martedì 31 gennaio 2012

I tre giorni della merla

Brrrrr, che freddo. Fortunatamente oggi è il 31 gennaio ed è l'ultimo giorno dei "tre giorni della merla". Ecco la leggenda. Nella realtà stamane al meteo hanno detto che questo freddo proseguirà per tutta la settimana.  Copriamoci bene.

Era un inverno molto, molto freddo. Il mese di Gennaio, quell’anno, si era messo davvero d’impegno per tener fede alla sua fama di mese gelido. La neve era alta, ed uno strato di ghiaccio ricopriva le fontane, i ruscelli, i laghetti...per la gioia dei bambini, che potevano divertirsi a pattinare, slittare, scivolare su quelle superfici a specchio che riflettevano i raggi di un pallido sole.
Perfino il fuoco, acceso in ogni piccola e grande casa del paese, sembrava non scaldare abbastanza; nelle camere e nelle soffitte, qualche volta, al mattino si scopriva che il gelo della notte aveva perfino fatto ghiacciare l’acqua nei secchi e nei lavandini.

La gente camminava intirizzita, usciva il meno possibile, cercava di impegnarsi nei lavori più faticosi anche per scaldarsi un po’. I più fortunati potevano permettersi, nelle sere buie, di condividere un sorso di vinbrulè con la famiglia o con gli amici, nel tepore della casa. "Finirà, anche questo Gennaio..." dicevano tutti, ed aspettavano con ansia il mese di Febbraio: certo, l’inverno non sarebbe finito subito, ma sarebbe diventato più mite, meno pungente, e tutti avrebbero cominciato a sentire l’avvicinarsi della primavera.
 Anche gli animali stavano passando giorni difficili, con tutto quel freddo e quel ghiaccio. Era un problema procurarsi il cibo, ripararsi dal vento, ...si sa, gli animali non sono in grado di accendere fuochi, e non sono capaci di fare il vino caldo con le spezie.

Una merla,non vedeva l’ora che il freddo finisse...imprecando contro il mese di Gennaio, decise un bel giorno di andarlo a trovare, di dirgli tutto quello che pensava di lui e di prenderlo un po’ in giro perché ormai stava per finire. A quei tempi, infatti, Gennaio era il mese più corto dell’anno ed aveva solo ventotto giorni.
Volando, volando, riuscì a raggiungere l’alta montagna dove abitava quel mese così poco gentile. Qui giunta, la merla (che aveva un bel piumaggio nero lucido ed un becco giallo molto brillante, come il suo compagno) cominciò a sfottere il mese di Gennaio: "Ci hai fatto soffrire, con il tuo ghiaccio ed il tuo vento, eh? Ti sei divertito? Ci hai fatto tremare di freddo e patire la fame per tutti questi giorni, ma oggi è il 28, è l’ultimo giorno! Hai finito di perseguitarci, per quest’anno, adesso arriva Febbraio e potremo respirare....alla fine, te ne devi andare anche tu!"

Il mese di Gennaio, offeso e contrariato, sembrò non interessarsi più di tanto ai discorsi di quell’uccello fastidioso, non rispose subito, ma aspettò con calma che la merla si sfogasse e, alla fine, l’ammonì: "Stai attenta, perché non è detta l’ultima parola!". Sicura del fatto suo, la merla non ci badò e spiccò il volo per tornare al suo paese ed aspettare l’arrivo del mite Febbraio.
Ma Gennaio non si diede per vinto: irritato dal comportamento della merla, andò subito a trovare il suo vicino di casa, Febbraio, e tanto disse e tanto fece da convincerlo a regalargli tre giorni: quelli che sarebbero stati i primi tre giorni di Febbraio diventarono gli ultimi di Gennaio. Per dispetto a chi si era preso gioco di lui, Gennaio durante quei tre giorni ce la mise tutta per vendicarsi. Il freddo fu talmente intenso che perfino il fiato si ghiacciava nell’aria. La merla, pentita della sua presunzione, non poté fare altro che cercare un po’ di sollievo vicino ad un camino fumante. Passò tutti i tre giorni vicino a quel camino e riuscì a difendersi dal freddo; prese però tanto di quel fumo che, dopo quei tre giorni, tutte le sue piume e perfino il suo becco erano diventati grigi, e non tornarono mai più come prima.

Per questo, da allora in poi, il mese di Febbraio è diventato il più corto dell’anno, la merla è di color grigio fumo (mentre il merlo è sempre nero con il becco giallo) e gli ultimi tre giorni di Gennaio, i più freddi di tutto l’inverno, sono chiamati "i giorni della merla".

domenica 29 gennaio 2012

Anche il silenzio è comunicazione – Papa Benedetto XVI


Il 24 gennaio la Santa Sede ha diffuso il testo del messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2012, che contiene una riflessione davvero profonda sul ruolo e il valore del silenzio nell'epoca di Internet. Il Papa vuole richiamare la nostra attenzione «su un aspetto del processo umano della comunicazione che a volte è dimenticato, pur essendo molto importante, e che oggi appare particolarmente necessario richiamare. Si tratta del rapporto tra silenzio e parola: due momenti della comunicazione che devono equilibrarsi, succedersi e integrarsi per ottenere un autentico dialogo e una profonda vicinanza tra le persone. Quando parola e silenzio si escludono a vicenda, la comunicazione si deteriora, o perché provoca un certo stordimento, o perché, al contrario, crea un clima di freddezza; quando, invece, si integrano reciprocamente, la comunicazione acquista valore e significato».
Nell'epoca di Facebook e degli smartphone, in cui si «parla» continuamente e per ventiquattro ore su ventiquattro, il Papa invita a riscoprire il silenzio.
«Il silenzio - scrive il Pontefice - è parte integrante della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto. Nel silenzio ascoltiamo e conosciamo meglio noi stessi, nasce e si approfondisce il pensiero, comprendiamo con maggiore chiarezza ciò che desideriamo dire o ciò che ci attendiamo dall’altro, scegliamo come esprimerci. Tacendo si permette all’altra persona di parlare, di esprimere se stessa, e a noi di non rimanere legati, senza un opportuno confronto, soltanto alle nostre parole o alle nostre idee».

