martedì 29 novembre 2011

Le opere che io sto facendo testimoniano di me - Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola - III Domenica d'Avvento

ARCIDIOCESI DI MILANO
CURIA ARCIVESCOVILE

UFFICIO PER LE  COMUNICAZIONISOCIALI

                    Duomo di Milano

                    27 Novembre 2011
Omelia Di S.E.R. card. Angelo Scola,
                Arcivescovo di Milano
            “Le opere che io sto facendo
                testimoniano di me"
            III Domenica d ‘Avvento
1.    «Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore; guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti» (Prima Lettura, Is 51, 1). Il popolo è invitato ad ascoltare e a guardare. Che cosa? Il titolo di questa Terza Domenica dell'Avvento ambrosiano ce lo dice: le profezie adempiute. I due verbi, ascoltare e guardare, si ripetono più volte nel brano del profeta Isaia. Indicano la posizione di colui che attende da un altro ciò di cui ha bisogno e ciò che desidera. Quali sono i segni delle profezie adempiute? Il libro del profeta Isaia parla di giustizia e salvezza («La mia giustizia è vicina, si manifesterà la mia salvezza» (Prima Lettura, Is 51,5). Ma la Parola di Dio dell'odierna liturgia ci dice a chiare lettere che i segni del compimento definitivo delle profezie si trovano ascoltando e guardando Gesù. Il Vangelo di Giovanni, prima del brano odierno, ci presenta la guarigione di un infermo alla piscina di Betzatà (cfr Gv 5,1-18). Ed il passaggio evangelico di oggi afferma: «Le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato » (Vangelo, Gv 5,36). Gesù motiva tutta la sua opera di giustizia e di salvezza in forza del suo rapporto privilegiato con il Padre che lo ha mandato.
 
2.    Le opere che Gesù compie rendono testimonianza della vicinanza del Mistero, della venuta del Signore (titolo della Prima Domenica dell'Avvento ambrosiano). Decisiva è nel Vangelo di oggi l'insistenza sulla testimonianza. Tanto più che nel Vangelo di Giovanni i termini testimoniare/testimonianza ricorrono ben 47 volte.
 
