere dall’invito di Andrea di Creta: «Corriamo anche noi insieme a colui che si affretta verso la passione, e imitiamo coloro che gli andarono incontro, non però per stendere davanti a Lui, lungo il suo cammino, rami di olivo o di palme, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione, dinnanzi ai suoi piedi, le nostre persone».

«... stendere le nostre persone…». Che significa in concreto? Prostrarci nell’umile riconoscimento dei nostri peccati nel sacramento della Confessione, donare qualcosa di noi stessi e dei nostri beni a chi è nel bisogno materiale e spirituale, fare, mediante la partecipazione alla liturgia, intenso spazio al Crocifisso glorioso nelle nostre giornate, conformarci non a questo mondo ma al pensiero di Cristo. In una parola, con l’intercessione della Vergine Santissima, di San Giuseppe, di Sant’Ambrogio e di San Carlo invocare quel profondo cambiamento che abbiamo inseguito lungo tutta la Quaresima: la nostra conversione. Nella morte e Risurrezione di Gesù, la nostra morte e la nostra risurrezione. Amen.

domenica 1 aprile 2012

Domenica delle Palme – 1° aprile 2012 – Rito Ambrosiano

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (11,55-12,11)

In quel tempo. 55Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. 56Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?». 57Intanto i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perché potessero arrestarlo.

1Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. 2E qui fecero per lui una cena. Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. 3Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. 4Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: 5«Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». 6Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. 7Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. 8I poveri infatti li avete sempre con coi, ma non potete sempre avere me».

9Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. 10I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Lazzaro, 11perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.