lunedì 31 dicembre 2012

Ciao, ciao 2012

“Anni bisesto, anno funesto” recita l’antico adagio.
Iniziamo dalla composizione dell’anno, che capita una volta ogni 4 anni ad esclusione degli anni secolari. L’anno è composto generalmente da 365 giorni e il bisestile, o bisesto, è di 366, questo giorno in più generalmente viene aggiunto al mese più corto, cioè Febbraio. L’uso del bisestile risale all’adozione del Calendario Giuliano, prima di Giulio Cesare, veniva aggiunto ogni tanto un periodo di 22/23 giorni, dopo Febbraio, chiamato “mese mercedonio” per pareggiare il computo dei giorni dell’anno lunare con il ciclo solare.
Perché è considerato un anno funesto? Bisogna anche qui risalire ai romani che consideravano funesto tutto ciò che era anomalo e non comprensibile. Un’altra possibilità è che i romani consideravano negativo il mese di Febbraio, perché il 21 si celebravano i “Feralia”, riti dedicati ai defunti.
Nei Paesi anglosassoni invece, il 29 Febbraio è considerato un giorno fausto e molte imprese vengono fondate quel giorno, inoltre le donne posso dichiararsi all’uomo.
A volte anche da noi non è considerato negativo: le monete coniate in un anno bisesto sono considerate portafortuna.
Negli Stati Uniti l’anno bisesto ha creato una strana diceria: i presidenti che vengono eletti al quinto degli anni bisestili non termina il mandato. Nel 1840 a William Harrison, nel 1860 ad Abramo Lincoln, nel 1880 a James Garfield, nel 1900 a William McKinley, nel 1920 a Warren Harding, nel 1940 a Franklin Delano Roosvelt, eletto nel 1960 anche John Kennedy. Solo Ronald Reagan (1980) e George W. Bush (2000) sono sfuggiti alla profezia.
In Italia è stato un fiorire di motti e proverbi, a Reggio Emilia è “l’ann ‘d la baleina” perchè si pensava che la balena partorisse ogni 4 anni; - Anno bisesto, anno senza sesto - Anno bisesto tutte le donne senza sesto - Quando l’anno vien bisesto non por bachi e non far nesto - Anno che bisesta non si sposa e non s’innesta - Anno bisesto tutte le cose van di traverso - Anno bisesto che passi presto.....
Indubbiamente le dicerie hanno una loro logica pur irrazionale. Però possiamo sicuramente affermare che questo è stato un anno funesto per l’Italia ed è lecita la speranza che l’anno prossimo sarà migliore.
Non ci resta che augurarci una sorte migliore.




 

 

Benedetto XVI propone di prendere più spesso in mano la Bibbia per capire che Dio non è assente

Il Santo Padre Benedetto XVI ha molto a cuore il tema del «disegno di benevolenza e di amore» di Dio verso di noi e propone a tutti i fedeli di riscoprire il tesoro della Parola di Dio attingendo quotidianamente almeno qualche verso dalla Scrittura.
La Parola di Dio è lampada per i passi e luce per l'intelletto dell'uomo.
«Prendere in mano più spesso la Bibbia» per «fare memoria dell'agire di Dio nella storia dell'uomo». È l'invito che il Papa ha rivolto già in occasione dell'Avvento, che «ci invita a ripercorrere il cammino» della presenza di Dio nella storia e «ci ricorda sempre di nuovo che Dio non si è tolto dal mondo, non è assente, non ci ha abbandonato a noi stessi, ma ci viene incontro in diversi modi, che dobbiamo imparare a discernere». Spesso nelle sue catechesi Benedetto XVI ha ripreso il tema del «disegno di benevolenza e di amore» di Dio verso di noi per spiegare che essa «si inserisce nel tempo e nella storia degli uomini», e ci chiede di «far risplendere nella nostra vita», di testimoniare ad «un mondo spesso superficiale e distratto» quella «luce che ha illuminato la grotta di Betlemme». «La storia non è un semplice succedersi di secoli, di anni, di giorni, ma è il tempo di una presenza che le dona pieno significato e la apre ad una solida speranza»: così il Papa ha riassunto il senso del Natale. «Ciò che illumina e dà senso pieno alla storia del mondo e dell'uomo inizia a brillare nella grotta di Betlemme», ha osservato il Santo Padre: «In Gesù di Nazaret Dio manifesta il suo volto e chiede la decisione dell'uomo di riconoscerlo e di seguirlo».

Sulla scrivania del Papa non manca mai il testo biblico che il pontefice medita ogni giorno.
«Prendere in mano più spesso la bibbia per leggerla e meditarla e prestare maggiore attenzione alle letture della Messa domenicale»: questo l'invito del Papa per l'Anno della fede, perché quest'ultima «è alimentata dalla scoperta e dalla memoria del Dio sempre fedele, che guida la storia e costituisce il fondamento sicuro e stabile su cui poggiare la propria vita». «Israele non si mette in cammino per essere un popolo come gli altri, ma per servire Dio nel culto e nella vita e testimoniarlo in mezzo agli altri popoli», ha ricordato il Papa citando il libro dell'Esodo: Dio, quindi, «rivela se stesso non solo nell'atto primordiale della creazione, ma entrando nella storia di un piccolo popolo». È in Gesù, poi, che «si compie ogni promessa» e «culmina la storia di Dio con l'umanità», come si legge nell'episodio evangelico dei discepoli di Emmaus, in cui appare chiaro che «la persona di Cristo illumina l'intera storia della salvezza e mostra il grande disegno unitario dei due Testamenti». Il Catechismo ella Chiesa cattolica, ha concluso il Papa, «riassume le tappe della rivelazione divina mostrandone sinteticamente lo sviluppo: Dio ha invitato l'uomo fin dagli inizi ad un'intima comunione con sé e anche quando l'uomo, per la propria disobbedienza, ha perso la sua amicizia, Dio non l'ha abbandonato in potere della morte, ma ha offerto molte volte agli uomini la sua alleanza».
«In quest'anno della Fede invito tutti a prendere in mano più spesso la bibbia per leggerla e meditarla e prestare maggiore attenzione alle letture della Messa domenicale».
 

domenica 30 dicembre 2012

A tu per tu con il Maligno - Padre Domenico Mondrone

"Io copro di rovine il mondo, lo inondo di sangue e di lacrime; io deformo ciò che è bello, rendo sordido ciò che è puro, abbatto ciò che è grande; faccio tutto il male che posso e vorrei poterlo aumentare fino all'infinito. Io sono tutto odio, niente altro che odio.
Se conosceste la profondità, l'altezza e la larghezza di quest'odio, avreste un'intelligenza più vasta di tutte le intelligenze che vi furono fin dal principio del mondo, anche se queste intelligenze fossero riunite in una sola.
E quanto più odio, tanto più soffro, ma il mio odio e le mie sofferenze sono immortali come me, perché io- non posso non odiare, come non posso non vivere sempre.
Ciò che accresce in me questa sofferenza, ciò che moltiplica questo odio è il pensare che io sono stato vinto, che odio inutilmente e che faccio tanto male inutilmente.
Ma è che dico, inutilmente? No! Una gioia l'ho, se posso chiamarla tale; è l'unica gioia che io abbia; quella di uccidere le anime per le quali Egli ha versato il Suo Sangue, per le quali è molto, risorto e salito in cielo.
Ah, si! Io rendo vana la sua incarnazione, la sua morie; le rendo vane queste cose per le anime che uccido.
Capite? UCCIDERE UN’ANIMA! ! !
Egli la creata a Sua immagine, l'ha amata di un amore infinito; per lei fu crocifisso.
Ma io quest'anima gliela prendo, gliela rubo, la uccido e la perdo con me. Io quest'anima non la amo, ma l'odio sommamente eppure essa mi ha preferito a Lui.
Come mai io dico queste cose? Vi potreste convertire, anche voi! Potreste scapparmi! Eppure debbo dirle queste cose, pecche Egli mi costringe.
Volete sapere quanto io soffro e quanto odio? Io sono capace di odio e di dolore nella stessa misura con cui ero capace di amore e di felicità. Io, Lucifero, sono divenuto Satana, l'avversario.
Ebbene, io tengo la direzione di tutto il male che si prepara. E, dopo tutto, quale vantaggio me ne viene? Io sono stato vinto già prima! Tuttavia qualche vantaggio l'ho ricavato; io gli uccido delle anime, delle anime immortali, delle anime ché Egli ha pagato sul Calvario"

Poco se ne parla, ma è bene che se ne parli!

