mercoledì 22 aprile 2015

TU SIGNORE SEI VIA VERITA’ E VITA - don Antonio Berera

Perché Gesù dice: “Non sia turbato il vostro cuore”. I discepoli sono turbati perché Gesù ha appena
annunciato:”Figlioli ancora per poco sono con voi, voi mi cercherete ma… dove vado io voi non potete venire”. E Pietro, il solito Pietro: impulsivo, passionale, determinato nel bene e nel male gli dice: “ Signore dove vai?”gli rispose Gesù dove vado io, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi”.
Davanti al comprensibile turbamento dei discepoli Gesù, consola: “non sia turbato il vostro cuore abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”.
La tenerezza e l’attenzione del Signore nei confronti delle paure dei suoi discepoli mi fa venire in mente l’attenzione e la tenerezza del Signore nei confronti delle paure e dell’angosce di ognuno di noi.
Mai come in questo tempo, la paura ci è compagna di viaggio. La violenza dei fondamentalismi, l’ingiustizia della condizione di milioni di uomini, l’ansia delle migrazioni che coinvolgono il nostro paese, fomentate spesso da ideologie e visioni politiche anti evangeliche.
La crisi e l’insicurezza economica che ci avvolge e che fa traballare la nostra convinzione di essere al sicuro nei paesi ricchi del mondo. La fragilità delle relazioni sociali e famigliari, dove un errore o un fallimento, fanno crollare relazioni consolidate e benedette dalla grazia del sacramento.
L’instabilità addirittura della nostra stessa identità come cittadini e membri di una società e di una cultura quella occidentale che non si sa rinnovare e che perde le sue radici cristiane in nome di un mal interpretato senso della libertà. La stessa identità individuale che viene messa in discussione dalle teorie del “Gender” che con malcelata indifferenza difende i progressi e lo sviluppo dei diritti della persona, negandone l’essenza stessa che sta nella sua originalità e non nella sua omologazione.
Tutto questo ci turba e ci sentiamo dire da Gesù: “non sia turbato il vostro cuore, abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”.
E bello pensare che tutte queste nostre paure e incertezze possono essere messe in Dio, depositate in lui  e lui ci può dare la forza per affrontarle con serenità e caparbietà, di chi non si arrende alla vittoria del qualunquismo o del male, ma combatte se necessario fino alla fine, per il bene e per la speranza. Proprio perché il Signore e compagno del nostro viaggio e proprio perché non ci lascia soli ma e sempre con noi fino alla fine dei tempi, noi sappiamo che il bene vincerà sul male e la storia che stiamo vivendo e che l’umanità vive da sempre è una storia salvata e redenta dalla Pasqua di Cristo.
 Qualcuno potrebbe dire si vero, bello! ma nella concretezza della vita quotidiana come possiamo far
risuonare questo annuncio di speranza? La risposta la troviamo ancora nel Vangelo di oggi: “Gli disse
Tommaso: “Signore non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?” : Io sono la via la verità e la vita”.
 Affrontare il nostro difficile quotidiano, significa affermare ogni giorno ogni momento in ogni situazione difficile della vita questa certezza: Gesù è la nostra via, la nostra verità, la nostra vita. Ma questa fede non basta proclamarla a parole, siamo chiamati a farla diventare vita vissuta, a farla diventare il fondamento delle nostre certezze, a farla diventare: l’una certezza della nostra esistenza. Gesù è il Signore e noi siamo chiamati a fare come Tommaso, la nostra professione di fede:  “Mio Signore e mio Dio” . Il primato di Gesù nella nostra vita presuppone che, niente è sopra di lui. Nemmeno le nostre regole nella legge, nessun altra via è più importante di lui e questo per noi è davvero difficile. Dare il primato a Dio a scapito delle nostre sicurezze e certezze, dei nostri pensieri e ragionamenti, delle nostre presunzioni e dei nostri pregiudizi.
Fidarsi solo di lui e del suo vangelo.  Questa fede che nasce dalla Pasqua è dono del risorto, a ognuno di noi spetta di accettarla, rifiutarla o tradurla in vita vissuta, senza chiedere a Dio nessuna prova o nessun segno.
“Disse Filippo: Mostraci il Padre e ci basta” gli rispose Gesù da tanto tempo sono con voi e non mi avete ancora conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre”. Gesù è l’unica prova che ci è data e in lui c’è tutto ciò di cui abbiamo bisogno.