Nel passo del Vangelo appena proclamato Gesù pone i Suoi interlocutori di fronte a una sequenza di ben quattro testimonianze a Suo favore. La testimonianza di Giovanni Battista («Giovanni... ha dato testimonianza alla verità» Gv 5,33), quella del Signore stesso («quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me» Gv 5,36), quella del Padre («E anche il Padre... ha dato testimonianza di me» Gv 5,37), quella delle Scritture («sono proprio esse [le Scritture] che danno testimonianza di me» Gv 5,39).
Testimoniare significa "at-test-are pubblicamente", cioè affermare per diretta conoscenza, come stanno le cose e, quindi, deporre pubblicamente a favore della verità. Le quattro testimonianze cui Gesù fa riferimento nel Vangelo di oggi si situano a questo livello di profondità. Ora, se consideriamo che la nostra conoscenza delle cose consiste di fatto nel riconoscerle per quel che sono, allora possiamo affermare che la testimonianza è il modo (metodo) più elementare per conoscere la realtà e, nello stesso tempo, il modo più appropriato di comunicare la verità conosciuta.
Insistendo sulla testimonianza il Vangelo di Giovanni documenta che la proposta di Gesù fa leva sulla modalità più semplice di accesso alla verità comune a tutti gli uomini.
A comprendere meglio questo importante rilievo può aiutarci un'esperienza che ognuno di noi ha fatto in famiglia. Come siamo arrivati da bambini a pronunciare il nostro nome, espressione necessaria della nostra identità? Lo abbiamo imparato dal papà e dalla mamma. Ascoltando e guardando i genitori (i verbi impiegati dal profeta nella Prima Lettura), il bambino conosce il suo nome. Il suo conoscere è in realtà un ri-conoscere la testimonianza del papà e della mamma. Ne prende poi atto pronunciando il suo nome e in tal modo comunicandolo pubblicamente. Così facendo risponde con la sua testimonianza a quella dei genitori.
      La conoscenza che avviene attraverso la testimonianza ha una importanza capitale non solo nell'infanzia ma lungo tutta la nostra vita. Anzi, a ben vedere, essa si rivela come quella forma di conoscenza e comunicazione della verità che precede ogni altra forma di conoscenza e di comunicazione, quella scientifica, quella filosofica, quella teologica, quella artistica, ecc. Ogni conoscenza o fiorisce su questo livello primario, oppure resta in qualche modo monca, astratta (cioè "separata"). Anche se mi fa accedere a saperi di decisiva importanza, senza questa radice testimoniale non riesce a mobilitarmi, perché non chiama esplicitamente in causa la mia persona come persona che è sempre in relazione.
I risultati talora strabilianti dell'odierna "tecno-scienza" - penso al campo della biologia, delle neuroscienze, dell'origine e dell'evoluzione del cosmo - se non nascono sul terreno fertile della testimonianza, se perdono di vista la persona e le sue relazioni, possono recare danno. Quando la Chiesa mette in guardia da questo rischio non mortifica ma esalta la scienza. In nessun modo blocca la ricerca. Al contrario, invitando il ricercatore ad inserirla armonicamente nel contesto di una antropologia ed etica adeguate, le permette traguardi più sicuri.
Se la testimonianza, radice della conoscenza, si sviluppa all'interno di relazioni buone, si può ben capire la decisività della famiglia per l'umana esistenza.
       I sacerdoti che visitano le famiglie, in questo tempo di preparazione al Natale, ci ricordano che ascoltare e guardare Gesù, «il testimone fedele» (Ap 1,5) è la via maestra per incontrare la verità. Questo ho voluto dire anche ai bambini scrivendo loro gli auguri di Natale.
3. Ritorniamo direttamente alla Parola di Dio oggi proclamata per compiere un altro passo di decisiva importanza. «Guardate ed ascoltate» aveva invitato il profeta Isaia. Gesù rimprovera ai Giudei «Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce [del Padre] né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato » (Vangelo, Gv 5,37­38).
 Sempre la testimonianza chiama in causa la libertà. Ognuno di noi, in piena libertà, deve decidere se accettarla o negarla.
Non accettare la testimonianza svela una chiusura della libertà che finisce per contrastare la verità. Non a caso, sempre nel brano già citato che precede il Vangelo di oggi, l'evangelista nota per la prima volta che «cercavano di ucciderlo» (cfr Gv 5,18).
Al contrario, accedere alla testimonianza resa alla verità esalta la nostra libertà.
II dono della verità ricevuto ed accolto fa di colui che l'abbraccia un testimone. Lo documenta assai bene il cammino della vita cristiana. Al Battesimo segue il sacramento della Cresima o Confermazione, mediante il quale - come recita il Catechismo - «i cristiani, ossia coloro che sono unti, partecipano maggiormente alla missione di Gesù Cristo e alla pienezza dello Spirito Santo di cui egli è ricolmo, in modo che tutta la loro vita effonda il profumo di Cristo » (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1294).
In proposito è necessario richiamare che nessun battezzato può sottrarsi al dovere di testimoniare la sua fede partecipando, in forma appropriata, al decisivo compito dell'iniziazione cristiana.
4. Il santo crisma, con cui siamo unti nel Battesimo e nella Cresima, è appunto un misto di olio e profumo. Anche san Paolo, parlando della sua missione in Macedonia, utilizza per indicare la testimonianza cristiana l'immagine insolita del profumo: «Siano rese grazie a Dio, il quale sempre ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde ovunque per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza! (Epistola, 2Cor 2,14).
L'Epistola però approfondisce l'immagine del profumo con una notazione severa che ci strappa da ogni rischio di sentimentalismo: «Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo per quelli che si salvano e per quelli che si perdono; per gli uni odore di morte per la morte e pergli altri odore di vita per la vita» (Epistola, 2Cor 2,15-16). Ciò significa che i cristiani, i figli del regno, partecipi nel Battesimo della morte e risurrezione di Cristo (a questo ci ha richiamato la liturgia della scorsa Domenica), possiedono quell' inconfondibile accento umano che parla della vicinanza del Mistero. Da loro emana un profumo particolare che apre la possibilità della conoscenza di Dio a quelli che li incontrano, ma davanti a questa proposta alcuni aderiscono, altri rifiutano. Le profezie adempiute con la venuta del Signore non eliminano il dramma della libera scelta ed inevitabilmente il discepolo di Cristo partecipa della sorte del Maestro: testimoniando il Suo profumo diventa anche "segno di contraddizione".
Tuttavia, continuando ad effondere con la loro testimonianza il profumo di Cristo, i cristiani comunicano a tutti i fratelli uomini una grande verità: ogni uomo in qualunque momento è in grado di accogliere il dono della fede. Lo Spirito, rendendo testimonianza al Figlio di Dio incarnato attraverso il profumo della vita cristiana, sempre concede a tutti, aprendo il loro cuore, la grazia discegliere di aver parte alla venuta del Signore.
A tutti la Chiesa sempre e di nuovo offre la possibilità di partecipare alle promesse di giustizia e di salvezza adempiute dall'Emmanuele, il Dio con noi.
Questo compimento ci farà tra poco invocare il Prefazio: «A Cristo Signore la Chiesa va incontro nel suo faticoso cammino, sorretta e allietata dalla speranza, fino a che, nell'ultimo giorno, compiuto il mistero del regno, entrerà con lui nel convito nuziale».   
Facciamo quindi nostro l'invito pressante dell'Inno di Lodi: «Viene l'Agnello di Dio/prezzo del nostro riscatto/con fede viva imploriamo/ misericordia e perdono». Amen.
 