In un esorcismo che riporta Domenico Mondrone nel suo libro “A tu per tu col Maligno”
 
 

sabato 29 dicembre 2012

Catechesi del Santo Padre su san Giovanni apostolo

Cari fratelli e sorelle,

nell'ultima catechesi eravamo arrivati alla meditazione sulla figura dell'apostolo Giovanni.
Avevamo dapprima cercato di vedere quanto si può sapere della sua vita. Poi, in una seconda catechesi, avevamo meditato il contenuto centrale del suo Vangelo, delle sue Lettere: la carità, l'amore. E oggi siamo ancora impegnati con la figura di Giovanni, questa volta per considerare il Veggente dell'Apocalisse.
E facciamo subito un'osservazione: mentre né il Quarto Vangelo né le Lettere attribuite all'Apostolo recano mai il suo nome, l'Apocalisse fa riferimento al nome di Giovanni ben quattro volte (cfr 1, 1.4.9; 22, 8). È evidente che l'Autore, da una parte, non aveva alcun motivo per tacere il proprio nome e, dall'altra, sapeva che i suoi primi lettori potevano identificarlo con precisione.
Sappiamo peraltro che, già nel III secolo, gli studiosi discutevano sulla vera identità anagrafica del Giovanni dell'Apocalisse. Ad ogni buon fine, lo potremmo anche chiamare "il Veggente di Patmos", perché la sua figura è legata al nome di questa isola del Mar Egeo, dove, secondo la sua stessa testimonianza autobiografica, egli si trovava come deportato "a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù" (Ap 1, 9). Proprio a Patmos, "rapito in estasi nel giorno del Signore" (Ap 1, 10), Giovanni ebbe delle visioni grandiose e udì messaggi straordinari, che influiranno non poco sulla storia della Chiesa e sull'intera cultura cristiana. Per esempio, dal titolo del suo libro - Apocalisse, Rivelazione - furono introdotte nel nostro linguaggio le parole "apocalisse, apocalittico", che evocano, anche se in modo improprio, l'idea di una catastrofe incombente.

Il libro va compreso sullo sfondo della drammatica esperienza delle sette Chiese d'Asia (Efeso, Smirne, Pergamo, Tiàtira, Sardi, Filadelfia, Laodicéa), che sul finire del I secolo dovettero affrontare difficoltà non lievi - persecuzioni e tensioni anche interne - nella loro testimonianza a Cristo.
Ad esse Giovanni si rivolge mostrando viva sensibilità pastorale nei confronti dei cristiani perseguitati, che egli esorta a rimanere saldi nella fede e a non identificarsi con il mondo pagano, così forte. Il suo oggetto è costituito in definitiva dal disvelamento, a partire dalla morte e risurrezione di Cristo, del senso della storia umana. La prima e fondamentale visione di Giovanni, infatti, riguarda la figura dell'Agnello, che è sgozzato eppure sta ritto in piedi (cfr Ap 5, 6), collocato in mezzo al trono dove già è assiso Dio stesso. Con ciò, Giovanni vuol dirci innanzitutto due cose: la prima è che Gesù, benché ucciso con un atto di violenza, invece di stramazzare a terra sta paradossalmente ben fermo sui suoi piedi, perché con la risurrezione ha definitivamente vinto la morte; l'altra è che lo stesso Gesù, proprio in quanto morto e risorto, è ormai pienamente partecipe del potere regale e salvifico del Padre. Q
uesta è la visione fondamentale. Gesù, il Figlio di Dio, in questa terra è un Agnello indifeso, ferito, morto. E tuttavia sta dritto, sta in piedi, sta davanti al trono di Dio ed è partecipe del potere divino. Egli ha nelle sue mani la storia del mondo. E così il Veggente vuol dirci: abbiate fiducia in Gesù, non abbiate paura dei poteri contrastanti, della persecuzione! L'Agnello ferito e morto vince! Seguite l'Agnello Gesù, affidatevi a Gesù, prendete la sua strada! Anche se in questo mondo è solo un Agnello che appare debole, è Lui il vincitore!

Una delle principali visioni dell'Apocalisse ha per oggetto questo Agnello nell'atto di aprire un libro, prima chiuso con sette sigilli che nessuno era in grado di sciogliere. Giovanni è addirittura presentato nell'atto di piangere, perché non si trovava nessuno degno di aprire il libro e di leggerlo (cfr Ap 5, 4). La storia rimane indecifrabile, incomprensibile. Nessuno può leggerla. Forse questo pianto di Giovanni davanti al mistero della storia così oscuro esprime lo sconcerto delle Chiese asiatiche per il silenzio di Dio di fronte alle persecuzioni a cui erano esposte in quel momento. È uno sconcerto nel quale può ben riflettersi il nostro sbigottimento di fronte alle gravi difficoltà, incomprensioni e ostilità che pure oggi la Chiesa soffre in varie parti del mondo. Sono sofferenze che la Chiesa certo non si merita, così come Gesù stesso non meritò il suo supplizio. Esse però rivelano sia la malvagità dell'uomo, quando si abbandona alle suggestioni del male, sia la superiore conduzione degli avvenimenti da parte di Dio.
Ebbene, solo l'Agnello immolato è in grado di aprire il libro sigillato e di rivelarne il contenuto, di dare senso a questa storia apparentemente così spesso assurda. Egli solo può trarne indicazioni e ammaestramenti per la vita dei cristiani, ai quali la sua vittoria sulla morte reca l'annuncio e la garanzia della vittoria che anch'essi senza dubbio otterranno. A offrire questo conforto mira tutto il linguaggio fortemente immaginoso di cui Giovanni si serve.

Al centro delle visioni che l'Apocalisse espone ci sono anche quelle molto significative della Donna che partorisce un Figlio maschio, e quella complementare del Drago ormai precipitato dai cieli, ma ancora molto potente.
Questa Donna rappresenta Maria, la Madre del Redentore, ma rappresenta allo stesso tempo tutta la Chiesa, il Popolo di Dio di tutti i tempi, la Chiesa che in tutti i tempi, con grande dolore, partorisce Cristo sempre di nuovo. Ed è sempre minacciata dal potere del Drago. Appare indifesa, debole. Ma mentre è minacciata, perseguitata dal Drago è anche protetta dalla consolazione di Dio. E questa Donna alla fine vince. Non vince il Drago. Ecco la grande profezia di questo libro, che ci dà fiducia! La Donna che soffre nella storia, la Chiesa che è perseguitata alla fine appare come Sposa splendida, figura della nuova Gerusalemme dove non ci sono più lacrime né pianto, immagine del mondo trasformato, del nuovo mondo la cui luce è Dio stesso, la cui lampada è l'Agnello.

Per questo motivo l'Apocalisse di Giovanni, benché pervasa da continui riferimenti a sofferenze, tribolazioni e pianto - la faccia oscura della storia -, è altrettanto permeata da frequenti canti di lode, che rappresentano quasi la faccia luminosa della storia. Così, per esempio, vi si legge di una folla immensa, che canta quasi gridando: "Alleluia! Ha preso possesso del suo Regno il Signore, il nostro Dio, l'Onnipotente. Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perché son giunte le nozze dell'Agnello, e la sua sposa è pronta" (Ap 19, 6-7). Siamo qui di fronte al tipico paradosso cristiano, secondo cui la sofferenza non è mai percepita come l'ultima parola, ma è vista come punto di passaggio verso la felicità e, anzi, essa stessa è già misteriosamente intrisa della gioia che scaturisce dalla speranza. Proprio per questo Giovanni, il Veggente di Patmos, può chiudere il suo libro con un'ultima aspirazione, palpitante di trepida attesa. Egli invoca la venuta definitiva del Signore: "Vieni, Signore Gesù!" (Ap 22, 20). È una delle preghiere centrali della cristianità nascente, tradotta anche da san Paolo nella forma aramaica: "Marana tha". E questa preghiera "Signore nostro, vieni!" (1 Cor 16, 22) ha diverse dimensioni. Naturalmente è anzitutto attesa della vittoria definitiva del Signore, della nuova Gerusalemme, del Signore che viene e trasforma il mondo. Ma, nello stesso tempo, è anche preghiera eucaristica: "Vieni Gesù, adesso!". E Gesù viene, anticipa questo suo arrivo definitivo. Così con gioia diciamo nello stesso tempo: "Vieni adesso e vieni in modo definitivo!". Questa preghiera ha anche un terzo significato: "Sei già venuto, Signore! Siamo sicuri della tua presenza tra di noi. È una nostra esperienza gioiosa. Ma vieni in modo definitivo!". E così, con san Paolo, con il Veggente di Patmos, con la cristianità nascente, preghiamo anche noi: "Vieni, Gesù! Vieni e trasforma il mondo! Vieni già oggi e vinca la pace!". Amen!

S.S. Benedetto XVI P.P.
 