Aiutaci Signore Gesù 
ad ascoltare la tua parola,
A percepire la tua presenza,
a dire nella fede
tu Signore sei:
la nostra via,
la nostra verità,
la nostra vita.
Amen.


Don Antonio Berera


martedì 21 aprile 2015

sabato 18 aprile 2015

Il Cristo della Passione e della Risurrezione - don Antonio Berera

Ho sempre pensato alla regalità di Cristo con un certo imbarazzo e inquietudine, imbarazzo perché chi non è credente non capisce come sia possibile conciliare regalità con amore e servizio, inquietudine perché non si capisce che necessità ci sia di ribadire la regalità di Cristo. Forse la risposta la possiamo trovare guardando al crocefisso, ma non uno qualunque, ma a quello che fa bella mostra di se sull’altar maggiore di S. Pio V a Milano.
Subito a prima vista si nota che rispetto ai crocefissi che normalmente abbiamo appesi in casa o che sono nelle nostre chiese, qui la figura di Gesù non è appesa alla croce manifestando tutta la sofferenza di un crocifisso.
Il peso del corpo spinge verso il basso, le braccia tese comprimono i polmoni che non riescono a dilatarsi per respirare e così la morte arriva per soffocamento.
In questo crocefisso, Gesù e come appoggiato alla croce e il piolo dove appoggia i piedi è una sorta di pedana che sorregge il corpo che è pacificato e con le braccia aperte quasi in una sorta di abbraccio universale. 
Richiama tutti quei crocefissi medievali tanto cari all’arte fiorentina del due e trecento. 
“Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi e io vi darò ristoro” (Mt. 11,28).
Il volto è sereno come di chi sa che ha fatto ciò che doveva per offrire l’abbraccio di speranza e di futuro a tutti, e l’ha fatto con sofferenza certo, ma anche con la scelta di chi è consapevole che la sofferenza è feconda e si trasforma in gioia e luce della resurrezione, in certezza della salvezza. 
I segni della passione ci sono tutti: i fori dei chiodi nelle mani e nei piedi, la ferita sul costato, ma sono i segni di un passaggio e non di una permanenza, quasi a dire che: la croce non è la fine ma una sorta di passaggio, di porta che apre a una vita nuova eterna, redenta, luminosa con Dio, una vita salvata che ci viene donata a piene mani e che noi, che contempliamo, siamo chiamati a fare nostra superando l’angoscia delle nostre croci e delle nostre ferite, per apparire pacificati nella quotidianità dalla speranza cristiana.
Questo Cristo, che è certamente quello della passione e della morte in croce, è però anche quello glorioso della resurrezione.
Ecco che i segni della regalità si sovrappongono a quelli sottostanti della passione, ne compiono il senso, ne danno la visione definitiva e ultima, ne fanno scaturire il vero significato, dandone ragione anche a noi, che con sgomento abbiamo contemplato un Dio che muore ignominiosamente in croce come un malfattore. I segni che vengono imposti al Cristo crocifisso danno anche il senso della regalità e del potere, perchè non disgiungono mai e in nessun modo la passione dalla gloria della resurrezione.
Ecco i segni della regalità sul Cristo sofferente: la veste rossa, la veste del Re, la cintura d’oro, la cintura del Re, la corona, la corona del Re, corona che sostituisce quella di spine: chi incorona è Dio stesso.
Gli angeli, nella tradizione biblica, sono la presenza di Dio nella vita: anche qui sono il segno che Dio è presente nella croce-resurrezione, sono gli angeli che incoronano, sono loro che all’estremità della croce sono presenza che sostiene, che da senso e radica l’evento della Pasqua in un disegno di salvezza, voluto dagli uomini, nella loro invidia e superbia, come evento di morte e di assassinio per liberarsi di Dio, accettato da Dio e da Gesù, il Cristo, e trasformato da Dio in un evento di vita e di salvezza rigeneratrice. E tutto questo si compie sulla croce che non è più un patibolo di morte, ma è ormai un trono di gloria. La regalità di Gesù, il Cristo, è ormai la regalità di un Dio che non chiede agli uomini di servirlo, che non vuole nulla dall’uomo, ma che si fa dono totale all’uomo, che si fa tutto a tutti. 