Il silenzio non è dunque un'alternativa alla comunicazione, ma è parte della comunicazione. Solo con il silenzio si apre «uno spazio di ascolto reciproco e diventa possibile una relazione umana più piena. Nel silenzio, ad esempio, si colgono i momenti più autentici della comunicazione tra coloro che si amano: il gesto, l’espressione del volto, il corpo come segni che manifestano la persona. Nel silenzio parlano la gioia, le preoccupazioni, la sofferenza, che proprio in esso trovano una forma di espressione particolarmente intensa. Dal silenzio, dunque, deriva una comunicazione ancora più esigente, che chiama in causa la sensibilità e quella capacità di ascolto che spesso rivela la misura e la natura dei legami».
Si tratta di nostalgie di epoche passate, nell'epoca di Internet? È precisamente il contrario. «Là dove i messaggi e l’informazione sono abbondanti, il silenzio diventa essenziale per discernere ciò che è importante da ciò che è inutile o accessorio. Una profonda riflessione ci aiuta a scoprire la relazione esistente tra avvenimenti che a prima vista sembrano slegati tra loro, a valutare, ad analizzare i messaggi; e ciò fa sì che si possano condividere opinioni ponderate e pertinenti, dando vita ad un’autentica conoscenza condivisa. Per questo è necessario creare un ambiente propizio, quasi una sorta di "ecosistema" che sappia equilibrare silenzio, parola, immagini e suoni».

Il Papa entra direttamente nella dinamica della comunicazione attuale su Internet, che da tempo è oggetto delle sue riflessioni. Oggi quando vogliamo sapere qualcosa lanciamo una ricerca su Google o consultiamo Wikipedia, anche se i più giovani spesso conducono le loro ricerche direttamente su Facebook. «Gran parte della dinamica attuale della comunicazione è orientata da domande alla ricerca di risposte. I motori di ricerca e le reti sociali sono il punto di partenza della comunicazione per molte persone che cercano consigli, suggerimenti, informazioni, risposte. Ai nostri giorni, la Rete sta diventando sempre di più il luogo delle domande e delle risposte».
Ma sorge un problema. Spesso non si trovano troppo poche risposte, se ne trovano troppe: è quello che i sociologi che studiano Internet chiamano «information overload». «Anzi, spesso l’uomo contemporaneo è bombardato da risposte a quesiti che egli non si è mai posto e a bisogni che non avverte». La risposta a questo problema, da molti segnalato, è proprio il silenzio. «Il silenzio è prezioso per favorire il necessario discernimento tra i tanti stimoli e le tante risposte che riceviamo, proprio per riconoscere e focalizzare le domande veramente importanti».

Non si deve però credere, cedendo a un facile pessimismo, aggiunge il Papa, che nell'epoca dei social network e di Google siano scomparse le domande cruciali dell'uomo. Queste rimangono, sempre. «Nel complesso e variegato mondo della comunicazione emerge, comunque, l’attenzione di molti verso le domande ultime dell’esistenza umana: chi sono? che cosa posso sapere? che cosa devo fare? che cosa posso sperare?». Sì, queste domande ci sono ancora.
«Questo incessante flusso di domande manifesta, in fondo, l’inquietudine dell’essere umano sempre alla ricerca di verità, piccole o grandi, che diano senso e speranza all’esistenza. L’uomo non può accontentarsi di un semplice e tollerante scambio di scettiche opinioni ed esperienze di vita: tutti siamo cercatori di verità e condividiamo questo profondo anelito, tanto più nel nostro tempo in cui "quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali" (Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2011)».

Per cominciare a rispondere ai tanti che cercano su Internet la risposta alle domande fondamentali della vita, il Papa non suggerisce di fuggire dalla Rete ma di farne terreno di evangelizzazione. «Sono da considerare con interesse le varie forme di siti, applicazioni e reti sociali che possono aiutare l’uomo di oggi a vivere momenti di riflessione e di autentica domanda, ma anche a trovare spazi di silenzio, occasioni di preghiera, meditazione o condivisione della Parola di Dio. Nella essenzialità di brevi messaggi, spesso non più lunghi di un versetto biblico, si possono esprimere pensieri profondi se ciascuno non trascura di coltivare la propria interiorità».