 

 

venerdì 28 dicembre 2012

Discorso sul Natale – Cardinale Angelo Comastri

"In ogni Natale Tu sei il festeggiato, ma quante volte noi ci appropriamo della festa.
E Ti lasciamo nell’angolo di un vago ricordo senza impegno, senza cuore e senza ospitalità sincera!
Da duemila anni, ad ogni Natale noi ci scambiamo gli auguri perché avvertiamo che la tua Nascita è anche la nostra nascita, la nascita della Speranza, la nascita dell’Amore, la nascita di Dio nella grotta della nostra povertà.

Però – quanto mi dispiace doverlo riconoscere! – il tuo Natale!
Il tuo Natale è minacciato da un falso natale, che prepotentemente ci invade e ci insidia e ci narcotizza fino al punto di non vedere più e non sentire più il richiamo del vero Natale: il tuo Natale!

Quante luci riempiono le vie e le vetrine in questo periodo!

Ma la gente sa che la Luce sei Tu? E se interiormente gli uomini restano al buio, a che serve addobbare la notte con variopinte luminarie? Non è una beffa, o Gesù? Non è un tradimento del Natale? Queste domande, caro Gesù, si affollano nel mio cuore e diventano un invito forte alla conversione.

E noi cristiani mandiamo luce con la nostra vita? E le famiglie e le parrocchie assomigliano veramente a Betlemme? Si vede la stella cometa della testimonianza della vita abitata e trasformata dalla Tua Presenza?

Questi interrogativi non possiamo, non vogliamo, non dobbiamo evitarli se vogliamo vivere un autentico Natale.
Dalle case e dai luoghi di divertimenti, in questi giorni, escono musiche che vorrebbero essere invito alla gioia. Ma di quale gioia si tratta? Gli uomini hanno scambiato il piacere con la gioia: quale mistificazione! Il piacere è il sollecito della carne e, pertanto, sparisce subito e va continuamente e insaziabilmente ripetuto; la gioia, invece, è il fremito dell’anima che giunge a Betlemme e vede Dio e resta affascinata e coinvolta nella festa dell’Amore puro.
Sarà questa la nostra gioia, sarà questo il nostro Natale? Gesù, come vorrei che fosse così!
Ma c’è un altro pensiero che mi turba e mi fa sentire tanto distante il nostro natale dal tuo Natale. A Natale, o Gesù, Tu non hai fatto il cenone e non hai prenotato una stanza in un lussuoso albergo di una rinomata stazione sciistica. Tu sei nato povero. Tu hai scelto l’umiltà di una grotta e le braccia di Maria (la “poverella” amava chiamarla Francesco d’Assisi, un grande esperto del Natale vero!).
Come sarebbe bello se a Natale, invece di riempire le case di cose inutili, le svuotassimo per condividere con chi non ha, per fare l’esperienza meravigliosa del dono, per vivere il Natale insieme a Te, o Gesù! Questo sarebbe il regalo natalizio!
A questo punto io ti auguro ancora, con tutto il cuore, buon compleanno, Gesù!
Ma ho paura che la tua Festa non sia la nostra festa.
Cambiaci il cuore, o Gesù, affinché noi diventiamo Betlemme e gustiamo la gioia del tuo Natale con Maria, con Giuseppe, con i pastori, con Francesco d’Assisi, con Papa Giovanni, con Maria Teresa di Calcutta e con tante anime che, con il cuore, hanno preso domicilio a Betlemme.
Buon Natale a tutti… ma ora sapete di quale Natale intendo parlare".

card. Angelo Comastri
 



 
 
 

giovedì 27 dicembre 2012

Nella solennità di santo Stefano primo martire la Chiesa prega per i 105 mila cristiani uccisi per la fede nel 2012

Il centro forse più avanzato di statistica religiosa è quello fondato e diretto - fino alla sua morte nel 2011 - da David Barret, negli Stati Uniti. Secondo questo centro, si stima che anche quest’anno, nel 2012, siano stati uccisi per la loro fede 105 mila cristiani: questo significa un morto ogni 5 minuti. Le proporzioni, dunque, sono spaventose.

Ci sono Paesi, come la Nigeria, dove a causa della violenza fondamentalista dei Boko Aram è pericoloso perfino andare a Messa, cioè andare a Messa significa rischiare la vita.

Le aree di rischio sono molte, se ne possono identificare sostanzialmente tre principali: i Paesi dove è forte la presenza del fondamentalismo islamico - la Nigeria, la Somalia, il Mali, il Pakistan e certe regioni dell’Egitto - i Paesi dove esistono ancora regimi totalitari di stampo comunista, in testa a tutti la Corea del Nord e i Paesi dove ci sono nazionalismi etnici, che identificano l’identità nazionale con una particolare religione, così che i cristiani sarebbero dei traditori della Nazione, penso alle violenze nello stato dell’Orissa, in India.

Certamente, in molti di questi Paesi andare a Messa o anche andare al catechismo - in Nigeria c’è stata anche una strage di bambini che andavano a catechismo - è diventato di per se stesso pericoloso.

In Pakistan la legge sulla blasfemia per i cristiani, davvero, rappresenta un grande pericolo.

Proprio in nome di questa legge ricordiamo Asia Bibi, la donna madre di cinque figli tutt’ora in carcere, condannata a morte proprio in nome di questa norma.

L’Italia è stato il primo Paese ad adottare Asia Bibi. Certamente i suoi sforzi finora le hanno salvato la vita, ma non dobbiamo dimenticare le esecuzioni ed i linciaggi, perché qualche volta è la folla stessa - magari esaltata da qualche predicatore - a linciare l’accusato prima della condanna.

In Pakistan sono diventate scene, purtroppo, consuete e non c’è solo il caso di Asia Bibi.
 
Da una parte c’è la persecuzione cruenta, i morti ammazzati e le torture, che derivano da alcune specifiche ideologie: l’ideologia del fondamentalismo islamico radicale, le versioni più aggressive degli etno-nazionalismi e, naturalmente, quanto ancora sopravvive della vecchia ideologia comunista. Senza mettere assolutamente sullo stesso piano dei morti - che sarebbe certamente sbagliato - dobbiamo, però, ricordare che ci sono fenomeni di intolleranza, che è un fatto culturale, o di discriminazione attraverso misure legislative ingiuste, che si verificano anche nei nostri Paesi, anche in Occidente, come il Santo Padre ha ricordato ancora nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2013. Non a caso, nel discorso degli auguri di Natale alla Curia Romana di qualche giorno fa, il Papa si è soffermato sui pericoli e su, per così dire, una dittatura culturale, esercitata da una specifica ideologia e tra le varie c’è quella del “gender”.

Queste ideologie, evidentemente, si sentono minacciate dalla voce dei cristiani e dalla voce della Chiesa e, quindi, le loro lobby mettono in atto campagne di intolleranza e di discriminazione.

Santo Stefano è morto chiedendo al Signore di non imputare ai suoi assassini questo peccato. Dalle testimonianze raccolte emerge che i cristiani, chiaramente tramite la misericordia di Dio, riescono a perdonare i loro persecutori.

Naturalmente quando si parla dei 105 mila morti all’anno, questi non sono tutti martiri nel senso teologico del termine. Tuttavia, all’interno di questo numero ce n’è uno - più piccolo certamente - che comprende persone che molto consapevolmente offrono la loro vita per la Chiesa e spesso pregano anche per i loro persecutori e a questi offrono il perdono. E questo colpisce, perché poter perdonare, in qualche modo, i propri persecutori è veramente un’opera che viene dal Signore. Questa è una caratteristica unica del cristianesimo, perché molte altre culture - precristiane e anche post cristiane - parlano, invece, del diritto ed anche di un vero e proprio dovere d’onore della vendetta. Il cristianesimo ha avuto questa grande funzione civilizzatrice, che oggi si tende a dimenticare, di avere sostituito la logica della vendetta con la logica del perdono.

 
Radio Vaticana

 

mercoledì 26 dicembre 2012

Preghiera a Santo Stefano

Donaci, o Padre, di esprimere con la vita
il mistero che celebriamo nel giorno di natalizio
di santo Stefano primo martire
e insegnaci ad amare anche i nostri nemici
sull’esempio di lui che morendo
pregò per i suoi persecutori.
Per Cristo nostro Signore.
Amen.