martedì 22 novembre 2011

Da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo - Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola - II Domenica d'Avvento


ARCIDIOCESI DI MILANO
CURIA ARCIVESCOVILE

UFFICIO PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI


    
                    Duomo di Milano

                    20 Novembre 2011
    Omelia Di S.E.R. card. Angelo Scola
                         “Da queste pietre Dio
          può suscitare figli ad Abramo"
                           II Domenica d ‘Avvento


 1.         Il brano di Matteo che abbiamo sentito proclamare è ricco di movimento: « Venne Giovanni Battista» (Vangelo, Mt 3,1) , le folle da ogni dove «accorrevano a lui» (Mt 3,5), egli vedeva «anche molti farisei e sadducei venire al suo battesimo» (Mt 3,7). La ragione di tanta animazione si spiega a partire dalle parole del Battista: «... Il regno dei cieli è vicino» (Vangelo,Mt 3,2).
Tutto, anche il regno imminente, sembra concentrato sulla persona austera e severa del Battista. Egli, però, spiazza i suoi interlocutori rinviando ad un altro, e ad un Altro inequivocabile: «Colui che viene dopo di me è più. forte di me» (Vangelo, Mt 3,11). «Colui che viene», infatti, è l'espressione biblica per indicare il Signore/Messia. Con la sua precisa e decisa dichiarazione Giovanni Battista si auto-presenta come l'ultimo dei profeti.
La missione di Giovanni Battista conclude dunque l'intero percorso profetico dell'Antico Testamento e ci inoltra sulla soglia del Nuovo. Il Battista ci introduce in quella pienezza dei tempi che coincide con la venuta del Signore. Essa si apre con il Natale e si compirà con la venuta del Figlio dell'uomo, alla fine dei tempi. Della venuta del Signore, in questo suo significato pieno, la liturgia ci ha parlato domenica scorsa.
La missione del Battista è quindi in funzione della missione del Figlio di Dio. Il compito del "precursore" è quello di spalancare il cuore di quanti accorrevano a lui alla domanda sul senso (significato e direzione) della vita. Nessun uomo che si ponga in autentico ascolto può restare indifferente, anche dopo 2000 anni, alla provocazione del Battista: il regno dei cieli, che con l'avvento di Gesù è già in atto, è il senso pieno della storia dell'uomo e di tutta la famiglia umana.
2.         In questo Avvento siamo quindi chiamati a far spazio al Signore, a preparargli la strada. «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!» grida il Battista, citando alla lettera il profeta Isaia (Is 40,3). Come possiamo prepararci? Insiste, senza mezzi termini, il Vangelo di oggi: « Convertitevi» (Vangelo, Mt 3,2). Cosa significa propriamente questa parola? Etimologicamente significa "cambiamento di sentimenti'. Essa domanda un duplice atteggiamento: una rinuncia al peccato, cioè un sincero pentimento e un volgersi a Dio in vista di una vita rinnovata.
Una prospettiva che, stante la nostra strutturale fragilità, può spaventarci. Conviene allora notare quanto afferma la Prima Lettura: «Hai fatto delle profondità del mare una strada perché vi passassero i redenti» (Is 51,10). Possiamo preparare la via del Signore perché Dio per primo l'ha preparata per noi. Per il Suo fedele, incessante tornare a noi, noi possiamo tornare a Lui, dicevamo domenica scorsa.
3.         L'invito, assai esigente, del Battista alla conversione è rivolto a tutti gli uomini. «Io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo» (Vangelo, Mt 3,9). Con questa iperbole, Giovanni Battista esprime la novità che è entrata nella storia e manifesta così il carattere universale, in forza della venuta di Cristo, dell'appartenenza alla stirpe di Abramo. La profezia di Giovanni, quindi, non è solo in continuità con le profezie dell'Antico Testamento, ma anche in discontinuità. L'appartenenza etnica e religiosa, basata sulla stirpe («Abbiamo Abramo per padre», Vangelo, Mt 3,9), ma anche l'osservanza formale della Legge, non sono sufficienti per rimanere nell'Alleanza con Dio. È necessario un «frutto degno della conversione» (Vangelo, Mt 3,8). Lo mostra l'invettiva del Battista contro i farisei e i sadducei, i due importanti partiti religioso-politici dell'epoca.
San Paolo, nel passaggio della Lettera ai Romani (Epistola, Rm 15,15-21), giustifica teologicamente l'annuncio del Vangelo a tutti, compresi i gentili: «Non oserei infatti dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo mio per condurre le genti all'obbedienza [della fede], con parole e opere, con la potenza di segni e di prodigi, con la forza dello Spirito» (Epistola, Rm 15, 18-19).