Al silenzio il cristiano non può rinunciare. «Se Dio parla all’uomo anche nel silenzio, pure l’uomo scopre nel silenzio la possibilità di parlare con Dio e di Dio. "Abbiamo bisogno di quel silenzio che diventa contemplazione, che ci fa entrare nel silenzio di Dio e così arrivare al punto dove nasce la Parola, la Parola redentrice" (Omelia, S. Messa con i Membri della Commissione Teologica Internazionale, 6 ottobre 2006)». La chiave della vita interiore cristiana è la «contemplazione silenziosa», dove «emerge poi, ancora più forte, quella Parola eterna per mezzo della quale fu fatto il mondo, e si coglie quel disegno di salvezza che Dio realizza attraverso parole e gesti in tutta la storia dell’umanità» e che culmina nella persona di Gesù Cristo.
  «Parola e silenzio», dunque.. «Educarsi alla comunicazione vuol dire imparare ad ascoltare, a contemplare, oltre che a parlare, e questo è particolarmente importante per gli agenti dell’evangelizzazione: silenzio e parola sono entrambi elementi essenziali e integranti dell’agire comunicativo della Chiesa, per un rinnovato annuncio di Cristo nel mondo contemporaneo». Coniugare parola e silenzio non è sempre facile. Ma possiamo, con fiducia, affidarci «a Maria, il cui silenzio "ascolta e fa fiorire la Parola" (Preghiera per l’Agorà dei Giovani a Loreto, 1-2 settembre 2007)».



lunedì 23 gennaio 2012

I 10 Comandamenti della Casa del Signore


1. Molti vanno in Chiesa, ma non tutti sanno di entrare nella casa di Dio. Preparati nell'andare: spiritualmente, mentalmente e con il cuore.

2. Recati alla Santa Messa almeno cinque o dieci minuti prima del suo inizio, per prepararti nella preghiera e nel raccoglimento ad una migliore partecipazione al mistero della salvezza.

3. Entrando in Chiesa, davanti al Signore, inginocchiati, così lo adorerai pubblicamente. Chinare la testa, come oggi fanno molti, è solo un segno di venerazione e non di adorazione come si conviene a Dio. Nella lettera ai Filippesi si trova scritto: "nel nome di Gesù, ogni ginocchio si pieghi, nei cieli, sulla terra e sotto terra". Non volerti dunque macchiare di grave irriverenza verso il tuo Signore.

4. Osserva, nella casa di Dio, un rigoroso silenzio. Nel luogo sacro non possono essere giustificate le vane chiacchiere. Si può parlare solo per una vera, grave e urgente necessità, per il tempo strettamente indispensabile e sempre e solo sottovoce. Controlla sempre che il tuo telefonino sia spento.

5. Non entrare mai in Chiesa vestito in maniera indecorosa o, peggio, indecente. Mantieni sempre un atteggiamento edificante, non andando in giro qua e là con lo sguardo, non voltandoti a vedere chi entra e chi esce, ma occupandoti solo di parlare con Dio, pensando alle cose di Dio, occupandoti degli affari divini riguardanti il bene dell'anima tua e di quelli che porti nel cuore.

6. Nella Messa, almeno durante la consacrazione, procura di stare in ginocchio ed in assoluto silenzio adorante. Se anche sei fuori dei banchi, sappi che il Signore gradisce molto il sacrificio di stare in ginocchio sulla nuda terra. Sappi che se, senza grave necessità, rimani in piedi, pecchi gravemente di irriverenza verso Colui che si sta umiliando scendendo sull'altare e rinnovando l'offerta del Suo Sacrificio per le mani del sacerdote. Se sei un'anima generosa, prolunga il tempo della tua adorazione in ginocchio per tutta la preghiera eucaristica.

7. Se vuoi ricevere Gesù nella santa comunione eucaristica, ricorda che devi essere in stato di grazia ed a digiuno da almeno un'ora da cibi e bevande non alcoliche (tre ore dalle bevande alcoliche). Se sei consapevole di aver peccato mortalmente, non accostarti alla santa comunione senza aver prima ricevuto l'assoluzione nel sacramento della Penitenza: commetteresti sacrilegio. Se hai violato le norme sul digiuno, per comunicarti devi chiedere la dispensa al Parroco prima che cominci la santa Messa. Sappi che il digiuno è rotto anche da un cioccolatino, una caramella, un caffè o una gomma da masticare.

8. Prima di ricevere la santa Comunione, chiedi umilmente perdono per le tue debolezze e mancanze recitando l'atto di dolore. Accostati a Lui con molto rispetto e riverenza, consapevole che stai andando a ricevere il Signore del cielo e della terra. Ricorda che anche per ricevere la santa comunione, l'atteggiamento più indicato è quello di ricevere il tuo Signore stando umilmente in ginocchio.

9. Dopo aver ricevuto Gesù, adoralo, benedicilo e ringrazialo. Tornato al banco, non metterti seduto: hai Dio dentro di te! Non uscire di fretta dalla Chiesa, ma soffermati in silenziosa preghiera, perché Gesù rimane, nelle Sacre Specie, vivo dentro di te, per almeno un quarto d'ora da quando l'hai ricevuto. L'ideale, quindi, sarebbe che ti trattenessi in preghiera ed in ringraziamento almeno per questo tempo.

10. Quando Gesù è solennemente esposto nell'Adorazione eucaristica, non privarlo della tua presenza. Egli ti sta aspettando per amarti, benedirti, concederti grazie, donarti la sua pace, in cambio di un po' del tuo amore e del tempo. Sii fiero di rimanere per un po' in ginocchio davanti alla sua divina presenza.

sabato 21 gennaio 2012

Testamento spirituale di Shahbaz Bhatti


"Il mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione, e mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori cristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che hanno influenzato la mia infanzia.

Fin da bambino ero solito andare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli insegnamenti, nel sacrificio, e nella crocifissione di Gesù. Fu l’amore di Gesù che mi indusse ad offrire i miei servizi alla Chiesa. Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero. Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico.

Mi è stato richiesto di porre fine alla mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora in questo mio battagliero sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita.

Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato uccidermi, imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia. Io dico che, finché avrò vita, fino al mio ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri.

Credo che i cristiani del mondo che hanno teso la mano ai musulmani colpiti dalla tragedia del terremoto del 2005 abbiano costruito dei ponti di solidarietà, d’amore, di comprensione, di cooperazione e di tolleranza tra le due religioni. Se tali sforzi continueranno sono convinto che riusciremo a vincere i cuori e le menti degli estremisti. Ciò produrrà un cambiamento in positivo: le genti non si odieranno, non uccideranno nel nome della religione, ma si ameranno le une le altre, porteranno armonia, coltiveranno la pace e la comprensione in questa regione.

Credo che i bisognosi, i poveri, gli orfani qualunque sia la loro religione vadano considerati innanzi tutto come esseri umani. Penso che quelle persone siano parte del mio corpo in Cristo, che siano la parte perseguitata e bisognosa del corpo di Cristo. Se noi portiamo a termine questa missione, allora ci saremo guadagnati un posto ai piedi di Gesù ed io potrò guardarLo senza provare vergogna".

E doveroso, per noi cristiani, conoscere la testimonianza offerta dal ministro pakistano, per le minoranze religiose, Shahbaz Batti, limpida figura di testimone della fede, assassinato dai fondamentalisti talebani il 3 marzo 2011 ad Islamabad.
''Cattolico, 42 anni, Bhatti si era sempre adoperato per il dialogo tra etnie e religioni, innescando nel Paese asiatico il dibattito sulla revisione della legge sulla blasfemia, dopo la condanna a morte della donna cristiana Asia Bibi da lui difesa con coraggio''. Radio vaticana ricorda così il ministro Bhatti. L'emittente vaticana ricorda l'udienza avuta da Bhatti lo scorso 12 settembre con Papa Benedetto XVI a Castel Gandolfo. ''Credo - aveva detto il ministro in quell'occasione - che cambiare la mente e il cuore delle persone sia la cosa più importante e noi abbiamo lanciato una campagna interreligiosa proprio per conseguire questo obiettivo. Stiamo facendo tutto il possibile affinchè le persone - che sono fuorviate dai terroristi o da gruppi militanti - si votino invece all'armonia e alla pace. Stiamo facendo in modo che gli appartenenti alle diverse fedi agiscano in solidarietà ed unità per sconfiggere questi elementi. Ci stiamo riuscendo, ma la strada e' ancora lunga''.
Sulla morte di questo martire della fede cristiana e della libertà religiosa, Papa Benedetto XVI è intervenuto all’Angelus di domenica 6 marzo con queste parole: "Chiedo al Signore Gesù che il commovente sacrificio della vita del ministro pakistano Shahbaz Bhatti svegli nelle coscienze il coraggio e l’impegno a tutelare la libertà religiosa di tutti gli uomini e, in tal modo, a promuovere la loro uguale dignità."


mercoledì 18 gennaio 2012

Accogli una famiglia - Mons. Erminio De Scalzi 20 dicembre 2012 - Conferenza stampa


«Cerchiamo famiglie che accolgano altre famiglie. Serve un’ospitalità fisica e un’ospitalità del cuore». È l’invito lanciato da monsignor Erminio De Scalzi, vescovo ausiliare della diocesi di Milano e presidente della Fondazione Milano famiglie 2012 in vista del VII Incontro mondiale delle famiglie che si svolgerà a Milano dal 29 maggio al 3 giugno 2012 e che sarà concluso dalla presenza nel capoluogo lombardo di Papa Benedetto XVII.

Servono 100.000 famiglie che diano ospitalità alle persone provenienti da altre parti d’Italia e da tutto il mondo. L’organizzazione vuole garantire a tutti un luogo per soggiornare gratuitamente, in modo da favorire anche chi proviene da Paesi meno ricchi. «Chi offrirà accoglienza finirà per lasciarsi interpellare dagli stili di vita personali e familiari diversi dai nostri e anche per riscoprire virtù familiari come la semplicità e la sobrietà andate perdute da noi in Europa». Ha aggiunto monsignor De Scalzi: «Milano è una città con tanti abitanti senza casa e tante case senza abitanti, mi piacerebbe che l’Incontro mondiale delle famiglie diventasse occasione per aprire queste case».

L’appello è stato lanciato oggi con una conferenza stampa tenuta alla Casa della carità. «Abbiamo aderito all'appello per l'accoglienza», ha sottolineato don Virginio Colmegna presidente della fondazione Casa della carità, «perché noi viviamo di ospitalità». «Daremo il nostro contributo», spiega don Colmegna, «ospitando in quei giorni una famiglia proveniente dall'estero. È la cultura dell'ospitalità che produce famiglia. La categoria dell’ospitalità non è attività assistenziale: è operazione di carattere formativo».

«Anche il Comune di Milano si sta preparando all’accoglienza dei partecipanti al VII Incontro mondiale delle famiglie» ha spiegato il vicesindaco Maria Grazia Guida. «L’amministrazione fin dai primi giorni del proprio insediamento si è messa al servizio della Fondazione Milano famiglie 2012 e del Prefetto, che è il commissario straordinario per l’evento, affinché la complessa macchina organizzativa sia in grado di accogliere il grande numero di persone previste. Ora rilanciamo l’appello alla città perché si apra alle famiglie che arriveranno».

per saperne di più: http://www.family2012.com/

lunedì 16 gennaio 2012

Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia - Card. Carlo Maria Martini


Nel contesto delle beatitudini, 'fame e sete' significano chiara­mente il desiderio ardente di una giustizia che va alla radice: è la giustizia nei riguardi di Dio, la tensione a una vita piena­mente conforme alla volontà divina. Gli affamati e assetati di questa giustizia non potranno non essere saziati dal Padre che è nei cieli.