 

Linee essenziali dell’insegnamento della Chiesa in materia di morale coniugale - Don Leonardo Maria Pompei


1. La famiglia, luogo dell’amore e della vita
Papa Giovanni Paolo II, nell’esortazione apostolica Familiaris Consortio sui compiti della famiglia cristiana, scriveva queste illuminate parole: “La famiglia, nei tempi odierni, è stata investita da profonde e rapide trasformazioni. Alcune di esse sono divenute incerte e smarrite di fronte ai loro compiti o addirittura dubbiose e quasi ignare del significato ultimo e della verità della vita familiare e coniugale. Consapevole che il matrimonio e la famiglia costituiscono uno dei beni più preziosi dell’umanità, la Chiesa vuol far giungere la sua voce ed offrire il suo aiuto a chi, già conoscendo il valore del matrimonio e della famiglia, cerca di viverlo fedelmente, a chi, incerto ed ansioso, è alla ricerca della verità ed a chi è ingiustamente impedito di vivere liberamente il proprio progetto familiare”. Questo opuscolo vuol farsi eco dell’ansia apostolica del nostro compianto Pontefice e offrire, in forma succinta, semplice e chiara, il nucleo essenziale di ciò che Gesù e la sua Chiesa rivelano sulla famiglia umana. Compito che appare quanto mai urgente nell’attuale contesto storico in cui si moltiplicano le forze disgregatrici del consorzio familiare e compaiono nuove tendenze, prassi, o costumi, gravemente disordinati dal punto di vista etico, che accampano perfino la pretesa di ottenere il riconoscimento legislativo. Per noi cristiani la famiglia è luogo e casa dell’amore e della vita, come ha scritto Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est: non l’amore “erotico” che mette al centro l’io e il soddisfacimento dei propri piaceri ed interessi, ma l’amore “agapico” ovvero l’amore di carità, che mette al centro il tu ed è capace anche di morire per amore dell’altro; questo amore si compie nel generare una nuova vita, vita non meramente biologica, ma vita umana destinata alla vita eterna, che i coniugi hanno l’onore e l’onere di promuovere, accogliere ed educare, agendo in nome e per conto di Dio, consci che dalle loro scelte, per volontà di Dio che ha voluto affidare un compito così sublime e così grande ad un uomo e ad una donna, dipende la sorte terrena ed eterna di vite umane.

2. Purezza, pudore, modestia, verginità e castità
Ai nostri giorni, purtroppo, questi termini possono suscitare un sorriso ironico di compatimento, o essere ritenuti arcaici, obsoleti, anacronistici, fuori moda; per qualcuno andrebbero banditi e sostituiti dai loro contrari: impurità, impudicizia, inverecondia, libertinaggio. Noi cristiani, tuttavia, non ci vergogniamo del Vangelo, che è sempre lo stesso, come sta scritto: “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre: non lasciatevi sviare da dottrine varie e peregrine” (Eb 13,8-9).
Il Signore Gesù disse: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8). Nella purezza di cuore, infatti, sono contenute tutte le virtù necessarie per essere santi nel corpo e nello spirito, nella famiglia e nella società. La purezza è quella virtù che, nascendo dal cuore, sa dare il giusto valore a tutte le cose: prima Dio, poi il resto; prima l’anima, poi il corpo; prima il bene degli altri, poi il proprio. Dio è purezza assoluta e la sua purezza consiste nel non poter pensare, desiderare o fare il male. Dio è puro spirito; ed anche se ha creato i nostri corpi, che sono cosa buona, ci ricorda che più grande del corpo è l’anima. Il suo essere è amare totalmente: ed ogni amore autentico deve trovare in Lui il suo punto di riferimento principale e normativo.
L’amore umano sponsale, dunque, per essere autentico deve imitare il “donarsi totalmente di Dio” e pertanto deve essere esclusivo: rivolto ad una sola creatura, senza averne conosciute altre in precedenza ed intenzionato ad appartenere totalmente all’altro a qualunque costo, in ogni modo e in ogni tempo. Come potrà infatti dirsi esclusivo un amore che si è già dato ad altri? E quale più bel regalo di nozze possono farsi i coniugi che l’essersi preservati e conservati l’uno per l’atro?
Per ottenere questo, è necessario custodirsi puri nei pensieri, negli occhi e nel corpo. La purezza del corpo trova infatti nei pensieri e nel cuore la propria origine, nella volontà di amare veramente la propria forza, nella grazia di Dio e nella sua divina purezza la garanzia della propria custodia, anche a costo di grandi sacrifici. La purezza del corpo va custodita dalla modestia nel vestire, per mezzo della quale, pur curando il buon gusto, il decoro e la bellezza esteriore (pallidi riflessi dell’infinita bellezza di Dio), evita di ostentare, mettere in mostra, essere incitamento a pensieri o desideri non puri, guardandosi dal provocare, sedurre, o, nei casi peggiori, dare scandalo. Quanti adolescenti, seguendo le mode – quelle mode di cui la Madonna di Fatima predisse l’avvento, avvertendo che avrebbero offeso molto Dio – hanno perduto la propria purezza, scoprendo poi di essere stati solo strumenti da usare e poi gettare!
La purezza del corpo permette dunque la totalità del dono di sé: ed in questo consiste il vero amore. Ora, il nostro amore può rivolgersi in due dimensioni: verso Dio, e questo è l’amore verginale; o verso una creatura diversa da me e a me complementare, e questo è l’amore umano sponsale, da vivere nella castità, sia nel fidanzamento che nel matrimonio. I fidanzati, infatti, devono rispettare la santità e la sacralità di una persona (e di un corpo) che ancora non gli appartiene, e quindi limitare le forme di comunicazione del proprio amore (ancora precario e informe) ai soli gesti idonei a veicolare l’affetto, simili a quelli che ci si scambia anche in famiglia o tra amici. Gli sposi, invece, che hanno fatto dono totale e reciproco di sé possono amarsi con la totalità di se stessi (corpo, anima e spirito), sempre coscienti del fatto che il loro amore può (e deve) essere fecondo, cioè aperto alla collaborazione con l’opera creativa di Dio, che ha inscritto, negli atti coniugali, la capacità di generare la vita; e l’amore, vissuto così, ha la benedizione di Dio.
La castità coniugale esige dunque dagli sposi che mantengano in un contesto di vero amore l’integro senso della mutua donazione e della procreazione umana; ciò comporta la connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo (la mutua e totale donazione di sé che i coniugi si scambiano) e il significato procreativo (il non porre nessun tipo di volontario impedimento al possibile concepimento di una vita umana). Da questa verità fondamentale dipende tutto l’insegnamento della Chiesa sulla santità del matrimonio e della famiglia umana.

3. Insegnamenti dei Papi

1) Pio XI, lettera enciclica Casti Connubii (1930)

«Poiché nel nostro tempo vi sono alcuni che, sul tema della castità del consorzio coniugale, abbandonando la dottrina cristiana, hanno preteso di predicarne un’altra, la Chiesa cattolica, a cui Dio ha affidato il compito di insegnare e difendere l’integrità e onestà dei costumi, per preservare la castità del consorzio coniugale dalla turpitudine, proclama fortemente, per mezzo della Nostra parola che qualsiasi uso del matrimonio, nel quale per studio umano, l’atto sia destituito della sua naturale capacità procreatrice, va contro la legge di Dio e della natura e coloro che commettessero tali azioni si rendono colpevoli di colpa grave». Subito dopo, per prevenire il cattivo comportamento di alcuni ministri di Dio che, con la scusa di essere “buoni” e “aperti” traviano le coscienze dei fedeli (ed a cui, per la verità, alcuni di essi si rivolgono per averne “assoluzioni facili”), il Pontefice aggiunge: «Per questo ammoniamo tutti i sacerdoti che si danno ad ascoltare le confessioni e gli altri che sono in cura di anime, che non permettano ai fedeli a sé affidati di errare in un punto così grave della legge di Dio e molto più che preservino se stessi da queste falsi opinioni e non si rendano, in qualsiasi modo, ad esse conniventi. In verità, se qualche confessore o pastore di anime – Dio ci scampi – inducesse egli stesso in tali errori i fedeli a sé affidati o quanto meno ve li confermasse sia approvandoli sia con inganno tacendo, sappia che dovrà rendere severo conto a Dio, Giudice supremo, del suo ufficio tradito e ritenga rivolte a sé le parole di Cristo: “sono ciechi e guide di ciechi. E se un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso” (Mt 15,14)».

2) Paolo VI: lettera enciclica Humanae Vitae (1968)

«Ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale (pillola anticoncezionale, spirale e sterilizzazione), o nel suo compimento (profilattico o coito interrotto), o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali (aborto e pillola RU 486), si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione è intrinsecamente cattiva. Nel compito di trasmettere la vita gli sposi non sono liberi di procedere a proprio arbitrio, come se potessero determinare in modo del tutto autonomo le vie oneste da seguire, ma, al contrario, devono conformare il loro agire all’intenzione creatrice di Dio, espressa nella stessa natura del matrimonio e dei suoi atti, e manifestata dall’insegnamento costante della Chiesa».