La croce diventa il trono della regalità di Dio e il trono diventa il luogo del servizio gratuito e totale di Dio all’uomo. “Anche il figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”(Mc. 10,45). “Voi che mi chiamate il maestro e il Signore e dite bene, perchè lo sono. Se dunque io il Signore e il maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni gli altri” (Gv. 13,14). 
Dal trono della croce, Dio ci insegna una regalità di servizio, e sotto la croce, a cogliere questo insegnamento, sta l’umanità intera, rappresentata da Maria e da Giovanni. 

La scrittura ci consegna queste due figure sotto la croce; Maria, la madre che immersa nel dolore soffre con il figlio fino essere la “corredentrice” come la definisce Paolo VI nella “Marialis Cultus”, e Giovanni, il discepolo che Gesù amava, come immagine della chiesa che partecipa con la sua presenza alla sofferenza del suo Signore. Maria e Giovanni sono anche segno dell’umanità che assieme a Cristo soffre sulla croce, segno di tutti i crocifissi della storia che solo guardando al Crocifisso del Calvario possono sapere che la loro sofferenza non è fine a se stessa, non è l’ultima parola ma la penultima, perchè l’ultima parola è la regalità offerta a tutti coloro che soffrono. Giovanni è il prototipo di tutti i credenti, il discepolo perfetto, che non fugge davanti alla sofferenza e alla morte, ma ha il coraggio di guardarle in faccia, non perché è un eroe o perchè è un masochista, o perché pensa che qualche Dio le risolverà, ma perché è capace, grazie al crocefisso, di redimere le sue sofferenze e quelle degli uomini come lui, e trasformarle in una dimensione di regalità e di vittoria.
E Maria, non è semplicemente la “Mater dolorosa”, ma è colei che davanti all’enormità della proposta di Dio, di essere la madre del Messia, non si tira indietro e accetta, sapendo che questo sarà un dono che la segnerà per sempre, e non solo nella gioia e nella speranza, ma anche nel dolore, nella fatica e nel non senso. Maria diventa qui la madre, di quell’umanità, che soffre e che spera che la croce di trasformi in trono di gloria.
Ecco cos’è il crocifisso di S. Pio, un’icona di sofferenza, della sofferenza dell’uomo, ma nello stesso tempo un’icona della gloria regale dell’uomo che accoglie la redenzione offerta da Dio.
Ecco cos’è la regalità per i credenti; non potere, sfarzo e pompa, non dominio e autorità, ma umiltà e  servizio, capacità di discernimento del senso della sofferenza quotidiana e lettura, attraverso questa sofferenza, della regalità che vi sta dentro. A tutti coloro che detengono un potere, e che esercitano una regalità, il richiamo a essere come il Cristo, è fondante; non solo per la propria salvezza e realizzazione vera, ma anche per la credibilità dell’annuncio di speranza per il quale dobbiamo rendere conto. 

A Te, re crocifisso,
alzo lo sguardo, come Giovanni e Maria,
non solo per comprendere, la tua offerta di sofferenza,
ma per cogliere la tua grandezza,
grandezza di un Dio che si fa servo dell’uomo
e in questo servizio ci dimostra tutta la sua regalità.
Aiuta tutti noi servi redenti, figli amati, a essere
re, regnanti dalle croci della storia,
per offrire al mondo senso e speranza.
Amen.