4.         «Già la scure è posta alla radice degli alberi » (Vangelo, Mt 3,10). Per accedere al compimento delle promesse annunciato dal Battista abbiamo quindi bisogno di una conversione radicale. Questa non si vede da indicatori esteriori, quantitativi (norme osservate, genealogia rivendicata), perché dipende dal cuore. Chiama in causa il nostro io profondo, la nostra libertà.
Cosa ci rende capaci di un simile, energico cambiamento di mentalità (metanoia)? «Io vi battezzo nell'acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me... vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco » (Vangelo, Mt 3,11). Il Battesimo portato da Gesù, assimilato con fede, consente alla nostra libertà di impegnarsi a rispondere adeguatamente al pressante invito a convertirci. Esso è il prezioso dono di Dio che il Prefazio descrive con profonda e consolante intensità: «Padre Santo, che sei Dio di misericordia e alla punizione della colpa preferisci sempre un generoso perdono ... dalla carne di Adamo il peccato ci aveva dato la morte, dalla carne di Cristo il tuo amore infinito ci ha richiamato alla vita» (Prefazio).
Chiediamoci allora, di persona, con umile atteggiamento di conversione: che ne è del mio Battesimo? Quanti nostri fratelli battezzati sembrano averlo sepolto sotto le vicende della loro esistenza. Noi diciamo a ciascuno di questi nostri fratelli: ricordati che l'efficacia oggettiva del Battesimo in te è intatta. Attende solo una mossa della tua libertà. Come ignorare quale risorsa per l'esistenza umana, per il suo svolgersi in intensità e pienezza, sia il Battesimo quotidianamente e responsabilmente assunto? Insegna il Catechismo della Chiesa cattolica: «Dio che "abita una luce inaccessibile " (1Tm 6,16) vuole comunicare la propria vita divina agli uomini da lui liberamente creati, per farli figli adottivi nel suo unico Figlio. Rivelando se stesso, Dio vuole rendere gli uomini capaci di rispondergli, di conoscerlo e di amarlo ben più di quanto sarebbero capaci da se stessi» (CCC n. 52). Per il Battesimo e per la fede siamo quindi figli del regno. Così la liturgia ambrosiana definisce questa seconda Domenica di Avvento.
5.         La chiamata alla conversione che lo Spirito rinnova ogni Avvento perché la comunità cristiana possa preparare il Natale del Signore, ci domanda di esporci, come ha fatto San Paolo, in modo personale e comunitario, davanti a tutti i nostri fratelli uomini. La testimonianza deve essere umile, ma è inesorabile. È una testimonianza personale perché, come mostra la figura di Giovanni Battista, la venuta del Signore richiede uno stile di vita essenziale e vigilante, che non cerchi di appagare la sete di infinito del nostro cuore con l'indefinita ricerca di false e insoddisfacenti risposte parziali. Ma la testimonianza riguarda anche la nostra vita comunitaria e sociale: vivere secondo virtù -a cominciare dalle virtù teologali di fede, speranza e carità e dalle virtù cardinali di prudenza, giustizia, fortezza e temperanza - consente di prendere parte con responsabilità all'edificazione della comunità cristiana e, fatte le debite distinzioni, di contribuire a quell'amicizia civica (filìa), base della vita buona e del buon governo di cui sentiamo un gran bisogno nell'attuale frangente storico.
Una significativa espressione del Battesimo che ci fa figli nel Figlio si trova nella capacità di accoglienza, caratteristica dell'esperienza familiare. Il VII Incontro Mondiale delle Famiglie ci offrirà l'occasione di accogliere a Milano famiglie provenienti da tutto il mondo, mostrando in questo modo la bellezza della nuova parentela inaugurata dal Figlio di Dio venuto nella carne.
7. Il Battesimo di Gesù è il fuoco dell'amore dello Spirito del Risorto nel quale il cristiano è immerso (cf Vangelo, Mt 3,11). Facciamo nostre in proposito le intense parole di Santa Caterina da Siena: « Tu sei un fuoco che arde sempre e non si consuma... Tu sei fuoco che toglie ogni freddezza, e illumini le menti con la tua luce, con quella luce con cui mi hai fatto conoscere la tua verità. Specchiandomi in questa luce ti conosco come sommo bene, bene sopra ogni bene, bene felice, bene incomprensibile, bene inestimabile. Bellezza sopra ogni bellezza. Sapienza sopra ogni sapienza. Anzi, tu sei la stessa sapienza. Tu cibo degli angeli, che con fuoco d'amore ti sei dato agli uomini» (Dialogo della Divina Provvidenza, cap 167). Amen


mercoledì 16 novembre 2011

Vedranno il Figlio dell'Uomo venire - Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola - I domenica d'Avvento


 

ARCIDIOCESI DI MILANO
CURIA  ARCIVESCOVILE

UFFICIO  PER  LE  COMUNICAZIONI  SOCIALI


                                  I Domenica d ‘Avvento

                       Duomo Di Milano
                                    13 Novembre 2011
   Omelia Di S.E.R. card. Angelo Scola
              “La vicinanza del Mistero”