3) Giovanni Paolo II: esortazione apostolica Familiaris Consortio (1981)

«Nel contesto di una cultura che gravemente deforma o addirittura smarrisce il vero significato della sessualità umana, la Chiesa sente più urgente la sua missione di presentare la sessualità come valore e compito di tutta la persona creata a immagine di Dio. Quando i coniugi, mediante il ricorso alla contraccezione, scindono i due significati (unitivo e procreativo) dell’atto coniugale che Dio Creatore ha inscritti nell’essere dell’uomo e della donna, si comportano come “arbitri” del disegno divino, “manipolano” e avviliscono la sessualità umana e con essa la persona propria e del coniuge, alterandone il valore di donazione “totale”. Al linguaggio nativo che esprime la reciproca donazione totale dei coniugi, la contraccezione impone un linguaggio oggettivamente contraddittorio, quello cioè del non donarsi all’altro in totalità. Quando invece i coniugi, mediante il ricorso a periodi di infecondità [i “metodi naturali”], rispettano la connessione inscindibile dei significati unitivo e procreativo della sessualità umana, si comportano come “ministri” del disegno di Dio ed “usufruiscono” della sessualità secondo l’originario dinamismo della donazione “totale”, senza manipolazioni ed alterazioni. In tal modo la sessualità viene rispettata e promossa nella sua dimensione veramente e pienamente umana, non mai invece usata come un oggetto».

4. I rapporti prematrimoniali
«Molti oggi rivendicano il diritto all’unione sessuale prima del matrimonio, almeno quando una ferma volontà di sposarsi e un affetto, in qualche modo già coniugale nella psicologia dei soggetti, richiedono questo completamento, che essi stimano connaturale. Questa opinione è in contrasto con la dottrina cristiana, secondo la quale ogni atto genitale umano deve svolgersi nel quadro del matrimonio. Infatti, per quanto sia fermo il proposito di coloro che si impegnano in tali rapporti prematuri, resta vero, però, che questi non consentono di assicurare, nella sua sincerità e fedeltà, la relazione interpersonale di un uomo e di una donna e, specialmente di proteggerla dalle fantasie e dai capricci. Ora, è un’unione stabile quella che Gesù ha voluto e che ha restituito alla sua condizione originale, fondata sulla differenza del sesso. L’unione dei corpi nell’impudicizia, invece, contamina il tempio dello Spirito Santo, quale è divenuto il cristiano. Pertanto l’unione carnale non è legittima se tra l’uomo e la donna non si è instaurata una definitiva comunità di vita. Ecco ciò che ha sempre inteso e insegnato la Chiesa» (CDF, Persona Humana, 1975).

5. L’inseminazione e la fecondazione artificiale


«Le tecniche che provocano una dissociazione dei genitori, per l’intervento di una persona estranea alla coppia (dono di sperma o ovocita, prestito dell’utero) sono gravemente disoneste. Tali tecniche (inseminazione e fecondazione artificiale eterologhe) ledono il diritto del figlio a nascere da un padre e da una madre conosciuti da lui e tra loro legati dal matrimonio. Tradiscono il diritto esclusivo degli sposi a diventare padre e madre soltanto l’uno per mezzo dell’altro. Anche quando siano praticate in seno alla coppia (inseminazione e fecondazione artificiali omologhe), tali tecniche rimangono moralmente inaccettabili, in quanto dissociano l’atto sessuale dall’atto procreatore. L’atto che fonda l’esistenza del figlio non è più un atto con il quale due persone si donano l’una all’altra, bensì un atto che affida la vita e l’identità dell’embrione al potere dei medici e dei biologi e instaura un dominio della tecnica sull’origine e sul destino della persona umana. Una siffatta relazione di dominio è in sé contraria alla dignità e alla uguaglianza che dev’essere comune a genitori e figli. La procreazione è privata dal punto di vista morale della sua perfezione propria quando non è voluta come il frutto dell’atto coniugale, e cioè del gesto specifico della unione degli sposi; soltanto il rispetto del legame che esiste tra i due significati dell’atto coniugale e il rispetto dell’unità dell’essere umano consente una procreazione conforme alla dignità della persona» (CDF, Donum vitae, 1989).

Don Leonardo Maria Pompei


 

martedì 25 dicembre 2012

Buon Natale
























Expergiscere, homo: pro te Deus factus est homo.
Svegliati, uomo: per te Dio si è fatto uomo.
(Sant'Agostino, Serm. 185, 1)


E' Natale, Signore, o già subito Pasqua? - don Luigi Serenthà

E' Natale, Signore, o già subito Pasqua?
Il legno del presepe è duro, come legno di croce.


Il freddo ti punge, quasi corona di spine.
L'odio dei potenti ti spia e ti teme.

Quanti segni di morte, Signore in questa tua nascita,
comincia così il tuo cammino tra noi, la tua ostinata decisione
di essere Dio, non di sembrarlo.
Grazie, Signore, per questa ostinazione,
per questo sparire, per questo ritirarti
che schiude un libero spazio
per la mia libera decisione di amarti.
Dio che ti nascondi, Dio che non sembri Dio,
Dio degli stracci e delle piaghe,
Dio dei pesi e delle infamie,
io ti amo.
Non so come dirtelo, ho paura di dirtelo
perché talvolta mi spavento e ritiro la parola;
eppure sento che devo dirtelo:
io ti amo!
In questa possibilità di amarti che la tua povertà mi schiude
divento veramente uomo,
scopro di essere uomo, non di sembrarlo.
Il tuo Natale è il mio Natale.
Nella gioia di questo nascere,
nello stupore di poterti amare,
io accetto, io voglio, io chiedo che anche per me,
Signore,
sia subito Pasqua.
 

(don Luigi Serenthà)

 
Ti attendo, Signore
nella quiete e nel silenzio
con una grande nostalgia nel cuore
con un desiderio insopprimibile

Santa Faustina
Q.V,1589

lunedì 24 dicembre 2012

Quella lettera a Gesù bambino scritta da Joseph Ratzinger nel 1934, quando il futuro Papa era solo un bambino


“Caro Bambino Gesù, presto scenderai sulla terra. Porterai gioia ai bambini. Anche a me porterai gioia.” E’ il tipico testo di una letterina di Natale. I bambini di tutti i tempi la lasciano davanti al presepe e attendono la notte della Vigilia. Ma quello che la rende speciale è che è firmata Joseph Ratzinger ed è datata 1934. Cosa desiderava il piccolo Joseph ad appena sette anni ? “Vorrei il Volks-Schott, un vestito per la messa verde e un Cuore di Gesù. Sarò sempre bravo. Cari saluti da Joseph Ratzinger.” La letterina è stata ritrovata durante i lavori di ristrutturazione della casa di Joseph Ratzinger a Pentling in Baviera, oggi trasformata in un piccolo museo dedicato al Pontefice. La sorella Maria aveva custodito la letterina davvero insolita per un bimbo di 7 anni. Il piccolo Joseph non chiedeva giocattoli o dolci, che pure erano sempre davanti al presepe della famiglia Ratzinger per i tre fratelli. Joseph chiede tre cose molto particolari.

Il Volks-Schott è uno dei primi libri di preghiere con il messale in lingua tedesca con testo a fronte in latino. All’ epoca in Germania ne esistevano due edizioni, una per adulti e una per bambini. E il piccolo Joseph proprio attraverso quel libretto inizia ad amare la liturgia sul cui ritmo era modellata la vita della famiglia. “ I volumetti che di volta in volta ricevevo- scrive Benedetto XVI nella sua biografia- erano qualcosa di prezioso, come non potevo sognarli di più belli”. Nella letterina c’erano tre richieste. Una in particolare ci lascia stupiti: il piccolo Joseph chiede un paramento per celebrare la messa. In effetti i fratelli Ratzinger facevano spesso un gioco, il “gioco del parroco” per il quale la mamma preparava dei paramenti. Lo ha raccontato il fratello Georg in una intervista un paio di anni fa per Inside the Vatican. “Si celebrava la messa e avevamo delle casule fatte dalla sarta della mamma proprio per noi. E uno volta a turno eravamo il ministrante o il chierichetto.” Poi un “ Cuore di Gesù”, una immagine del Sacro Cuore cui era molto devota tutta la famiglia. E tutto davanti al presepe che ogni anno “ aumentava di qualche figura ed era sempre motivo di grande gioia. Andare con papà nel bosco a raccogliere muschio ginepro e ramoscelli d’abete.