 Don Antonio Berera


martedì 14 aprile 2015

SCHEDE DI SPIEGAZIONE DEL RITO DELLA MESSA: I RITI DI INTRODUZIONE

SCHEDE DI SPIEGAZIONE  DEL RITO DELLA MESSA

Nella programmazione pastorale di quest’anno il Consiglio pastorale ha pensato di offrire a tutti i fratelli e le sorelle della comunità un percorso di spiegazione del rito della Messa, nelle domeniche del tempo di Pasqua.

Questa scheda può aiutarti a comprendere e vivere sempre meglio, il segno più evidente della tua identità cristiana e a saper rendere ragione, a te stesso e a chi te lo chiede, della tua partecipazione alla messa.


I RITI DI INTRODUZIONE

L’INGRESSO IN CHIESA
Entrare in Chiesa significa accedere in uno spazio sacro, la Chiesa è il luogo dell’incontro con Dio e con la Comunità dei credenti che, come te, condivide la stessa fede e celebra la stessa liturgia. Prima di entrare assicurati che il telefonino sia spento o messo sulla modalità silenziosa. Quando entri sei invitato ad avere un abbigliamento consono alla sacralità del luogo, a tenere un comportamento adatto, rispettando il silenzio e la preghiera degli altri. 
Una volta entrato riconosci la presenza di Gesù Eucaristia facendo una genuflessione o un inchino, recitando una preghiera rivolto verso la cappella eucaristica. Solo dopo rivolgiti agli altari della Madonna o dei Santi per le tue devozioni. Se entri per partecipare alla celebrazione della S. Messa scegli il posto che desideri, saluta il Signore e poi i fratelli di comunità che trovi già in chiesa e preparati alla celebrazione, pregando e leggendo le letture della messa dal foglietto della liturgia che avrai preso entrando. 
Assicurati di avere a disposizione un libretto per i canti e attendi in un clima di raccoglimento e di silenzio.
IL CANTO D’INGRESSO
La funzione propria di questo canto è quella di dare inizio alla celebrazione, favorire la tua unione con gli altri fratelli e introdurti alla celebrazione del mistero. Il canto viene eseguito dalla comunità e dal coro. Se non si esegue un canto si legge assieme il testo proposto dalla liturgia del giorno che si trova sul foglietto. Questo vale per tutti i canti della messa.


IL SALUTO
I primi due gesti che il sacerdote compie sono il saluto all'altare e al popolo. Davanti all'altare il celebrante si inchina profondamente e poi bacia la mensa. Può anche incensare. Perché tanta attenzione? Perché l'altare rappresenta simbolicamente Cristo (Egli è la pietra angolare sulla quale si edifica la Chiesa, Egli è altare, sacerdote e vittima del sacrificio). 
Poi il celebrante accoglie e saluta te, l'assemblea, invitandoti a fare il segno di croce. 
Rifletti un istante sul segno di croce. Con quel gesto tu affermi che l’amore di Dio ti abbraccia, che la famiglia di Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo ti avvolge da capo a piedi e che il suo amore coinvolge i tuoi pensieri (la fronte, la mente), i tuoi affetti (il petto, il cuore), le tue azioni (le braccia). Il Celebrante, che rappresenta il Signore Gesù in questo momento, tiene il posto del padre di famiglia, è colui che presiede l' assemblea dei fedeli e ti rivolge un saluto di gioia e di pace. 
Ti ricorda che siamo stati invitati a un banchetto che è una festa preparata da Gesù per te. 
Dopo il segno di croce, il Sacerdote saluta: “Il Signore sia con voi”, che è come dire: “guarda che il Signore Risorto ora è in mezzo a voi, abita dentro questa assemblea”.
L’ATTO PENITENZIALE
Inserito dentro i riti di accoglienza, è per te una proposta molto interessante. Anche nella tua famiglia può succedere che qualche volta ci siano delle tensioni, dei momenti di incomprensione. E quando tu hai fatto un dispiacere a qualcuno, che cosa fai? Chiedi perdono. Lo stesso compi all’inizio della Messa. 
L’atto penitenziale che vivi dentro la Celebrazione Eucaristica non è prima di tutto un esame di coscienza, ma anzitutto è l’esperienza di un dono che ti viene offerto e che ricevi, di un’accoglienza che Dio fa a te, nonostante i tuoi errori. 
L’atto penitenziale nella Celebrazione Eucaristica è contemplazione della bontà di Dio e, di conseguenza, è riconoscimento del tuo errore; ma al centro vi è sempre Lui, con le sue braccia di misericordia aperte ad accoglierti. 
Quel breve tempo di silenzio che ti viene concesso durante l’atto penitenziale non è per fare un elenco dei tuoi peccati, ma per collocarti di fronte a Dio e per riconoscere che il suo amore ti accoglie e ti rinnova.
IL CANTO DEL GLORIA
Dopo l’atto penitenziale, sei pronto a metterti davanti ad una Parola che ti offre una vita nuova; sei pronto ad accogliere la Parola come rivelatrice del cuore di Dio. Lo stesso canto del ‘Gloria’ nelle domeniche e nelle feste esprime la tua gioia per l’incontro di salvezza al quale sei reso partecipe. 
Il Gloria è un inno di gioia che si rifà al canto degli angeli nella notte di Natale; un inno che rende lode e canta la fede nell’amore della Trinità che ti avvolge.
ORAZIONE ALL’INIZIO DELL’ASSEMBLEA LITURGICA
I riti di introduzione si concludono con una preghiera recitata dal sacerdote. Questa preghiera esprime i contenuti della celebrazione, richiama il tema centrale della messa o del tempo liturgico che stai celebrando. Da la tua adesione al contenuto della preghiera attraverso” l’amen” che dici alla fine.



