Riandando alla pagina del Vangelo che è appena stata proclamata, mi sembra che possiamo dedurre che…in Gesù tra il dire e il fare non c’è di mezzo il mare.
In Lui dire e fare sono una cosa sola.
Ciò che dice avviene, ciò che vuole si realizza.
Infatti…nessuna malattia resiste al suo intervento: ha guarito i due ciechi
Nessun spirito malvagio è così ostinato da non arrendersi alla sua parola: ha liberato l’uomo dallo spirito malvagi oche lo teneva muto…
Nessuna povertà o debolezza, ferita o fragilità è estranea alla sua compassione: nei villaggi e nelle città che visitava, all’annuncio del Vangelo, ha unito sempre guarigioni di ogni sorta.
Ma la missione di Gesù, e oggi quella della Chiesa, è quella di guarire ogni sorta di malattie o di annunciare il Vangelo?
Perché ci poniamo questa domanda?
Di solito, infatti, noi disgiungiamo l’annuncio del Vangelo dalla solidarietà, sostenendo che il primo è teoria e l’altra è pratica, e che le belle parole non riempiono lo stomaco.
Ma cos’è più importante per una persona: essere sazi e sani, o trovare il senso della propria vita?
E per chi ha la responsabilità sugli altri è più importante distribuire buoni sociali, viveri e indumenti o garantire le condizioni per il rispetto della dignità di ogni persona?
Quando il Papa nel suo messaggio in occasione della giornata missionaria mondiale afferma che il primo servizio all’uomo è l’annuncio del Vangelo, sta facendo della teoria o si preoccupa davvero del bene della persona nella sua interezza?
Penso che il problema sia quello di riportare alla unità quello che da principio era unito e che noi invece abbiamo separato: le parole dalle azioni, le idee dai fatti, i principi dalle iniziative concrete.
Il Vangelo è per la promozione integrale della persona.
Quando viene riconosciuta ad ogni persona la dignità di figlio di Dio, quando vengono messi in atto
© la fratellanza universale,
© la condivisione dei beni,
© l’accoglienza,
© il perdono,
principi proclamati dal Vangelo, nessuna persona si trova in stato di emarginazione o di indigenza.
Duemila anni di cristianesimo, nonostante le tante contraddizioni trasversali, sono sotto gli occhi di tutti a dimostrare che il Vangelo è a favore della persona intera; meglio, che il Vangelo crea le condizioni perché la persona sia promossa nella sua dignità e quindi sia in grado di poter soddisfare o direttamente o indirettamente i propri bisogni primari.
Possiamo allora ancora sostenere il divario tra fame di pane e fame di senso?
Con questo interrogativo nel cuore portiamo ora la nostra attenzione a quella porzione di mondo dove il messaggio del Vangelo, sta già per essere fagocitato da un cambiamento culturale e sociale che porta a vivere come “se Dio non esistesse” e non per contrapposizione, ma semplicemente per sovrapposizione: Dio e i valori della fede sono soffocati da altro.
Mi riferisco ai paesi dell’America Latina, dove l’evangelizzazione nel corso di quattro, cinque secoli di storia è stata capillare.
Non c’è villaggio, infatti, il più sperduto sulle Ande come il più interno nelle pampas, che non abbia la sua chiesa, e non c’è casa che tra i suoi oggetti più cari non custodisca un crocifisso o una immagine della Madonna.
Ma un fenomeno molto diffuso e che procede ad una velocità non prevedibile, quello della concentrazione della popolazione nelle grandi città, sta sconvolgendo non solo l’habitat fisico e sociale delle famiglie, ma soprattutto quello culturale e religioso.
Il missionario/la missionaria, le nostre suore, oggi in America Latina non sono più dei pionieri alla ricerca di villaggi sperduti da evangelizzare, ma sono, cito una espressione locale, dei “curas o hermanas villeros” (sacerdoti e suore di quartiere) che svolgono la loro missione nelle grandi periferie delle metropoli come Buenos Aires, nelle “villas miserias”, appunto, come vengono chiamate in Argentina , o nelle “invasiones” in Ecuador, realtà molto simili alle favelas del Brasile, forse più conosciute…
Si tratta di insediamenti molto approssimativi che nascono dalla sera al mattino per mano degli immigrati interni o di paesi confinanti.
Qual è il compito principale dei sacerdoti missionari e in particolare delle nostre suore?
Non primariamente allestire centri caritas per la distribuzione di viveri e indumenti o medicine, ma sostenere e motivare gli ultimi arrivati a trovare alternative alla rete di illegalità che cerca di avvilupparli, come in una mortale ragnatela.
L’attività missionaria consiste nel recuperare queste persone e le loro famiglie ai valori che sono stati loro prima del grande viaggio verso la metropoli, in particolare quelli della fede cristiana.
Le suore cercano in ogni modo di scolarizzare i bambini e i ragazzi, promuovendo la frequenza alla scuola, e l’adempimento dell’obbligo scolastico, prima che l’illegalità malavitosa li recluti. Organizzano un minimo di vita sociale soprattutto per gli adolescenti e i giovani con centri diurni, laboratori, dove la dignità della persona viene concretamente vissuta anziché solo affermata. Concretamente, evangelizzare è sinonimo di organizzare, a partire dal Vangelo, corsi di informazione e di formazione, attività di recupero per ragazzi disadattati, di appoggio scolare, di sensibilizzazione sociale, anche se a volte queste iniziative sono di disturbo alla malavita organizzata perché sottraggono nuove reclute al loro ingaggio.
In che cosa siamo interpellati noi, che partecipiamo a questa giornata di sensibilizzazione missionaria?
Se ci sentiamo con le mani legate di fronte alla vastità dei problemi che investono il nostro paese, come non sentire tutta la nostra piccolezza riguardo problemi meno vicini a noi e certamente più grandi di quelli nazionali?
C’è una storiella molto semplice che voglio proporvi e che possiamo ricordare facilmente
Durante un incendio nella foresta, mentre tutti gli animali fuggivano
un colibrì volava in senso contrario con una goccia d'acqua nel becco.
"Cosa credi di fare?" gli chiese il leone.
"Vado a spegnere l'incendio!" rispose il piccolo volatile.
"Con una goccia d'acqua?" disse il leone con un sogghigno di derisione.
Ed il colibrì, proseguendo il volo, rispose: "Io faccio la mia parte!"
Ecco quello che possiamo fare noi: la nostra parte.
Oggi la nostra parte può essere il contributo economico per sostenere le iniziative di promozione umana delle nostre comunità che operano in Argentina e in Ecuador.
Ogni giorno “fare la nostra parte” sarà proporzionata alla responsabilità particolare che abbiamo, nella comunità cristiana, nella famiglia e nella società: sempre si tratterà di diffondere, con le parole e con i gesti, la cultura dell’amore cristiano che è garanzia per una qualità di vita degna della persona, di qualsiasi persona umana.
Chiediamo allora al Signore che ci sostenga nel compiere sempre la nostra parte anche quando si tratterà di andare contro corrente.
20 febbraio 2011
Giornata di sensibilizzazione missionaria a san Pio V
Suore Figlie dell’Oratorio