Ora la commovente letterina- come riferisce Bild- è esposta per la prima volta nella casa natale del papa a Marktl am Inn in Baviera. Nella caratteristica calligrafia corsiva dell’epoca chiamata Sütterlinschrift lo scolaro, che frequentava la seconda, espone i desideri del suo cuore al Bambin Gesù. Ci sono anche le altre letterine dei bambini. Georg, che aveva dieci anni, voleva la partitura di una canzone e una pianeta bianca, mentre Maria, che aveva tredici anni sognava un libro pieno di disegni. Le letterine erano tutte su un unico foglio, perchè la famiglia Ratizinger non era certo ricca. La famiglia Ratzinger all’epoca, nel 1934, viveva nell’idillica Aschau am Inn. Ciò che più sorprende, però, è il fatto che il futuro Papa non si è mai rivolto a Babbo Natale, come se avesse saputo da sempre che tutto dipende sempre e solo da Gesù.

“Il Papa si è molto rallegrato di scoprire la lettera e il suo contenuto lo ha fatto sorridere”, ha raccontato il suo segretario particolare Georg Gaenswein quando ha inaugurato il piccolo museo alla fine dell’ estate : “Per lui, l’odore di muschio appartiene ancora oggi al Natale”. Le lettere sono esposte per il periodo natalizio a Monaco di Baviera.

Angela Ambrogetti

 
 

domenica 23 dicembre 2012

Dal trattato «Salita al monte Carmelo» di san Giovanni della Croce, sacerdote

Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio.
Il motivo principale per cui, nell’antica Legge, era lecito interrogare Dio ed era giusto che i sacerdoti e i profeti desiderassero visioni e rivelazioni divine, è che la fede non era ancora fondata e la legge evangelica non ancora stabilita. Era quindi necessario che si interrogasse Dio e che Dio rispondesse con parole o con visioni e rivelazioni, con figure e simboli o con altri mezzi d’espressione. Egli infatti rispondeva, parlava o rivelava misteri della nostra fede, o verità che ad essa si riferivano o ad essa conducevano.
Ma ora che la fede è basata in Cristo e la legge evangelica è stabilita in quest’èra di grazia, non è più necessario consultare Dio, né che egli parli o risponda come allora. Infatti, donandoci il Figlio suo, ch’è la sua unica e definitiva Parola, ci ha detto tutto in una sola volta e non ha più nulla da rivelare.
Questo è il senso genuino del testo in cui san Paolo vuole indurre gli Ebrei a lasciare gli antichi modi di trattare con Dio secondo la legge mosaica, e a fissare lo sguardo solamente in Cristo: «Dio che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1, 1). Con queste parole l’Apostolo vuol far capire che Dio è diventato in un certo senso muto, non avendo più nulla da dire, perché quello che un giorno diceva parzialmente per mezzo dei profeti, l’ha detto ora pienamente dandoci tutto nel Figlio suo.
Perciò chi volesse ancora interrogare il Signore e chiedergli visioni o rivelazioni, non solo commetterebbe una stoltezza, ma offenderebbe Dio, perché non fissa il suo sguardo unicamente in Cristo, e va cercando cose diverse e novità. Dio infatti potrebbe rispondergli: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Mt 17, 5). Se ti ho già detto tutto nella mia Parola ch’è il mio Figlio e non ho altro da rivelare, come posso risponderti o rivelarti qualche altra cosa? Fissa lo sguardo in lui solo e vi troverai anche più di quanto chiedi e desideri: in lui ti ho detto e rivelato tutto. Dal giorno in cui sul Tabor sono disceso con il mio Spirito su di lui e ho proclamato: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Mt 17, 5), ho posto fine ai miei antichi modi di insegnare e rispondere e ho affidato tutto a lui. Ascoltatelo, perché ormai non ho più argomenti di fede da rivelare, né verità da manifestare. Se prima ho parlato, era unicamente per promettere il Cristo e se gli uomini mi hanno interrogato, era solo nella ricerca e nell’attesa di lui, nel quale avrebbero trovato ogni bene, come ora attesta tutto l’insegnamento degli evangelisti e degli apostoli.
 
(San Giovanni della Croce)
 
 

sabato 22 dicembre 2012

Papa Benedetto XVI, per il Natale scrive sul Financial Times (tradotto in Italiano)

«Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» fu la risposta di Gesù quando gli fu chiesto ciò che pensava sul pagamento delle tasse. Quelli che lo interrogavano, ovviamente, volevano tendergli una trappola. Volevano costringerlo a prendere posizione nel dibattito politico infuocato sulla dominazione romana nella terra di Israele. E tuttavia c’era in gioco ancora di più: se Gesù era realmente il Messia atteso, allora sicuramente si sarebbe opposto ai dominatori romani. Pertanto la domanda era calcolata per smascherarlo o come una minaccia per il regime o come un impostore.

La risposta di Gesù porta abilmente la questione ad un livello superiore, mettendo con finezza in guardia nei confronti sia della politicizzazione della religione sia della deificazione del potere temporale, come pure dell’instancabile ricerca della ricchezza. I suoi ascoltatori dovevano capire che il Messia non era Cesare, e che Cesare non era Dio. Il regno che Gesù veniva ad instaurare era di una dimensione assolutamente superiore. Come rispose a Ponzio Pilato: «Il mio regno non è di questo mondo».

I racconti di Natale del Nuovo Testamento hanno lo scopo di esprimere un messaggio simile. Gesù nacque durante un "censimento del mondo intero", voluto da Cesare Augusto, l’imperatore famoso per aver portato la Pax Romana in tutte le terre sottoposte al dominio romano. Eppure questo bambino, nato in un oscuro e distante angolo dell’impero, stava per offrire al mondo una pace molto più grande, veramente universale nei suoi scopi e trascendente ogni limite di spazio e di tempo.

Gesù ci viene presentato come erede del re Davide, ma la liberazione che egli portò alla propria gente non riguardava il tenere a bada eserciti nemici; si trattava, invece, di vincere per sempre il peccato e la morte.

La nascita di Cristo ci sfida a ripensare le nostre priorità, i nostri valori, il nostro stesso modo di vivere. E mentre il Natale è senza dubbio un tempo di gioia grande, è anche un’occasione di profonda riflessione, anzi un esame di coscienza. Alla fine di un anno che ha significato privazioni economiche per molti, che cosa possiamo apprendere dall’umiltà, dalla povertà, dalla semplicità della scena del presepe?

Il Natale può essere il tempo nel quale impariamo a leggere il Vangelo, a conoscere Gesù non soltanto come il Bimbo della mangiatoia, ma come colui nel quale riconosciamo il Dio fatto Uomo.

È nel Vangelo che i cristiani trovano ispirazione per la vita quotidiana e per il loro coinvolgimento negli affari del mondo – sia che ciò avvenga nel Parlamento o nella Borsa. I cristiani non dovrebbero sfuggire il mondo; al contrario, dovrebbero impegnarsi in esso. Ma il loro coinvolgimento nella politica e nell’economia dovrebbe trascendere ogni forma di ideologia.

I cristiani combattono la povertà perché riconoscono la dignità suprema di ogni essere umano, creato a immagine di Dio e destinato alla vita eterna. I cristiani operano per una condivisione equa delle risorse della terra perché sono convinti che, quali amministratori della creazione di Dio, noi abbiamo il dovere di prendersi cura dei più deboli e dei più vulnerabili. I cristiani si oppongono all’avidità e allo sfruttamento nel convincimento che la generosità e un amore dimentico di sé, insegnati e vissuti da Gesù di Nazareth, sono la via che conduce alla pienezza della vita. La fede cristiana nel destino trascendente di ogni essere umano implica l’urgenza del compito di promuovere la pace e la giustizia per tutti.

Poiché tali fini vengono condivisi da molti, è possibile una grande e fruttuosa collaborazione fra i cristiani e gli altri. E tuttavia i cristiani danno a Cesare soltanto quello che è di Cesare, ma non ciò che appartiene a Dio. Talvolta lungo la storia i cristiani non hanno potuto accondiscendere alle richieste fatte da Cesare. Dal culto dell’imperatore dell’antica Roma ai regimi totalitari del secolo appena trascorso, Cesare ha cercato di prendere il posto di Dio. Quando i cristiani rifiutano di inchinarsi davanti ai falsi dèi proposti nei nostri tempi non è perché hanno una visione antiquata del mondo. Al contrario, ciò avviene perché sono liberi dai legami dell’ideologia e animati da una visione così nobile del destino umano, che non possono accettare compromessi con nulla che lo possa insidiare.

In Italia, molte scene di presepi sono adornate di rovine degli antichi edifici romani sullo sfondo. Ciò dimostra che la nascita del bambino Gesù segna la fine dell’antico ordine, il mondo pagano, nel quale le rivendicazioni di Cesare apparivano impossibili da sfidare. Adesso vi è un nuovo re, il quale non confida nella forza delle armi, ma nella potenza dell’amore. Egli porta speranza a tutti coloro che, come lui stesso, vivono ai margini della società. Porta speranza a quanti sono vulnerabili nelle mutevoli fortune di un mondo precario. Dalla mangiatoia, Cristo ci chiama a vivere da cittadini del suo regno celeste, un regno che ogni persona di buona volontà può aiutare a costruire qui sulla terra.