«Vedranno il Figlio dell'uomo venire»

1.       «Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria» (Vangelo, Mc 13,26). Le "nubi" esprimono la sovranità (la potenza e la gloria) conferita al Figlio dell'uomo. L'espressione "Figlio dell'uomo" riprende alcune profezie dell'Antico Testamento.E in particolare, alla lettera, le parole di Daniele (Dn 7,13).
Gesù «stava sul monte degli Ulivi seduto di fronte al tempio»(Vangelo, Mc 13,3). Ancora oggi, contemplando dal monte degli Ulivi la spianata del tempio, si è presi da struggente commozione. Da quel preciso luogo, a partire dal quale si svolgerà, secondo una tradizione ebraica vivissima, il grande giorno finale (cf Zc 14,4), Gesù parla ai Suoi più intimi amici - il Vangelo li nomina ad uno ad uno: Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea - della distruzione del tempio delineando un disegno tragico della fine dei tempi. Al termine del Suo discorso però Egli annuncia una sorprendente, positiva novità. «Allora vedranno il Figlio dell'Uomo venire nella gloria». Presentandosi come il glorioso "Figlio dell'uomo", Gesù offre la chiave per comprendere la Sua Persona: Egli è Dio. Lo ripeterà qualche giorno dopo davanti a Caifa e questo gli costerà la condanna a morte (cf Mc 24,61-62).

2.       La Chiesa, nostra madre, ci prepara a celebrare il Santo Natale, il mistero della venuta nella carne del nostro Salvatore, richiamandoci il mistero della Sua venuta nella gloria. La venuta finale del Signore, che tutti vedranno, sarà il fatto che ricapitola tutte le vicende della storia e del cosmo.
       Il tempo di Avvento che oggi inizia illumina così ogni istante della nostra vita a partire dalla pienezza dei tempi. Essa già si è compiuta in Gesù Cristo, ma si manifesterà a tutti alla fine e tutti dovranno riconoscerLo.
      L'inizio del cammino del nuovo anno liturgico ci richiama quindi la fine. La parola fine ha un duplice significato. Indica nello stesso tempo il termine di un processo ed il suo scopo. In questo caso, parlando della fine dei tempi, Gesù fa allusione al termine e allo scopo di tutto il cammino dell'uomo e della famiglia umana. Possiamo dire che la Chiesa, mettendoci oggi davanti alla fine (termine di ogni cosa), ne svela il fine (scopo).
      Ce lo insegna con particolare efficacia il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1040). Al momento del ritorno glorioso di Cristo, il Padre «per mezzo del suo Figlio Gesù pronunzierà la sua parola definitiva su tutta la storia. Conosceremo il senso ultimo di tutta l'opera della creazione e di tutta l'Economia della salvezza e comprenderemo le mirabili vie attraverso le quali la Provvidenza divina avrà condotto ogni cosa verso il suo fine ultimo».

3.       Indipendentemente da come le scienze riescono e riusciranno a pensare la fine di questo mondo, la fede cristiana ci insegna che sarà la venuta gloriosa del Signore a mettere fine al mondo. La storia non è abbandonata al caso né consegnata al caos, ma è retta dal disegno di Dio. Un disegno che a volte può assumere un carattere contrastato e doloroso perché deve fare i conti con il male dovuto alla ribellione di Satana e al nostro peccato.
      Nel Vangelo di Marco il discorso sulla fine dei tempi precede immediatamente il racconto della passione e della morte di Gesù. Diventa in tal modo una sorta di testamento per i Suoi di allora e quindi anche per noi che siamo i Suoi di ora. Gesù non nasconde ai primi la prospettiva del martirio fino all'effusione del sangue («Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe e comparirete davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza... », Vangelo, Mc 13,9). Purtroppo ogni giorno tocchiamo con mano il realismo di questa prospettiva (il pakistano Batthi, Padre Fausto Tentorio e tanti altri...). Eppure il disegno del Padre sulla storia è un disegno inarrestabile di salvezza. Non si fermerà ma continuerà fino alla fine dei tempi a proporsi alla libertà di ogni uomo:
«Prima è necessario che il Vangelo sia proclamato a tutte le nazioni» (Vangelo, Mc 13,10).
      Visto in questa prospettiva, il tempo liturgico dell'Avvento rivela il senso del tempo in quanto tale. Ed il cristiano cammina sicuro lungo la storia (spe erectus) perché certo della meta e della compagnia di «Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente» (cf Ap 1,8).