L'invito che le parole di Gesù ci rivolgono è di desiderare per la nostra vita ciò che è veramente essenziale.

Il Cristiano, ciascuno di noi, è sollecitato ad avere fame e sete anzitutto della volontà di Dio; che si compia quanto il Signore ritiene bene e giusto - ci venga concesso quindi anche il pane materiale -, ma specialmente ogni verità e giustizia, perché si realizzi il regno dell'amore di Dio.

Per aiutarvi nella meditazione personale, mi piace recitare il commento di don Luigi Serenthà sulla quarta beatitudine: "Beati quelli che hanno fame e sete di fare la volontà di Dio, cioè che dicono: il mio nutrimento, il nutrimento su cui faccio crescere la mia vita, così come il corpo cresce sul pane e sul­l'acqua, non è la mia volontà, ma la volontà di Dio. Io ho fame di Dio, ho sete di lui, la sua volontà è punto di riferimento per la mia esistenza. Mi affido a Dio, lui è la mia gioia, ciò che egli mi rivela lo mangio e lo bevo con quella avidità con cui l'asse­tato e l'affamato bevono l'acqua e mangiano il pane".

Sono parole molto belle, che esprimono il grande, inestingui­bile desiderio dell'uomo e la risposta promessa dal Signore a ta­le desiderio.


(Card.Carlo Maria Martini)

<< Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno,
vi perseguiteranno e, mentendo,
diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate,
perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.>>
(Matteo 5, 3-12)














giovedì 12 gennaio 2012

La famiglia migrante protagonista della nuova evangelizzazione - Card. Angelo Scola

Arcidiocesi di Milano
Solennità dell’Epifania del Signore

 La famiglia migrante
protagonista della Nuova evangelizzazione

Giuseppe si alzò, nella notte, prese il Bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto” (Mt 2,14)


Duomo di Milano, 6 gennaio 2012
Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola,
Arcivescovo di Milano
  

1. «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te» (Prima Lettura, Is 60,1). La Prima Lettura, tratta dal cosiddetto Terzo Isaia, ci offre una fondamentale chiave per comprendere il mistero della Chiesa, chiamata ad accogliere la luce del Suo Signore per poi rifletterla a beneficio di tutta la variegata famiglia umana. La ragione dell’esistere della Chiesa sta quindi nel lasciar trasparire sul suo volto Cristo, Luce delle genti.

«I Magi, entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono» (Vangelo, Mt 2,11). I Magi rappresentano i diversi popoli della terra, le genti citate dal profeta Isaia che «cammineranno alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere» (Prima Lettura, Is 60,3).

2. L’odierna liturgia eucaristica nella Festa dei Popoli è una felice conferma che la profezia di Isaia si è avverata. È un’occasione di intensa gioia per tutta la Chiesa ambrosiana e per il suo Arcivescovo il convenire in questo amato Duomo di migliaia di fedeli provenienti da Paesi appartenenti alle più svariate etnie. Ringrazio di cuore i cappellani che vi seguono con cura, coordinati dall’Ufficio di Pastorale dei Migranti.

La Santa Messa che stiamo celebrando ci indica con naturalezza le due direzioni del cammino di fede, che ogni comunità cristiana etnica deve perseguire con vigore e fedeltà. Anzitutto le diverse lingue, i diversi segni e i diversi gesti in cui si realizza la partecipazione attiva alla Santa Messa che stiamo celebrando ben esprimono l’impegno di valorizzare la tradizione e la cultura di ogni popolo qui rappresentato. Questa varietà di tradizioni è un’indubbia ricchezza che la Chiesa ambrosiana intende mettere a frutto. Nello stesso tempo l’azione eucaristica che stiamo celebrando mostra come i diversi elementi propri delle vostre tradizioni liturgiche si fondano nell’unica sinfonia di lode e di grazie per il sacrificio eucaristico di Gesù unico Signore e Salvatore.
Emerge in tal modo, come importante direzione di cammino, la necessità che tutti i membri delle varie comunità etniche, con equilibrio ma con decisione, si impegnino ad inserirsi nella pastorale ordinaria della Chiesa ambrosiana. Ciò è decisivo per le seconde e terze generazioni. Invito pertanto le parrocchie, le comunità religiose e le aggregazioni di fedeli ad adoperarsi in questo senso.
È evidente che la strada di una comunione sempre più effettiva tra fratelli cristiani di ogni lingua e nazione sta dando e darà un prezioso contributo a quell’integrazione che, se fatta con magnanimità ed equilibrio, contribuisce a formare la nuova, decisiva fisionomia di Milano e delle nostre terre.

L’interculturalità che si esprime in questa Santa Messa poggia su due imprescindibili pilastri: anzitutto una tradizione viva che non intende perdere nulla della sostanza e che, in secondo luogo, non teme di lasciarsi fecondare dal nuovo. La fede cattolica è il fattore che favorisce questa comunione rispettosa di ogni tradizione e apportatrice di novità. Ce lo domanda esplicitamente la festa di oggi. Epifania significa manifestazione. E tale manifestazione è universale, come ci ha ricordato san Paolo nell’Epistola: «È apparsa infatti la grazia di Dio che porta salvezza a tutti gli uomini» (Epistola, Tt 2,11).