 

L’articolo del Papa per il Financial Times (20 dicembre 2012) nasce da una richiesta venuta dalla redazione del Financial Times stesso, che, prendendo spunto dalla pubblicazione dell’ultimo libro del Papa sull’infanzia di Gesù, ha chiesto un suo commento in occasione del Natale.
Nonostante si trattasse di una richiesta insolita, il Santo Padre ha accettato con disponibilità.
Forse è giusto ricordare la disponibilità con cui il Papa aveva risposto anche in passato ad alcune richieste fuori del comune, ad esempio la richiesta di intervento alla BBC, proprio in occasione del Natale alcuni mesi dopo il viaggio nel Regno Unito, o la richiesta di intervista televisiva per il programma A sua immagine della RAI, rispondendo a domande in occasione del Venerdì Santo.
Si è trattato anche allora di occasioni per parlare di Gesù e del suo messaggio ad un ampio uditorio, nei momenti salienti dell’anno liturgico cristiano.


 

venerdì 21 dicembre 2012

Le strategie diaboliche - Don Marcello Stanzione

Quando Satana apparve per la prima volta a Santa Gemma Galgani (1890-1902) e le offrì la guarigione dalla sua gravissima malattia e la felicità su questa terra, egli scelse il suo più seducente volto. Tale è il suo modo di azione favorito con le anime che ingenuamente ed in buona fede si danno alla vita mistica quando esse non hanno, per camminare nel suo arduo percorso, le necessarie protezioni spirituali.

Ogni tentativo di esperienza mistica fuori dai quadri provati vale ad avventurarsi senza preparazione né soccorso in un universo differente, pieno di spiriti celesti benevoli certamente, ma anche di demoni odiosi ed insidiosi che non aspettano che l’occasione per attaccare i figli di Dio (Prima Lettera di San Pietro 5,8 : “Siate sobri, vigilate. Il vostro avversario, il Diavolo, come un leone ruggente, va in giro, cercando chi divorare”). In questo campo ogni imprudenza od ingenuità può rivelarsi fatale. Nessuna creatura umana è capace di tenere testa da sola alle forze tenebrose che a causa della propria santità di vita si sentono provocate e quindi cercano di dar fastidio in tutti i modi. Così, prima di lanciarsi nell’impresa dell’eroismo spirituale che dovrebbe essere normale scelta di vita per ogni militante cattolico, prete o laico poco importa, è bene ricordarsi del doppio avvertimento degli Apostoli Giovanni e Paolo : “Carissimi, non credete ad ogni spirito. Ma provate gli spiriti per sapere se sono di Dio” ( Prima Lettera di San Giovanni 4,1-3).

"Costoro sono dei falsi profeti, degli operai imbroglioni, che si travestono da apostoli di Cristo. E nulla di stupefacente : Satana stesso si maschera bene da angelo di Luce. Niente di sorprendente se i suoi ministri si mascherano da ministri di giustizia. Ma il loro fine sarà conforme alle loro opere” (San Paolo, Seconda Lettera ai Corinzi 11, 13-15).

Sotto la maschera di Satana non si dissimula un dio del Male come lo immaginano i dualisti di ogni epoca, ma una creatura creata più che buona : ammirabile, la più bella uscita dalle mani di Dio ad eccezione della Vergine Maria. Satana è sempre Lucifero, principe dei Serafini.

Il canonico regolare agostiniano Giovanni di Ruysbroec (1293-1381) può anche scrivere : “Il Demonio vede come attraverso una sfera di diamante che egli non romperà mai la sua bellezza di Arcangelo eternamente sussistente nel pensiero divino ; l’unità del suo essere è per sempre spezzata ed egli sa che quello splendore di se stesso, non lo raggiungerà più”. Non c’è dubbio che la disfatta degli Angeli ribelli è una atroce tragedia, benché siano soli ed unici responsabili del loro triste stato. Ma fa ancora meno dubbio che essi sono animati contro l’umanità di un rancore spaventoso. Il loro regno si appoggia sulla menzogna, l’odio e l’omicidio.

Lo scopo di questi Angeli decaduti è di impedire all’uomo di raggiungere la felicità da cui essi sono privi, di uccidere, non solamente i corpi che essi detestano e disprezzano, ma le anime. Tutte le eresie più o meno manichee che vedono il diavolo creatore della materia non misurano l’ironia delle loro affermazioni : fare di Lucifero, cacciato dal Cielo per avere rifiutato di adorare il Dio incarnato, l’inventore di quella materia che egli aborra con tutto il suo essere... Lucifero è un Angelo, pervertito certo, ma sempre un Angelo. Ed è da Angelo che egli ama agire, mettendo al servizio del suo odio e della sua vendetta i suoi doni magnifici”.

Il Gesuita Padre de Tonquedec, che fu per anni l’esorcista della Diocesi di Parigi, conosceva a meraviglia il modo dell’agire diabolico. Secondo lui, Satana è tentatore. Seduttore, cattivo consigliere, ispiratore di ogni atto maligno, imbroglione. Egli acceca, corrompe, fa prendere il falso per vero ed il male per bene.

Egli non forza, propone, suggerisce, persuade, mette in gioco, esplora le passioni umane e gli istinti, trovando in noi, per il tramite della natura decaduta dopo il peccato originale, un complice naturale, chiamato a diventare vittima. Perché Satana è un cattivo maestro. San Giovanni della Croce e Santa Teresa del Bambino Gesù, lapidari, lo accusavano di essere “vigliacco davanti a chi gli resiste e crudele con quello che gli cede”...In altre parole satana è debole con i forti e forte con i deboli!!!


Don Marcello Stanzione




 

giovedì 20 dicembre 2012

Paolo VI, si vuole un cristianesimo facile nella fede e nel costume. Udienza del 25 giugno 1969, rendere agevole il cristianesimo senza dimenticare la croce

 Diletti Figli e Figlie!

In queste brevi conversazioni delle Udienze generali  Ci sembra ancora doveroso ripensare al Concilio.

E per ora lo facciamo senza risalire ai suoi vari e specifici insegnamenti, ma con alcune osservazioni d’indole molto sommaria. Questa, ad esempio, che tutti possono fare da sé: il Concilio ha prodotto nel popolo cristiano una mentalità, una sua mentalità. È chiaro che al fondo di questa mentalità si trova una convinzione molto buona, un postulato, un’idea di base che alcuni ammettono come già acquisita, altri, più avveduti, come da acquisire, da realizzare. E questa convinzione ci dice che il Concilio vuole una professione cristiana più seria, più autentica, più vera. Un approfondimento nella sincerità. E questa idea, dicevamo, è molto buona, Possiamo e dobbiamo farla nostra, perché da essa è partito il Concilio, come, del resto, da questa aspirazione ad una perfetta interpretazione della vita cristiana, sia nel pensiero che nella condotta, parte continuamente l’azione didattica, santificatrice e pastorale della Chiesa. Ma, dopo il Concilio, come si esprime questa rinnovata mentalità? Dove si dirige la sua ricerca d’un cristianesimo autentico, vivo e adatto per i nostri tempi? Si esprime in vari modi. Uno di questi modi è quello di ritenere ormai facile l’adesione al cristianesimo; e quindi di tendere a renderlo facile.

L’ESSENZA DEL MESSAGGIO EVANGELICO

Un cristianesimo facile: questa Ci sembra una delle aspirazioni più ovvie e più diffuse, dopo il Concilio. Facilità: la parola è seducente; ed è anche, in un certo senso, accettabile, ma può essere ambigua. Può costituire una bellissima apologia della vita cristiana, a intenderla come si deve; e potrebbe essere un travisamento, una concezione di comodo, un «minimismo» fatale. Bisogna fare attenzione.

Che il messaggio cristiano si presenti nella sua origine, nella sua essenza, nella intenzione salvatrice, nel disegno misericordioso che tutto lo pervade, come facile, felice, accettevole e comportabile, è fuori dubbio. È una delle più sicure e confortanti certezze della nostra religione; sì, ben compreso, il cristianesimo è facile. Bisogna pensarlo così, presentarlo così, viverlo così. Lo ha detto Gesù stesso: «Il mio giogo è soave ed il mio peso è leggero» (Matth. 11, 30). Lo ha ripetuto, rimproverando ai Farisei, meticolosi e intransigenti, del suo tempo: «Compongono pesanti e insopportabili fardelli e li impongono sulle spalle degli uomini» (Matth. 23, 4; cfr. Matth. 15, 2, ss.). E una delle idee maestre di San Paolo non è stata quella di esonerare i nuovi cristiani dalla difficile, complicata e ormai superflua osservanza delle prescrizioni legali del Testamento anteriore a Cristo?