4.        Il tempio per un ebreo era il luogo del rapporto con Dio per eccellenza. Possiamo immaginare lo sgomento con cui i quattro discepoli più familiari Lo abbiano interrogato: « Quando accadranno queste cose e quale sarà il segno?» (Vangelo, Mc 13,4). Il Maestro risponde in modo ampio e dettagliato. Il brano evangelico alterna i verbi al futuro (vi consegneranno, sarete odiati, sorgeranno, vedranno, manderà) a quelli all'imperativo (badate, fate attenzione, non preoccupatevi, dite, pregate). La certezza presente che Cristo compirà, nel futuro, la storia esige da noi, fin da ora, atteggiamenti virtuosi: attenzione, vigilanza, perseveranza e preghiera. La tradizione li riassume in un'unica parola che caratterizza la posizione del cristiano, soprattutto nel tempo di Avvento: attesa.
      Ad essa ci invita il Canto dopo il Vangelo eseguito nel tradizionale "canto fermo" del Coro della Cattedrale. Il poeta milanese Clemente Rebora ha scolpito con versi memorabili la profondità piena di gioiosa speranza dell'umana attesa: «Dall'immagine tesa/vigilo l'istante/con imminenza di attesa... Non aspetto nessuno:/ma deve venire... Verrà, se resisto... verrà quasi perdono... ».
      Le tre Letture della Liturgia di oggi - il passaggio di Isaia, tratto da quella che gli studiosi definiscono "la grande apocalisse", i versetti del capitolo 15° della Prima ai Corinti di San Paolo sulla risurrezione e il discorso escatologico di San Marco - hanno questo comune denominatore: il presente acquista significato dal suo compimento, dal futuro cui tende. Un compimento certo perché possiamo incominciare a farne esperienza fin da ora. In forza dell'Incarnazione che giunge fino alla Pasqua di Gesù - alla Sua morte, alla risurrezione e al dono dello Spirito Santo - il futuro di Dio è già in atto, qui ed ora, in attesa della sua piena manifestazione.
      La vita eterna è l'al di là che è già cominciato quaggiù: l'Eucaristia che stiamo celebrando è infatti il germe della Risurrezione.

5.       Il tempo liturgico dell'avvento ci dona la certezza gioiosa della venuta del Signore e la certezza è la forza propulsiva della persona.
      Ne facciamo quotidiana esperienza in famiglia. La cura premurosa con cui i genitori accompagnano giorno dopo giorno i figli, permette loro di crescere senza paura di rischiare la propria libertà. Nessuno è in grado di affrontare il futuro se non è certo del presente. Sostenere le famiglie e aiutarle a vivere in pienezza la loro responsabilità ecclesiale e sociale rappresenta la modalità più realista per assicurare il futuro delle nuove generazioni. Si sente spesso parlare dell'inarrestabile tramonto dell'Occidente, ma se non si promuove e non si ama la vita fin dal suo concepimento si ruba il futuro a un uomo e si impoverisce la comunità. Il VII Incontro Mondiale delle Famiglie, che vedrà la presenza fra noi di Benedetto XVI e a cui ci stiamo preparando, rappresenta un'occasione privilegiata per rinnovare, nei milanesi e non solo, la consapevolezza dell'insostituibile ruolo della famiglia, intesa come unione fedele, pubblica e aperta alla vita tra un uomo e una donna, per uno sviluppo organico ed equilibrato della persona e della società.

6.       Con la Sua prima venuta, il Santo Natale, Gesù ci ha aperto «il passaggio all'eterna salvezza» (Prefazio). Verrà a noi nella gloria alla fine dei tempi, ma Egli viene a noi anche ogni giorno nella Santa Eucaristia, in cui si proclama la Parola di Dio e che fa di noi il Suo Corpo, così come ci raggiunge attraverso le circostanze ed i rapporti quotidiani.
      Se accoglierete i sacerdoti che busseranno alla vostra porta per la benedizione natalizia potrete rinnovare la gioia benefica della venuta del Signore.

Per l'intercessione della Vergine Assunta in cielo facciamo nostra la supplica al Padre del Salmo responsoriale: «Dio degli eserciti, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna ... Signore, Dio degli eserciti, fa' che ritorniamo. Fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi » (Salmo 79). Solo per il Suo fedele, incessante tornare a noi, noi possiamo tornare a Lui. Amen

lunedì 14 novembre 2011

La vicinanza del Mistero - Messa delle domeniche di Avvento con il Card. Scola


ARCIDIOCESI DI MILANO
CURIA  ARCIVESCOVILE
UFFICIO  PER  LE  COMUNICAZIONI  SOCIALI


                             “La vicinanza del Mistero”

NELLE DOMENICHE DI AVVENTO L'ARCIVESCO DI MILANO CARD. ANGELO SCOLA PRESIEDE LA MESSA IN DUOMO ALLE ORE 17,30

                       
Milano, 5 novembre 2011
 

A partire da domenica 13 novembre e per tutto l’Avvento, ogni domenica alle ore 17,30 l’Arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, presiederà la Messa in Duomo. 