Ci insegna in proposito il Catechismo della Chiesa Cattolica (830-831): «La parola «cattolica» significa «universale» nel senso di «secondo la totalità» o «secondo l’integralità». La Chiesa è cattolica in un duplice senso. È cattolica perché […] in essa sussiste la pienezza del corpo di Cristo unito al suo Capo [… ]. Essa è cattolica perché è inviata in missione da Cristo alla totalità del genere umano».

 3. Per il cristiano ogni uomo dovrebbe divenire un’occasione di Epifania, perché egli è chiamato a riconoscere la presenza di Dio in ogni singolo uomo. Per quelli che Dio ama, infatti, il mondo intero diventa degno di essere amato.

«Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone» (Epistola, Tt 2,14). Noi che Gli apparteniamo siamo chiamati a lasciarci continuamente educare da questa preziosa comunione ecclesiale ad uno stile di vita sobrio, giusto, positivamente timorato di Dio («ci insegna a vivere con sobrietà, con giustizia e con pietà», Tt 2,12).

4. «Giuseppe si alzò, nella notte, prese il Bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto» (Mt 2,14). In questo versetto di Matteo, immediatamente successivo al brano del Vangelo di oggi si vede che Gesù, venuto per condividere in tutto la nostra condizione umana, non solo ha voluto nascere e crescere nell’alveo di una famiglia, come ogni uomo; ma ha scelto di passare anche dalla difficile situazione del rifugiato e del migrante, come tutti voi. La Chiesa di Milano ed il suo Arcivescovo vogliono esprimervi vicinanza e sostegno nelle non poche prove che vi angustiano soprattutto in questo difficile momento di travaglio per la nostra società.

Molto opportunamente il tema del Messaggio del Papa per l’ormai imminente Giornata del Migrante e del Rifugiato è: «La famiglia migrante, protagonista della nuova evangelizzazione». Sono certo che questa Giornata spalancherà tutti i nostri fratelli e sorelle delle diverse etnie che vivono a Milano e Diocesi a prendere parte all’importante evento del VII Incontro Mondiale delle Famiglie che si svolgerà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno 2012. Anzi, il vostro apporto potrà favorire l’armonia e la bellezza dell’evento. Voi che già vivete con noi, potrete rendere più facile e intensa l’accoglienza che vogliamo riservare a fratelli e sorelle che giungeranno a Milano da ogni dove.

5. Auguro a me e a tutti voi la disponibilità a lasciarci “scomodare”, come fecero i Magi, dal Bambino Gesù per poter, con l’aiuto della Madonnina che dall’alto di questo Duomo non cessa di proteggerci, nascere di nuovo, come Egli promise a Nicodemo. Amen

lunedì 9 gennaio 2012

Dalla “comunità per me” a “io per la comunità” – Jean Vanier


Una comunità non è tale che quando la maggioranza dei mem­bri sta facendo il passaggio da "la comunità per me" a "io per la comunità", cioè quando il cuore di ognuno si sta aprendo ad ogni membro, senza escludere nessuno. E il passaggio dall'egoi­smo all'amore, dalla morte alla resurrezione: è la pasqua, il pas­saggio del Signore, ma anche il passaggio da una terra di schia­vitù a una terra promessa, quella della liberazione interiore.
La comunità non è coabitazione, perché questo è una caser­ma o un albergo. Non è una squadra di lavoro e ancor meno un nido di vipere! E quel luogo in cui ciascuno, o piuttosto la mag­gioranza (bisogna essere realisti!) sta emergendo dalle tenebre dell'egoismo alla luce dell'amore vero.
L'amore non è né sentimentale né un'emozione passeggera. E una attenzione all'altro che a poco a poco diviene impegno, riconoscimento di un legame, di un'appartenenza vicendevo­le. E ascoltare l'altro mettersi al suo posto, capirlo, interessar­sene. E rispondere alla sua chiamata e ai suoi bisogni più profondi. E compatirlo, soffrire con lui, piangere quando piange, rallegrarsi quando si rallegra. Amare vuol dire anche essere felici quando l'altro è lì, tristi quando è assente; è resta­re vicendevolmente uno nell'altro, prendendo rifugio uno nel­l'altro. "L'amore è una potenza unificatrice", dice Dionigi l'A- reopagita.

Se l'amore è essere teso verso l'altro, è anche e soprattutto ten­dere entrambi verso le stesse realtà; è sperare e volere le stesse cose; è partecipare della stessa visione, dello stesso ideale.

(Jean Vanier)

Fonte: “ La comunità luogo del perdono e della festa” di Jean Vanier


sabato 7 gennaio 2012

Beati i miti - Card. Carlo Maria Martini

Mi piace riportare l'opinione di un illustre esegeta, il padre Jac­ques Dupont, di cui condivido la conclusione: "La mitezza di cui parla la beatitudine non è altro che quell'aspetto dell'umiltà che si manifesta nell'affabilità messa in atto nei rapporti con il prossimo. Tale mitezza trova la sua illustrazione e il suo perfet­to modello nella persona di Gesù, mite e umile di cuore. In fondo, tale mitezza ci appare come una forma della carità, pa­ziente e delicatamente attenta nei riguardi altrui".