IL SOMMO PRECETTO DELL’AMOR DI DIO

Si vorrebbe qualche cosa di simile anche per il nostro tempo, che è orientato verso concezioni spirituali semplici e fondamentali. Sintetiche e a tutti accessibili: non ha il Signore condensato nel sommo precetto dell’amor di Dio e in quello, che lo segue e ne deriva, dell’amore del prossimo, «tutta la legge ed i profeti» (Matth. 22, 40)? Lo esige la spiritualità dell’uomo moderno, quella dei giovani specialmente; lo reclama un’esigenza pratica d’apostolato e di penetrazione missionaria. Semplificare e spiritualizzare, cioè rendere facile l’adesione al cristianesimo; questa è la mentalità che sembra scaturire dal Concilio: niente giuridismo, niente dogmatismo, niente ascetismo, niente autoritarismo, si dice con troppa disinvoltura: bisogna aprire le porte ad un cristianesimo facile. Si tende così ad emancipare la vita cristiana dalle così dette «strutture»; si tende a dare alle verità misteriose della fede una dimensione contenibile nel linguaggio corrente e comprensibile dalla forma mentale moderna, svincolandole dalle formulazioni scolastiche tradizionali e sancite dal magistero autorevole della Chiesa; si tende ad assimilare la nostra dottrina cattolica a quella delle altre concezioni religiose; si tende a sciogliere i vincoli della morale cristiana, qualificati volgarmente come «tabu», e delle sue pratiche esigenze di formazione pedagogica e di osservanza disciplinare, per concedere al cristiano, fosse pur egli un ministro dei «misteri di Dio» (1 Cor. 4, 1; 2 Cor. 6, 4) o un seguace della perfezione evangelica (cfr. Matth. 19, 21; Luc. 14, 33), una così detta integrazione con il modo di vivere della gente comune. Si vuole, ripetiamo, un cristianesimo facile, nella fede e nel costume.

Ma non si va oltre il confine di quell’autenticità, a cui tutti aspiriamo? Quel Gesù, che ci ha portato il suo vangelo di bontà, di gaudio e di pace, non ci ha forse anche esortati ad entrare «per la porta stretta» (Matth. 7, 13)? E non ha forse preteso una fede nella sua parola, che va oltre la capacità della nostra intelligenza? (cfr. Io. 6, 62-67). E non ha Egli detto che «chi è fedele nel poco, è fedele ,anche nel molto» (Luc. 16, 10)? Non ha fatto Egli consistere l’opera della sua redenzione nel mistero della Croce, stoltezza e scandalo (1 Cor. 1, 23) per questo mondo, mentre è condizione della nostra salvezza il parteciparvi?

PIENEZZA DI RISPETTO PER LA LEGGE DIVINA

Qui la lezione si fa lunga e difficile. Sorge la domanda: ma allora il cristianesimo non è facile? Allora non è accettabile da noi moderni, e non è più presentabile al mondo contemporaneo? Rinunciamo in questo momento a risolvere debitamente questa grave, ma non profonda difficoltà. Ricordiamo soltanto che il costo delle cose facili, se belle, se perfette, se rese tali superando ostacoli formidabili, è sempre alto. Pensiamo, per esempio, a questa legge, che presiede a tutto lo sforzo della coltura e del progresso, quando abbiamo occasione di viaggiare in aeroplano: volare, com’è facile! ma quanti studi, quante fatiche, quanti rischi, quanti sacrifici esso è costato!

E poi, per stare al nostro tema, ci domandiamo: il cristianesimo sarebbe fatto per i temperamenti deboli di forza umana e per i fiacchi di coscienza morale? Per gli uomini imbelli, tiepidi, conformisti, e non curanti delle austere esigenze del Regno di Dio? Ci domandiamo alle volte se non sia da cercare fra le cause della diminuzione delle vocazioni alla sequela generosa di Cristo, senza riserve e senza ritorni, quella della presentazione superficiale d’un cristianesimo edulcorato, senza eroismo e senza sacrificio, senza la Croce, privo perciò della grandezza morale d’un amore totale. E Ci chiediamo anche se fra i motivi delle obbiezioni, sollevate nei confronti dell’Enciclica «Humanae vitae», non vi sia anche quello d’un segreto pensiero: abolire una legge difficile per rendere la vita più facile. (Ma se è legge, che ha in Dio il suo fondamento, come si fa?).

Noi ripeteremo: sì, il cristianesimo è facile; ed è saggio, è doveroso appianare ogni sentiero che ad esso conduce, con ogni possibile agevolazione. Ed è ciò che la Chiesa, dopo il Concilio, cerca in ogni modo di fare, ma senza tradire la realtà del cristianesimo. Il quale è davvero facile a qualche condizione: per gli umili, che ricorrono all’aiuto della grazia, con la preghiera, con i sacramenti, con la fiducia in Dio, «che non permetterà, dice S. Paolo, che siate tentati sopra le vostre forze, ma con la tentazione vi offrirà modo . . . di superarla» (1 Cor. 10, 13); e per i coraggiosi, che sanno volere ed amare, amare soprattutto. Diciamo con S. Agostino: il giogo di Cristo è soave, per chi ama; duro per chi non ama: «amanti, suave est; non amanti, durum est» (Serm. 30; PL 38, 192).

Procurate, Figli carissimi, di fare questa felice esperienza: rendere facile mediante l’amore la vita cristiana! Con la Nostra Apostolica Benedizione.
 
 

 

mercoledì 19 dicembre 2012

Papa Paolo VI sarà beatificato


Il 10 dicembre scorso, dopo i teologi, anche i cardinali e vescovi della Congregazione delle cause dei santi hanno dato il loro via libera alla beatificazione di Paolo VI, il Papa che ha portato a termine il Concilio Ecumenico Vaticano II e che ha guidato la Chiesa negli anni difficili del post-concilio.
Tutti i presenti, all’unanimità, hanno approvato la Positio, cioè il la documentazione del processo, esprimendosi favorevolmente sull’«eroicità delle virtù» di Giovanni Battista Montini, eletto Papa con il nome di Paolo VI nel 1963 e morto nel 1978. Anche la precedente riunione dei teologi aveva avuto esito unanimemente positivo.
Due sono ora gli atti che mancano prima di conoscere la data della beatificazione. La promulgazione del decreto sull’eroicità delle virtù, che spetta al Papa e che si prevede per il prossimo 20 dicembre, quando il cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle cause dei santi, andrà in udienza dal Pontefice per sottoporgli i decreti riguardanti i processi. Il «sì» di Benedetto XVI è considerato più che probabile e quasi scontato, dopo le votazioni unanimi dei teologi e dei cardinali, e in assenza di diatribe storiche come avvenne nel caso di Pio XII, per il quale invece il Papa si volle prendere tempo per decidere. Dopo il decreto papale, Paolo VI riceverà il titolo di «venerabile» e il processo si potrà considerare chiuso.
Il secondo atto necessario in vista della beatificazione è il riconoscimento di un miracolo, una guarigione miracolosa attribuibile a Paolo VI e avvenuta dopo la sua morte. Nel caso di Paolo VI, il postulatore della causa, padre Antonio Marrazzo, ha già scelto, tra le segnalazioni ricevute, un caso di guarigione che sarebbe risultato «inspiegabile» ai primi esami. Il presunto miracolo riguarda la guarigione di un bambino non ancora nato, avvenuta sedici anni fa in California. Durante la gravidanza, i medici avevano riscontrato un grave problema nel feto e a motivo delle conseguenze cerebrali che intervengono in questi casi avevano suggerito come unico possibile rimedio alla giovane mamma quello dell’aborto. La donna aveva voluto portare a termine la gravidanza e si era affidata all’intercessione di Paolo VI, il Papa che nel 1968 scrisse l’enciclica «Humanae vitae». Il bambino è nato senza problemi: si è atteso che raggiungesse i quindici anni d’età per constatare l’assenza di conseguenze e la perfetta guarigione. Ma c’è anche una seconda guarigione inspiegabile, della quale è protagonista una suora affetta da un tumore, che potrebbe essere presentata alla Congregazione vaticana.
La volontà di Benedetto XVI è di procedere speditamente. La beatificazione si prevede avvenga a conclusione dell’anno della fede. Nel 2013 ricorreranno il cinquantesimo anniversario dell’elezione di Papa Montini, e il trentacinquesimo della morte.

Fonte: Vatican Insider