L’Avvento è un tempo propizio per riconoscere e approfondire la vicinanza di Dio alla nostra vita. Quella vicinanza che ci sembra misteriosa, che non riusciamo tante volte a intravvedere nelle circostanze e nei rapporti della nostra esistenza: la vita in famiglia, con le sue gioie e le sue fatiche, il lavoro, con tutte le difficoltà proprie di questo momento storico, i modi e i tempi di un riposo equilibrato che riesca a ristorare veramente…

Il Signore viene incontro a noi: non mancano segni della Sua presenza, le Sue opere parlano della cura che ha nei nostri confronti. Eppure possiamo non vederlo, o essere distratti, non cogliere il Suo invito. La predicazione dell’Arcivescovo in Duomo lungo le domeniche d’Avvento è una proposta a percorrere insieme le strade che conducono alla grotta di Betlemme.
 
Una proposta rivolta a tutti: a coloro che forse da tempo non frequentano più l’Eucaristia domenicale, affinché riscoprano la vicinanza del Mistero alla loro vita; a chi, ritenendosi non credente, vuole conoscere cosa la Chiesa dice di Gesù; ai battezzati che vivono quotidianamente la fede nelle loro parrocchie e aggregazioni, come un opportuno complemento al loro percorso personale e comunitario.

Ecco le date delle domeniche d’Avvento e i temi della predicazione dell’Arcivescovo card. Scola:

I Domenica di Avvento - 13 novembre
Vedranno il Figlio dell’uomo venire

II Domenica di Avvento - 20 novembre
Da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo

III Domenica di Avvento - 27 novembre
Le opere che io sto facendo testimoniano di me

IV Domenica di Avvento - 4 dicembre
Benedetto colui che viene!

V Domenica di Avvento - 11 dicembre
In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete

VI Domenica di Avvento - 18 dicembre
Nulla è impossibile a Dio
                                                 

                                                     don Davide Milani
                                   Responsabile Comunicazione Arcidiocesi di Milano




20122 MILANO - Piazza Fontana, 2 - Tel. (39) 02.8556.240 - Fax 02.8556312 – e-mail: comunicazione@diocesi.milano.it

lunedì 7 novembre 2011

40 anni di Caritas in Italia, con i poveri verso la Terra Promessa - Cardinale Angelo Scola

                 Giornata Diocesana Caritas
                            6 Novembre 2011
       Messaggio del Cardinale Arcivescovo

               40 anni di caritas in italiA
       Con i poveri verso la terra promessa

 

Carissimi,
oggi, Solennità del Signore Gesù Cristo Re dell’universo, la Chiesa ambrosiana celebra la Giornata diocesana della Caritas, ed è questa l’occasione per rivolgere a tutti coloro che sono impegnati in vario modo nelle Caritas parrocchiali, decanali e zonali il mio saluto cordiale e affettuoso.

1.A 40 anni dalla fondazione di Caritas in Italia e a 25 anni dal Convegno “Farsi prossimo” viviamo una stagione di grande travaglio, segnata da gravi contraddizioni: aumentano i bisogni, nuove forme di povertà si affacciano, crescono sempre più le situazioni di emergenza che chiedono risposte. In questo contesto la tentazione può essere quella di limitarsi ad una necessaria ma insufficiente distribuzione di beni materiali. Occorre, invece, attraverso la risposta alle urgenze, dilatare i bisogni in desiderio per cogliere tutta la domanda di felicità dei nostri fratelli uomini. Questo chiede di porci in pieno ascolto dell’altro.

L’ascolto implica una sintesi tra carità e competenza. Nell’armonico concorso di questi due fattori si è sempre espresso il “genio” delle opere di carità della Chiesa.

È opportuno, a questo proposito, ricordare le parole di Paolo VI in occasione del primo convegno nazionale delle Caritas diocesane del 1972: «Al di sopra di questo aspetto puramente materiale della vostra attività emerge la sua prevalente funzione pedagogica, il suo aspetto spirituale che non si misura con cifre e bilanci, ma con la capacità che essa ha di sensibilizzare le chiese locali e i singoli fedeli al senso e al dovere della carità in forme consone ai bisogni e ai tempi».

La capacità di educare al gratuito, alla carità, costituisce uno dei compiti essenziali delle nostre Caritas: il dono di sé e la condivisione sono la legge della vita, dicono la maturità di un uomo e, quindi, riguardano ogni circostanza, situazione e rapporto dell’umana esistenza. In questo senso il tempo dedicato all’esercizio della carità, carico della consapevolezza di essere noi i primi beneficiati e vissuto con fedeltà e regolarmente, è paradigmatico per tutta la vita.

Si tratta allora sì di “fare la carità”, ma per imparare il significato e la legge della vita: l’amore, il dono totale di sé.