Comprendiamo allora perché Gesù promette ai miti il pos­sesso della terra. La rinuncia alla vendetta, infatti, la rinuncia al­la sopraffazione, alla prepotenza, fa trovare al cristiano, in ogni occasione, la via per aprire spazi alla misericordia della verità, alla costruzione di un nuovo volto della società.
Naturalmente, la mentalità evangelica della mitezza matura soltanto lentamen­te nel singolo cristiano e ancora più lentamente nell'esperienza dei popoli. Bisogna essere passati per molte prove, delusioni, amarezze, sconfitte, per capire che la violenza di ogni tipo, compresa quella morale e ideologica, è alla fine perdente.

Vi offro tre spunti di riflessione che vi permetteranno di co­gliere il messaggio permanente della parola di Gesù.
1. Con la beatitudine dei miti Gesù condanna chiaramente ogni forma di prepotenza. La prepotenza non paga. Quindi i prepotenti, che si ritengono felici in questo mondo, sono in realtà degli sventurati, perché il loro potere è logorato alla radi­ce ed essi cadranno come un vaso di argilla che viene  frantu­mato.

2. Il messaggio di Gesù promuove il coraggio della non vio­lenza. I Padri della Chiesa, che hanno commentato a lungo il brano evangelico delle beatitudini, vedono la mitezza proprio come la rinuncia alla violenza, alla vendetta, allo spirito vendi­cativo.

3. È importante coltivare lo spirito di dolcezza, di mitezza, di ac­coglienza, di capacità di amicizia e di relazioni autentiche e vere.

(Card. Carlo Maria Martini)


giovedì 5 gennaio 2012

Giornata Mondiale della Pace - 1° gennaio 2012 - Papa BenedettoXVI


 MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Brani dal Messaggio della Giornata Mondiale della Pace

                   1° GENNAIO 2012

EDUCARE I GIOVANI ALLA GIUSTIZIA E ALLA PACE

1) Con quale atteggiamento guardare al nuovo anno? Nel Salmo 130 troviamo una bellissima immagine. Il Salmista dice che l’uomo di fede attende il Signore « più che le sentinelle l’aurora » (v. 6), lo attende con ferma speranza, perché sa che porterà luce, misericordia, salvezza. Tale attesa nasce dall’esperienza del popolo eletto, il quale riconosce di essere educato da Dio a guardare il mondo nella sua verità e a non lasciarsi abbattere dalle tribolazioni.
Vi invito a guardare il 2012 con questo atteggiamento fiducioso. È vero che nell’anno che termina è cresciuto il senso di frustrazione per la crisi che sta assillando la società, il mondo del lavoro e l’economia; una crisi le cui radici sono anzitutto culturali e antropologiche. Sembra quasi che una coltre di oscurità sia scesa sul nostro tempo e non permetta di vedere con chiarezza la luce del giorno. In questa oscurità il cuore dell’uomo non cessa tuttavia di attendere.
 […]
                Vorrei dunque presentare il Messaggio per la XLV Giornata Mondiale della Pace in una prospettiva educativa.
 […]
              «Essere attenti al mondo giovanile, saperlo ascoltare e valorizzare, non è solamente un’opportunità, ma un dovere primario di tutta la società, per la costruzione di un futuro di giustizia e di pace.

              Si tratta di comunicare ai giovani l’apprezzamento per il valore positivo della vita, suscitando in essi il desiderio di spenderla al servizio del Bene. È un compito, questo, in cui tutti siamo impegnati in prima persona.

              Le preoccupazioni manifestate da molti giovani in questi ultimi tempi, in varie Regioni del mondo, esprimono il desiderio di poter guardare con speranza fondata verso il futuro. Nel momento presente sono molti gli aspetti che essi vivono con apprensione: il desiderio di ricevere una formazione che li prepari in modo più profondo ad affrontare la realtà, la difficoltà a formare una famiglia e a trovare un posto stabile di lavoro, l’effettiva capacità di contribuire al mondo della politica, della cultura e dell’economia per la costruzione di una società dal volto più umano e solidale.
 […]
I RESPONSABILI DELL’EDUCAZIONE

2. L’educazione è l’avventura più affascinante e difficile della vita. Educare – dal latino educere – significa condurre fuori da se stessi per introdurre alla realtà, verso una pienezza che fa crescere la persona. Tale processo si nutre dell’incontro di due libertà, quella dell’adulto e quella del giovane. Esso richiede la responsabilità del discepolo, che deve essere aperto a lasciarsi guidare alla conoscenza della realtà, e quella dell’educatore, che deve essere disposto a donare se stesso. Per questo sono più che mai necessari autentici testimoni, e non meri dispensatori di regole e di informazioni; testimoni che sappiano vedere più lontano degli altri, perché la loro vita abbraccia spazi più ampi. Il testimone è colui che vive per primo il cammino che propone.
[…]
         Vorrei rivolgermi […] ai responsabili delle istituzioni che hanno compiti educativi: veglino con grande senso di responsabilità affinché la dignità di ogni persona sia rispettata e valorizzata in ogni circostanza. Abbiano cura che ogni giovane possa scoprire la propria vocazione, accompagnandolo nel far fruttificare i doni che il Signore gli ha accordato. Assicurino alle famiglie che i loro figli possano avere un cammino formativo non in contrasto con la loro coscienza e i loro principi religiosi.
[…]
         Mi rivolgo poi ai responsabili politici, chiedendo loro di aiutare concretamente le famiglie e le istituzioni educative ad esercitare il loro diritto-dovere di educare. Non deve mai mancare un adeguato supporto alla maternità e alla paternità. Facciano in modo che a nessuno sia negato l’accesso all’istruzione e che le famiglie possano scegliere liberamente le strutture educative ritenute più idonee per il bene dei propri figli.
[…]
EDUCARE ALLA VERITÀ E ALLA LIBERTÀ