NOI SIAMO TOMMASO! - don Antonio Berera

Celebriamo oggi la seconda domenica di Pasqua e la prima riflessione che vorrei condividere con voi è proprio il fatto che questa è la seconda domenica di Pasqua, non dopo Pasqua, ma di Pasqua. 
La liturgia ci sta dicendo che la Pasqua del Signore non si esaurisce in un giorno nel quale si ricorda un evento, ma è un’esperienza che dura nel tempo, che dura per tutti i giorni liturgici della Pasqua fino alla solennità di Pentecoste, anzi la Pasqua una volta iniziata dura per sempre. 
L’evento chiave della nostra salvezza non ha più fine, noi siamo inseriti per sempre nella Pasqua del Signore, per noi è per sempre Pasqua e per sempre avremo con noi il Signore, come Lui stesso ci ha detto: “Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” 
( Mt. 28, 20), Cristo risorto è la nostra forza e la nostra vera speranza. 
Carissimi fratelli, la nostra fede nel Signore Risorto che cammina con noi e sostiene la nostra vita e la nostra quotidiana fatica, che è al nostro fianco e “fa il tifo per noi” non può essere sorretta solo dalla nostra buona volontà, ma deve essere sostenuta dalla nostra decisione per Cristo, dal fatto che noi non solo crediamo per fede ma scegliamo di credere con un atto di vera decisione. 
La decisione è però possibile solo se abbiamo il coraggio di incontrare il Signore e farlo diventare il fondamento, la pietra angolare della nostra vita. 
Nel brano del Vangelo di oggi ci viene presentata la figura dell’apostolo Tommaso. 
Ecco, anche noi siamo chiamati a fare lo stesso percorso. 
Il Signore si presenta nella nostra vita, alcune volte noi non ci siamo, siamo altrove, indaffarati nelle nostre cose, nelle nostre preoccupazioni, siamo dediti ai nostri affari e quando Gesù si presenta noi siamo assenti: “Tommaso uno dei Dodici chiamato Didimo non era con loro quando venne Gesù”, la nostra assenza ci rende difficile fidarci della testimonianza degli altri, forse non per sfiducia o per superbia ma semplicemente perché per accettare la fede dobbiamo farne esperienza diretta e Tommaso è come noi, ha bisogno di segni. Ma la pazienza pedagogica del Signore fa si che all’ apparizione seguente, ci sia anche Tommaso: “otto giorni dopo i discepoli erano in casa e c’era con loro anche Tommaso”, arriva Gesù e sta con i suoi discepoli e si offre a Tommaso, gli fa fare esperienza di Lui : “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani”, anche per noi nella vita c’è sempre una volta che, davanti agli eventi che l’esistenza ci presenta, possiamo cogliere la presenza di Dio, lo possiamo vedere e toccare, nella forza di un sorriso, nel gesto di un sostegno, nell’ accompagnamento in una difficoltà, nella capacità di una reazione positiva che pensavamo di non riuscire a fare, anche per noi è spontaneo dire come per Tommaso: “ Mio Signore e mio Dio”. 
Certo, il Signore dice a Tommaso sarebbe stato meglio se tu avessi creduto fidandoti, ma si sa che noi abbiamo spesso bisogno di prove e segni e il Signore ci ama per quello che siamo. 