2. L’educazione al gratuito deve essere al centro della cura pastorale delle nostre Parrocchie, Unità e Comunità pastorali, e anche di tutte le forme aggregative che arricchiscono la nostra Chiesa. Occorre, quindi, promuovere uno stile e un metodo di lavoro: educare alla carità secondo lo stile della comunione - collaborazione - corresponsabilità.

Quella del coordinamento è funzione tipica della Caritas. Ricordiamo ancora le parole di Paolo VI che così spiegava: «Tutto ciò, naturalmente, suppone uno sforzo da parte vostra per creare armonia e unione nell'esercizio della carità, di modo che le varie istituzioni assistenziali, senza perdere la propria autonomia, sappiano agire in spirito di sincera collaborazione fra di loro, superando individualismi e antagonismi, e subordinando gli interessi particolari alle superiori esigenze del bene generale della comunità».

3. Rinnovo a tutti Voi il mio grazie per la vostra presenza. Cosa sarebbe il Vangelo senza questa espressione quotidiana di dedizione carica di amore? Semplicemente non sarebbe credibile.

Le fatiche non mancano, sicuramente la nostra inadeguatezza si farà sentire, ma anche attraverso questi limiti saremo educati ed aiutati a riconoscere che Gesù è il solo a rispondere compiutamente al desiderio di felicità nostro e dei nostri fratelli.

Di cuore Vi saluto e Vi benedico

Angelo Card. Scola
Arcivescovo di Milano

sabato 5 novembre 2011

Lettera al nuovo Consiglio Pastorale Parrocchiale - Caritas Parrocchia S. Pio V, Milano


      









                   LETTERA AI NUOVI MEMBRI DEL
    CONSIGLIO PASTORALE PARROCCHIALE DI SAN PIO V     


            Esprimiamo la nostra gratitudine a tutti coloro che nella Comunità Parrocchiale  dedicano passione, tempo ed energie , con spirito evangelico di gratuità e  servizio. In particolar modo avvertiamo il bisogno  di consegnare i nostri auguri più sentiti a quanti  sono stati  chiamati recentemente  a far parte  del   Consiglio pastorale, per svolgere il ministero di consigliare nella Comunità.
            Il nostro comune impegno di volontari, sorge in forza del  Battesimo ricevuto e  ci chiama ad un servizio capace di esprimere lo stile evangelico della  collaborazione,  solidarietà, fiducia reciproca, tenendo conto, nelle nostre decisioni e nelle nostre azioni,dell’insegnamento di Gesù Cristo. La Parrocchia ha a cuore il bene di tutti.
            Noi volontari della Caritas Parrocchiale cerchiamo di testimoniarlo ogni giorno, non solo a titolo personale, ma a nome della nostra  Chiesa locale.
            Riceviamo durante la santa Messa un mandato, che in comunione con i nostri pastori, porta con sé il compito pratico di aiutare chi è nel bisogno e il compito educativo di ricordare a tutti i parrocchiani che la Carità e la generosa solidarietà sono capitoli del vangelo , che non si possono stralciare dalla nostra vita di cristiani.
            In questi anni con don Giovanni abbiamo cercato di rinnovare il volto della caritas Parrocchiale, innovando i servizi e l’organizzazione. Molti altri volontari si sono aggiunti  a coloro che tra noi da anni esprimono questo impegno.
            Ora avvertiamo la necessità che i nostri sforzi siano capiti con chiarezza.
            Noi vorremmo ricordare a tutti i gruppi della parrocchia che l’attenzione ai poveri, alle persone sole e in difficoltà non è un optional, ma un vincolo della nostra fede ed una evidente tradizione della Chiesa cattolica, di cui ci sentiamo pietre vive.
            Desideriamo ribadire che nel cuore di un cristiano non ci può essere posto per la discriminazione, il disprezzo degli ultimi e l’indifferenza, che è il contrario dell’Amore.
            “Dio è amore”, dice l’apostolo, per questo motivo intendiamo la nostra vita di credenti come un lungo cammino, dove imparare tutti i giorni ad amare! 
            Ringraziamo per i segnali di sostegno e collaborazione, ma chiediamo il coraggio di una mobilitazione e di una sensibilizzazione straordinaria in un tempo così difficile.
            Desideriamo domandare che il Consiglio Pastorale nel suo insieme abbia a cuore il tema delle precarietà, in un tempo di crisi economica, che moltiplica l’effetto della povertà anche nei quartieri della Parrocchia e tra le nostre famiglie.
            E’ necessario, quindi, essere consapevoli che le scelte rispondano davvero alle esigenze della comunità e siano ispirate da uno spirito caritativo attento, sobrio ed efficace.
            Ci auguriamo che tale consapevolezza ci accompagni in questo nuovo e difficile cammino e che l’insegnamento di Gesù sia sempre la luce che illumina la nostra strada in comunione con tutti. 

          I volontari della Caritas Parrocchiale San Pio V