3. Sant’Agostino si domandava: «Quid enim fortius desiderat anima quam veritatem? – Che cosa desidera l’uomo più fortemente della verità?» (Commento al Vangelo di S. Giovanni, 26,5). Il volto umano di una società dipende molto dal contributo dell’educazione a mantenere viva tale insopprimibile domanda.
[…]
«Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» (Sal 8,4-5). È questa la domanda fondamentale da porsi: chi è l’uomo? L’uomo è un essere che porta nel cuore una sete di infinito, una sete di verità – non parziale, ma capace di spiegare il senso della vita – perché è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. Riconoscere allora con gratitudine la vita come dono inestimabile, conduce a scoprire la propria dignità profonda e l’inviolabilità di ogni persona. Perciò, la prima educazione consiste nell’imparare a riconoscere nell’uomo l’immagine del Creatore e, di conseguenza, ad avere un profondo rispetto per ogni essere umano e aiutare gli altri a realizzare una vita conforme a questa altissima dignità.
[…]
 È compito dell’educazione quello di formare all’autentica libertà. Questa non è l’assenza di vincoli o il dominio del libero arbitrio, non è l’assolutismo dell’io.

L’uomo che crede di essere assoluto, di non dipendere da niente e da nessuno, di poter fare tutto ciò che vuole, finisce per contraddire la verità del proprio essere e per perdere la sua libertà. L’uomo, invece, è un essere relazionale, che vive in rapporto con gli altri e, soprattutto, con Dio. L’autentica libertà non può mai essere raggiunta nell’allontanamento da Lui.

La libertà è un valore prezioso, ma delicato; può essere fraintesa e usata male. «Oggi un ostacolo particolarmente insidioso all’opera educativa è costituito dalla massiccia presenza, nella nostra società e cultura, di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l’apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione, perché separa l’uno dall’altro, riducendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio “io”.

Dentro ad un tale orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione: senza la luce della verità prima o poi ogni persona è infatti condannata a dubitare della bontà della stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune» (Benedetto XVI, Discorso in occasione dell’apertura de Convegno ecclesiale diocesano nella Basilica di san Giovanni in Laterano, 6 giugno 2005).

           Per esercitare la sua libertà, l’uomo deve dunque superare l’orizzonte relativistico e conoscere la verità su se stesso e la verità circa il bene e il male. Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce lo chiama ad amare e a fare il bene e a fuggire il male.
 […]
4. È importante non separare il concetto di giustizia dalle sue radici trascendenti. La giustizia, infatti, non è una semplice convenzione umana, poiché ciò che è giusto non è originariamente determinato dalla legge positiva, ma dall’identità profonda dell’essere umano. È la visione integrale dell’uomo che permette di non cadere in una concezione contrattualistica della giustizia e di aprire anche per essa l’orizzonte della solidarietà e dell’amore.
[…]

EDUCARE ALLA PACE
5. La pace è frutto della giustizia ed effetto della carità. La pace è anzitutto dono di Dio. Noi cristiani crediamo che Cristo è la nostra vera pace: in Lui, nella sua Croce, Dio ha riconciliato a Sé il mondo e ha distrutto le barriere che ci separavano gli uni dagli altri (cfr Ef 2,14-18).
[…]

ALZARE GLI OCCHI A DIO

6. A tutti, in particolare ai giovani, voglio dire con forza: «Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero» (Benedetto XVI, Veglia con i Giovani, 20 agosto 2005).
 […]
            Cari giovani, voi siete un dono prezioso per la società. Non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento di fronte alle difficoltà e non abbandonatevi a false soluzioni, che spesso si presentano come la via più facile per superare i problemi. Non abbiate paura di impegnarvi, di affrontare la fatica e il sacrificio, di scegliere le vie che richiedono fedeltà e costanza, umiltà e dedizione.

Vivete con fiducia la vostra giovinezza e quei profondi desideri che provate di felicità, di verità,di bellezza e di amore vero!

Vivete intensamente questa stagione della vita così ricca e piena di entusiasmo.


BENEDICTUS PP XVI

martedì 3 gennaio 2012

Le chiusure – Jean Vanier

I due grandi pericoli di una comunità sono gli "amici" e i "ne­mici".
Molto presto la gente che si somiglia si mette insieme; fa molto piacere stare accanto a qualcuno che ci piace, che ha le nostre stesse idee, lo stesso modo di concepire la vita, lo stesso tipo di umorismo.
Ci si nutre l'uno dell'altro; ci si lusinga: "sei meraviglioso", "anche tu sei meraviglioso", "noi siamo meravi­gliosi perché siamo i furbi, gli intelligenti."

Le amicizie umane possono cadere molto in fretta in un club di mediocri in cui ci si chiude gli uni sugli altri; ci si lusinga a vicenda e ci si fa cre­dere di essere intelligenti.
Allora l' amicizia non è più un inco­raggiamento ad andare oltre, a servire meglio i nostri fratelli e sorelle, a essere più fedeli al dono che ci è stato dato, più atten­ti allo Spirito, e a continuare a camminare attraverso il deserto verso la terra promessa della liberazione.

L'amicizia diventa soffocante e costituisce un ostacolo che impedisce di andare verso gli altri, attenti ai loro bisogni.
Alla lunga, certe amicizie si trasformano in una dipendenza affettiva che è una forma di schiavitù.

(Jean Vanier)
Fonte: “La comunità luogo del perdono e della festa” di Jean Vanier, Ed. Jaka Book