Dalla professione di fede, che scaturisce dall’ incontro con il Signore, nasce poi la nostra capacità di testimonianza e qui oggi la liturgia ci offre la prima lettura degli Atti degli Apostoli nella quale Pietro, colmo di Spirito Santo, fa la sua testimonianza senza paura e a viso scoperto: “sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù il nazareno che voi avete crocifisso e che Dio ha resuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato”. 
Dalla fede siamo chiamati a passare all’ annuncio, all’ evangelizzazione. 
Spetta a ognuno di noi, nel luogo di vita dove siamo chiamati a stare: in quella famiglia, in quel posto di lavoro, con quelle relazioni, nella gioia e nella fatica, nella sofferenza e nel dolore, spetta a noi dare testimonianza della forza e della potenza di Dio che salva e risana e tutto questo non da soli o con le nostre solo forze, ma con la forza dello Spirito Santo il dono che Gesù fa alla sua comunità e quindi a tutti noi: “Detto questo soffiò e disse loro: Ricevete lo Spirito santo”. 
Con la forza dello Spirito che abbiamo ricevuto nel Battesimo e che riceviamo ogni volta che celebriamo l’Eucaristia possiamo dare la nostra bella testimonianza che Dio si prende cura dell’umanità attraverso l’azione solidale e caritativa della sua chiesa che siamo noi. 
Al di là, delle nostre fatiche, dei nostri limiti e dei nostri peccati, noi proprio noi, ciascuno di noi, si proprio tu che stai leggendo questo foglio, sei lo strumento che Dio usa per annunciare il suo amore agli uomini. Se ti senti inadeguato o impreparato o imbranato, non temere Lui sarà sempre con te e quando non ci riuscirai proprio a essere segno di speranza perché non ne puoi più, aspetta, vedrai che Lui a porte chiuse apparirà, si metterà davanti a te e ti dirà: “Tommaso, Lucia, Paola, Giovanni ecc. ecc. mettete qui il vostro dito e guardate le mie mani, tendete la mano e mettetela nel mio fianco e non siate increduli ma credenti!” e noi che ci sentiremo dire questo da un volto che facciamo fatica a riconoscere come quello di Gesù, perché ci appare come quello di un povero, o di un famigliare, o di un collega, o di un nemico, noi nonostante tutto, ci sforzeremo di dire: “Mio Signore e mio Dio!” Tutto questo sotto l’azione dello Spirito Santo che ci è stato donato. 
Cosi sia.

Don Antonio Berera


lunedì 13 aprile 2015

Piena riabilitazione di Padre Giulio Maria Scozzaro

Piena riabilitazione di Padre Giulio Maria Scozzaro riammesso nell’Istituto di cui faceva parte,
i Frati Francescani dell’Immacolata

La data del Decreto della completa riabilitazione dell’11 febbraio 2015, festa della Madonna di Lourdes, indica come l’Immacolata in Persona abbia interceduto per il ristabilimento della verità e della giustizia.

È il Trionfo del Cuore Immacolato di Maria nella vita sacerdotale di Padre Giulio Maria Scozzaro.


PREGHIERA A SAN GIUSEPPE MOSCATI, per domandare la sua intercessione.

O San Giuseppe Moscati, medico e scienziato insigne, che nell'esercizio della professione curavi il corpo e lo spirito dei tuoi pazienti, guarda anche noi che ora ricorriamo con fede alla tua intercessione!
Donaci sanità fisica e spirituale, intercedendo per noi presso il Signore!
Allevia le pene di chi soffre, dai conforto ai malati, consolazione agli afflitti, speranza agli sfiduciati!
I giovani trovino in Te un modello, i lavoratori un esempio, gli anziani un conforto, i moribondi la speranza del premio eterno!
Sii per tutti noi guida sicura di laboriosità, onestà e carità, affinché adempiamo cristianamente i nostri doveri, e diamo gloria a Dio nostro Padre!
Amen.



giovedì 2 aprile 2015

CYCLVS REDEMPTIONIS TRIDVVM SACRVM HEBDOMADÆ SANCTÆ FERIA QVINTA IN CŒNA DOMINI MISSA VESPERTINA IN CŒNA DOMINI

Statio ad Sanctum Ioannem in Laterano

Lectio Epistolæ beati Pauli Apostoli ad Corinthios (I Cor. XI, 20-32). Fratres : Conuenientibus uobis in unum, iam non est dominicam cœnam manducare. Vnusquisque enim suam cœnam præsumit ad manducandum. Et alius quidem esurit, alius autem ebrius est. Numquid domos non habetis ad manducandum et bibendum? Aut ecclesiam Dei contemnitis, et confunditis eos, qui non habent? Quid dicam uobis ? Laudo uos ? In hoc non laudo. Ego enim accepi a Domino, quod et tradidi uobis, quoniam Dominus Iesus, in qua nocte tradebatur, accepit panem, et gratias agens fregit, et dixit: «Accipite, et manducate: hoc est corpus meum, quod pro uobis tradetur: hoc facite in meam commemorationem». Similiter et calicem, postquam cœnauit, dicens: «Hic calix nouum testamentum est in meo sanguine: hoc facite, quotiescumque bibetis, in meam commemorationem ». Quotiescumque enim manducabitis panem hunc, et calicem bibetis: mortem Domini annuntiabitis, donec ueniat. Itaque quicumque manducauerit panem hunc uel biberit calicem Domini indigne, reus erit corporis et sanguinis Domini. Probet autem seipsum homo: et sic de pane illo edat et de calice bibat. Qui enim manducat et bibit indigne, iudicium sibi manducat et bibit, non diiudicans corpus Domini. Ideo inter uos multi infirmi et imbecilles, et dormiunt multi. Quod si nosmetipsos diiudicaremus, non utique iudicaremur. Dum iudicamur autem, a Domino corripimur, ut non cum hoc mundo damnemur.



mercoledì 1 aprile 2015

Rabbì, sono forse io?

In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù. Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».
(Mt 26, 14-25)


In Matteo la figura di Giuda assume il contorno drammatico del discepolo amato e chiamato dal Signore che rifiuta di accogliere l'invito alla conversione. È come noi, Giuda, esattamente come noi: un discepolo che pensa di forzare la mano a Dio. La disperazione di Giuda dopo l'arresto di Gesù si spiega solamente se il suo progetto non prevedeva un tale catastrofico epilogo! Cosa voleva ottenere, allora, Giuda?
Forse voleva far incontrare Gesù col Sinedrio, forse voleva spingere Gesù a manifestare la sua potenza, chissà...
Povero Giuda, che tanto ci assomiglia! Eppure, durante la cena, Gesù ancora gli offre un'opportunità di redenzione. 
L'apostolo chiede al Maestro: è lui il traditore? 
Gesù gli offre una possibilità: tu lo dici. 
Tu, Giuda, decidi se diventare traditore, se allontanarti dal sogno, dal progetto, se lasciarti travolgere dalla parte oscura, se lasciarti prendere dallo scoramento.

Ciascuno di noi ha di fronte a sé l'immenso dono della libertà: il discepolo può diventare il traditore. Ma questo non cambia il giudizio che Gesù esprime su ciascuno di noi. Non lasciamo che i nostri sbagli, i nostri piccoli o grandi tradimenti ci allontanino dal Dio che mai si allontana.

Paolo Curtaz